Grande fu l'entusiasmo quando tutti noi venimmo a sapere che il Pirata avrebbe corso anche il Tour, anche se per noi ragazzi il Giro era la corsa più importante del mondo. Ma Lupo ci disse invece che era la maglia gialla del Tour, piacesse o no a noi italiani, il traguardo più ambito da ogni ciclista! Anche se non ero del tutto convinto, secondo gli adulti, mi dovevo proprio ficcare in testa che vincere in casa dei francesi era il massimo della vita.
Oltr'alpe quell'anno accadde di tutto: pochi giorni prima della partenza la polizia arrestò il massaggiatore della Festina, la squadra di Zulle e Virenque, per aver trovato nel bagagliaio della macchina una miriade di sostanze proibite. La polizia perquisì anche l'albergo della squadra, che si concluse con il rinvenimento di altri prodotti e, verso la conclusione della prima settimana della Grande Boucle, l'intiera squadra fu squalificata. A quanto pareva, fra i grandi non si andava solo con arancini, pituni e granite. "E' una vergogna, provare a vincere in quel modo", commentò disgustato mio padre, - così si falsano le corse, ci si distrugge la salute e si manda in rovina lo sport più bello del mondo -.
L'atmosfera era rovente e i giornali parlavano più del doping che della corsa, io invece guardavo la classifica e non mi capacitavo del fatto che Pantani non stesse vincendo, anzi si trovasse molto attardato dalla maglia gialla Ullrich. Ma la riscossa del pirata cominciò non appena si arrivò alle salite dei Pirenei e in due tappe risalì alquanto, come un salmone, la corrente della classifica generale e a Plateau de Beille aveva poco più di tre minuti di ritardo dal rivale, con le Alpi ancora da venire.
L'assalto finale ebbe luogo il 27 luglio, nella tappa che finiva alla Deux-Alpes, mentre sul percorso c'era da scalare anche la Croix-de-fer e il Galibier. Quel giorno, mentre da noi faceva caldo, lassù cadeva una pioggia gelida e molti corridori erano scossi dai brividi.
Il Pirata era con il gruppo di testa, ma nell'arrivare al primo passo, scivolò e solo a prezzò di stringere molto i denti, riuscì a rientrare sui primi, che avevano tre minuti di vantaggio sul gruppo della maglia gialla. In testa non c'era accordo e molti provarono e riuscirono ad avvantaggiarsi, con Pantani che li lasciò andare, perché sapeva che l'ultima ascesa era di 18 Km, con oltre mille metri di dislivello. Agli ultimi sei si lanciò come solo lui sapeva fare e il mio cuore cominciò a battere più forte.
Nel giro di poco, riprese con stupefacente facilità un fuggitivo dietro l'altro, si portò in testa e continuò con lo stesso ritmo, mandando in visibilio chiunque fosse davanti a un televisore. Noialtri (c'è da dirlo?) eravamo in estasi!
Ullrich, intanto, pativa le pene dell'inferno e dopo tre minuti dalla vittoria di Marco, il tedesco non si vedeva e quindi non solo la vittoria di tappa, ma soprattutto la maglia gialla era finalmente sulle spalle del nostro eroe, mentre i commentatori spendevano, commossi, le parole "epico" - "grandioso" - "storia del ciclismo".
Quando stavano per scoccare i nove minuti, il tedesco si presentò, scortato da due costernati gregari e, guardandolo in faccia, non si capiva se era più disperato per il ritardo o sollevato per la fine di quel suo "calvario"? I miei due amici erano euforici e Raffaele fu anche cattivo: "Deve lustragli gli scarpini al grande Pirata!" Avrei voluto spiegargli che, in quel momento, Ullrich mi faceva troppa pena per infierire, ma avevo tredici anni e mezzo e non mi venivano le parole giuste, così alla fine dissi soltanto: Già".