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    Messaggio Da eliacodogno Mer Lug 31, 2013 9:50 am

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    Messaggio Da Lemond Lun Gen 19, 2015 10:11 am

    Il paese di Mastromarco era minuscolo: a stare larghi, erano un paio di km. di strada, con ai lati case modeste di due o tre piani e dietro, solo campagna. I luoghi di interesse pubblico si limitavano alla chiesa parrocchiale, Casa del popolo, poste e scuola materna; vi erano poi due bar, uno dei quali anche pizzeria. Il quartiere corridori del G.S.M. era un casale a due piani, che i titolari (Malucchi e Franceschi) avevano affittato, per ospitare i giovani venuti da fuori, piuttosto che confinarli in albergo. Al piano terra si trovava il magazzino degli attrezzi, dal cui soffitto pendevano rastrelliere cariche di ruote spaiate e un'ampia cucina, con una tavolo capace di ospitare una dozzina di persone. Una scala conduceva al piano superiore, dove, in una stanza, stavano le bici, messe insieme negli anni dalla società. Servivano come rincalzi, nel caso si fossero guastate quelle personali degli atleti. C'erano altre quattro camere e, sul fondo, l'ampio ambiente dei bagni, con docce comuni e le indispensabili lavatrici, perché, com'è ovvio, non c'erano donne di servizio e ognuno doveva fare la sua parte per tener pulita e in ordine la propria roba. Avevamo ciascuno una camera, chiusa di giorno, ma aperta di notte, per eventuali controlli, perché alle undici dovevamo tutti essere a letto. "Qui non c'è niente di proibito" - disse il patron - però voglio sapere sempre dove siete, il rispetto è fondamentale e chi sgarra si prende la corriera e ritorna a casa sua! Decisamente non mi potevo lamentare di una stanza "tutta mia", fornita anche di una TV, mentre Carmelo aveva anche un videoregistratore, che ci sarebbe stato prezioso nelle lunghe sere di autunno. Wink
    La zona di Lamporecchio brulicava si squadre ciclistiche, ciascuna rivale delle altre e per orientarmi in questa mappa di antagonismi, dovevo rendermi conto che il territorio era diviso in rioni, ognuno dei quali aveva i propri colori tradizionali e gruppi sportivi. Funzionava un po' come per le contrade di Siena, solo che c'erano le biciclette, al posto dei cavalli. Anche allontanandoci un po' da Lamporecchio, si trovavano tante altre compagini sportive: a nord, fino Montecatini e Agliana, a sud, si arrivava ad Empoli e Fucecchio.
    Data la passione per le due ruote del circondario, i campioni erano tenuti in grande stima e si sentiva parlare, come di una leggenda, di Andrea Tafi, compagno del pisano Bartoli e del livornese Bettini, nello squadrone Mapei. Tafi era un membro fisso della nazionale azzurra e nel suo palmarès figuravano addirittura due corse "monumento" come il Giro di Lombardia e la Paris-Roubaix. Il suo barbiere di fiducia era di Mastromarco e quando il Tafi arrivava, si creava un capannello intorno al negozio.
    Difficile dire quale squadra, fra quelle vicine, fosse la più detestata, ma forse non avevo ancora capito fino a che punto i paesani potessero voler bene ai loro portacolori e male a quelli delle comunità vicine.Sad
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    Messaggio Da Lemond Mar Gen 20, 2015 9:39 am

    La mattina si partiva con la corriera delle 6 e 54 che, mezz'ora più tardi, arrivava alla stazione di Empoli. A scuola, c'erano parecchi sportivi fuori sede, come me: trovai un paio di ragazzi napoletani, un siciliano e un grossetano che giocavano nelle giovanili dell'Empoli calcio. Nessuno di loro pareva avere un atteggiamento da divo; c'erano pure due sportivi locali, un cestista e un collega delle due ruote, che però faceva parte di una formazione rivale e quindi non mi rivolgeva la parola. "Non vi ho mai visto con un libro in mano" notò Carlo Franceschi un sabato pomeriggio, come va a scuola? Occhio che presto andrò a parlare con i vostri professori. Ma non ero venuto per questo, aggiunse, ma per invitarvi a venire con me e il Malucchi dalle parti di Volterra?" "Perché no, rispose per primo Carmelo. "Bene, vestivi sportivi e vengo a prendervi io al Quartiere corridori alle quattro e mezzo di domenica mattina". Non mi ero mai svegliato a quell'ora e quando spalancammo il portoncino, ci trovammo di fronte il presidente e il direttore sportivo vestiti in tuta mimetica, con un fuoristrada che non avevamo mai visto e, nella parte posteriore dell'abitacolo era alloggiata una gabbia, dentro la quale si agitava un setter bianco e nero.
    Andare a caccia fu un'esperienza nuova per noi; il nostro incarico era quello di battitori, per far uscire il fagiano allo scoperto, dopo che il cane l'aveva puntato. Rientrammo alla base con il carniere pieno e quella sera fummo invitati a casa Franceschi per una cena speciale.
    Sulle pareti erano esposti alcuni articoli che illustravano le prodezze sportive di Carlo, che però aveva dovuto smettere presto di correre, perché a casa sua non erano ricchi e si era dovuto mettere a lavorare sodo, appena finito il militare. Fummo serviti con abbondanza di fagiano, ma Carlo stabilì che ci spettava una sola fetta di pane a testa, perché ci si doveva ricordare che, anche nelle cene speciali, il pane non va d'accordo con la bicicletta. Wink Si mangiò in silenzio e poi Adolfo ci domandò con un sorrisetto: "La conoscete la storia di quel ragazzo emiliano che correva per la Mastromarco?"
    E' stata una storia triste, perché, pur essendo un bell'atleta, non faceva per niente la vita del corridore e non perdeva occasione per andare in discoteca e poi accusava sempre malesseri di qui e di là. Noi a pagargli visite su visite, massaggi e agopunture e lui si ubriacava e ballava fino al mattino! Mi è toccato buttarlo fuori ... quasi a pedate!
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    Messaggio Da Lemond Mer Gen 21, 2015 10:06 am

    Ben presto cominciarono allenamenti più seri, ascensioni a cronometro sul San Baronto e serie ripetute di accelerazioni, ma con mio grande stupore mi accorsi che andare in bici era solo una piccola parte dei nostri impegni verso il G.S. Mastromarco. Un'altra grossa responsabilità era alimentarsi secondo i precetti del nostro D.S, il quale era inorridito quando aveva appreso che in precedenza ci eravamo sempre ingozzati di arancini, pituni e fritture! Ci proibì tutta una serie di cose e ci razionò anche il pane. Il ciclista deve essere magro, oltre che forte e resistente. La cena era alle sette in punto e chi fosse arrivato in ritardo, non avrebbe trovato niente da mangiare. Pensavamo a noi stessi come a un corpo d'élite, una falange di spartani che si sacrificavano per una causa, che era la gloria di Mastromarco; e infatti tutto il paese ci controllava. Ma eravamo pur sempre ragazzi e non appena arrivavamo ad Empoli, correvamo a comperare molte cose che ci erano proibite. Ancora non avevamo capito fino a che punto servissero rigore e autocontrollo.
    Durante le feste natalizie, rientrammo in famiglia per due settimane. Mentre solcavamo le acque dello Stretto, sentivamo arrivare ondate di profumi: ci attendeva un'isola intiera, carica di ogni leccornìa. Wink Però dobbiamo controllarci mi dissi, perché se ingrassiamo Carlo se ne accorgerà e ...
    Mi avete preso due chili a testa, Madonna bona! annunciò il Franceschi il giorno del ritorno, lasciandoci con il dubbio che il pavimento delle nostre stanze funzionasse come una pesa di precisione. Very Happy "La stagione si avvicina e occorre rientrare in regime e così andammo da un rinomato medico sportivo di Lucca, che ci assegnò precise tabelle nutrizionali. "Se volete correre, dovete ridurre al minimo la massa grassa".
    La nostra preparazione si fece ancora più seria e la sera scattava molto presto il "coprifuoco". Per controllare che entro le undici e un quarto fossimo tutti a letto, Carlo arrivava e saliva quatto quatto con una pila tascabile per controllare in ogni stanza.
    Io di solito dormivo facilmente, ma una sera mi era presa la malinconia, pensando a Elena, che non ero riuscito a incontrare durante le feste, così mi ero messo a piangere sotto le coperte. All'improvviso sentii passi lungo le scale e mi sarei vergognato molto se il Franceschi si fosse accorto del mio stato, così inghiottii le lacrime, mi girai verso la parete e feci finta di dormire. Quando la luce della pila mi puntò, trattenni il fiato e sentii sussurrare: "E bravo Nibalino, che se la la dorme. Fai sogni d'oro, ragazzo mio". Quando se ne andò, la malinconia aveva lasciato il posto alla tenerezza, perché quell'uomo mi trattava come un figlio, forse anche perché aveva bisogno di trasmettere la sua passione e Barbara non aveva voluto raccoglierla. Carlo era un uomo severo, ma capace di grande amore, un po' come il Lupo e quella sera mi resi conto di voler bene a lui e a sua moglie, come alle persone di famiglia. Ormai eravamo diventati parenti - per parte di bicicletta - e mi ripromisi di non deluderli mai.
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    Messaggio Da vallelvo Mer Gen 21, 2015 2:39 pm

    Invado il "territorio" di Lemond,chiedo scusa.

    Finalmente c'è la nuova maglia Astana di Nibali: vedremo il Campione d'Italia con un bel tricolore, che occuperà solo la parte centrale della maglia e avvolgerà anche il busto.

    Qualcuno avrà sentito i nostri mugugni? Very Happy
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    Messaggio Da Lemond Gio Gen 22, 2015 10:28 am

    I Cannibali di Mastromarco

    Fra gli juniores non era facile vincere "a man bassa", in Toscana poi la concorrenza era agguerritissima e presto dovetti fare la conoscenza con un ragazzo dell'ottantatre, che molti consideravano il più forte della categoria e quando si aggiudicò il Campionato Toscano, i giornali cominciarono a parlare di lui come di un futuro fuoriclasse. Era nato a Torino, figlio di un palermitano e di una napoletana, ma ai piedi delle Alpi aveva trascorso solo un anno, perché la famiglia era ritornata a Palermo, si chiamava Giovanni Visconti e, come me, era stato notato dagli scopritori toscani di talenti e fatto venire in provincia di Pistoia. Ma se l'isola era stata abbastanza grande per entrambi, qui no e nel 2000 quello spazio se lo prese tutto lui. A peggiorare la situazione, aveva un carattere fumantino e orgoglioso e non manifestava nessun tipo di solidarietà verso noi, suoi conterranei, anzi ... In quel primo anno vinsi una sola gara, mentre Visconti piaceva anche alle ragazzine per il suo aspetto e la parlantina sciolta. Una concorrenza come quella era in grado di demoralizzare chiunque, ma quando, Carmelo e io, parlammo delle nostre paure a Carlo Franceschi, lui sorrise. Era una storia che lui aveva vissuto molte volte, perché il primo anno da junior era stato duro per tutti, persino Tafi aveva faticato tantissimo, così come Paolo Bettini. E' la storia di tutti; in questo sport bisogna saper aspettare il proprio momento e prepararsi a cogliere le occasioni, quando arrivano.
    Al Giro di Toscana (a tappe) mi comportai bene, ogni giorno mi sentivo meglio e mi classificai settimo e miglior "primo anno", poi finalmente cominciai a lasciarmi tutti alle spalle: in Abruzzo, sotto un diluvio, al memoria Morgan Capretta, poi a Sant'Omero e primo nella cronoscalata di Bellante. Vinsi anche in Basilicata, in occasione della Coppa Dolomiti Lucane e, cosa più importante, tagliai il traguardo a braccia alzate sul Circùito di San Pietro di Milazzo, sotto gli occhi dei miei familiari e di tutto il clan. A rendere ancora più significativa la vittoria erano i premi in quella corsa: in tutto avevo raccolto 13 milioni di lire. La cosa era importante soprattutto per mio padre che cominciava a rientrare per tutte le spese sostenute negli anni precedenti per portarmi a correre. Naturalmente di quella cifra fiabesca avrei intascato solo una percentuale, ma, insieme alla gioia del trionfo, era sufficiente a fare di me un ragazzo felice.
    C'era anche Elena quel giorno e potei domandarle di persona perché rispondesse così poco ai miei messaggi. Arrossì e mi spiegò che aveva paura di soffrire troppo, legandosi a me. "Siamo così lontani!" - Però mi pensi, azzardai, perché io lo faccio sempre. Ho indovinato, vero? - "Enzo, sussurrò, poi abbassò lo sguardo. "Pensaci sul serio, Elena, per me è un cosa importante".
    Per la stagione 2002, le cose si annunciavano più semplici, sia perché ero riuscito a sbloccarmi, sia perché la classe '83 era passata di categoria. "Questo è l'anno giusto per la Mastromarco, annunciò Bruno Malucchi alla cena sociale d'inizio stagione. Ci leveremo delle sodisfazioni e sono pronto a scommettere che il nostro Nibali vincerà almeno dieci corse". Per motivarmi ancor più, il presidente mi propose una serie di incentivi economici, con una corposa gratifica finale, se avessi raggiunto l'obiettivo delle dieci gare vinte. Purtroppo tutte quelle attenzioni si ritorsero contro la squadra nel suo insieme, perché gli altri ragazzi non si sentirono altrettanto considerati, in particolare, ci restò male Carmelo, e di questo me ne accorsi in occasione di un allenamento in salita, sulle rampe del Serra.
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    Messaggio Da Lemond Ven Gen 23, 2015 10:12 am

    Il Serra è facilmente riconoscibile dalle antenne dei ripetitori Rai, supera di poco i 900 metri, ma è molto frequentata dalle squadre per i tre diversi percorsi che propone: da Buti, da Calci e da Lucca. Quest'ultimo è il più selettivo, anche se per i pisani le salite del Serra erano le altre due! Smile Fu in una di quelle occasioni che Carmelo diede i primi segni di insofferenza: aveva penato in salita, così che lo avevamo aspettato in cima, ma appena giunto in cima: "Non ne posso più, me ne vado" e si lanciò in discesa da solo. "Ma che fa? -protestò il Franceschi- è ammattito?"
    Lo raggiungemmo solo quando si fermò e lo udimmo proseguire nelle sue lamentazioni: "Basta con questa vitaccia! Basta per sempre! -gridava- Non si può mangiare, non si può bere e non ci si diverte mai! Io ne ho le palle piene!" E poi scaraventò la sua bici in mezzo ai cespugli. Il Franceschi ed io dovemmo impegnarci molto per convincerlo a recuperare la "sua cavalcatura", ma ormai qualcosa in lui aveva ceduto e presto ci saremmo accorti che la situazione era senza rimedio. Sad

    Pantani, ormai, non era più lui: nel 2000 si era ripresentato, ma la sua ripresa era stata tanto generosa, quanto sfortunata. Certo al Tour si era battuto da par suo contro il nuovo "re di Francia", il fortissimo Lance Armstrong. Marco aveva fatto gridare alla resurrezione vincendo la tappa del Mont Ventoux, al termine di un epico testa a testa con l'americano, che, secondo lui non gli aveva portato rispetto, se, come sembra, aveva dichiarato ai giornalisti di averlo lasciato vincere. Un'offesa equivalente, nel mondo del ciclismo, a una dichiarazione di guerra, senza quartiere. Tre giorni più tardi il Pirata si era ripetuto in Savoia, staccando nettamente il rivale; era ancora lontanissimo in classifica, ma aveva dimostrato di essere il più forte in salita. Nella tappa successiva, nonostante una caduta iniziale, si era giocato tutto, andando in fuga quando mancavano 130 km. all'arrivo. Per due ore era rimasto in testa, su e giù per le montagne da solo e senza mangiare neppure una barretta energetica. Alle fine, però, era crollato e quel giorno era arrivato al traguardo stremato nel fisico e distrutto nel morale, al punto che si era poi ritirato. Il ciclismo del XXI secolo non era più il suo e lui, troppo orgoglioso per scendere a compromessi, gli aveva voltato le spalle come avrebbe fatto un amante tradito. Si mormorava nell'ambiente che avesse adottato uno stile di vita inaccettabile per un atleta. "Un campione deve esserlo in tutto -scandì Carlo quando gli domandai la sua opinione- Pantani lo è stato, ma non è riuscito a reggere la pressione e ora non lo è più!" Sad
    Il Giro del 2002 doveva essere l'estrema prova d'appello, ma ormai era l'ombra di sé stesso, mentre la mia, disastrosa in ambito scolastico, era cominciata molto bene, con la vittoria il 25 aprile del Giro di Toscana e poi mi ero aggiudicato, in rapida successione, la Coppa San Michele e i Trofei Vie del Vino, Birindelli e Tarabacci: una vittoria alla settimana! Però a scuola mi bocciarono e mi toccò promettere che avrei tentato di recuperare, cercando di "fare due anni in uno".
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    Messaggio Da Lemond Sab Gen 24, 2015 11:18 am

    A fine giugno andammo in Veneto per l'appuntamento chiave della stagione: la Settimana tricolore, ospitata quell'anno dalla provincia di Treviso. Alla partenza eravamo in 156 e a me avevano dato il dorsale 67. Eravamo in corsa da ormai due ore e mezzo e mancavano 20 km. alla fine, quando sentii che era arrivato il mio momento e partii. Nessuno riuscì a riprendermi nella salita ripidissima che portava alla cittadella, ma non era ancora finita, perché, dopo la discesa a capofitto, c'era un settore vallonato fra i colli di Monfumo. Mi girai e dietro di me c'erano le moto della TV e, molto più staccata, una pattuglia di inseguitori. "Attento, Nibalino!" sentii gridare all'ultimo km, da dietro le transenne. Era lui, il Franceschi, impazzito per la tensione: "Non cambiare! Altrimenti rischi che ti cada la catena!"
    Infatti non cambiai e solo quando toccai la linea bianca ebbi il coraggio di fare qualcosa: staccare le mani dal manubrio. Wink Allora mi saltarono addosso mio padre, Eddy, Pippo Marchetta e suo fratello, il Malucchi e il Giubba, Zeffiro e Nano, il Franceschi, che piangeva, e gli altri amici della Casa del Popolo.
    Quando salii sul podio, per ricevere la maglia tricolore, ero del tutto scombussolato, mentre altro tipo di cambiamento psicologico c'era stato per Carmelo: aveva ceduto di schianto, come il Pirata sulla salita del Joux Plane! Sad Ormai non ne poteva più, anche perché lui non riusciva mai a vincere e insistere con il ciclismo sarebbe stato per lui solo fonte di frustrazione. Quando me lo disse potevo soltanto approvare la sua decisione e augurargli di trovare una nuova e migliore strada. Restava da convincere Carlo, ma bastava farsi vedere svogliato, perché il direttore desse il suo "nulla osta". "Non sei un vero atleta - gli rinfacciò - però ti ho voluto bene lo stesso e spero che un giorno o l'altro tonerai a trovarci". Alla fine, piangevamo tutti e tre.
    In estate vinsi ancora al Trofeo Marchi e ... a Lamporecchio Very Happy, La nona vittoria fu il G.P. Sesa Progetti e ottenni il bonus alla Classica Mare-Monti. I guadagni cominciavano a farsi interessanti e rincarai la dose con il Campionato Toscano a cronometro. Insomma ero uno dei migliori classe '84, ma quasi svenni quando i miei patron mi dissero che ero stato convocato per i mondiali di ciclismo a Zolder. "Andrete con i dilettanti e coi pro, mise in chiaro il Malucchi e sarà l'occasione per vedere da vicino Cipollini, Petacchi, Bettini, il vecchio Scirea e tutti gli altri. Ci sarà anche quell'antipatico di Luca Scinto", aggiunse. Luca Scinto era amico di quelli di San Baronto e tanto doveva bastare per ...
    Al Giro della Lunigiana sperimentai una prima ventata di clima internazionale, perché partecipavano pari età francesi, spagnoli e perfino russi. La prima tappa partì il 5 settembre da La Spezia e c'erano diversi dislivelli, dei quali approfittai per andarmene e arrivare per primo a Podenzana. indossando la maglia verde, simbolo del leader. Nel pomeriggio c'era una cronometro di 10 km. sulle colline di Aulla, con un percorso vallonato, che si addiceva alle mie caratteristiche e feci segnare il miglior tempo, consolidando così la posizione in classifica. "Hai ammazzato la gara al primo giorno!" - mi apostrofò uno degli organizzatori -. Ma il Franceschi lo allontanò, senza troppe cerimonie e poi le corse a tappe finiscono sempre solo all'ultimo giorno. L'indomani c'erano da fare 120 km, con partenza e arrivo a Lamporecchio; non riuscii a scappare, ma mi tenni sempre nelle prime posizioni. Ci tenevo troppo a conservare la maglia davanti alla nostra gente che, all'arrivo, mi festeggiò come avessi quella rosa del Giro. Wink L'indomani, a Sarzana, vinse uno sprinter sloveno, ma il successo finale era più vicino. Nell'ultima tappa per me era strano adattarsi a non tentare azioni di forza, ma quando ti trovi a condurre con buon margine una corsa a tappa è la cosa migliore da fare. Però correre in quel modo mi stressava e fu un vero sollievo arrivare in vista della cave di marmo, che sovrastavano Carrara e Ortonovo, dove finiva il Giro. Lasciai che gli sprinter si lanciassero per la volata, a caccia del loro momento di gloria e superata la linea bianca con le mani alzate vidi, fra il pubblico, uno striscione sul quale era scritto *CanNibali*. "Non siamo semplici tifosi - puntualizzò Adolfo - siamo i Cannibali di Mastromarco, il fan club ufficiale di Vincenzo". Wink
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    Messaggio Da Lemond Dom Gen 25, 2015 10:14 am

    Il Belgio è un posto strano, dove il cielo sembra più basso e grigio di come l'avevamo mai visto prima e la gente beve una birra dietro l'altra ai tavolini del bar. Poiché nel paese si parlano due lingue diverse, ogni scritta è raddoppiata, ma la passione per il ciclismo sembra capace di unire tutti. Eddy Mercks, il campionissimo era belga e due delle più importanti corse dell'anno si svolgevano là, una nelle Fiandre e l'altra in Vallonia. Tuttavia, la località che ospitava i Campionati del mondo non era certa famosa per il ciclismo, bensì per l'autodromo, dove aveva trovato la morte il pilota della Ferrari: Gilles Villeneuve. Fu una grande emozione ricevere per la prima volta il "kit" della nazionale, identico a quello dei Campioni, ma ci restai male quando il C.T. Montedori e il D.T. Fusi mi comunicarono che si aspettavano che facessi meglio nella crono. La competizione prese il via alle 12 del giorno seguente e, per l'Italia gareggiavamo io e Roberto Traficante, entrambi preoccupati per le raffiche di vento. Erano 23 km. tutti in pianura e, quando toccò a me, sgombrai la testa da ogni pensiero per andare a tutta e disegnare le traettorie più pulite possibile. Non avevamo nessun riferimento e così solo al termine seppi che avevo fatto un buon tempo, che, alla fine, risultò il terzo, dietro al russo Ignatiev e all'australiano Jamieson. Medaglia di bronzo, con tanto di nastro "iridato". Nell'intervista mi chiesero che attese avevo per la gara successiva e dichiarai che non mi aspettavo niente, perché il percorso era troppo pianeggiante per i tentativi di fuga e non ero abbastanza rapido nelle volate di gruppo. La domanda che che mi mise in difficoltà, ivece, fu: che cosa pensavo di fare nella stagione successiva? Passare fra i dilettanti o tentare il doppio salto mortale, riuscito a Pippo Pozzato? Lui, a soli diciotto anni, è passato dagli juniores direttamente alla Mapei. Io non sapevo neppure che fosse possibile, così mi schermii e dissi che preferivo fare un passo alla volta.
    Il sabato, nessuno di noi combinò qualcosa, vinse il francese Gérard, seguito da un finlandese e un australiano. Nel pomeriggio ci furono le donne, ma ormai l'attenzione di tutti era concentrata sulla domenica: 256 km. senza nemmeno un cavalcavia, riservati ai pro.
    (Nota mia, salto queste pagine, perché quella corsa, come l'altra, nel 2011 a Copenaghen, sono stati due insulti per il ciclismo vero).
    ... Le giornate cominciarono ad accorciarsi e la stagione del ciclismo lasciò spazio a quella della vendemmia e, dato che Carmelo non c'era più, Franceschi mi propose di trasferirmi a casa sua: c'era una mansarda a mia completa disposizione e a loro avrebbe fatto piacere avermi più vicino. Mi spostai subito, con armi e bagagli, con il patto che le lavatrici le avrei fatte da solo.
    La Mastromarco, che fin lì aveva solo una squadra juniores, si sarebbe ingrandita, costruendone una di dilettanti. Nel frattempo mi ero iscritto al corso serale per ragionieri e alla scuola guida e quando tornavo da Empoli la sera, Carlo mi permetteva di guidare.
    Il 15 novembre affrontai l'esame teorico per la patente e, di lì a pochi giorni, anche la prova pratica fu archiviata con successo e, se il Franceschi non me l'avesse proibito, avrei volentieri celebrato l'evento, andando in Sicilia a trovare Elena. Dovetti accontentarmi di telefonare, ma ne valse la pena ugualmente, perché da qualche tempo anche lei manifestava volentieri i suoi sentimenti e gli unici ostacoli al nostro fidanzamento erano i suoi 15 anni e la categorica opposizione della famiglia, che non voleva si impegnasse con un ragazzo sempre lontano da Messina e che non offriva alcun tipo di garanzia per il futuro. Sad
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    Messaggio Da Lemond Lun Gen 26, 2015 11:12 am

    La stagione 2003 cominciò, per i professionisti, con la Milano-Sanremo. Era una delle due classiche- monumento in Italia, richiamava tutte le squadre di primo piano e l'intiera comunità del pedale esultò quando tagliò per primo il traguardo Paolo Bettini, il grillo livornese. Ne fui contento come il trionfo di una vecchia conoscenza, anche se con lui avevo scambiato solo poche parole, in Belgio sei mesi prima. Ma in fondo in quel giorno eravamo stati compagni di squadra.
    Ormai avevo capito come andavano le cose, quando si passava di categoria: per un anno almeno si vinceva poco. Ritrovai sulla mia strada Giovanni Visconti che correva con la squadra di San Baronto, sponsorizzata dalla Finauto e come direttori sportivi aveva Citracca e Scinto. Luca incoraggiava il suo pupillo dall'ammiraglia come se dovesse sempre spaccare il mondo e non perdeva mai occasione per trattare noi della Masromarco come poveracci! La sua spocchia strideva con la modestia di Carlo Franceschi, costretto a fare i conti con un "budget" molto ristretto. Non ci aiutava nemmeno il fatto che io non riuscissi a vincere nemmeno una corsa. Ma Carlo mi diceva di non avere fretta, vedrai che un giorno li lascerai tutti indietro. Senza vittorie non c'erano premi e non c'erano soldi per rinnovare l'attrezzatura, per cui per Scinto era facile sfotterci e concludeva con la solita frase:"Ritiratevi, che ci fate miglior figura".
    Ma un giorno arrivò Bruno Cenghialta, d.s. dell'Alessio e ci aiutò a trovare vantaggiose sponsorizzazioni; soprattutto una fornitura di biciclette De Rosa uguali a quelle che impiegavano i suoi pro. Anche lui mi raccomandò di non perdere mai la fiducia, per quanto Visconti potesse farmi vedere i sorci verdi! Wink
    La corsa valevole per il Campionato italiano under 23 si tenne in un circùito vicino a Rimini e l'unica salita di rilievo era un km. al 5%, ergo non era un tracciato per le mie caratteristiche. Arrivarono a giocarsi la volata in sei e il nome del vincitore non poteva lasciarmi indifferente, insieme con tutta la popolazione di Mastromarco: Giovanni Visconti.
    "Perdenti! Acquaioli! Inchinatevi a San Baronto!" Gridò Scinto quella sera stessa, traversando a tutta velocità l'abitato sulla sua ammiraglia. Se non fu preso a sassate, fu solo perché non rallentò e filò lesto verso il centro di Lamporecchio, per poi andare a far festa nella sua roccaforte sulle colline. Noi quella sera si andò a letto prima del solito! Sad
    Le cose non andarono meglio agli europei: vestii sì di nuovo la maglia azzurra, ma feci registrare solo un ottavo posto nella cronometro, mentre la corsa su strada fu vinta da un altro azzurro, inutile dire che si chiamava Giovanni Visconti.
    Quasi non riuscivo a credere che fossi stato nuovamente convocato per i mondiali a Hamilton, in Canadà, però la mia felicità fu stemperata quando seppi il compito che mi aveva assegnato il C.T: propiziare la vittoria di Giovanni Visconti. Ma per la nazionale avrei fatto questo e altro. Wink Volammo insieme ai pro e il più accreditato fra loro era Paolo Bettini e ritrovai anche il vecchio Mario Scirea insieme al grintoso "killer" abruzzese: Danilo Di Luca. C'era anche Ivan Basso, un ragazzo di Varese dall'aria aperta e i modi gentili, che quell'anno era arrivato settimo al Tour. Uno come lui poteva essere un modello, per me, e lo ascoltai con grande attenzione quando mi disse che:" Se vuoi ottenere risultati di grande livello, non basta che ti alleni. Devi vivere per la bicicletta, respirarla il giorno e sognarla la notte".
    Quell'anno i mondiali andarono malissimo per i colori italiani e il risultato migliore fu il quarto posto di Bettini.
    L'unico risultato positivo di quell'anno sciagurato fu che riuscii a superare, come privatista l'esame di maturità, ma nel ciclismo dovevo darmi una smossa, e in fretta.
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    Messaggio Da Lemond Mar Gen 27, 2015 10:41 am

    Uno squalo in mezzo ai Pro

    Il giorno di San Valentino del 2004 passai tutto il dopo cena al telefono con Elena, senza però riuscire a convincerla a fidanzarsi, perché io non avevo un lavoro. Elena non si fidava di Carlo, perché lo riteneva un mio tifoso e quindi tendeva a sopravalutarmi e allora le dissi che anche Bruno Cenghialta credeva in me. "Lui è un direttore importante e sa di che cosa parla". Erano quasi le undici quando le augurai la buona notte e mi gettai sul letto, ma il cellulare prese a vibrare: era mio fratello che mi annunciava la morte di Marco Pantani! "L'à detto ora la TV, forse si è ucciso, ma non si sa niente di sicuro". Purtroppo mio fratello aveva ragione, il Pirata, che mi aveva fatto sognare da ragazzino, era stato trovato senza vita in una stanza d'albergo di Rimini. L'anno prima era stato ricoverato in una clinica specializzata nella cura della depressione e dell'alcolismo e ora ... l'uscita di scena più triste che si potesse immaginare. [taglio]

    Carlo e Bruno Cenghialta avevano avuto ragione a raccomandarmi di essere fiducioso, perché la seconda stagione "under 23" fu assai più fortunata della prima. Certo, Visconti era sempre là fuori ad aspettarmi come quel lunedì di Pasqua, giorno in cui si correva il tradizionale G.P. Poggio alla Cavalla e il prestigio della competizione la rappresenta bene il numero: eravamo alla cinquantunesima edizione. Wink "Oggi Nibalino si vendica, garantivano quelli di Mastomarco". -Oggi Visco lo umilia di nuovo- replicavano da San Baronto.
    Ogni volta che attaccavo, quello mi veniva dietro con i suoi, così provai a prenderlo per esasperazione, imprimendo un ritmo d'inferno alla corsa: ogni volta che il "treno" della Finauto mi tornava a ruota, ripartivo come se non ci fosse un futuro! Un ciclista non dovrebbe mai fare della rivalità una questione personale, alle volte però è impossibile farne a meno e io, quel giorno, ero disposto a tutto per batterlo! Arrivammo mezzi morti fin quasi al traguardo, poi intravidi con la coda dell'occhio un'ombra che provava ad inserirsi nello spazio ridottissimo fra la mia bici e il marciapiede, accusandomi di volerlo far cadere e subito dopo mi dette una manata sulla schiena. Era paonazzo, con gli occhi fuori dalle orbite e nemmeno io dovevo offrire uno spettacolo migliore, mentre le nostre bici si toccavano. Riuscimmo in qualche modo a contenere la sbandata, ma non la nostra rabbia e, scesi dalla bicicletta, cominciammo a prenderci a sberle! Evil or Very Mad

    Misi in bacheca il primo trofeo dell'anno il 16 maggio, vincendo sulle strade di Mastromarco, proprio il giorno in cui un certo Damiano Cunego, che aveva solo tre anni più di me, vestiva la sua prima maglia rosa al Giro. E quando il biondino di Verona vinceva il suo Giro d'Italia, io aveva aggiunto al "palmarès" altre tre corse e i miei due "patron" mi invitarono in una trattoria del Galleno (fuori dal raggio d'azione abituale dei compaesani) per farmi un discorsino. "Dobbiamo parlare di te con Cenghialta, ma purtroppo la sua squadra rischia di chiudere. Gestire un "team-pro" è sempre più costoso e l'anno prossimo cambieranno le regole del gioco e solo venti squadre in tutto il mondo otterranno la licenza per correre le gare più importanti. Mentre le altre andranno a ...
    Ciascuna delle venti potrà mettere sotto contratto al massimo due o tre neo-pro, quindi circa cinquanta saranno i ragazzi che in tutto il mondo potranno passare per la porta maggiore". E Carlo concluse: "Basta trovare posto fra quei cinquanta e tu lo troverai, Bruno Cenghialta è uno che sa cascare in piedi e lui ci aiuterà a trovare la collocazione migliore". Wink
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    Messaggio Da Lemond Mer Gen 28, 2015 9:47 am

    Alla Settimana Tricolore di Pisa si affacciò un volto nuovo: un emiliano magrissimo dagli occhi spiritati, già campioncino del ciclocross e che avevo incontrato in Canadà. Si chiamava Riccardo Riccò e si diceva che la Federazione (nota mia, dibAFFO dIROCCO) lo guardasse con sospetto per via dei suoi valori di ematocrito, ma a Hamilton si era dimostrato tranquillo e sorridente, lontano dall'immagine dello spregiudicato spaccamontagne, che mi avevano descritto. Dopo la vittoria di Pisa e indossata la maglia tricolore, perse ogni parvenza di umiltà: inscenò una specie di balletto e si vuotò la bottiglia di spumante sulla testa. Il Franceschi pronosticò che fra un paio d'anni saremmo stati a battagliare fra i professionisti.
    Il 25 luglio, uno dei ciclisti che ammiravo di più, il varesino Ivan Basso, salì sul podio del Tour, dietro ad Armstrong (sesta vittoria) e Kloden. Esaltato dal suo esempio, il sabato successivo andai a vincere a Langhirano, una gara indicativa per gli Europei e poi mi trasferii in Sicilia e colsi successi a Messina e Milazzo e colà mi concessi anche una settimana di riposo, per trascorrere qualche giorno con i miei. Mio padre mi interrogò sul probabile passaggio fra i Pro. "Non osavo crederci, ammise, ma ora che è più vicina che mai, ho paura". - Ogni volta che faccio qualcosa senza di te, papà, ne vedi solo i lati negativi! - "Qui c'è gente che gioca con la salute dei corridori e costoro, per ambizione, si lasciano fare di tutto. L'ài visto che fine ha fatto il tuo Pirata?" - Quella è un'altra storia, lui era depresso e ...- "Depresso una minchia, si è depresso quando l'ànno beccato con le mani nel sacco! E' finito il tempo del ciclismo pulito! (nota mia, lo dice un tifoso di Moser) e se tu pensi di cacciarti in quella trappola e restare pulito, sei come quelle vergini che credono di poter stare tranquille in un bordello!" Quando era così, era inutile cercare di discutere e allora mi limitai a rispondere che mi sarei accontentato di arrivare dove potevo, senza fare schifezze e pazienza se ne avrei avuto davanti molti altri. "C'è un'altra cosa, disse, sei sicuro che quella ragazza, la nipote di Pippo Marchetta, sia la donna giusta per te?" - Eh no, dissi, di Elena ne parliamo un'altra volta.
    il 14 agosto Paolo Bettini conquistò la medaglia alle Olimpiadi di Atene e mi emozionai quando lo vidi salire sul podio con la maglia azzurra, che ormai mi stavo abituando a vestire un anno dopo l'altro. E infatti ero stato convocato anche per i mondiali di Verona sia per la cronometro che quella "in linea". I miei compagni erano il bresciano Corioni, Rigotto di Vicenza e il lucano Domenico Pozzovivo, tutti classe '83, mentre Visconti e Francesco Rivera avevano un anno di più, ma sarei stato solo io a disputare due gare. La tensione era alta, anche perché avremmo avuto addosso gli occhi dei "guru" delle squadre Pro Tour, in grado di decidere il nostro futuro.
    Lunedì 27 era il primo giorno della manifestazione e io infilai la bici da crono come un cavaliere pronto alla battaglia. Quando mi diedero il segnale ero così carico che sembrava quasi fossi stato catapultato in avanti da un elastico e quella spinta mi durò per tutti i trentasei km. Tagliai il traguardo in apnea e quando vidi il tempo, per poco non svenni: primo. Per qualche minuto i nostri tecnici si cullarono nella più dolce delle illusioni, ma poi arrivò Dekker, sparato come un bisonte alla carica: 47 minuti e 15 secondi, il mio stesso tempo. Ci misi un attimo a capire che era stato più veloce di me di qualche centesimo e quindi mi dovevo rassegnare alla medaglia d'argento. Ma fra gli ultimissimi partenti c'era anche un proiettile umano, lo sloveno Brajkovic che arrivò sostenuto anche da un vento favorevole e polverizzò il nostro tempo: sotto i 47 minuti! Mi era rimasto il bronzo, ma per fortuna i concorrenti erano finiti e non potevano più portami via la medaglia. Smile
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    Messaggio Da Lemond Gio Gen 29, 2015 11:23 am

    Il percorso del 1° ottobre era abbastanza vallonato da consentire qualche colpo di mano anche ai passisti e agli scalatori. L'attesa del pubblico era alle stelle e, fra i presenti, c'erano anche i Cannibali di Mastromarco, ma ciò che mi stupì davvero fu vedere uno stendardo ove era scritto Vincenzo Nibali, sopra un disegno di un pescecane e sotto "Lo squalo dello stretto". Wink Chi teneva quel cartello era Eddy, arrivato apposta da Messina e la cosa mi caricò moltissimo. Battagliai per tutta la corsa, come avevo fatto il giorno degli schiaffi con Visconti, che ora era diventato un compagno e un alleato. Gli avversari erano tanti e a tener alto il ritmo non avrei sbagliato, perché in molti si sarebbero staccati, il che avrebbe fatto aumentare le possibilità della nazionale. Nella fase nodale, uscì allo scoperto Pozzovivo, un bravo ragazzo del Sud e io provai a chiudergli la porta alle spalle, ma non riuscii a fermare tutti. Gli andò dietro Siutsou, un bielorusso che correva in Italia. I due sembravano in grado di ciocarsi la corsa fino alla fine, ma nelle ultime fasi mi scapparono anche Dekker e il danese Christensen. Mi sarei messo a urlare dalla rabbia quando vidi che avevano ripreso il mio compagno e cercai di correre in suo soccorso, ma potei osservare soltanto il disastro che si compiva: Siutsou aveva già tagliato il traguardo e la volata a tre vide buon ultimo Domenico! Quando giunsi quinto vidi il poverino in lacrime e pensai che non era andata bene nemmeno questa volta, ma avevo dimostrato alla nostra gente di saper lottare e di crederci sino alla fine.
    Bravo, disse Cenghialta, poi sorrise e domandò se doveva chiamarmi Squalo? "Ti hanno visto tutti oggi - aggiunse - e sei piaciuto a molti. Ho un paio di novità per te. Una non te la dico, semmai ci penserà la concorrenza, mentre io sono stato arruolato nella squadra del *sergente di ferro*, cioè la Fassa Bortolo di Giancarlo Ferretti ed è una bella compagnia, credimi. Se i tuoi amici di Mastomarco non hanno niente da ridire mi farebbe molto piacere che l'anno prossimo ci fossi anche tu".
    Avrei voluto trovare una frase adatta alla circostanza, ma non riuscivo a spiccicare parola, così accennai un sorriso e lo abbracciai. Wink La domenica, alla gara dei pro, vinse lo spagnolo Freire, davanti a Zabel e al nostro Luca Paolini e io pensai che la mia trafila nelle nazionali giovanili era finita e sarebbe passato parecchio tempo prima di poter indossare di nuovo la maglia azzurra. Sad
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    Messaggio Da Lemond Ven Gen 30, 2015 10:27 am

    La mia carriera da professionista cominciò con la visita del "sergente" Ferretti e di Bruno Cenghialta al Quartiere corridori di Mastromarco. Gli ospiti arrivarono su una delle "ammiraglie" della squadra biancoblù, sponsorizzata dal colosso trevigiano dei cementi. Ferretti, un uomo dal fisico compatto e il cranio calvo, salutò i dirigenti e poi mi fissò negli occhi, come se volesse leggerci i miei segreti. "Piacere" ringhiò, stritolandomi la mano, poi mi mi pizzicottò il girovita per saggiarne la consistenza e disse:"Ricordati, giovane, che ho un'ottima memoria. Niente stravizi a tavola, se vuoi che andiamo d'accordo". Nel contratto si prevedeva solo il minimo sindacale, era questo che veniva offerto a tutti i giovani, prendere o lasciare. "Poi ci sono i premi", mormorò Carlo - è possibile -, ammise il Team Manager, - ma quello dipende da lui -.
    La prima persona alla quale detti la notizia fu Elena e le dissi che sarei arrivato in Sicilia, con il primo treno; durante il viaggio pensavo che ora avevo un lavoro e nessun ostacolo si sarebbe frapposto fra noi due. Non chiusi mai occhio e alla fine comunque arrivai a Messina, dove Elena era venuta a prendermi e così ci baciammo, per la prima volta come un uomo e una donna.
    Il primo impegno con la squadra era la presentazione a Treviso in una serata di gala e, come presentatori, il sig. Paolo Fassa aveva ingaggiato Fabrizio Frizzi e Davide Cassani. Per prima cosa fu mostrato un film celebrativo dei grandi successi, specie quelli ottenuti da Alessandro Petacchi, poi la maglia gialla di Cancellara, ottenuta al cronoprologo dell'ultimo Tour, a seguire una breve sequenza della tappa di Pozzato e il colpo di reni, grazie al quale J.A. Flecha aveva bruciato Bettini a Zurigo e infine gli "highlight" del campione lussemburghese K. Kirchen e di Dario Frigo. P. Fassa fece presente che avevano la licenza Pro Tour per un solo anno, per cui la stagione prossima ci farà comodo trovare un co-sponsor. Salì sul palco Ferretti per illustrare gli obiettivi stagionali, focalizzati anche per quell'anno intorno a Petacchi, che non avrebbe fatto il Tour, per rendere al meglio negli altri due G.G. e nelle classiche, perché tengo a dire che Alessandro ha la possibilità di vincerne una, e la deve vincere! Poi il nostro "sergente" concluse con: "Una delle nostre specialità è tirar fuori corridori dei quali non avete mai sentito parlare e renderli celebri". Wink A quel punto toccò a tutti noi (26) salire sul palco per scambiare qualche parola con Frizzi e Cassani e l'interminabile serata poté concludersi.
    Quella sera fu la prima e ultima volta nella quale vidi tutti insieme i miei compagni, perché in allenamento eravamo divisi per gruppi, secondo gli obiettivi che Ferretti aveva assegnato a ognuno di noi. Per me, quel primo anno non ci sarebbero stati G.G. ma avrei potuto disputare la campagna primaverile, dedicata alle "Classiche del Nord". Mi faceva da "chioccia" Roberto Petito, un trentaquattrenne buon passista, ormai gregario da tempo. Fu lui che mi consigliò di non provare, in allenamento, ad allungare in salita, altrimenti mi sarei fatto dei nemici. Fu, sempre con lui al fianco, che disputai la mia prima gara: il Trofeo Laigueglia e, quando vidi la prima salita, gli domandai se voleva venire in fuga con me? "Aspetta" rispose "Prima devi chiedere il permesso all'Ammiraglio". Ottenuto il nullaosta, attaccai e riuscii a scollinare da solo, ma poco dopo mi raggiunse il ligure Mirko Celestino, che aveva già vinto un Giro di Lombardia. Avevamo entrambi una certa esperienza di "mountain-bike" e sapevamo guidare bene la bici in discesa, ma le nostre traiettorie si dimostrarono fin troppo ardite e, ironia della sorte per due biker, andammo insieme fuori strada! Non ci restò che vedere il gruppetto degli inseguitori superarci e chiudere la gara alle loro spalle. Temevo che Ferretti mi avrebbe sgridato, invece si dimostrò sodisfatto. Wink
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    Messaggio Da flatMatt Sab Gen 31, 2015 1:02 am

    Interessante! continua...lo hai in formato digitale o devi usare l'ocr?
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    Messaggio Da Lemond Sab Gen 31, 2015 8:22 am

    flatMatt ha scritto:Interessante! continua...lo hai in formato digitale o devi usare l'ocr?

    Non so che cosa sia l'ocr; ci sarebbe anche in pdf, ma a me torna più comodo usare il libro vero e proprio.
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    Messaggio Da flatMatt Sab Gen 31, 2015 2:06 pm

    lo copi a mano? L'ocr è il sistema riconoscimento caratteri. Si scansiona un testo e l'ocr (è sempre insieme al software dello scanner) ti restituisce più o meno bene il testo che c'è nell'immagine. Per convertire un pdf in testo modificabile invece ci sono servizi online come questo: https://www.pdftoword.com/it/
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    Messaggio Da Lemond Sab Gen 31, 2015 4:30 pm

    flatMatt ha scritto:lo copi a mano? L'ocr è il sistema riconoscimento caratteri. Si scansiona un testo e l'ocr (è sempre insieme al software del scanner) ti restituisce più o meno bene il testo che c'è nell'immagine. Per convertire un pdf in testo modificabile invece ci sono servizi online come questo: https://www.pdftoword.com/it/

    Non sono mai riuscito a modificare quanto ho scannerizzato, ma poi a me non servirebbe comunque, perché non riesco proprio a *copiare*; un po' lo sintetizzo e soprattutto ... lo miglioro. Very Happy Very Happy Very Happy
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    Messaggio Da vallelvo Sab Gen 31, 2015 5:13 pm

    Hai capito il Professore.... Smile
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    Messaggio Da Lemond Dom Feb 01, 2015 9:51 am

    In marzo il jet Petacchi vinse la sua prima classica, trionfando a Sanremo e la squadra era partita anche quell'anno con il piede giusto. Il 3 aprile Petito strappò un onorevolissimo quinto posto alla Ronde. Una settimana più tardi fu la volta di quella che i francesi chiamano "la regina delle classiche" e i corridori "inferno del nord". Dopo sei ore e mezzo di questa corsa unica, il nostro Flecha riuscì a salire sul podio, dietro a Boonen e Hincapie. E ora cominciava la campagna delle Ardenne. Wink
    Nello spazio di una settimana si affrontavano tre corse, lungo tracciati nervosi, in grado di umiliare gli eleganti levrieri che contavano solo sull'efficacia dello sprint: Amstel - Freccia e la decana delle classiche, la L.B.L. Quest'ultima si correva dal 1892, lungo una micidiale sequenza di salite, picchiate e muri, che si diceva racchiudessero l'essenza stessa del ciclismo eroico e per un esordiente era già un successo arrivare al traguardo entro il tempo limite. La tripletta nelle Ardenne era stata per anni una chimera, si credeva che nessun ciclista al mondo fosse capace di una tale impresa. Ma quel mito era stato sfatato appena dodici mesi prima proprio da un italiano: Davide Rebellin si era sollevato da un destino di ciclista di secondo piano, per proiettarsi direttamente nella leggenda. In Italia però la sua figura era bersaglio di molte polemiche: invidiatissimo per i risultati raggiunti, non aveva fatto gran che per farsi voler bene e, quando era stato escluso dalla nazionale, (nota mia, senza ragione) era arrivato a chiedere la cittadinanza argentina.
    "Non ci pensare neppure a Rebellin, qui si suda sangue e per un "bocia" come te è già tanto arrivare alla fine della settimana". Cenghialta aveva ragione.
    L'Amstel si corse il 17 aprile con un tempo da tregenda, che impedì addirittura le riprese televisive. La squadra di casa (Rabobank) impose un ritmo indiavolato e tenere il ritmo dei migliori risultò impossibile; dovetti mollare, umiliato ed esausto. La vittoria sul Cauberg andò al killer abruzzese Danilo Di Luca, secondo l'olandese Boogerd e terzo la mia vecchia conoscenza Mirko Celestino, mentre Rebellin dovette accontentarsi del quarto posto, il che, per lui era una sconfitta bruciante, a riprova che, una volta raggiunti i vertici, la carriera si faceva ancora più complicata.
    Il mercoledì 20, alla partenza della Freccia, mi tremavano le gambe, perché avevo paura di essere troppo debole per concludere i 200 e passa km. con tre passaggi del muto di Huy. Le cose invece andarono decisamente meglio e riuscii a festeggiare un settantesimo posto a due minuti e mezzo dall'implacabile killer, che aveva regolato allo sprint il mio compagno Kim Kirchen e lo spodestato Rebellin. Sul pullman del ritorno, Danilo Di Luca e la sua doppietta erano sulla bocca di tutti, ma l'atmosfera era allegra per il risultato di K.K. e il buon Kim fu festeggiato come il "primo" davanti a Rebellin. Wink
    Il 24 aprile era il giorno della Decana e in gruppo si diceva che tutti avrebbero corso contro Di Luca, anche se a me importava poco, perché i miei obiettivi erano molto più modesti. Alla partenza non sapevo se dar retta al mio corpo, così stanco da domandare pietà, oppure alla mia voce interiore che mi spingeva a gettare il cuore oltre l'ostacolo? Era una bella giornata di primavera e la corsa fu piuttosto calma fino al giro di boa, poi partirono azioni a raffica, mentre nel gruppo l'andatura non calava mai: era come pedalare in mezzo a una carica di bisonti, dalla quale ogni tanto si staccava in avanti una nuova pattuglia. Non avevo più la forza di reggere il ritmo e a un certo momento mi accorsi di essere rimasto solo un'altra volta, ma non volevo mollare. Dietro di me c'erano solo l'ambulanza e la vettura che segnalava la fine della corsa. Quando giunsi al traguardo la premiazione era già finita e la gente se ne stava andando e mi prese un colpo quando vidi, fra gli spazzini che sgomberavano la strada, l'ammiraglia della Fassa. Ferretti, di sicuro, mi avrebbe fatto un "lavata di capo". Ma in effetti non aveva quell'intenzione, perché sapeva che la mia prova di iniziazione fra i Pro in qualche modo era stata superata: avevo terminato due prove su tre.
    La vittora quel giorno era andata a Vino, cha aveva battuto in volata Voigt.
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    Messaggio Da Lemond Lun Feb 02, 2015 9:46 am

    Al Giro le cose non andarono come Ferretti sperava, Petacchi vinse sì quattro tappe, ma non gli bastarono per confermarsi maglia ciclamino, che si aggiudicò Bettini. La maglia rosa finale andò a Savoldelli, mentre il migliore dei nostri (Marzio Bruseghin) dovette accontentarsi del nono posto. O si raddrizzava la la situazione o si rischiava che Paolo Fassa si stancasse del suo costoso giocattolo. Di lì a pochi giorni, al Giro di Svizzera, provai a fare la mia parte e l'occasione mi si presentò alla sesta tappa, la prima che presentava qualche salita. Quando mancavano 30 km. all'arrivo, me ne andai insieme all'amercicano C. Horner e ad altri due, che però si staccarono quasi subito. Lo "yankee" voleva che ci mettessimo d'accordo, era chiaro, anche se non comprendevo la lingua, ma lo faceva con "spocchia" e così lo "mandai a quel paese" e ognuno avrebbe fatto la sua corsa. I "fuck" da parte sua si sprecarono! Era più esporto di me e così, alla fine, mi andò via, ma comunque fu un buon secondo posto.
    La mia vita era cambiata: avevo un manager (Alex Carera) e un'automobile nuova e non un macinino qualsiasi, bensì un'Audi A4, con la quale mi presentai in Sicilia da Elena, approfittando di alcuni giorni di vacanza, mentre gli altri correvano il Tour, per provare a vincere qualche tappa. Invece in terra di Francia si compì il disastro, che avrebbe segnato la fine della squadra. La Gendarmeria francese procedette al clamoroso arresto di una giovane signora, colpevole di trasportare sostanze dopanti. Purtroppo per tutti noi, era la moglie di Dario Frigo e lo scandalo che ne derivò fu enorme.
    Non erano trascorse neppure 24 ore dalla fine della "Grande Boucle" (vinta da Armstrong per la settima volta) che la Fassa Bortolo diffuse un comunicato lapidario: "Per non ledere la propria immagine, il colosso dell'edilizia avrebbe abbandonato il mondo del ciclismo".
    Se il Sergente voleva continuare a svolgere il suo lavoro avrebbe dovuto trovare un altro sponsor, altrimenti eravamo "tutti a piedi". Sad La notizia provocò una fuga disordinata: Petacchi si accasò alla tedesca Milram, Cenghialta all'Acqua e Sapone, Cancellara con i danesi CSC, raggiungendo Basso, Flecha si unì al "treno arancione" della Rabobank e Roberto Petito, pur di continuare, accettò l'offerta di una squadra Continental. Ferretti mi disse di avere pazienza, perché aveva buone prospettive per formare una nuova squadra Pro Tour. Per qualche settimana la fiammella della speranza continuò ad ardere e alla fine arrivò una buona notizia; la multinazionale Sony Ericson aveva garantito 10 milioni di euro per il 2006 e altri 25 per le due stagioni successive. Ferretti procedette subito ad una nuova campagna acquisti, ingaggiando Simoni e l'australiano O' Grady. Ma, dopo poco, si seppe che l'emissario della S.E. era un millantatore e "quella vera" in un comunicato diffidò chiunque da spendere il suo nome per qualsiasi tipo di sponsorizzazione! Al Sergente non restò che convocare una conferenza stampa per ammettere, fra le lacrime, il proprio fallimento. Se non volevo che finisse anche il mio lavoro, era tempo di fare una telefonata ad Alex.
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    Messaggio Da Lemond Mar Feb 03, 2015 4:06 pm

    E Alex mi trovò un contratto di tre anni, il massimo cui un ciclista possa aspirare, con La Liquigas.
    Le redini della squadra erano affidate a Roberto Amadio, un veneto attentissimo a ogni aspetto della preparazione e che non mancava mai di sottolineare l'importanza di essere compagni. "Nessun ciclista può vincere da solo, per cui è fondamentale che vi fidiate l'uno dell'altro. Magari non diventerete amici per la pelle, ma l'importante è che sappiate aiutarvi nel momento del bisogno."
    Era una persona molto diversa dal "Sergente", ma anche lui era un perfezionista, con particolare riguardo ai rapporti fra noi corridori. Il suo uomo di fiducia era Stefano Zanatta. Nei miei anni alla Liquigas avrei visto partire ciclisti e arrivarne altri, ma Amadio e Zanatta sarebbero rimasti i miei punti di riferimento. Il progetto della proprietà era di impostare un lavoro a lungo termine e infatti i tecnici erano tutti quarantenni e anche l'uomo di punta era abbastanza giovane: Danilo di Luca. Il killer abruzzese era un formidabile motivatore, quello che nel calcio si sarebbe chiamato un uomo capace di "fare spogliatoio". "Quest'anno bisogna vincere il Giro. Siamo o no la migliore squadra d'Italia? Vinceremo tutto quello che c'è da vincere e gli stranieri smetteranno di fare i padroni in casa nostra. Tutti d'accordo, ragazzi?" Potevi non essere d'accordo, a vent'un anni, con un tipo così?
    Correre nella Liquigas voleva dire che, prima o poi, sarebbe arrivato anche il tuo momento e il mio si concretò il 22 marzo 2006, nella seconda tappa della Settimana internazionale Coppi e Bartali. C'era anche il grande Paolo Bettini in corsa e quando partii per andarmene, sentii il suo gregario Bramati che diceva: "O Betto, l'ài visto che gamba quel giovane?" - Dobbiamo starci attenti, Brama, altrimenti in due o tre anni quello ci fa il pelo -. Sentire quelle parole mi dette una carica indicibile e non mi fermai più fino al traguardo di Faenza, conquistando la mia prima vittoria da Pro.
    Un altro compagno importante era Franco Pellizzotti, chiamato il "Delfino di Bibione", ottimo scalatore, aveva un gran naso a punta e i capelli biondi e ricci, lunghi fino alle spalle. Non appena mi sapeva libero da impegni, mi invitava spesso ad allenarmi con lui e mi dava un sacco di consigli utili, soprattutto su come impostare la gara: non farsi vedere mai nella prima parte, per poi partire, con guizzi tipici del delfino, quando si era vicini all'arrivo. Quell'anno Franco arrivò ottavo in un Giro stravinto da Basso, mentre il nostro capitano Di Luca non riuscì a classificarsi fra i primi venti e annunciò che avrebbe provato a rifarsi al Tour, ma in quell'inizio di estate non furono le sue dichiarazioni a tenere banco, bensì la c.d. "Operacion Puerto".
    Le forze dell'ordine (spagnole) avevano rinvenuto, negli studi del dott. Eufemiano Fuentes, una sostanza che serviva a coprire le tracce dell'assunzione di EPO. In seguito, a una fuga di notizie, furono fatti nomi di clienti illustri: la star del tennis Rafel Nadal e una nutrita pattuglia di calciatori del Real Madrid, oltre che ciclisti di vertice. Seguì una smentita ufficiale del governo spagnolo, in cui si dichiarò che non c'erano né tennisti, né calciatori, mentre non diceva niente sui ciclisti, i quali restarono quindi da soli nell'occhio del ciclone! Le verifiche avrebbero richiesto procedure lunghe e complesse, mentre mancavano pochi giorni alla partenza del Tour e così, con una decisione senza precedenti, furono preventivamente esclusi dalla corsa tre dei favoriti: Ivan Basso, Jan Ullrich e Francisco Mancebo. Ci restai di sasso, di fronte a quella "giustizia sommaria", che spingeva gli organizzatori a scaricare tutti i mali del ciclismo sui nomi più in vista e condannarli ancor prima di essere giudicati!!!
    Questo doveva essere un ragionamento troppo sottile per l'uomo della strada, che non fa differenza fra un "avviso di garanzia" e una *condanna*. In Italia in molti provarono un malsano piacere nel dare addosso al campione in difficoltà; l'avevano fatto con Pantani e ora si comportavano così anche con Basso. Quindi, a forza di leggere e di parlarne, i c.d. sportivi seduti si convincevano che era tutto marcio e l'intiero ciclismo perdeva di credibilità. Io, che, come tanti, ero diventato professionista a forza di sacrifici, quando sentivo dire che il nostro era un mestiere disonesto, andavo in bestia e mi capitò anche questo: nel bel mezzo di un allenamento con Pellizzotti, ci fermammo a una fontana per riempire le borracce, quando un gruppo di ciclisti della domenica ci squadrò come fossimo criminali! E un omone con la maglietta dell'Acqua e Sapone disse, con aria sarcastica. "Così voi bevete anche acqua!?" Ebbi la tentazione di tirargli la borraccia addosso, ma Franco se ne accorse e mi invitò a lasciar perdere e ripartimmo per la nostra strada, sfottuti dagli "hop, hop, hop" di quei DEFICIENTI!
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    Messaggio Da Lemond Mer Feb 04, 2015 9:57 am

    Quel Tour, partito sotto una cattiva stella, fu una disfatta per la Liquigas: Di Luca dovette ritirarsi già alla prima tappa. Vinse Floyd Landis e la nostra squadra non si fece mai vedere, ma né Amadio, né Zanatta fecero tragedie, perché eravamo una squadra giovane e il tempo ci avrebbe aiutato. Wink
    Nella seconda metà di agosto partecipammo alla seconda edizione dell'Eneco Tour (ex Giro d'Olanda) e nelle prime tappe figurarono bene i miei nuovi compagni Manuel Quinziato e Enrico Gasparotto. La quarta era a cronometro e anch'io mi feci vedere: filando lungo le dighe e all'ombra dei mulini a vento, riuscii a fare un gran salto in classifica e mi posizionai al terzo posto. Mentre Hincapie e Schumaker lottavano per la vittoria finale, riuscii a conservare la mia posizione e così conobbi il primo podio in una corsa a tappe internazionale. Pochi giorni dopo ci trasferimmo in Bretagna, per il Grand Prix Ouest-France de Plouay e, all'ultimo giro, mi ritrovai nel gruppetto di testa, insieme al mio ex compagno Flecha, Popovych e Mori. Juan Antonio mi spronava a tirare, ma io non abboccai e cercai di collaborare il meno possibile, perché sapevo che mi avrebbe battuto in volata. Il finale di gara era in leggera salita ed ero alla ruota di Flecha. A un certo punto, ci mettemmo tutti a ventaglio e sentii che quello era il mio momento e quando partii, Flecha mollò. Era il mio primo successo all'estero e i ragazzi della Liquigas mi festeggiarono come se avessi vinto la più prestigiosa delle classiche.
    Il primo giorno d'autunno dovevo disputare i primi mondiali Pro della mia vita, ma era solo la corsa a cronometro, dove sapevo "a priori" che non avrei combinato molto, perché c'erano troppi specialisti e infatti arrivai a mala pena fra i primi venti. Vinse Cancellara, mio ex compagno alla Fassa, ma non rimpiansi di trovarmi in Austria, perché così potei essere presente al trionfo di Paolo Bettini e mi sentii un privilegiato nel partecipare alla sua festa. In più Paolo era un uomo dal cuore grande e al Giro di Lombardia mi regalò la sua maglia "iridata" e aggiunse: "Te la regalo, perché un domani non si dica che non ho saputo riconoscere i miei eredi". Smile
    All'inizio del 2007 Danilo Di Luca era un animale ferito, per i fiaschi del 2006 e, secondo lui quello sarebbe stato l'anno del "vincere o morire!" - Mi piace codesto discorso, intervenne Zanatta, ma noi dobbiamo anche essere l'emblema di un ciclismo nuovo e pulito; meglio una vittoria in meno, che un casino in più. Mi capite, ragazzi? -
    Il nostro campo di allenamento quell'anno era alle pendici di un vulcano chiamato Teide e in quei giorni trovavo il tempo per chiamare Elena solo una sera ogni due o tre e parlavamo sempre di una vacanza da fare insieme. "Ma quando? - disse una volta - Sei sempre impegnato o per gare o nei ritiri e io devo stare sempre ad aspettarti!" Sad
    Quando annunciarono i programmi per la prima parte della stagione, scoprii che avrei partecipato al Giro. Era un sogno che avevo sempre coltivato e Zanatta mi disse che doveva studiare per me un programma di avvicinamento, per quella corsa a tappe, che sarebbe stata una grande faticaccia. Per entrare in pieno regime andai a correre le quattro tappe al Giro del Trentino, dove vinse Damiano Cunego, davanti a Scarponi, mentre noi della Liquigas ci comportammo bene, riuscendo a piazzare tre uomini fra i primi dieci: Pellizzotti, Noè ed io, che ottenni anche la maglia bianca di miglior giovane. Al termine della tappa conclusiva Cunego rilasciò dichiarazioni sul fatto che occorreva distinguere fra ciclisti onesti e no, buttare tutti nello stesso calderone è un danno esiziale per il nostro mestiere! La faccenda gli stava davvero a cuore e gli assicurai che avrei appoggiato la sua battaglia, poi partii la sera stessa per il Belgio, allo scopo di aiutare Di Luca nell'atto conclusivo di una campagna delle Ardenne assai promettente: il nostro capitano era già salito sul podio nelle prime due classiche. Così corsi la mia terza Decana, forse la più tattica di tutte. Le squadre si controllarono a vicenda fino a 14 km. dal traguardo, anche se poi cominciò il caos e non ci capii più niente. Solo alla fine compresi quello che era accaduto davanti: Pellizzotti aveva neutralizzato una pattuglia di fuggitivi, consentendo al Killer di non perdere terreno e lui era riuscito a giocarsi tutto in un duello con Frank Schleck e in vista del traguardo lo aveva staccato, giusto in tempo per non permettere a Bettini e Valverde di piombargli addosso. Per il Nostro era tempo, dopo aver morso la Decana, di mangiarsi il Giro. Wink
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    Messaggio Da Lemond Gio Feb 05, 2015 10:17 am

    Prima del Giro, il 5 maggio si correva il G.P. di Larciano, comune confinante con Lamporecchio e, con Pelli, ci trovammo da soli a pochi km. dal traguardo, così gli chiesi se si doveva fare la volata? - Beh, Squalo, sei a casa tua e ... mi fece segno di passare -. Ma non volevo passare da uno che ottiene le cose in regalo e così l'indomani, al Giro di Toscana, architettai una fuga precoce e me ne andai da solo, per evitare situazioni imbarazzanti. Negli stessi giorni Basso e Scarponi, finiti sotto indagine per l'O.P, avevano accettato di collaborare con il CONI. Il capo della procura antidoping del Comitato, Ettore Torri, aveva commentato che era portato a scusare gli atleti e che il suo scopo era invece quello di colpire i dirigenti, medici e maneggioni che cercavano di circuirli. (Nota mia, quest'uomo contende ad alcuni politici ben noti il primato per il più bugiardo d'Italia, tant'è che invece di mettersi a inseguire le categorie cui accennava, per anni si è appostato all'ombra di Valverde per carpirgli, come un vampiro, una certa quantità di sangue! disgusted )
    L'otto maggio Ivan ammise di aver contattato Fuentes, ma sostenne anche di non aver mai fatto ricorso alle sue pratiche, in pratica si trattava di "tentato doping". (Nota mia, in un paese cattolico, si fa per dire, come l'Italia quel che conta è l'intenzione, mica il fatto. disgusted )
    Alla fine si può pensare che Torri fosse insodisfatto, perché Basso fu squalificato per ventiquattro mesi e Scarponi, che probabilmente non aveva nemmeno tentato, ne ebbe diciotto. Fra dichiarazioni vagamente assolutorie del "bUGIARDO-cONI" e squalifiche volanti che volavano, chi poteva capirci qualcosa?
    Il Giro prendeva il via dalla Sardegna e come favoriti aveva gli italiani Cunego, Simoni e Di Luca. A Gipo avrebbe dato manforte l'estroversa mia vecchia conoscenza: Riccardo Riccò, detto il Cobra, che si annunciava come un potenziale rivale per me, nella corsa alla maglia bianca. C'era anche Visconti, approdato nella squadra di Bettini.
    Il mio compagno di stanza sarebbe stato Alessandro Vanotti e quando ci conoscemmo la prima cosa che mi disse fu che l'anno prima aveva dormito con Visconti. Non erano le credenziali migliori, per me, ma Vano era un ragazzo semplice e gentile, col quale avrei stretto una grande amicizia.
    Il Killer, al solito ciarliero, mise bene in chiaro che il capitano era lui e che tutti gli altri erano lì per aiutarlo a vincere e teneva tanto alle gerarchie che, quando vincemmo la cronosquadre del prologo, anziché festeggiare, se ne ebbe a male. Il guaio era che il povero Gasparotto, incaricato di tirare nell'ultima fase, aveva tagliato il traguardo prima di lui, guadagnando, suo malgrado, una maglia rosa, per la quale in privato dovette scusarsi.
    L'umore del capitano migliorò decisamente dopo la vittoria nella quarta tappa in Irpinia, regolando Riccò e Cunego: ora era lui, e solo lui, a vestire la maglia del primato. Ma l'euforia durò poco, perché noi della Liquigas non riuscimmo a contenere una fuga alla volta di Spoleto e di colpo si ritrovò attardato in classifica di oltre quattro minuti. "E' stato un grosso sbaglio", dovette ammettere Noè, ma "Stai tranquillo Killer, siamo solo alla sesta tappa, alla fine la maglia sarà tua".
    Anche Noè però fu sospettato di "tradimento" quando, al termine della decima nella quale era entrato in una fuga per controllare, si ritrovò con l'insegna del primato (per la prima volta in quasi vent'anni). La nostra era una gara doppia: contro gli avversari e contro l'indole sospettosa del capitano. Non vedevamo l'ora di arrivare alle montagne, dove Danilo avrebbe potuto scacciare i propri fantasmi.
    L'indomani dovetti sorbirmi, per mezza tappa, la filippica di Noè (Brontolo) in tema di previsioni meteo e di tutte le disgrazie che avrebbe potuto procurarci il maltempo. L'unica che non aveva contemplato fu quanto accadde: una gigantesca caduta a pochi metri dall'arrivo. Uno spagnolo si fece male sul serio, mentre Noè conobbe l'insolito destino di arrivare sulla linea ... in planata. Ma era uscito illeso e conservato la maglia rosa.
    Non avevo mai corso una competizione così lunga e, nonostante le gambe girassero bene, ero ogni giorno più stanco e anche Vano era a pezzi; certo noi due formavamo una strana coppia: lui ipocondriaco e io capace di dormire anche sul ferro, però ci davamo forza a vicenda.
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    Messaggio Da Lemond Ven Feb 06, 2015 1:45 pm

    Di Luca era deciso a riprendere la maglia nel primo giorno delle salite più dure, che ci condusse a sconfinare in Francia e infatti riuscì a vincere la tappa di Briançon, davanti a Simoni. Quanto a me, nella classifica dei giovani, ero sopravanzato da Andy Schleck, sorprendente secondo in classifica, e dal Cobra, ma dalla scuderia fu ordinato di non tentare azioni di forza, perché ogni briciola di energia doveva essere spesa per difendere il nostro capitano. E il Killer, appunto, si difese in maniera eroica nel tappone dolomitico, vinto da Riccò sulla rampa micidiale delle Tre Cime di Lavaredo, giocò ancora al risparmio sullo Zoncolan, uscì indenne dalla tappa a cronometro e così era fatta, non restava che scortarlo a Milano. Wink Quando Danilo salì sul gradino più alto provai una sensazione di fierezza mai sperimentata prima: quella maglia era un po' anche nostra, in più avevo portato a termine il mio primo Giro e non a tutti i corridori era concesso simili privilegi. Wink "Grazie ragazzi" - riconobbe Di Luca - senza di voi non ce l'avrei mai fatta"; e si vedeva che era alquanto commosso. Ognuno ricevette dall'abruzzese anche un ricordino: un Rolex Explorer. Wink
    Ancora una volta il Tour fu corso senza il vincitore dell'edizione precedente (squalificato), mentre la nostra squadra partecipò con il nuovo acquisto Pippo Pozzato, "il bello del ciclismo", che riuscì a vincere una tappa, ma non arrivò a Parigi. Sad Ancora una volta ci furono ciclisti "cacciati" dalla corsa e addirittura due intiere squadre escluse: Astanà e Cofidis. Ma ancora più clamorosa fu la gogna pubblica toccata a Rasmussen, il danese in maglia gialla fino a quel momento, fu rispedito a casa dalla sua squadra, prima di essere squalificata essa stessa in toto! (Nota mia, però Rasmussen era stato controllato, ma mai trovato positivo in quel Tour e infatti il danese fece azione legale contro la Rabobank per licenziamento senza giustificato motivo, anche se non so poi come sono andate a finire le cose). Conobbe la gioia del trionfo, invece, Alberto Contador, che era al suo primo successo in una grande corsa a tappe e aveva l'abitudine di esultare simulando un colpo di pistola. Correva per la Discovery, la vecchia squadra di Armstrong ed era salutato come il portabandiera di un nuovo ciclismo, estraneo alle pratiche pericolose della vecchia generazione. Ma poche settimane dopo finì nei guai il manager della stessa Discovery e lo sponsor si ritirò dal ciclismo.
    Elena reclamava una vacanza degna di questo nome e mi faceva pesare che tutte le sue amiche ... mentre noi eravamo andati qualche giorno in spiaggia a Milazzo. Il motivo era che non potevo fermarmi un attimo e in agosto, ad esempio, volai con la nazionale a Pechino per il test preolimpico, prova generale del 2008. Il percorso partiva da piazza Tienanmen, per poi immettersi in un circùito che lambiva la Grande Muraglia e io trovai il modo per godermi il superbo panorama superbo, andando in fuga con Gasparotto. Wink Ancora qualche settimana e, con gli Azzurri, ci ritrovammo a Stoccarda, per la nuova edizione dei mondiali.
    Ballerini aveva deciso che dovevo disputare la cronometro, una specialità in cui avevo poco o nulla da dire, mentre per l'agognata gara della domenica ero solo riserva, insieme a Visconti, che nel frattempo era diventato campione d'Italia.
    Per assistere alla corsa dovemmo sedere fianco a fianco e costò un certo sforzo a entrambi, però finimmo per abbracciarci (più per istinto, che per convinzione) quando Paolo Bettini spezzò la resistenza di quattro avversari sull'ultima salita e tagliò per primo il traguardo. Smile
    Il Grillo era riuscito nell'impresa di confermarsi campione del mondo, eguagliando la storica doppietta di Bugno e lasciando una traccia indelebile nella storia della competizione "iridata". E io a casa avevo la sua maglia. Very Happy
    Lemond
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    Messaggio Da Lemond Sab Feb 07, 2015 1:10 pm

    Giusto il tempo di arrivare al Giro di Lombardia, che a Danilo Di Luca fu notificata una squalifica di tre mesi. Il nostro capitano aveva frequentato un medico, non più tale, perché radiato dall'albo. Bastò un attimo e per lui la vita cambiò: da eroe si trasformò in "fuori casta". La Liquigas lo licenziò e non gli riuscì di trovare un'altra squadra "Pro Tour", perciò, nonostante la vittoria al Giro, dovette scendere di categoria! Sad Era un incubo senza fine, un gioco di specchi capace di farti impazzire e la paranoia ormai la faceva da padrona in tutti noi ciclisti. Nel dubbio, dichiarai ai miei dirigenti che, se qualcuno mi avesse avvicinato per offrirmi sostanze sospette, lo avrei denunciato! "Per chi ci hai preso? - replicò, tesissimo, Amadio - Noi siamo i primi a subire un danno se uno dei nostri se ne va, per conto proprio, perché, per colpa sua, rischiamo il posto! Tu pensa alla Liquigas come a casa tua, un posto dove stare tranquillo e crescere, senza troppe pressioni, lontano da tutta la merda che gira là fuori". Sad
    C'era un posto solo dove potessi starmene in pace per qualche giorno ed era Mastromarco: bastava una passeggiata fra i campi, un pranzo a casa del Franceschi o una partita a ramino con Carlo e gli altri alla Casa del Popolo, per rimettere insieme i miei pezzi e riflettere in maniera serena. Una sera, mentre ero con Carlo, il mio vecchio D.S. mi fece un discorso che mi lasciò secco. "Lo so che non è facile la vita che fai, devi andare sempre di corsa, anche quando non sei in bici". - Soprattutto in codesto caso, confermai, un bel po' di tempo se ne va per gli spostamenti -. "Può andar bene per un ragazzo, ma tu ormai sei un uomo e un uomo ha bisogno di una casa e quando ti parlo di casa, penso a una vera, con una porta che ti puoi chiudere dietro e lasciare il mondo fuori". Mi stava facendo venire i brividi e ... poi gli dissi: "Tu forse puoi aiutarmi, conosci qualche casa in vendita qui in paese che possa ospitare una coppia, che magari ha anche intenzioni di proliferare? Wink
    Alla Liquigas facemmo a meno del "leader" nella stagione 2008: Pellizzotti e Pozzato si sarebbero presi le responsabilità maggiori, il primo al Giro e l'altro al Tour. Il terzo uomo era il nuovo acquisto Daniele Bennati per il quale i giornalisti ricamarono una presunta rivalità con Pippo, a causa delle comuni doti di velocisti che tenevano discretamente in salita. Al di là delle caratteristiche tecniche, non potevano esistere due tipi più diversi. Pozzato, parlantina sciolta e chioma fluente, appariva sicuro di sé, fino alla guasconeria; giocava un po' alla "pop star", ma con i compagni era leale e generoso. Bennati era uno sprinter che dei felini aveva lo scatto, ma non il carattere: era timido, silenzioso, devotissimo e quindi nessuno di noi lo chiamava "Pantera", ma semplicemente Benna. Alla presentazione della squadra Pippo prese in braccio il nuovo arrivato, come fosse un bimbo, e gli diede il benvenuto fra noi. Smile
    Il mio 2008 cominciò con il piede giusto, perché, grazie a una fuga azzeccata, riuscii a vincere il Giro del Trentino ed ero fiero di succedere nell'albo d'oro a un corridore che stimavo, come Damiano Cunego. Subito dopo, volai in Belgio. Le prime due classiche delle Ardenne erano state vinte da Cunego (Amstel) e dal mio vecchio compagno K. Kirchen (Freccia), erano dunque loro gli uomini da marcare. Però, a fare la differenza sulla Roche-aux-Faucons fu un'azione di Rebellin, Valverde e Frank S. Naturalmente, in volata, prevalse lo spagnolo, per il quale nutrivo un'istintiva antipatia. Sad Io arrivai un minuto dopo e, per la prima volta, nei dieci. Per il momento andava tutto molto bene. Wink
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    Messaggio Da Lemond Dom Feb 08, 2015 10:54 am

    J. Bruyneel, l'uomo che aveva vinto otto Tour, come D.S, era un uomo pieno di risorse e si era dato molto da fare per trovare un ingaggio per sé e per il "Pistolero". L'opportunità più ghiotta gli era stata fornita dall'Astanà, il team bandiera del Kasakistan, finito nei guai per il doping di Vino. Non appena si seppe che Contador avrebbe vestito la divisa celeste, gli organizzatori del Giro si affrettarono a invitarla. "Un bel guaio - osservò Zanatta - lo spagnolo è teoricamente imbattibile, al momento". I gradi di capitano li avrebbe avuti, in quel Giro, Pellizzotti, forte in montagna, ma debole a cronometro (ce n'erano quattro in quella edizione), e quindi dovevamo puntare alle tappe con Bennati, dato che, dopo il dissolvimento della Fassa Bortolo, il jet Petacchi aveva imboccato una parabola discendente e, in più, aveva anche rimediato una squalifica per un anno.
    Come previsto la Liquigas non fornì una grande prestazione in quel Giro, ove Pellizzotti riuscì a conquistare la maglia, ma a tenerla solo nei primi giorni. Troppo cinico e regolare Contador non vinceva mai una tappa, ma era sempre a ridosso dei primi e noi, intanto, talmente ingenui che lasciammo andare Visconti nella frazione del Gargano, permettendogli di arrivare con undici minuti e regalandogli così la maglia del primato. Io caddi mentre si andava verso Carpi, mentre Sella si illustrava, compiendo un eccezionale "doppio" nella tappe di montagna. Provai a stargli dietro nella seconda, ma proprio non potevo e lo spagnolo "Purito" Rodriguez mi disse: "Lascia stare Squalo, quest'anno c'è chi va a pedali e chi a motore". Sad E Sella non finiva di sorprendere, perché poi si aggiudicò anche altre due tappe e, naturalmente la maglia verde. Per noi, ripeto, andava tutto storto, tranne Bennati che si impose in tre sprint e indossò la maglia ciclamino finale. Contador, senza neppure sudare troppo, continuava a guadagnare vantaggio in classifica e il peggio era che l'unico a contrastarlo era Riccò, un ragazzo così simpatico e sportivo, da aspettarci al traguardo per sfotterci. Sad "Anche oggi avete la lingua di fuori, ridacchiava, perché non vi ritirate?" E rincarava la dose, chiamandoci sfigati, falliti, paraplegici! Quasi mi stupivo di aver provato tanta avversione per Visconti che, pur altezzoso, restava, al confronto, un gentiluomo britannico. Wink
    Riccò sembrava in preda a un delirio di onnipotenza, che lo portava a mancare di rispetto non solo a me, ma anche ad ex vincitori, come Simoni e Di Luca; l'emiliano calpestava tutte le regole non scritte e, naturalmente, era l'uomo più odiato del gruppo e la semplice ipotesi che il Cobra potesse vincere il Giro era considerata una catastrofe per l'intiera carovana, così quando Contador lo "disintegrò" nella crono finale, fu un sollievo per tutti, perché era meglio farsi battere da un "bagnino" (soprannome datogli da Riccò) di Madrid, piuttosto che da un stronzo (parola sua) della provincia di Modena.
    Il "battage" del 95° Tour partì all'insegna della "tolleranza zero". I francesi erano abbastanza potenti da poter accusare l'UCI di chiudere un occhio sulla piaga del "doping" e rivendicarono la propria autonomia nello scegliere chi poteva correre la "Grande Boucle" e quali tipo di controlli sarebbero stati effettuati. Così fu dichiarato non gradito Tom Boonen, trovato positivo alla cocaina, e fu esclusa "in toto" l'Astanà, per i fatti dell'anno prima. L'aria che si respirava, leggendo i giornali, era, per noi piuttosto contraddittoria: da una parte il tradizionale sciovinismo dei "cugini" e dall'altra le loro istanze di pulizia. "Ben vengano queste novità - commentò Zanatta - e se proprio devono cominciare dalla Francia, che sia così",
    Certo noi non partivamo per la maglia gialla, ma con la semplice speranza di aiutare Pippo a mettersi in mostra in qualche tappa, come aveva fatto nella Milano Sanremo, dove era arrivato secondo. L'uomo di classifica era Roman Kreuziger, un ragazzo ceco, che si era imposto all'ultimo Giro di Svizzera e un po' anch'io, anche se entrambi esordivamo in questo G.G. e quindi il nostro obiettivo principale era prendere confidenza con i ritmi e l'atmosfera del Tour. A darci una mano, per meglio ambientarci, c'era lo spagnolo Beltràn, che aveva già partecipato otto volte e si diceva conoscesse a memoria tutte le strade di Francia. Wink
    I favoriti erano l'australiano Cadel Evans, l'antipatico spagnolo Valverde e il buon Damiano Cuneghin. Fu lui a convincermi che, per ribaltare il pregiudizio che ci voleva puliti, ma còmplici di chi non lo era, sarebbe stato opportuno correre con una decalcomania sul braccio ...
    E quello stemma rotondo, con la scritta "I'm doping free" (nota mia, una delle più stupide idee avuta dall'homo sapiens) si fece notare nelle riprese televisive. Il mio sincero impegno contro le "bombe", in ogni caso fu ridicolizzato (giustamente dico io) dopo la prima settimana di corsa.

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