J. Bruyneel, l'uomo che aveva vinto otto Tour, come D.S, era un uomo pieno di risorse e si era dato molto da fare per trovare un ingaggio per sé e per il "Pistolero". L'opportunità più ghiotta gli era stata fornita dall'Astanà, il team bandiera del Kasakistan, finito nei guai per il doping di Vino. Non appena si seppe che Contador avrebbe vestito la divisa celeste, gli organizzatori del Giro si affrettarono a invitarla. "Un bel guaio - osservò Zanatta - lo spagnolo è teoricamente imbattibile, al momento". I gradi di capitano li avrebbe avuti, in quel Giro, Pellizzotti, forte in montagna, ma debole a cronometro (ce n'erano quattro in quella edizione), e quindi dovevamo puntare alle tappe con Bennati, dato che, dopo il dissolvimento della Fassa Bortolo, il jet Petacchi aveva imboccato una parabola discendente e, in più, aveva anche rimediato una squalifica per un anno.
Come previsto la Liquigas non fornì una grande prestazione in quel Giro, ove Pellizzotti riuscì a conquistare la maglia, ma a tenerla solo nei primi giorni. Troppo cinico e regolare Contador non vinceva mai una tappa, ma era sempre a ridosso dei primi e noi, intanto, talmente ingenui che lasciammo andare Visconti nella frazione del Gargano, permettendogli di arrivare con undici minuti e regalandogli così la maglia del primato. Io caddi mentre si andava verso Carpi, mentre Sella si illustrava, compiendo un eccezionale "doppio" nella tappe di montagna. Provai a stargli dietro nella seconda, ma proprio non potevo e lo spagnolo "Purito" Rodriguez mi disse: "Lascia stare Squalo, quest'anno c'è chi va a pedali e chi a motore".
E Sella non finiva di sorprendere, perché poi si aggiudicò anche altre due tappe e, naturalmente la maglia verde. Per noi, ripeto, andava tutto storto, tranne Bennati che si impose in tre sprint e indossò la maglia ciclamino finale. Contador, senza neppure sudare troppo, continuava a guadagnare vantaggio in classifica e il peggio era che l'unico a contrastarlo era Riccò, un ragazzo così simpatico e sportivo, da aspettarci al traguardo per sfotterci.
"Anche oggi avete la lingua di fuori, ridacchiava, perché non vi ritirate?" E rincarava la dose, chiamandoci sfigati, falliti, paraplegici! Quasi mi stupivo di aver provato tanta avversione per Visconti che, pur altezzoso, restava, al confronto, un gentiluomo britannico.
Riccò sembrava in preda a un delirio di onnipotenza, che lo portava a mancare di rispetto non solo a me, ma anche ad ex vincitori, come Simoni e Di Luca; l'emiliano calpestava tutte le regole non scritte e, naturalmente, era l'uomo più odiato del gruppo e la semplice ipotesi che il Cobra potesse vincere il Giro era considerata una catastrofe per l'intiera carovana, così quando Contador lo "disintegrò" nella crono finale, fu un sollievo per tutti, perché era meglio farsi battere da un "bagnino" (soprannome datogli da Riccò) di Madrid, piuttosto che da un stronzo (parola sua) della provincia di Modena.
Il "battage" del 95° Tour partì all'insegna della "tolleranza zero". I francesi erano abbastanza potenti da poter accusare l'UCI di chiudere un occhio sulla piaga del "doping" e rivendicarono la propria autonomia nello scegliere chi poteva correre la "Grande Boucle" e quali tipo di controlli sarebbero stati effettuati. Così fu dichiarato non gradito Tom Boonen, trovato positivo alla cocaina, e fu esclusa "in toto" l'Astanà, per i fatti dell'anno prima. L'aria che si respirava, leggendo i giornali, era, per noi piuttosto contraddittoria: da una parte il tradizionale sciovinismo dei "cugini" e dall'altra le loro istanze di pulizia. "Ben vengano queste novità - commentò Zanatta - e se proprio devono cominciare dalla Francia, che sia così",
Certo noi non partivamo per la maglia gialla, ma con la semplice speranza di aiutare Pippo a mettersi in mostra in qualche tappa, come aveva fatto nella Milano Sanremo, dove era arrivato secondo. L'uomo di classifica era Roman Kreuziger, un ragazzo ceco, che si era imposto all'ultimo Giro di Svizzera e un po' anch'io, anche se entrambi esordivamo in questo G.G. e quindi il nostro obiettivo principale era prendere confidenza con i ritmi e l'atmosfera del Tour. A darci una mano, per meglio ambientarci, c'era lo spagnolo Beltràn, che aveva già partecipato otto volte e si diceva conoscesse a memoria tutte le strade di Francia.
I favoriti erano l'australiano Cadel Evans, l'antipatico spagnolo Valverde e il buon Damiano Cuneghin. Fu lui a convincermi che, per ribaltare il pregiudizio che ci voleva puliti, ma còmplici di chi non lo era, sarebbe stato opportuno correre con una decalcomania sul braccio ...
E quello stemma rotondo, con la scritta "I'm doping free" (nota mia, una delle più stupide idee avuta dall'homo sapiens) si fece notare nelle riprese televisive. Il mio sincero impegno contro le "bombe", in ogni caso fu ridicolizzato (giustamente dico io) dopo la prima settimana di corsa.