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    L'ANGOLO DE' RISTORI CICLOINTELLETTUALI

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    Messaggio Da Admin Lun Lug 29, 2013 8:39 pm

    Promemoria primo messaggio :

    "L'Angolo de' Ristori Ciclointellettuali" by CarLemond.
    Apro questo 3D da dedicare in gran parte ad un amico conosciuto in rete, nella rete che non ha età, nazionalità e sempre meno barriere linguistiche. A parte quelle che il bischero Lemondaccio ci imporrà con la sua verve franco-empolese.
    Lemond, come tutti i personaggi, ha idee sue originali e discutibili (mi focalizzo su discutibili) e quindi apriamo la ... discussione.flower


    Ultima modifica di Admin il Dom Ago 04, 2013 1:00 pm - modificato 3 volte.

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    Messaggio Da Lemond Mar Nov 11, 2014 12:31 pm

    Il mio amico Dante (3)

    Forse nel giugno del 1290 Beatrice Portinari, moglie di Simone de’ Bardi muore a soli 24 anni. Dante entra nell’abisso della depressione: attacchi di panico, incubi notturni, disperazione che rasenta la follia. Come scrive nella Vita Nova quando muore Bice, muore la sua anima che ha tanto anelato a lei, non solo, ma anche l’intera città pare vedova e dispogliata . Dante per non morire soffocato dall’angoscia ha un breve amore con una donna gentile che lo riporta al gusto della vita. Ma Beatrice bambina gli appare in sogno e lo rimprovera del tradimento, poi gli riappare nella divina gloria del paradiso circonfusa di luce mistica. Dante decide di interrompere il romanzo La vita nova, giurando a se stesso di cantare Bice in un modo con cui mai nessuno ha raccontato di donna terrena.

    Intanto a Firenze succedono vari fatti riportati dalle Cronache di Dino Compagni e Giovanni Villani. L’8 gennaio 1293 vengono promulgati gli ordinamenti dal gonfaloniere di giustizia Giano della Bella. Possono accedere al Priorato solo quelli che sono iscritti alle arti maggiori. Dante prende la palla al balzo e si iscrive, in coerenza alla sua formazione filosofica, all’Arte dei Medici e Speziali. Forse siamo nel 1295 (per alcuni storici molto prima), anno del suo matrimonio con Gemma Donati , di cui sappiamo poco o nulla.

    Gemma Donati dello stesso ramo di Corso, Forese, Piccarda, è una donna molto riservata, assai lontana dal mondo poetico del marito, che non la rammenta mai. Si sa che sopravvive a Dante di circa 12 anni. Gli dà 4 figli: Iacopo, Pietro, Antonia e Giovanni. Sembra che abbia seguito il marito nei primi tempi dell’esilio poi ritorna a Firenze, essendo una Donati. Più tardi pretenderà parte della sua dote confiscata insieme ai beni del marito. Riguardo al matrimonio , secondo il costume medioevale, Dante prima inanella Gemma (rito del fidanzamento o mogliazzo) o dentro o davanti la Chiesa di S. Margherita de’ Cerchi o nella chiesetta di s. Martino, con il codazzo di parenti e amici, poi dopo uno o due giorni c’ è il rito religioso in chiesa, dove si pronunciano formule di fedeltà ecc. Il prete accompagna gli sposi fuori sotto una pioggia di grano benaugurante, ed è festa, poi va a benedire il letto dove gli sposi trascorreranno la prima notte.

    Dante ha una veloce carriera politica: membro del consiglio del Capitano del popolo e del consiglio delle capitudini e degli altri savi, poi fa parte del Consiglio dei 100 che è una specie di corte dei conti . Nel 1300 fu ambasciatore di S. Gimignano e poi finalmente uno dei Priori di Firenze. Dal 1280 in poi la borghesia delle arti si divide nella fazione dei Bianchi guidata dai Cerchi e nella fazione dei Neri guidata dai Donati. Dante fa parte dei Bianchi, ma non è mai fazioso, anzi insieme ad altri, per il bene della città, bandisce , dopo varie risse cruente, i capi delle due parti troppo aggressivi, fra cui , con gran dolore del poeta, Guido Cavalcanti. L’11 giugno 1289 partecipa alla battaglia di Campaldino in Casentino come Feditore a cavallo, a fianco di Vieri de’ Cerchi. Firenze è preda di inaudite violenze, tanto che il papa Bonifacio VIII si offre come pacificatore, nascondendo le sue mire sulla città. Egli avrebbe inviato a Firenze per mettere pace fra i cittadini Carlo di Valois, fratello del re di Francia Filippo IV il Bello, venuto in Italia contro la Sicilia ribelle da tanto contro gli Angioini. Bonifacio VIII vuole sostenere i Neri,a lui favorevoli, con l’aiuto del Valois.
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    Messaggio Da Lemond Mer Nov 12, 2014 10:17 am

    Diario di B.B.

    DOMENICA 13 MAGGIO S.EMMA

    Dove si sente di più il dolore? Nelle gambe? Nelle braccia? E il fastidio dei glutei? A quale dar retta? Sei seduto e vorresti spingere sui pedali, ti alzi e le braccia stanno per cedere. Che fare? L’unica cosa è estraniarsi, uscire dal corpo e non ascoltarlo più quando questo reclama ad alta voce:” Fermati, molla, vedi come sale la strada?”. Ma tu, testarda, non cedi e cerchi inesorabilmente qualcosa che ti distragga, che non ti faccia ascoltare il muscolo pieno zeppo di acido lattico che trabocca e intasa anche i meandri dell’anima. Poi, per incanto, basta un rumore, un odore, qualcosa da guardare distrattamente e riesci ad allentare la morsa. Sulla mia sinistra, ai bordi della strada e poi su, su fino alla base degli alberi, madre natura ha tessuto un tappeto azzurro di “non ti scordar di me”. Qua e là crescono altezzosi fiori gialli e bianchi. “I colori dell’Empolitour”- ho pensato-“il Fossato ha omaggiato la nostra fatica”. Mi piace pensare che il nostro sudore abbia contribuito ad annaffiare quei fiori e a farli crescere più rigogliosi che mai. La signora che raccoglie le vitalbe per fare una frittata, l’incitamento di due uomini al bordo della strada, il verde panorama accogliente, mi accompagnano fino al tabernacolo. Mi ricordavo l’ultimo tratto con un muro a destra…e questo non arrivava. In compenso ho visto da lontano ì Nucci che stava facendo una sosta con il Boldrini e ho capito che era veramente finita. Un corno! Era finita “quella” salita. Altre fatiche ci hanno accompagnato fino alle 15,30. Anche il nostro caro S.Baronto ha fatto le sue vittime! Il “maestro” era ansimante, vuoto di ogni energia, sudato, incollato alla mia ruota. Proprio non ce la faceva più. E’ stata una scoperta: il Chiarugi stava raschiando il fondo del suo barile. Prima o poi anche lui scenderà fra noi poveri mortali! (Già detto?).
    Poi la doccia riparatrice dopo tante fatiche…Spazza via il sudore, la stanchezza ma non le immagini della giornata.
    La più buffa? Pelagotti che zizzagava davanti a me dando, se proprio ce ne fosse stato bisogno, il senso a quel tratto fisso al 14%.
    La più curiosa? Torcini che, con fare amorevole nei nostri confronti, efficiente e un po’ “De Zaniano” mi riforniva di acqua e di informazioni sulla corsa: ”I’ Nucci è in testa con 35’ di vantaggio su Chiarugi”. “Beato” ho pensato!
    La più pittoresca? I fiori giallo- bianco- azzurri. Senza dubbio!
    La più bella? Qui c’è l’imbarazzo della scelta perché Madre natura quest’oggi ha dato il meglio di sé.
    Per ultima c’è l’immagine irremovibile, quella che caratterizza ogni uscita, quella che merita di essere più di tutte ricordata perché vista con gli occhi del cuore. E’ un’immagine fatta di sguardi, suoni, colori, entusiasmo, Amicizia: è l’arrivo di Paolo, è l’applauso che, con tutto il cuore gli abbiamo riservato al termine della sua eroica salita.
    Li ho visti così eccitati solo sulle vie del Giro e del Tour.
    Credo proprio che Paolo, questa mattina, sia stato veramente un grande campione!!!!

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    Messaggio Da Lemond Gio Nov 13, 2014 8:05 am

    Il mio amico Dante (4)

    Il vero scopo di Bonifacio non sfugge ai bianchi, che pensano di mandare un’ambasceria a Roma per distogliere il papa dalle sue mire su Firenze, composta da tre persone fra cui Dante.

    Dante cade ingenuamente nella trappola: i due ambasciatori vengono congedati e Dante è trattenuto a Roma. Bonifacio intanto aizza i neri che prendono il governo di Firenze (Carlo di Valois è coadiuvato dal cardinale D’Acquasparta che però deve lasciare la città per paura di essere ucciso). I neri si vendicano atrocemente dei Bianchi con condanne processi confische dei beni. Anche Dante è condannato: apprende la triste notizia a Roma. Egli non si presenta e quindi viene dichiarato contumace.

    PROCESSO A DANTE 27 gennaio 1302

    In nome di Dio Amen. Queste sono le condanne emesse da me, nobile e potente cavaliere, messer Cante de’Gabrielli da Gubbio, onorevole potestà della città di Firenze sugli eccessi e delitti contro i seguenti uomini e persone sotto l’esame del saggio e discreto messere Paolo da Gubbio: Palmieri degli Altoviti, Dante Alighieri, Lippo Bocci, Orlanduccio Orlandi. I soprascritti hanno commesso per sé e per gli altri: BARATTERIE, ILLECITI LUCRI, INIQUE ESTORSIONI IN DENARO E ALTRE COSE. Essi hanno commesso e fatto commettere frode, falsità, dolo e malizia, baratteria ed inclita estorsione e hanno operato per dividere la città di Pistoia da Firenze, devota alla chiesa romana e a messer Carlo d’Angiò paciere in Toscana.

    Ordiniamo che gli accusati restituiscano quello che hanno illegittimamente tolto a quelli che ne forniscono prove legittime, e perché rimanga memoria dei predetti . Palmieri, Dante, Lippo e Orlanduccio, i loro nomi vengano scritti negli Statuti del popolo, come falsari e barattieri. Essi siano banditi dal comune di Firenze, dal contado, da ogni suo distretto e altrove, sia che paghino la condanna o no.

    Sentenza del 10 marzo 1302 Questa sentenza scritta da noi, Bonora da Pregio, notaio del messer podestà di Firenze, essendo papa BonifacioVIII, i seguenti messeri Andrea de’ Gherardini, Lapo Saltarelli, Dante Alighieri, ritenuti rei confessi a causa della loro contumacia, in forza del comune di Firenze, li condanniamo, se qualcuno dei predetti cadrà in potere del detto comune, sia bruciato col fuoco finché muoia , oppure sia loro tagliata la testa dalle spalle finché muoiano.

    Dante amareggiato: col cavallo, la penna e il mantello/ me ne vado in esilio laggiù/ son caduto nel vostro tranello/ e a Firenze non torno mai più ...


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    Messaggio Da Lemond Sab Nov 15, 2014 8:48 am

    Diario B.B.

    GIRO D’ITALIA 2001
    Venerdì 2 Giugno S.Giustino

    La bambina si svegliò prima del solito e scostò le tendine per vedere se c’era il sole. Stava già sorgendo, nel suo bianco splendore, dalla montagna. Solo alcune chiare nuvolette solcavano il cielo grigio. Rivolse poi lo sguardo al bosco. Le varianti del grigio erano presenti anche quella mattina. Vide la strada nera e il gatto nero. Vide il bianco della casa e il bianco dei fiori. Tutto era bianco, nero e grigio dal giorno in cui maga Tristezza piombò di colpo nella vallata. La bambina non ne poteva più e chiese con fermezza alla mamma: ”Posso avere quei pastelli che tieni gelosamente nella scatola di latta?” “Mia cara, è molto pericoloso tirarli fuori. Sai che la maga non vuole i colori. Si arrabbierebbe e sarebbero guai seri per tutti noi” rispose . “Non m’importa - disse la piccola dai capelli neri - io li pianterò, li seminerò nell’orto e vedrai che bell’albero crescerà!”. E così fece.
    Con grande tristezza, nonostante le abbondanti innaffiate, si rese conto che non nasceva nulla. Lacrime e lacrime solcarono il suo visino e, con grande meraviglia, vide spuntare lentamente prima il tronco, poi i rami, le foglie infine le gemme dell’albero tanto atteso. Da esse uscirono, uno dopo l’altro, dei pastelli coloratissimi. Prese il rosso, il giallo e poi il blu. Non si dimenticò dell’arancione e colse velocemente il viola. Con avidità prese tutte le variazioni del verde: c’era il verde pallido, il verde chiaro, il verde pisello e il verde scuro. Colse poi il verde mare e il grigio verde. Con tutti questi colori in mano salutò la mamma e partì. Raggiunse la Val Gardena, colorò gli alberi, le foglie e i fiori. Fece così anche sul Sella e sul Pordoi. Tinse tutto quello che le capitava. I boschi diventarono così un turbinio di verde. Pitturò poi i prati che si stagliavano, con le vette delle montagne, nel cielo turchino. La bambina era felice ma i colori cominciarono a scarseggiare. Già ad Arabba non ne aveva più. Peccato per il Falzarego e il Valparola! Ma lei non se ne curò più di tanto: era troppa la sua felicità nel vedere quel paesaggio che brillava alla luce gialla del sole.
    Di giallo- bianco- azzurro vestiti, arrivarono tre cavalieri e un centauro. Felici nel vedere così tanta bellezza non si accorsero del grigiore del Falzarego e della candida neve del Valparola. Nemmeno si curarono del freddo e del vento che soffiava sopra al passo.
    La bambina era stata proprio brava: aveva fatto un lavoro meraviglioso! “Opera perfetta” dissero i quattro quando videro i colori della Sachertorte e dello Strudel. La sera dello stesso giorno i trentatré cavalieri trentini (ma… forse non erano né trentatre, né trentini!) trotterellarono per le vie di Trento. Non credevano ai loro occhi quando videro, in Piazza Duomo, alcuni rami di albero tinti di blu, giallo e bianco. La bambina aveva così omaggiato i colori delle armature e regalato loro tanta, tanta felicità.
    Grazie bambina perché dalla tua tristezza e dalle tue lacrime hai potuto far rinascere lo splendore dei colori e cacciar via la Maga cattiva.
    Qualcuno ha detto che la felicità non è eterna …ma possiamo, grazie a te, dire che neppure le lacrime lo sono!

    P.S Questa fiaba è stata raccontata al Chiarugi, ma ascoltava anche ì Nucci, durante l’ascesa del passo Sella. Poiché, secondo Chiarugi, il percorso da me proposto era un “giro sega”, mi sono potuta permettere di pedalare, parlare e inventare, di sana pianta, un racconto.
    Scusate se sono pochi 110 km di montagna, più di 3000 m di dislivello, visione doppia di tappa, evitata la carovana pubblicitaria, gustati dei dolci favolosi, aver ricevuto complimenti lungo il Pordoi, essersi riparati dal freddo dentro una tenda di buontemponi veneziani che ci hanno sfamati e dissetati, aver ballato il valzer all’arrivo ma soprattutto essersi beati dello splendore dei Monti Pallidi, le cui rocce rosa sono di una lucentezza quasi vetrosa, per ben 5h 17’ 28’’ di pedalate. La sera, nonostante il giretto “facile” su e giù per le Dolomiti, qualcuno (non certamente la sottoscritta!!!) ha però accusato mal di gambe nello scendere le scale.
    GIRO SEGA ANCHE LA PROPOSTA DELLA SCALATA DELL’EVEREST? Very Happy
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    Messaggio Da Lemond Mar Nov 18, 2014 3:20 pm

    Dalla mia amica Anna Bini (alias Baccella) Il mio amico Dante (5)

    A questo punto tragico della sua vita , Dante è disperato, indignato, straziato nel corpo e nell’anima. Allora decide con un gruppo di fuoriusciti bianchi di tentare vari rientri a Firenze. 8 giugno 1302 : congresso degli esuli bianchi a S. Gaudenzio nel Mugello. Si stabilisce di muovere contro i neri di Firenze … esito catastrofico, anche per il tradimento di Carlino de’ Pazzi, poi Dante persuade i compagni di sventura a non tentare un’altra sortita contro Firenze. Essi però guidati da Scarpetta degli Ordelaffi tentano un’altra volta, ma sono sconfitti a Pulicciano, cui segue l’ultimo insuccesso alla Lastra. I bianchi esuli esasperati accusano Dante di scarso rendimento, seguono offese infamanti. Dante allora lascia la compagnia malvagia e scempia e fa parte per se stesso. La leggenda recita che Dante prenda la via dell’esilio a cavallo di un ronzino (Virgilio) con cui parla latino e progetta la discesa nell’inferno. A Bologna è dal dolce amico Cino da Pistoia, dove ha uno svenimento, dovuto alla pressione alta, a forza di mangiare pane salato. Curato e guarito va in Lunigiana dai Malaspina, poi a Poppi in Casentino dove sono i conti Guidi. Forse nel 1308 è a Lucca da un gentile dama, Gentucca, con cui ha solo una cortese amicizia, anche perché lei è sposata al nobile Bonaccorso Fondora. Si sposta in Liguria, nelle terre del Garda, del Veneto e Trentino. Forse gli viene in testa di recarsi a Parigi, dove pensa di trovare ospitalità presso Sigieri di Brabante, filosofo fiammingo averroista, opposto alla filosofia conciliativa di S. Tommaso D’Aquino. C’è chi dice di aver visto Dante a Parigi insieme ad altri studenti e filosofi in rue de Fouarre , detta il vico degli strami, per la paglia che gli studenti portavano per sedersi ad ascoltare ardite filosofie, come quella di Sigieri, che sillogizzò invidiosi veri, verità assai ostiche alla chiesa, quindi eretiche. Dante si ricorderà di questo grande dotto, mettendolo in paradiso nel cielo del sole fra gli spiriti sapienti. Una luce di speranza si apre a Dante, quando nel 1310 Arrigo VII di Lussemburgo imperatore, dopo la dieta di Spira, scende in Italia per sedare le discordie politiche dei vari comuni e ripristinare la pienezza del potere imperiale (in Italia si erano alternati gli imperatori Sassoni (936-1024), Franconi(1025-1125) e Svevi(1125-1268)). Dante in questa occasione scrive tre lettere: 1) Epistola in latino ai popoli e ai principi d’Italia perché favorissero Arrigo, 2) un’epistole indignata contro i fiorentini scelleratissimi promotori di una lega contro l’imperatore 3) un’epistola ad Arrigo, perché si affrettasse contro Firenze, ma lui ha paura e dopo un breve assedio alla città si trasferisce a s. Casciano. Poi Arrigo si decide a passare da Pisa verso il regno di Puglia, ma … a Buonconvento muore, forse di veleno nel 1313. Dante ormai sfiduciato ricomincia a salire e a scendere le altrui scale e si reca di nuovo a Verona dal generoso Cangrande della Scala (a lui dedicherà la terza cantica della Commedia).

    Saluti Anna Bini e tante scuse......

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    Messaggio Da Lemond Mer Nov 19, 2014 2:11 pm

    Diario di B.B.

    EMPOLI-OVINDOLI
    16-17 GIUGNO 20001

    Il resoconto della nostra avventura è già stato scritto, con la solita precisione di eventi ed episodi, dall’amico Chiarugi.
    Sappiamo ormai che la mia rubrica è fatta più di resoconti dell’anima che non di quelli reali, di sensazioni che la tormentano e l’allietano a seconda dei momenti.
    Grazie a queste emozioni combatto spesso la fatica: la testa va da un’altra parte e non pensa al dolore delle gambe, della schiena e soprattutto all’intimità col sellino.
    La mattina del secondo giorno Chiarugi mi chiede una favola dandomi come spunto i colori. “Bene- rispondo- te la racconterò appena arrivati alla piana di Castelluccio”.
    In tutto il tratto che collega …..(?) alla piana, la mia testa si è isolata dal corpo ed ha raccolto idee e sensazioni che mi hanno permesso di inventare la favola dei “Cinque colori”. Ho ideato la storia prendendo come spunto un racconto fattomi da un abitante di Castelluccio conosciuto non molto tempo fa. Mi parlava delle lenticchie la cui raccolta avviene con l’avvicendarsi di cinque tipi di fiori colorati in modo diverso l’uno dall’altro. Per primi, tra le piante di lenticchie ancora piccole, spuntano i fiori bianchi, di seguito si alternano quelli gialli, poi violetto, celeste e infine il rosso dei papaveri che indica il tempo della mietitura.
    Quando i monti Sibillini alla mia destra e il paese di Castelluccio di Norcia arroccato alla mia sinistra facevano da cornice alla piana che si estendeva nella sua immensa e indescrivibile bellezza, ho raccontato la fiaba a Chiarugi.

    “BIANCO- GIALLO- VIOLETTO- CELESTE- ROSSO”

    ….Era tanto tempo fa ed era il tempo delle dame e dei cavalieri, dei principi e delle principesse, delle cortigiane e dei giullari. A Norcia i castelli erano pieni di vita: banchetti e tornei, feste e falconieri erano all’ordine del giorno. Le dame e i cavalieri, sempre ben vestiti, mostravano i loro abiti sontuosi ed eleganti sfoggiando sete pregiate, stoffe damascate e cotone di Fiandra. Ricami dorati e colori vivaci ornavano invece le vesti per occasioni ancora più importanti…Era il tempo delle vacche grasse.
    Solo due dame e tre cavalieri si distinguevano tra i tanti.Ognuno di loro vestiva di un solo colore: la dama bionda amava il bianco, il suo cavalier servente era sempre di giallo vestito, il più alto dei tre prediligeva il violetto, l’altro invece il celeste che lo faceva sembrare un principino (un po’ sciocchino a volte, ma questa è un’altra storia), la dama dai capelli ricci e neri adorava il rosso. Non erano ben visti dalla società che a mala pena li tollerava e, con l’andar del tempo, li allontanò sempre più. I cinque si rifugiarono su per i monti, sopra a Norcia. Raggiunsero una piana e qui vi costruirono il loro “castelluccio”. Si cibavano di tutto quello che madre terra offriva loro. Avevano anche dei semi un po’ particolari: lenticchie. Queste avrebbero dato i frutti solo se, dopo piantati, veniva intorno battuta la terra con le mani. Provò per prima la dama bianca, ma le sue mani non bastavano. Si divise in due ma non erano sufficienti, allora in quattro, in otto, in dieci, in cento, mille, quattromila e chissà quante altre volte ancora. Più le sue mani battevano forte il terreno, più le piantine spuntavano rigogliose. Era stanca, così le numerose particelle bianche si unirono tra loro per ridare forma alla dama. Toccò al cavaliere di giallo vestito: si divise, batté il terreno e ritornò in sé. Fu la volta del cavaliere violetto e del cavaliere celeste. Quando la dama rossa si divise in miriadi di parti, tutti riconobbero i papaveri. Era arrivato il tempo del raccolto!! I cavalieri e la dame si dettero un gran daffare per mietere le lenticchie, metterle nei sacchi e serbarle per il tempo a venire. E così, per diverse stagioni, si rinnovò il miracolo dei colori.
    Intanto le vacche grasse di Norcia scomparvero. L’esercito nemico distrusse la città, saccheggiò i castelli e il disordine, la povertà e la fame regnarono sovrani. Gli abitanti rimasti, che sapevano del castelluccio e delle formidabili lenticchie, andarono a chiederne un po’ ai suoi cinque abitanti. Dall’alto (in tutti i sensi!) della loro bontà, ingenuità, gentilezza e un po’ di pazzia, accolsero tutti quanti dando quello che le scorte consentivano di donare. I norcini, quando bussavano al castelluccio, rimanevano tutti meravigliati da una frase scolpita su un’asse appesa vicino al portone principale che diceva:” Le cose semplici sono le più belle, sono quelle che alla fine sono le più grandi.”
    Questa l’aveva loro insegnata un certo Francesco, anche lui un po’ matto, vestito sempre di marrone, parlava con gli uccelli e ai lupi. Veniva da Assisi e pure lui si cibò delle lenticchie. In segno di riconoscimento donò ai cinque abitanti un sorriso e tanta semplicità.
    Quello che serve per guardare il mondo con gli occhi del cuore!!!!!


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    Messaggio Da Lemond Gio Nov 20, 2014 11:50 am

    Umberto Veronesi

    Il caso Veronesi: sotto il fuoco incrociato, solo per essersi detto ateo
    Umberto Veronesi, noto oncologo, firma un libro di memorie dal titolo Il mestiere di uomo. Nel quale si sofferma sulla sua vita e sul suo lavoro, a contatto diretto con la malattia e la sofferenza. Repubblica riporta in anteprima un estratto, in cui Veronesi racconta il suo rapporto con la religione e il passaggio dalla fede alla non credenza. L’oncologo ricorda con stima e affetto un prete, don Giovanni, che frequentava la famiglia. E persino la sua esperienza da “inappuntabile chierichetto”. La sofferenza del sacerdote quando gli rivela di aver perso la fede. Dopo tanti anni, per tragica fatalità, Veronesi incontra il prete colpito da un cancro. I due rinnovano l’amicizia cordiale: “Iniziò così un periodo di conversazioni e di scambio intellettuale sul senso della vita, della scienza e della fede, che segnò per sempre il mio pensiero”. Il sacerdote però ha ormai un male incurabile e Veronesi gli promette di non farlo soffrire: “Mi fu molto grato per questo, perché non faceva parte di quei credenti che ritengono che il dolore avvicini a Dio. La nostra ultima sera insieme mi disse: «Ti ringrazio per la carità che dimostri, anche senza fede. C’è tanta fede senza carità»”.

    Allo stesso modo di Auschwitz, per me il cancro è diventato una prova della non esistenza di Dio
    L’oncologo non ricorda il “primo giorno senza Dio”: “sicuramente dopo l’esperienza della guerra non misi mai più piede in una chiesa, ma il tramonto della fede era iniziato molto prima”. Il suo anticonformismo fin da adolescente “mal si conciliava con l’integralismo della dottrina cattolica che era stata il fondamento della mia educazione di bambino”. È segnato dalla guerra, tocca “con mano anche la follia del nazismo”: “non ho potuto non chiedermi, come fece Hannah Arendt prima e Benedetto XVI molti anni dopo: «Dov’era Dio ad Auschwitz?»”. Anche la scelta di dedicarsi alla medicina era “profondamente legata in me alla ricerca dell’origine di quel male che il concetto di Dio non poteva spiegare”. Un male “ancora più inspiegabile della guerra” diventa “il cancro”, contro cui si dedica per alleviare in senso laico e concreto le sofferenze di tante persone. “Allo stesso modo di Auschwitz, per me il cancro è diventato una prova della non esistenza di Dio“, dice Veronesi. “Come puoi credere nella Provvidenza o nell’amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi? Ci sono parole in qualche libro sacro del mondo, ci sono verità rivelate, che possano lenire il dolore dei suoi genitori? Io credo di no, e preferisco il silenzio, o il sussurro del «non so». Perché accade — e per i bambini oggi succede sempre più spesso — che il dubbio diventi concreta speranza e poi guarigione, e quando questo avviene, è pura gioia”, conclude il chirurgo.

    Una pagina toccante, che mostra l’umanità di Veronesi e che dovrebbe far riflettere credenti e non sul problema irrisolvibile del male (teodicea). Parole dal forte impatto emotivo, maturate in tanti anni di lotta al cancro e a quotidiane quanto inspiegabili sofferenze. Ma che non hanno mancato di scatenare la reazione dei polemisti clericali. Con annessa distorsione e strumentalizzazione di considerazioni che meriterebbero più attenzione. Ma il giornalismo confessionale in Italia funziona purtroppo così.

    Secondo Gennari proprio Veronesi dovrebbe fare invece l’apologia del cristianesimo
    C’è chi, come Andrea Mercenaro nella sua rubrica su Il Foglio, lo schernisce accusandolo di aver “trovato la prova provata che Dio non esiste”. Su Avvenire Gianni Gennari parla di “pagina forte e anche bella, che conferma motivi di stima e apprezzamento”. Ma c’è un ma: è “costruita con l’intento chiaro di presentare la negazione di Dio come conseguenza logica dell’esperienza di vita”. Sarebbe un “proselitismo personale ovviamente legittimo”. Così “legittimo” che secondo Gennari proprio Veronesi dovrebbe fare invece l’apologia del cristianesimo: “tanti uomini, anche uomini di scienza e cultura come Veronesi potrebbero dire per esperienza ripetuta e personale che certe “parole” e proprio di quella fede ebraico-cristiana cui egli allude, fondano almeno speranze, o addirittura certezze di «verità che possono lenire» il dolore dell’umanità”. Quindi fornire una risposta di comodo che soddisfi l’interlocutore credente.

    Anche Mario Giordano su Libero sminuisce il pensiero di Veronesi, scomodando la “logica” e bollandolo di “banalizzazione”. Perché Dio permette il male? Vivaddio, “la risposta a questa domanda è così intima che non si può discutere su un giornale”. E infatti Giordano si prende la briga di rispondere su un giornale, con una serie di domande retoriche pretestuose che puntano proprio alla banalizzazione del discorso, di cui accusa l’oncologo. Non poteva mancare, nel finale, l’accusa all’ateo di volersi sostituire a Dio (il punto centrale “non tanto la difficoltà ad ammettere l’esistenza di Dio. Quanto la difficoltà ad ammettere che Dio non è lei”).


    Tra le risposte c’è quella del fisico Antonio Zichichi, che si lancia in una serie di elucubrazioni su Il Giornale per “dimostrare” che Dio invece esiste e non è incompatibile con la scienza. Parte da lontano, il terremoto di Lisbona che ispirò Voltaire per il Candido. E non si accorge nemmeno di finire per vestire i panni di Pangloss, mentre tenta di convincerci in conclusione che “la scienza però non ha mai scoperto nulla che sia in contrasto con l’esistenza di Dio” e che “l’ateismo, quindi, non è un atto di rigore logico teorico, ma un atto di fede nel nulla”.

    Ma a ben vedere, è la sua idea di scienza ad essere asservita alla religione, mentre tenta di metabolizzare i dubbi e le crepe che proprio le innovazioni e le scoperte scientifiche portano al quadro di presunta perfezione “logica” della fede. Si pensi anche solo alla rivoluzione antropologica e filosofica che ha portato l’evoluzionismo prima di tutto nel suo teorizzatore, Darwin, che proprio da lì iniziò a diventare agnostico. Quella di Zichichi è piuttosto una rassicurazione psicologica ad uso personale da uomo di cultura, condita con espressioni altisonanti ma apodittiche e tutt’altro che scientifiche del tipo “la speranza ha due colonne” ovvero fede e scienza; “se c’è una logica deve esserci un Autore”; “Cristo è il simbolo della difesa dei valori della vita e della dignità umana”.

    Il clima culturale in Italia è ancora profondamente immaturo quando si parla di ateismo
    Si può convenire sul fatto che l’onere della prova spetti a chi afferma l’esistenza di Dio: evidentemente per tante persone le argomentazioni, persino quelle pseudo-scientifiche di Zichichi e dei suoi emuli, o gli esempi di vita “santa” non sono sufficienti. Le repliche stizzite da parte cattolica scatenate dalla riflessione pacata e sentita di Veronesi dimostrano, quelle sì in maniera lampante, come il clima culturale in Italia è ancora profondamente immaturo quando si parla di ateismo, tanto meno il giornalismo. Quando un non credente osa esprimere anche sottovoce le sue idee, viene subissato di risposte da crociati punti nel vivo, che spesso si riducono ad attacchi personali, denigrazione dell’ateismo cui vengono attribuiti tutti i mali, apologetica spicciola che brandisce come una clava la “ragione”, marketing delle conversioni, indignazione perché non si affronta il tema come si “dovrebbe” fare (ovvero a modo loro). Intanto giornali e televisioni (pure pubbliche) pullulano di racconti positivi di testimonial che esaltano la fede o che tramite essa trovano soluzioni e conforto, con un chiaro intento propagandistico.

    L’asimmetria comunicativa è evidente e l’influenza clericale sui media pervasiva. Veronesi invece rappresenta una mosca bianca, che suscita fastidio e pronta reazione dai guardiani della morale anche perché ha proposto un esempio di alternativa laica. Senza pagare il pedaggio di una sudditanza troppo spesso pretesa. Ma quanto ha scritto andrebbe preso per quello che è: non una sfida, ma l’esperienza personalissima di un uomo che si confronta in maniera sofferta e rispettosa con il dolore e che non vi trova motivi per credere. Tante persone si aggrappano alla fede per aggirare certi dilemmi esistenziali o momenti di crisi. Tanti altri invece, da atei o agnostici, non sono convinti, preferiscono vivere in maniera differente: cercano la felicità, il significato e costruiscono la loro etica in questo mondo e nelle relazioni con gli altri. Tutti, gli atei come i credenti, meritano rispetto e comprensione, nella consapevolezza che non si potrà mai essere d’accordo su certi temi ma si può e si deve convivere. Per questo Veronesi ha tutta la nostra stima, nonché solidarietà per le ingenerose e superficiali critiche ricevute, o per gli attacchi anche peggiori. Il suo peccato? Aver mostrato che gli atei esistono. Anzi, che hanno delle ragioni. E persino dei sentimenti.

    Valentino Salvatore
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    Messaggio Da Lemond Gio Nov 20, 2014 6:08 pm

    Il mio amico Dante (6)

    CanGrande consola spesso Dante, sofferente di gastrite e di dolori articolari. Il Medico di corte ha sentenziato che si tratta di depressione grave dovuta all’eterna brama di tornare a Firenze, anche se alcuni esponenti delle arti maggiori hanno offerto al vate la possibilità di ripercorrere le vie dell’amata città, però in vesti umilianti: sfilare in mezzo alla gente con un cero in mano e una mitra in testa, dietro il carro della zecca fra i malfattori che il vescovo perdona e “offre” al patrono S. Giovanni, inoltre pagare una multa salata detta “oblatio”, come se fosse un qualsiasi Ciolo (degli Abati), noto truffatore

    Dante a proposito della vergognosa proposta scrive all’amico fiorentino (Epistola XII) che lui chiama padre mio, forse perché è un religioso, il suo sdegnoso rifiuto.

    Lui che è stato sempre un uomo integro, che ha fatto tanto per Firenze a Lui si chiede addirittura un risarcimento danni, a lui che ha sofferto un esilio quasi trilustre, a lui che ha faticato sugli studi , a lui viene offerto un perdono “peloso” inaccettabile.

    Dante viene curato dall’erborista particolare di Can Grande e da alcune mulierculae, donnicciole, con pillole amare rese gradevoli da un po’ di miele . E Dante sogna e si rigira nel letto: Firenze … Lui è seduto su un masso in piazza delle Pallottole (bocce) e osserva i lavori di costruzione della cattedrale, passa un conoscente - Quale cibo ti piace, Dante? - …L’ovo … Dopo un anno ripassa il solito tizio - Con che cosa? - .. col sale !! Che memoria , commenta il popolino … Già, già che memoria avevo …ma ora devo rimettermi in cammino, ho promesso ai signori di Ravenna di accettare il loro invito.

    Il signore di Ravenna è Guido Novello da Polenta, detto il giovane, che ottiene la signoria dal 1316 al 1322, un anno dopo la morte di Dante. E’ nipote di Guido il vecchio che ebbe tre figli tra cui Francesca che per convenienza sposò Gianciotto Malatesta da Rimini, il quale uccise la moglie ed il fratello Paolo, divenuto amante di Francesca. La tragica vicenda è sommamente descritta nel V canto dell’Inferno. È un grande mecenate, egli stesso poeta, quindi accoglie con sincero entusiasmo Dante, che ritiene il sommo il divino vate. Di lui ha tanta fiducia da affidargli un incarico in qualità di ambasciatore presso Venezia. Dante vorrebbe dirgli di no, ma non ha il coraggio ; presagisce un latente pericolo. Dante infatti si reca, prima di partire per Venezia, nella chiesa di S. Francesco in Ravenna ed ha come una visione: vede venirgli incontro dall’altare Beatrice circonfusa di luce . Dante si avvicina alla Beatissima, ma lei si perde nel fumo dei ceri ormai spenti; vorrebbe rincorrerla ma rimane paralizzato da una ventata fredda e nera. Scappa via dalla Chiesa , sfuggendo per un pelo al crudele taglio di Atropo.

    Prima di partire Dante si fa dare dal medico di corte una pozione contro la malaria. Gravissimo morbo di cui aveva sentito parlare nel suo penoso “andare”. Malaria =mal aria cioè aria cattiva o paludismo perché tale morbo si sviluppa nella zone mefitiche delle paludi.

    Saluti Anna Bini e tante scuse…




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    Messaggio Da Lemond Dom Nov 23, 2014 11:26 am

    Diario B.B.

    Non riesco a fare un racconto preciso del viaggio perché non ricordo i nomi dei posti visitati né tanto meno la dinamica del percorso. Mi sarei miseramente persa al primo bivio e, con o senza cartina, per me sarebbe stato quasi lo stesso. E’ per questo motivo che all’inizio non sono riuscita a capire a fondo la cagnara fatta da Nucci quando, già in piazza dei Leoni, si è accorto che il navigatore, il Chiarugi, l’aveva lasciato a casa. Col senno di poi posso dire che questo è stato un buon inizio …Quando il dott. Nucci ci ha piantati lì, soli, soletti alle prese con la fotocopiatrice di una cartoleria di Cerbaia, è scattata la molla che ha fatto riuscire in pieno la mia impresa. Arrabbiata? Oppure adirata, rabbiosa, incollerita? O meglio, infuriata, irata, furibonda? No, peggio! Permettetemi una volgarità: ero proprio in - caz - za - ta!!! Questo mi ha causato una carica talmente forte da non sentire le pedalate, la fatica. Era generalizzata la cosa, perché anche gli altri avvertivano un certo disagio. Poi piano, piano a tutti è un po’ passata. Io però non riuscivo ad uscire da questa eccitazione negativa a tal punto che, quando ho guardato per la prima volta l’orologio erano già passate quattro ore e mezzo e non me ne ero minimamente accorta. I dolori del “soprasella” si sono fatti sentire nei pressi del valico di Scheggia(?). Un caffè ustionante mi ha reso i nervi ancora più tesi… E giù per la discesa. Forse, e dico forse, verso Gubbio il mio animo si è un po’ stemperato quando una gelataia, a detta di tutti molto sexi, si è rivolta alla sottoscritta facendole dei complimenti al fondoschiena (“così tonico e ritto”- parole di gelataia ) e alle gambe. Che sia stata una fata ignorante?
    Ho iniziato a pedalare serenamente nei pressi dell’ultima salita del primo giorno che porta a Colfiorito. Strada stupenda con un bellissimo panorama, l’animo si era ingentilito ma la desolazione delle case sventrate dal terremoto non mi facevano vivere serenamente il luogo.
    Colfiorito, cena, dormito così, così, colazione, e via verso nuovi orizzonti!
    Norcia, la boutique del pecoraro Marco,l’acqua fresca della fonte, S. Benedetto, protettore dell’Euro, fanno da preparazione mentale a quello che sarà uno dei posti più belli che io abbia solcato con le mie ruote: La Piana di Castellucio.
    Pendenza ottima, panorama della piana di Norcia che ci accompagna per un bel po’, poiane che svolazzano qua e là, vento, fiori, Egiziana che ci sostiene con la sua perenne e insostituibile presenza, tappo bianco del radiatore perso da tre ragazzi di Terni. E tanto altro ancora. Rimango distaccata da Chiarugi e Nucci perché non ho più acqua. Egiziana provvede subito. Doppio tornante, vedo due puntini bianco celesti avanti a me, mi volto e ce n’è un altro dietro. Maurizio avverte i primi segni di cedimento. Ultima curva… Piana di Castelluccio. Non so se proseguire o fermarmi. Preferisco fermarmi, l’emozione deve essere tutta mia. E’ qualcosa che ti entra dentro prepotentemente e fa fatica a uscire: è il vento che ti strapazza, è la luce intensa del sole, è il verde sibillino che ti rilassa il corpo e l’anima, è quello che ti aspettavi di vedere, è quello che volevi vedere. E’ amore anche questo: è bearsi dell’anima delle cose che sono di tutti e che sono quindi anche tue. La Piana, in quel momento, era anche mia. Scendevano calde lacrime sulle mia gote; solo Roberto ha osato chiedermi “Che fai?”. “Guardo l’aquilone”- ho preferito rispondere, perché non avrei mai e poi mai trovato le parole giuste per dirgli quello che provavo in quel momento. E poi, onestamente, dall’alto della sua “sapientia”, l’avrebbe capite?
    E i fiori, e i colori…..!!!
    Dopo queste emozioni una discesa era quello che ci voleva. Maurizio ha deciso di fermarsi. Chilometri e chilometri di strada sono passati sotto le ruote quando, finalmente, il cartello “L’Aquila” ha allietato la nostra vista, la nostra mente e la nostra bocca: un gelato veramente buono in Piazza Duomo è stato divorato da tre ciclisti puzzolenti e sudati, mentre bandiere giallo-rosse sventolavano in segno di vittoria.
    Una salita di venti chilometri separa L’Aquila da Ovindoli. L’abbiamo volata e gustata tutta, tutta con il mio tormentone che diceva “ Martedì mi taglio i capelli, sono sei anni che non vado dal parrucchiere” “No, non lo fare” rispondevano i due che pedalavano al mio fianco. Che bischeri! Loro non lo sanno ma quel martedì è di una settimana, di un mese e di un anno ancora non precisato.
    La foto sotto il cartello “Ovindoli” vede la fine della nostra avventura. Il giorno sta per finire e il sole è già basso all’orizzonte. Fra abbracci, sorrisi e “Alla prossima!” quattro ciclisti e un angelo biondo brillano intensamente di luce propria.

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    Messaggio Da Lemond Lun Nov 24, 2014 5:10 pm

    Ricevo da Baccella, che si firma in calce e volentieri inoltro

    Il mio amico Dante (7)

    Dante sta tornando a Ravenna. Gli sembra che le paludi desolate da dove passa siano invase dai fiumi infernali Acheronte Stige Flegetonte e Cocito, che fanno salire il fango fino al collo del suo cavallo. Sta per cedere , per perdersi in quell’orrendo nero abisso, ma gli viene incontro un cavaliere : è Guido in persona , che preoccupato del ritardo del vate è venuto a cercarlo.

    Dante viene subito messo a letto, confortato dalle cure di vari medici. Ormai c’è poco da fare. Si cerca di fermare la febbre malarica, ma senza successo. L’amico notaio Pietro Giardini e la figlia monaca Antonia raccolgono le sue ultime parole che capiscono poco … soltanto … Firenze … Beatrice … Commedia … sono chiare .

    La morte è fra il 13-14 Settembre 1321. Ebbe esequie solenni : vestito da francescano incoronato di alloro fu tumulato nella chiesa di S. Francesco.

    Eppoi? Varie leggende sono sorte intorno alle ceneri di Dante …andiamo in ordine.

    Dante, il giorno dopo la sua morte, fu posto in un sarcofago e sepolto lungo la strada all’esterno del chiostro di Braccioforte. Nel XV secolo il podestà veneto di Ravenna, Bernardo Bembo, spostò il sepolcro sul lato ovest del chiostro. Naturalmente siamo sempre nello spazio della chiesa di S. Francesco. Fu allora che i fiorentini iniziarono a reclamare le reliquie di Dante, essendo papi due Medici : Leone X e Clemente VII.

    I fiorentini inviati anche da Michelangelo trovarono il sarcofago vuoto. I frati francescani infatti attraverso un buco nel muro avevano preso le ceneri del vate. Poi i resti furono rimessi nel solito sarcofago e guardati a vista. Nel 1677 il priore del convento in Ravenna, Antonio Sarti le rinchiuse in una cassetta da dove furono prelevate nel 1781 e poste nel tempietto mausoleo, costruito dall’architetto Camillo Morigia, su commissione del cardinale Luigi Valenti Gonzaga. Sull’architrave del sepolcro è scritto semplicemente “Dantis poetae sepulcrum”. L’epitaffio sopra la tomba, rivestita di marmi e stucchi, è il seguente (versi in latino di Bernardo Canaccio del 1366, che per praticità traduciamo): “I diritti della monarchia, i cieli, le acque del Flegetonte visitando cantai finché volsero i miei destini mortali. Poiché la mia anima andò ospite in luoghi migliori ed ancor beata raggiunse tra le stelle il suo Creatore, qui sto racchiuso, io Dante esule dalla patria terra, cui generò Firenze, madre di poco amore.” Quando nel 1810 il convento dei francescani fu soppresso da Napoleone, i frati sottrassero le ossa di Dante e le murarono in un oratorio, dove furono scoperte nel 1863 durante lavori di restauro. Dopo un’esposizione pubblica, i resti furono messi in due cassette separate nel sarcofago originario del tempietto. Durante la guerra 1944-45 vennero sepolte poco lontano dal mausoleo sotto un tumulo coperto di vegetazione (oggi c’è una lapide). A Firenze nella vana speranza di una restituzione delle ceneri del sommo, fu costruito dentro la basilica di S.Croce un cenotafio in onore dell’altissimo poeta ad opera dello scultore Stefano Ricci nel 1829. Qui Dante è rappresentato con piglio sdegnoso fra l’Italia turrita e la poesia (forse Calliope ) piangente. A questo monumento s’ispirò G. Leopardi “Sopra il monumento di Dante”. Alcuni suppongono che le ceneri di Dante siano state nascoste dietro il cenotafio, parte delle quali ritrovate in una busta nella Biblioteca nazionale di Firenze … il resto … mah ... chissà ...

    Dante è visitato a Ravenna . La sua tomba è stata restaurata nel 2006-7

    Saluti da Anna Bini con tante scuse …




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    Messaggio Da Lemond Mer Nov 26, 2014 6:40 pm

    Oddifreddi stotia della logica (alla radio)

    https://www.youtube.com/watch?v=Sp1jCTiXaOg&list=PL7851FA1FB950A6AE
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    Messaggio Da Lemond Gio Nov 27, 2014 10:18 am

    Il mio amico Dante ( Le opere minori)

    Un turista italiano mi chiede spiegazioni “de” statua di Dante, posta sulla sinistra della basilica di S. Croce nella piazza omonima, in cima alla scalinata. Eseguita dallo scultore Enrico Pozzi e inaugurata nel 1865, posta per volontà dei fiorentini “ad espiazione dell'esilio dato al grande poeta”in mezzo alla piazza, da cui fu rimossa il 14,  giugno 1967 e messa nell'attuale posizione.
    La statua è in marmo bianco di Carrara : Dante è in piedi con la corona d'alloro, con la destra  sorregge il libro della Divina commedia, ha vicino un'aquila con le ali semichiuse.Il basamento in marmo bianco è a pianta quadrata, nel mezzo riporta riquadri in marmo rosso di Verona, sul prospetto anteriore c'è la scritta : A Dante Alighieri l'Italia M-DCCC-LXV. Agli angoli della base poggiano quattro marzocchi, che reggono con la zampa uno scudo su cui è inciso il titolo delle opere minori del poeta: La vita nova, Il convivio, De vulgari eloquentia, De monarchia... “Grazie tante, ma devo scappare, sennò perdo il treno !”.

    Avrei voluto dare altre informazioni, ma...pazienza...Non mi sono accorta che è già buio, chiamo un taxi per tornare a casa . Mi dicono che arriverà Firenze-Ravenna 13-21 fra un'ora. Rassegnata mi rannicchio sotto il leone della Vita Nova, che ruggisce un po' deluso dall'indifferenza di molti riguardo all'opera che lui difende da quando è nato. Già, già ... La vita nova è un libro della memoria di un uomo appassionatamente innamorato di una fanciulla, Beatrice ( certamente Bice di Folco Portinari moglie di Simone de' Bardi) scritto forse fra il 1292-93. Incipit vita nova, cioè una vita diversa, rinnovata da un amore divino. Dante incontra per la prima volta Bice, a nove anni. Da qui comincia la tirannia d'amore, che determinerà parecchi suoi comportamenti. La rivedrà a 18 anni. Questo libro è un delicatissimo romanzo d'amore, che si può definire prosimetro, cioè prose alternate a 31 liriche, tra sonetti, ballate e canzoni. Dante sa bene che sulla terra il suo amore non si realizzerà mai, anzi subirà umiliazioni come quando Bice lo “gabberà” perché ha finto di amare altre donne secondo la
    galanteria stilnovistica, ma lei non capisce e lo deride quando ad una festa nuziale Dante nel
    rivederla ha un lieve malore, tanto da appoggiarsi alla parete. E che dire degli incubi notturni:
    sogna Amore che tiene in braccio Bice che gli mangia il cuore piangendo!!! Guido Cavalcanti
    interpreta il sogno come un sinistro presagio della morte di Bice e allora ... ll sommo, misero fra gli uomini si sente annientato, vorrebbe gettarsi fra le scheletriche braccia di Atropo, ma la musa Calliope lo salva e gli detta versi immortali.

    Mi fa freddo e il taxi non arriva.....un freddo paralizzante come prende Dante quando nel 1290 muore Bice, forse sui 24-25 anni... E' solo con il suo genio, con la sua immensa cultura, neanche le muse e il nume Apollo possono confortarlo e ... allora cerca rifugio in una donna gentile a cui rinuncia per non tradire l'amore salvifico di Bice che dalla polvere terrena lo innalzerà alla luce immortale del paradiso. Lei, la donna gentile di fronte alla quale ... ogni lingua deven, tremando, muta e li occhi no l'ardiscon di guardare...(continua)

    Saluti Anna Bini e tante sincere scuse ...
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    Messaggio Da Lemond Ven Nov 28, 2014 9:17 am

    diario B.B.

    TOUR 2001

    E’ arrivato il momento delle spiegazioni:
    “mitridatizzare” vuol dire, in sintesi, prendere in piccole dosi qualcosa per poi esserne immuni. Alla prima si può pensare al veleno.
    Io no!
    Il mio primo pensiero va …al cibo.
    Per star dietro e sopportare certi amici ci vuole, più che un gran cuore, un buon fegato e uno stomaco che funzioni bene. Il mio ha fatto i capricci. Ho dato la colpa ad un virus, alla febbre. Macché! Non sono proprio capace di mangiare quanto e quando loro. Un vero disastro!
    Ma non certo è stato un disastro il Tour 2001.
    Il mio Tour è stato ritornare indietro nel tempo: entrare nella rimessa della Canottieri S.Remo e vedere molte barche Salani. Pedalare poi per le vie della canora e fiorita cittadina aspettando il pneumologo e chiacchierando con il pneumatico Leo.
    Il mio Tour è anche essere in macchina un po’ annoiati ma vogliosi di arrivare, con un sottofondo musicale di Editte Piaff che quasi impone una melodia da portarsi dietro per tutti i cinque giorni del Tour e che canterò ogni volta che qualcuno mi incita e mi fa i complimenti salita facendo: “ Regard-moi milord, vous avez deja me vu….”. Solo al basco, mezzo ubriaco, non l’ ho cantata perché, oltre ad avermi incitata mi ha anche…toccata!
    Il mio Tour è stato una piccola sfida con me stessa: riportare a casa i mie due cavalieri. L’uno steso sui sedili posteriori della macchina annientato dal mal di pancia, l’altro dormiente per quasi tutto il tempo ammutolito dalla febbre. Nei pochi momenti in cui era sveglio aveva raggiunto però una soglia di insopportabilità tale da somministrargli forti dosi di sonnifero sotto forma di canti a squarciagola della guidatrice.
    Il mio Tour è stato affrontare i piccoli malanni con stoicità ciclistica che vedono nell’ordine: mal di pancia, puntura di zanzara all’occhio dx, febbre , vomito e tanta voglia di essere superiore a me stessa. A casa non avrei nemmeno preso in considerazione l’idea di montare in bici dopo aver avuto la febbre durante la notte (affrontando la mattina il Tourmalet e il Luz Ardiden) e vomitato la mattina del giorno dopo, pedalando mezzo Houtacam ( o Houcatam?). Ma si sa, quando le cose brutte si superano, grandi o piccole che siano, dopo abbiamo il senso della nostra forza….ed io un po’ l’ ho avuto!
    Ma il mio Tour è stato anche … il Tour de France: salite immerse in quello splendido verde di montagne “poppose”, come direbbe il mio caro amico Salvini. Fatica nel raggiungere la vetta sempre più lontana e mai l’ultima prevista per la giornata. Caldo insopportabile da levarmi il casco in salita, stile Nucci. Visione delle due tappe con la prima (Pla da De???) su una tettoia insieme a Roberto e ad uno scorbutico signore e la seconda di impareggiabile bellezza ( Luz Ardiden) sotto un riparo improvvisato da me e Roberto fatto con un foglio di giornale. Vicino a noi c’era un panciuto signore che all’inizio ostacolava, e non poco, la visione del panorama . Quando si è scostato ho potuto guardare in basso e mi si è aperto uno spettacolo bellissimo: la strada era invasa da migliaia di magliette colorate contenenti spettatori sprezzanti del caldo ma non dei gendarmi, urlanti come non mai al passaggio di un centinaio di ciclisti più o meno drogati, più o meno sfatti dalla fatica, più o meno belli. Con le bellezze che vanta l’Empolitour , non ho bisogno certo di agognare quelle della Grande Boucle ma, già che c’ero, ho degnato di uno sguardo il sempre affascinante Lance e un altro biondino, credo australiano (non vorrei osare, data la mia ignoranza non superabile tuttavia da Pagni, ma credo si chiami O’ Grady) Alla mia destra un enorme schermo ingigantiva le immagini della corsa che potevo vedere direttamente in basso. Un vero divertimento, il momento più bello dopo quello dell’attacco di Savoldelli lungo la discesa del colle di Fauniera al giro d’Italia del ’99. Alla fine, sullo schermo, hanno inquadrato il volto del vincitore, mai visto prima, il cui nome non lo so, non lo ricordo e non m’interessa di sapere. So solo che era un basco perché i suoi beniamini, di arancione vestiti, lo osannavano con canti e balli. Le mani e gli sguardi avevano un tenero sapore. Quasi fermavano il tempo.
    Stendo un velo pietoso sull’immagine che ritrae il povero dott. Chiarugi e la sottoscritta sedotti dall’amicizia e abbandonati come cani randagi, che aspettano invano coloro che non ritornano. Fra una nausea e un’altra, col freddo pungente (forse era febbre, chissà!) si alza un grido:” So dove sono quegli ingrati, irriverenti e dimentichi di chi soffre. Hanno le gambe sotto i tavolini dell’Auberge de l’Arrioutu”. Un cartello, ai bordi della strada, indicava chiaramente dove loro hanno passato le due ore di inutile attesa. Con la coda tra le gambe, un po’ martiri, un po’ eroi, ritorniamo lemme, lemme a Lourdes. “Madonnina cara, perdonali perché non sanno quello che fanno!”
    Il mio corpo è un po’ provato dopo tre giorni di ciclismo matto e disperato e sinceramente sono un po’ stanchina; ma la fatica maggiore l’ ho affrontata la sera, durante la giratina per le strade affollate di Lourdes. Con l’Empolitour al completo, mi sembrava di essere alla Coop insieme alle mie zie ottantenni che fanno tre passi su un mattone. Uno strazio sopportare quel ritmo con la stessa storia, le stesse parole tutte le sere:” Carpigiani si Carpigiani no”. Ovviamente…..Carpigiani si
    ANCHE QUESTO E’ L’EMPOLI TOUR…… SOPRATTUTTO QUESTO!!!!







    Questa palese e grave interruzione di resoconti ciclistici e non mi fanno male. Guardo le date e vedo un buco fra quelli che sono stati gli impegni del gruppo e le uscite estive. Perché non ho scritto nulla, perché non mi usciva nulla dalla penna? Il motivo è semplice: “Non mi viene nulla da raccontare, non ho niente da ricordare .”
    Una cosa è certa: sono cambiate tante cose nella mia vita e anche il modo di pedalare ne ha risentito molto. Oggi, mentre pedalavo per i colli di Signa, disegnavo nella mente un po’ l’itinerario. Non me ne andava bene uno. Forse perché non mi stimola più pedalare e soffrire; oppure non ho più voglia di soffrire inutilmente. Quando uno sale, e sale, e sale ha la voglia sempre più forte di scendere o, per lo meno vedere lo scollinamento. A me succede, in questo momento, nella vita ma anche e soprattutto in bici, di aver voglia di discesa, di tirare il fiato, di raccontare al mondo che sono felice anch’io.

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    Messaggio Da Lemond Dom Nov 30, 2014 9:23 am

    l mio amico Dante (le opere minori 2)

    “Signora c'è un taxi che l'attende.” Scendo la scalinata un po' affranta, marzocco mi saluta con un languido ruggito ed io aspetto un cenno dal divino , ma lui fermo nel suo atteggiamento sdegnoso e impassibile ... del resto sono anch'io una scellerata fiorentina!!!
    Scellerata sì , ma innamorata di Dante e delle sue opere eterne....e allora non mi resta che tornare in piazza S Croce ai piedi della statua del mio adorato. Come al solito piove , mi rannicchio sotto il marzocco custode del Convivio e penso a quale fatica di ricerca Dante si sia sottoposto. Il divino da quello che riferisce l'aneddotica popolare non era un buongustaio, anzi molto parco nei cibi ... lui aveva solo fame di sapere, di fare capire al popolo l'importanza dell'idioma fiorentino, del volgare insomma, per quegli illetterati digiuni di latino, ma anche di far mangiare a tutti il pane del sapere... bastano anche le briciole, così come è capitato a lui al Convivio dei saggi. Dante non può tenere per sé l'esperienza di aver partecipato ad uno straordinario banchetto e scrive “Il convivio”.
    Il leone custode del Convivio scuote su di me bricioline che io non riesco ad afferrare. Sono rammaricata della mia incapacità, allora ricorro alla memoria scolastica e mi sazio avidamente delle stille di lacrime del leone , addolorato per la mia ignoranza.
    Il Convivio è una specie di enciclopedia (tipo Le tresor di Brunetto Latini in lingua d'oil), scritta fra il 1304-8, quando Dante è in esilio tra Verona e la Lunigiana. Dei 15 trattati che lui si è proposto, soltanto 4 vengono terminati. In questo convivio, il pane sono i commenti esplicativi, le vivande versi prose e canzoni.
    Fin dall'inizio si preoccupa di diffondere il volgare anche come commento alle canzoni. Il latino però rimane la lingua inalterata nella sua armonia e nelle leggi razionali. IL Vate sostiene di comportarsi verso il volgare come un innamorato: vuole lodarlo per esaltarlo, è anche geloso e lo protegge dagli attacchi degli stolti che ostacolano il volgare a favore del provenzale.
    Commentando la canzone “Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete” Dante invia notevoli messaggi di filosofia e di scienza, poi informa che dopo la morte di Beatrice si confortò con i filosofi Boezio e Cicerone, da qui alcuni desumono che la “donna gentile” non sia altro che la filosofia: La filosofia che viene adorata al pari di una donna come si intende dal commento alla canzone “ Amor che nella mente mi ragiona” riguardante il III trattato.
    A questo punto l'aquila a lato di Dante dispiega le ali e fa un ampio volo su piazza S. Croce poi plana accanto a me. Nobile e maestosa . Io creatura “ima” un po' vergognosa, di origini basso borghesi non oso sollevare la testa; il sacro rapace mi da una beccatina sulle spalle come per dirmi che la nobiltà non è legata alla nascita ma alla purezza del cuore e gusta le ultime briciole del fatale Convivio. Poi ritorna al suo posto, simbolo della monarchia universale di origine divina, esaltata da Dante insieme alla civiltà comunale che non deve essere in contrasto con quella cristiana. Spero di diventare una nuova figura di intellettuale, diffusore della cultura, della moralità e dell'impegno politico, forse non riuscirò e allora ..grazie e tante scuse Anna Bini


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    Messaggio Da Lemond Dom Nov 30, 2014 9:35 am

    Diario di B.B.

    Venerdì 9-11-2001 Ded. Basiliche Lat.

    Come le altre volte, durante il tragitto in macchina, mi sono immaginata il percorso da fare.
    Il bosco!
    Era tanto che non pensavo a lui, ai suoi colori, odori e ai suoi sapori. Mi sento a casa mia quando lo penetro a tutta velocità e lascio dietro a me polvere, se non è piovuto, o schizzi se è pieno di pozze. Sono proprio contenta di aver pensato a Faltognano questa mattina. Arrivata nei pressi del leccio, parcheggio la macchina e do un’occhiata al panorama. E’ come essere sul camminatoio delle mura di un castello. Guardo in basso e penso :”Il mio feudo è proprio bello”. Riconosco il fiume, le case dei paesi sottostanti. C’è la rocca di S.Miniato e, più in là, sulla sinistra, ci sono le colline di S.Gimignano. Se poi è una luminosa e chiara giornata, si può vedere anche il mare. Lascio la macchina e mi avvicino al bosco. Quanto tempo è passato! Tanti mesi, quasi un anno. Il tuo sentiero è sempre bello e accogliente. Ti guardo e ti sento amico. Non ho mai paura anche se sono sola, lontano dalle abitazioni. Mi allontano sempre più e sento i tuoi odori pungenti, i tuoi colori che mi riscaldano l’anima e i tuoi sapori che mi inteneriscono. I corbezzoli sanno di buono, di antico e mettono un po’ di malinconia. “Non più di uno”- dice il saggio! E corro, corro verso la mia meta, verso il tuo cuore, verso il tuo “dentro”. Il respiro è sempre più affannoso, il mio cuore batte forte, forte e il sudore cade inesorabile. I miei capelli sono bagnati come nelle giornate più calde di Agosto. Le mie gambe... le mie gambe cosa stanno facendo? Non pedalano! No, non stanno pedalando. Perché, cos’è successo? Ai miei piedi non ci sono i tacchetti ma leggere e morbide scarpe; i miei pantaloncini sono... semplici pantaloncini. E con un bottoncino colorato, per giunta! Ma, cos’è successo? Sto correndo! Si, sto correndo come una pazza da ben un’ora e mazza. Senza raggi, senza cambio, senza casco, senza pedali, senza catena.
    Senza la catena!
    Si, mi sento libera, libera come non mai.



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    Messaggio Da Lemond Mar Dic 02, 2014 4:46 pm

    Il mio amico Dante ( opere minori 3)

    Sto attraversando il Ponte alle Grazie, sotto di me l'Arno “un fiumicel che nasce in Falterona e cento miglia di corso nol sazia”. Chissà quante volte Dante vi si sarà specchiato e magari avrà rinfrescato i piedi sudati costretti in stivaletti di cuoio non sempre morbido. E allora avrà pensato "come farò a far capire le mie terzine a questo popolo *vernacolare* che mi gira intorno"? Sarà necessario “partire” dagli eruditi latinisti e far loro intendere l'importanza di una lingua sciolta, adatta a tutti i palati e diffonderla anche con opere di alta poesia !

    Scendo quasi di corsa via de' Benci, poi Borgo S. Croce: eccomi sotto il marzocco custode di... c'è una lattina di Coca cola vuota su una zampa del leone (che incuria questi turisti!).. la tiro via ed ecco si apre il petto del leone ed esce “De vulgari eloquentia”. Mi guardo intorno: la statua di Dante, l'aquila , i marzocchi , tutto a posto! Ma io ho in mano un libro ... che magia è questa ? E' Il miracolo della passione, della fede nella letteratura, nel genio del vate...

    DE vulgari eloquentia, scritto fra il 1303-4, in latino, forse perchè rivolto agli eruditi. Dei 4 libri previsti, Dante non termina neanche il secondo.

    Dante esamina il volgare, definendolo idioma naturale come quello dei bambini e lo distingue dalla grammatica, cioè dal latino letterario, immutabile e artificioso. Poi esamina “Torre di Babele” : episodio biblico dove gli uomini presuntuosi nel costruire la torre, furono puniti da Dio, che confuse i loro idiomi, per cui non s'intesero più. Prima si parlava l'ebraico comune a tutti gli uomini, ora si fa una distinzione. Il gruppo linguistico del settentrione o germanico, quello del meridione o romanzo e quello orientale o greco. Nel gruppo meridionale . Provenzale o lingua d'oc ; lingua d'oil o francese; lingua del sì o italiano. Riguardo all' italiano, Dante conta 14 dialetti come le regioni, 7 a destra e sette a sinistra della dorsale appenninica .Ognuno dei dialetti ha varie rozzezze e brutture per cui è difficile decidere una lingua che sia illustre, cardinale, aulica e curiale. Bisogna evitare il particolarismo dialettale; Dante sa che la lingua della Commedia è il volgare fiorentino, filtrato e selezionato da un senso di equilibrio e di misura. Lui non è contento dell'indagine linguistica, analizza tre specie di stili: Elegiaco, Comico, Tragico. All'elegiaco “stile degli infelici” si addice un volgare piano e umile; per il Comico, stile mezzano si può usare un volgare familiare, un po' dimesso, vicino al parlato; al Tragico,alto e sublime è d'obbligo il volgare illustre soprattutto per i temi dell'amore (Venus), delle armi (Salus) e della rettitudine (Virtus). Il più collaudato dei metri è la canzone. Dante è molto moderno nell'individuare le affinità delle tre lingue romanze: Francese, Spagnolo, Italiano. Dante insomma crea un disegno storico della nostra poesia fin dalle origini, vedi per esempio la Scuola Siciliana.

    Il vate ora è stanco, ha dolori in tutto il corpo, si abbandona sulla scranna, per di più ha finito i rotoli di pergamena regalatigli da un mecenate... certo lui non si può permettere un materiale scrittorio caro e raffinato e allora è meglio interrompere...”Signora, si allontani dalla statua... è sotto controllo elettronico !”

    Caro amico Dante, a quest'ora avresti già ideato un idioma informatico magari illustre ma adatto anche a me popolana ignorante!

    Saluti da Anna Bini e scusate...

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    Messaggio Da Lemond Sab Dic 06, 2014 9:17 am

    Il mio amico Dante ( la commedia)

    “Dolce stil novo”, cioè non amaro anzi squisito , non antico ma nuovo, diciamo moderno!!! La donna diviene un angelo che guarisce l'uomo dai vizi e lo innalza alle vette metafisiche, non è più madonna, mea domina, altera femmina omaggiata dal cavaliere. Caro amico Dante , scusa se te lo dico, Beatrice non mi pare tanto “delicata” nei tuoi confronti, con quel sorrisetto di commiserazione, con quel fare riservato ma non sempre, perfino gelosa! L'amore è cieco e quindi non ho altro da aggiungere.

    Il vate intrappolato negli intrighi politici, negli amori “petrosi” (Dante dedica 2 canzoni e 2 sestine ad una certa Petra, donna spietata e dura nei suoi confronti, che gli ispirò versi violenti quasi infernali “rime Petrose”i), cade nell'abisso della depressione e, siccome non ha a disposizione né il Tavor, né rasserenanti, risale la china e dà sfogo al suo umore nero concentrandosi, decide di arrampicarsi su per il monte della pietà, ma ripiomba nelle sabbie mobili. Dall'alto gli viene calata una corda : è la musa Calliope che sollecitata da Apòllo, abbandonato il natio Parnaso , salva Dante, lo abbraccia. lo bacia ed alita su di lui il soffio della immortalità poetica.

    Dante si desta in mezzo ad una radura. E' venuto il tempo della Commedia, divina, come la definirà Boccaccio, è venuto il tempo di un lungo viaggio, di cui Dante riferirà ogni particolare.

    Prima di partire bisogna dare un'occhiata al pianeta terra: Divisa in due emisferi, Boreale a nord, australe a sud ; dalla parte occidentale dell'Equatore scorre il fiume Ebro, da quella orientale il fiume Gange. Sulla superficie del Boreale (dove sono i continenti, cioè le terre emerse) c'è la citta di Gerusalemme, sotto la quale si apre il cono rovesciato dell'orrido inferno, poi al vertice di questo si passa in una natural burella, un cunicolo sotterraneo attraverso l'emisfero australe ricco di acque degli oceani , e si sbuca in una radura su cui s'innalza la montagna del purgatorio; giunti sulla vetta si può spiccare il volo verso i cieli dei beati e della gloria di Dio.

    Il poema si chiama Commedia perché finisce bene, quindi Dante, come ha detto spesso,usa lo stile comico, ossia semplice, vicino all'espressione popolare. Si pensa però che il vate abbia, con questo titolo, fatto un atto di modestia, nei confronti di Virgilio, sommo maestro, autore dell'Eneide scritta nell'alto stile tragico.

    Il viaggio forse va dall'8 al 14 aprile 1300, anno del primo giubileo, indetto da Bonifacio VIII

    Ho lasciato il mio amico Dante, salvato da Calliope in mezzo ad una radura, senza via d'uscita, se non in un bosco pauroso, pieno di voci stridenti, di rumori strani che stuzzicano la fantasia geniale di Dante, che non rinuncerebbe mai a tale esperienza .. e allora via nel male dei mali, nell'oscurità del peccato, nella malvagità assoluta, senza speranza ...

    Dante anche se ha solo 35 anni, ha una paura del “diavolo”, in mezzo alla selva, anche perché non si rende conto di come ci sia entrato. La commedia , cioè il resoconto del viaggio comincia con l'entrata all'inferno. Inferno, Cantica di 34 canti in terzine incatenate (3 versi endecasillabi: il primo fa rima con il terzo, il secondo con il primo e il terzo della terzina successiva :aba/bcb/cdc...) Vi saluto e mi scuso....con un caffé forte Anna Bini


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    Messaggio Da Lemond Lun Dic 08, 2014 9:25 am

    Il mio amico Dante (inferno: gli incontinenti dal I al V canto)

    Dante, ma perché ti vuoi sacrificare in questo luogo così orrendo.. hai solo 35 anni goditeli!?! Prendo un lembo del suo mantello e cerco di trascinarlo verso un colle illuminato dal sole delle virtù. Ma tre belve ci ricacciano indietro. Scappo via atterrita, senza pensare più al mio amico. Si tratta di una lonza, simbolo della lussuria , che non poteva essere che coperta di pelo maculato; poi di un leone famelico e superbo come il peccato che rappresenta e infine di una lupa magrissima all'aspetto ma piena di tutte le cupidigie del mondo (l'avarizia appunto).che atterrisce Dante, che retrocede. Io da dietro un rovo,vedo venirgli incontro un'ombra che non è altro che il maestro Virgilio, inviato in soccorso di Dante per l'intervento di Maria Vergine e di Beatrice. Dante può essere contento di avere come guida Il cantore di Enea. Virgilio grande poeta latino, nato ad Andes presso Mantova. Virgilio gli fa capire che non può evitare la tremenda lupa che un giorno un cane prodigioso (il veltro) la farà morir con doglia , quindi è necessario prendere altra via cioè passare per l'inferno.

    Ma come è fatto l'inferno : Lucifero, angelo nero ribelle, precipitato da Dio sulla terra formò una voragine , La terra ritiratasi alla vista del malvagio dette poi luogo al monte del Purgatorio.. Si passa attraverso una porta e si entra nell'antinferno. Qui c' è il primo fiume infernale Acheronte dove Caronte traghetta i dannati.. L'inferno è diviso in 9 cerchi: 1) limbo 2) lussuriosi 3) golosi 4) avari e prodighi 5) iracondi e accidiosi (qui c'è una palude originata dal Fiume Stige) 6) si entra nella vera città di Dite con i dannati eretici. Dal 1° al 5° cerchio si sconta il peccato di Incontinenza. Gli incontinenti sono coloro che sottomisero la ragione al talento,

    E' bene chiarire subito che cosa è la legge del Contrappasso: le pene che subiscono i dannati, o sono analoghe al peccato commesso o sono opposte.

    Riassumendo : Antinferno : gli ignavi che non fecero il bene che avrebbero potuto, qui corrono dietro un'insegna, punzecchiati da insetti; dannato notevole Pietro da Morrone che per viltà rifiutò di essere papa Celestino V. I° cerchio: Limbo qui sono coloro che non conobbero Cristo o non furono battezzati, non hanno alcuna pena, ma non vedranno mai Dio. Ombre notevoli: Omero, Orazio, Ovidio Lucano ecc), 2° cerchio: Minosse è il giudice infernale; si avvinghia la coda intorno al corpo tante volte quanti sono i cerchi in cui il dannato deve scendere. Qui sono i Lussuriosi: furono trascinati dalla passione, ora sono sbattuti dalla bufera che mai non resta. Dannati celeberrimi: Francesca dei Da Polenta di Ravenna (data in moglie al deforme Gianciotto Malatesta, signore di Rimini) tradì il marito col bellissimo cognato Paolo e ora ne subisce le conseguenze!. 3° cerchio i golosi. Il guardiano: Cerbero fiera con tre teste che graffia e assorda con i suoi tremendi latrati i dannati. Golosi che amarono troppo il cibo e bevande, ora sono nel laido fango sotto acqua sporca e neve. Notevole: Ciacco , ghiottone fiorentino, forse il poeta Ciacco dell'Anguillara. 4°) 5°) cerchio Guardiani : Pluto e Flegias nocchiero sulla palude del fiume Stige. Qui gli avari e prodighi volgono col petto massi su per una salita e poi ridiscendono in due schiere opposte (al giudizio universale gli avari risorgeranno con i pugni chiusi , i prodighi con i crini mozzati). Gli iracondi e accidiosi immersi nella palude Stigia. Notevole: Filippo Argenti degli Adimari ricco e iracondo fiorentino Saluti e tante scuse Anna Bini Questi brevi scritti servono per ricordare ogni tanto di leggere Dante...





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    Messaggio Da Lemond Mar Dic 09, 2014 1:41 pm

    Diario di B.B.

    DOMENICA 25-11-2001 CRISTO RE

    Mezza città si mette a correre: è il giorno della Marathon!


    Seitreduedue. Questa sono io!
    Sono in mezzo a ottomilaquattrocento persone coloratissime, infreddolite, sorridenti e pronte a passare una mattina un po’ particolare. Davanti a me ci sono tre buontemponi aretini, uno dei quali ha dipinta sulla pelata una cicatrice a mo’ di sfregiato. Alla mia destra ho dei signori di Aix- en Provence che sanno tanto di Tour; a sinistra c’è un uomo che lancia in aria, senza badare a conseguenze, un maglione coloratissimo e sbrindellato. Da dietro mi arriva un caldo abbraccio: è l’eterodosso podista che mi stringe e, vista la temperatura, accetto volentieri il gesto. In questa posizione osservo con molta emozione la folla. Una voce annuncia che tra pochi minuti verrà dato il via e un atleta non vedente chiede un urlo perché vuole anche lui “vedere” il piazzale Michelangelo pieno, all’inverosimile, di podisti. Sono emozionata come non mai e anche un po’ impaurita perché conosco, si le mie doti atletiche ma soprattutto sto valutando i miei limiti e questa mattina ne conto tanti.
    VIA! So che i miei primi chilometri saranno i più difficili perché ho il rifiuto della stanchezza, non amo correre e vorrei fermarmi da un momento all’altro. Il chip, un ciao a Roberto e le gambe si muovono insieme a quelle di centinaia e centinaia di persone che corrono intorno a me. Uomini più o meno panzoni, donne più o meno culone, giovani più o meno belli. Ce ne sono di tutti i gusti. Un tipo manda un urlo, mi sorpassa e comincio a ridere perché… è vestito da capo indiano con tanto di penne in capo e gonnellino in pelle scamosciata. E giù, verso porta Romana! Mi saluta una ragazza che mi chiede:” Ma cosa ci fai tu qui?” “Non ne ho la più pallida idea” –rispondo salutandola cordialmente e, ovviamente, non riconoscendola. Vengo a sapere, dopo, che fa parte del gruppo ciclistico senese (l’ ha scritto dietro la maglietta!!!). I francesi sono sempre vicini a me e uno di loro, passata Porta Romana, fa pipì vicino ad un platano ormai privo di foglie. A proposito di foglie, dopo un po’ mi volto e alla mia destra corre, con poca convinzione, Riccardo Fogli. Con la mia innata voglia di attaccar bottone gli dico :“ O canta!” e lui per tutta risposta intona:” Mi dispiace di svegliarti…” Corriamo un po’ insieme e lui mi chiede se è la mia prima maratonina “ Si, è la prima volta che prendo il via ma…a una corsa podistica” Lui non ci crede, mi dice ci andare più piano ma io lo saluto e continuo con il mio ritmo. Che bello quando, attraversato l’Arno sul Ponte Vespucci, si vede una interminabile coda di persone su entrambi i lungarni. Mi viene per un attimo in mente il Fedaia mentre correvo una delle mie Maratone Des Dolomites. Sensazioni uniche, irripetibili e difficili da raccontare. In via de' Tornabuoni sono colpita dalla gigantografia di un uomo che ricambia lo sguardo di una donna molto sensuale. Tante cose, tanti rumori e tant’altro ancora catturano la mia attenzione in quel tratto di strada. Mi sento chiamare e vedo un mio amico canottiere-ciclista che mi incita saltellando sul marciapiede. Siamo davanti al campanile di Giotto “ Dio com’è bello questa mattina, più del solito”- penso e proseguo, insieme a una ragazza che noto vicino a me da un pezzo, verso via Cavour. Arrivati a piazza San Marco, una signora impellicciata con la borsetta a tracollo e tacchi a spillo cerca, con aria un po’ aristocratica, di attraversare ma non trova un varco tra i podisti. Finalmente ci prova ma per poco non urta un ragazzo che la brontola. La signora, per tutta risposta, dall’alto della sua signorilità gli urla:” Mavaccagare!”. Che modi signora, si vergogni! Lei è diventata, in un attimo, la donna più brutta del mondo. E via verso Piazza della Libertà, viale Don Minzoni, il Mugnone. In fondo, nei pressi della Fortezza, avvicino una ragazza e le dico che mi fa piacere averla accanto perché mi da il ritmo. Anche lei ricambia e corriamo così vicine fino all’arrivo. Al rifornimento lei prende dell’acqua e io rallento perché non sono abituata a bere mentre corro perciò non voglio rischiare. Ascolto il mio respiro e il mio cuore. Che bello, non sono mai stata in affanno, direbbe qualcuno di mia conoscenza. Siamo già alle Cascine ed è lì che Giovanni di Montelupo mi domanda stralunato “Occheccifai?” conoscendo la mia “allergia” alla corsa. Corro verso il centro storico, verso il Duomo, verso un quasi capitombolo perché intendevo correre guardando la cupola del Brunelleschi. Quando mi rendo conto che ho superato i 15 km mi viene la paura di non farcela. “Sono stata bene fino ad ora- penso- e devo mantenere questo ritmo per arrivare indenne a Santa Croce”. La ragazza che mi è vicina sembra leggere nei miei pensieri e mi domanda se tutto va bene. “Da quanto tempo corri?- mi chiede- Sembra non credermi quando le rispondo che questa è la prima corsa che faccio e aumentando la dose le attacco un bottone sulla bicicletta. Siamo in pieno centro storico e comincio ad avere voglia di piazza Santa Croce. Da ora in avanti i pensieri si confondono e una strada vale l’altra; non ricordo il percorso. Mi ricordo che negli ultimi due km mi affianca il Chiarugi che è tornato indietro dopo aver tagliato il traguardo. Mi incita fino all’arrivo riuscendo perfino a farmi aumentare il ritmo. Arrivati a Santa Croce e tagliato i traguardo, abbraccio la ragazza e all’unisono ci chiediamo:” Come ti chiami?” “EvaBeatrice” è stata la risposta.
    E’ stata faticosa? E’ stata bella? E’ stata emozionante? E’ stata una novità? E’ stata una pazzia? E’ stata una liberazione dalla catena- casco-raggi –telaio -ruote? E’ stato essere soli in mezzo a ottomilaquattrocento persone? E’ stato non rendersi conto che per 15 km stavo correndo?
    E’ stata una sfida con Beatrice e Beatrice ha vinto ed è per questo che non invidia la gioia di Daniel Too Kirwa, il vero vincitore della Maratona.
    Alla prossima?
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    Messaggio Da vallelvo Mar Dic 09, 2014 8:40 pm

    Si certo, alla prossima, mi spiace di aver perso i precedenti post, ricupererò.

    Mi piacciono questi racconti di vita vissuta. Affrontare "imprese" che non sai se riuscirai  portare a termine, è una sfida con se stessi. Storie di sentimenti, gioia, felicità per la conquista. Quando ce la fai, pensi che è il giorno più bello della tua vita e il ricordo  ti accompagnerà per sempre. cheers


    Questi racconti dovrebbero essere postati sul forum dello "sport" perchè quella appena letta è una  storia sportiva, o sbaglio?

    B.B. 25.11.2001: per me e stato il 18.08.1981, forse un giorno la racconterò.  bom
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    Messaggio Da Lemond Mer Dic 10, 2014 9:05 am

    Il mio amico Dante ( Inferno 3)

    Sempre più in basso e sempre più impaurita, dietro Virgilio e Dante, che saliti sulla barca di Flegias attraverso la palude Stigia, dentro cui Filippo Argenti tenta di trascinare Dante, approdano sotto le mura della città di Dite.
    Qui devo raccontarvi lo stupore e l'angoscia che mi provoca la vista di questa città. Dite (latino= dis o ditis o dispater = al greco Plutone Dio dell'ade (ade= senza luce). Le mura sono come di ferro infuocato, circondate dalla palude stigia, munite di alte torri, illuminate da faci eterne. I miei due amici intendono oltrepassare la porta per entrare nel più profondo “orrido”. Una banda di diavoli cattivi, per forza, arroganti impedisce loro l'ingresso a più riprese, nonostante i tentativi di Virgilio ( la ragione) di persuasione. A spaventarci ancora di più appaiono sulla torre sovrastante la porta, le tre Furie (Megera, Aletto, Ctesifone) che invocano la venuta di Medusa, perché renda di “smalto” Dante.
    Virgilio invita il vate a non guardare in su, altrimenti se la Gorgone o Medusa lo guardasse rendendolo di sasso “nulla SAREBBE DI TORNAR MAI SUSO !”
    Finalmente a liberarci da questa incresciosa situazione arriva un messo celeste che con una “verghetta” o piccolo scettro respinge a male parole i diavoli, apre la porta a noi audaci pellegrini e si ritira velocemente. Da qui in poi, vi avverto, è il vero e proprio inferno! Ma ora entriamo in una landa spettrale, piena di tombe scoperchiate ed infuocate. Siamo nel VI cerchio, quello degli eretici, che credettero in false dottrine e non in Dio, si illuminarono alla luce di queste, ora giacciono in tombe infuocate che si chiuderanno alla fine del giudizio universale. Dannati notissimi: Farinata degli Uberti ghibellino, quindi nemico di Dante e Cavalcante de' Cavalcanti padre del poeta Guido . Il mio amico è sconvolto dalle rivelazioni di Farinata sul suo futuro esilio, ma fa un atto di pietà verso Cavalcante assicurandogli che il figlio Guido è ancora vivo. Ed ora ci aspetta un Burrato cioè un precipizio, pericoloso difficile a percorrere. Virgilio ci spiega che tale frana fu provocata da un terremoto quando Cristo scese nel limbo per liberare molte anime. Si arriva nel VII cerchio diviso in tre gironi.. Qui ci sono. 1) Violenti: contro il prossimo, 2) violenti contro se stessi, 3) violenti contro Dio, natura e arte. Dante, esortato da Virgilio, guarda a valle vede un fiume di sangue bollente Flegetonte dove sono immersi i violenti, tipo tiranni omicidi predoni. A guardia del girone c'è Minotauro (mostro mezzo uomo e mezzo toro, figlio di un toro e di Pasifae regina di Creta, ucciso da Teseo con l'aiuto di Arianna),[nota mia, vedi la Storia di Teseo in "Vite parallele" di Plutarco] aiutato da centauri armati di archi per colpire i dannati che osano tentare di uscire dal fiume. Passiamo dove il fiume è più basso scortati dal centauro Nesso.
    Ed ecco un 'altra selva, forse più allucinante del bosco all'inizio del viaggio. Non rami verdi, ma di colore fosco, nodosi e contorti, non pomi ma stecchi con veleno. Ma dove siamo capitati? Nel II girone del VII cerchio.
    Sugli alberi infernali sono appollaiate le Arpie = rapitrici (mostri con larghe ali, viso di donna e corpo di uccello rapace che cacciarono Enea & C dalle isole Strofadi profetando loro futuri guai).Si sentono lamenti, ma non si vede nessuno. Allora Dante spinto da Virgilio tronca un ramicello da una pianta e orrore degli orrori !! Escono parole e sangue ... Perché mi schianti? Non hai sentimento di pietà? ... Saluti con tante scuse da Anna Bini


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    Messaggio Da Lemond Sab Dic 13, 2014 9:09 am

    Il mio amico Dante (inferno 4)

    Già, già, ora capisco siamo nella selva dei suicidi, cioè nel II girone del VII cerchio. I suicidi che con violenza liberarono la loro anima dal corpo, ora sono chiusi in sterpi contorti, dilaniati dalle Arpie ( dannato noto : Pier delle Vigne, poeta della Scuola Siciliana, consigliere di Federico II di Svevia, calunniato fu incarcerato, si tolse la vita per aver perso la fiducia del suo imperatore).
    Mi sento quasi svenire dalla pena, ma non mi succede, perché vedo anime correre fra i grovigli del bosco inseguiti da nere cagne fameliche: sono gli scialacquatori, fecero in fretta violenza alle proprie sostanze... ora, per il contrappasso, sono condannati così.
    Mi accorgo che il Flegetonte con un fracasso indicibile si getta giù nell'ottavo cerchio. Noi tre siamo sull'orlo di una ripa scoscesa, speriamo che qualcuno ci aiuti! Infatti arriva dal fondo Gerione nell'aria caliginosa e, a un cenno di Virgilio, si avvicina all'orlo dove siamo. Guardandolo bene: testa e busto munito di due branche pelose, appoggiati alla roccia,.la faccia è quella di uomo giusto, il corpo di serpente, dipinto di nodi e rotelle che penzola nel vuoto. terminando con una coda aguzza tipo scorpione (Simbolo della frode, appunto il peccato di fraudolenza che viene punito nell'ottavo cerchio diviso in 10 bolge. Secondo il mito greco, Gerione è un mostro a tre teste e tre corpi che si riunivano alla vita, poggianti su due piedi. Forse fu re di Cadice, padrone di un ricco armento rubatogli da Ercole che poi l'uccise).
    A estremi mali estremi rimedi! Non dobbiamo far altro che saltare in groppa a Gerione, dopo aver brevemente parlato con i dannati usurai. Con grande schifo cavalchiamo il mostro, che dietro invito di Virgilio, per non procurarci ulteriori traumi scende lentamente a ruote larghe e tarde, ci depone al fondo della ripa e si allontana velocemente.

    Sarà meglio chiarire la divisione dell'ottavo cerchio, tutto di pietra colore grigio ferro, in mezzo c'è il vuoto, intorno a modo di spirale le 10 bolge: 1) Seduttori 2) Adulatori 3) Simoniaci 4)Indovini 5) Barattieri 6) Ipocriti 7) Ladri 8) Mali consiglieri 9) Seminatori di discordie 10) Falsari. Per passare da una bolgia all'altra ci sono delle specie di ponti poco agevoli. Mi rendo conto di avere intrapreso un viaggio misterioso e allucinante, ma non posso tornare indietro. Ora vedo anime che girano per la prima bolgia sferzati di dietro da diavoli. Sono i seduttori che commisero azioni vergognose ora scontano così la loro colpa. Dante è sconvolto e sta per vomitare nel sentire il puzzo che proviene dalla seconda bolgia. Per forza, il posto è pieno di sterco umano in cui sono immerse le anime degli adulatori. Dannati di rilievo : il lucchese Alessio Interminelli e la meretrice ateniese Taide. In mezzo a questo sterco rivoltante voglio ricordare come erano i gabinetti (non dei poveri) nel medio evo: un angolino della casa chiuso da una porta, dentro, un buco che andava a finire nel fondo o fuori dell'edificio ricoperto di assi malferme. Boccaccio nella novella Andreuccio da Perugia (vedi Decamerone V novella della II giornata) ci descrive il gabinetto=chiassetto, dove il malcapitato Andreuccio entra, sotto il suo peso le assi cedono e lui piomba nel liquame più vomitevole!!. Però c'era anche chi metteva il sedere fuori della finestra e da lì evacuava; oppure buttava dalla stessa vasi pieni di... Sarà meglio proseguire nella III bolgia dei simoniaci... Saluti e scusate l'ardire Anna Bini





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    Messaggio Da Lemond Dom Dic 14, 2014 9:01 am

    Aggiunta a Inferno 4

    Intorno alla strana selva, c'è una landa di sabbia arida e spessa (III girone del VII cerchio) come nel deserto libico, su cui stanno in varie posizioni sotto una pioggia di sabbione infuocato i Bestemmiatori ( Dannato di rilievo : Capaneo uno dei re che assediò Tebe. Fu fulminato da Giove per le sue bestemmie contro gli dei ) e non di rilievo Robaccia da Empoli, che però, come Bonifazio, sarà vista all'inferno prima di morire. :-)
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    Messaggio Da Lemond Lun Dic 15, 2014 8:26 am

    Il mio amico Dante ( inferno 5)

    Simone, mago di Samaria, cercò di corrompere S. Pietro per ottenere la facoltà di concedere le grazie, doni dello Spirito Santo. Da qui il peccato di Simonia cioè il commercio di cose sacre che capovolge le sacre leggi di Cristo.
    Ora nell'inferno i simoniaci sono confitti a testa in giù in buche circolari, fuori hanno le gambe fino al polpaccio e i piedi torturati da fiamme eterne.
    Siamo costretti a scendere vicino al vertice del buco per poter parlare col dannato
    papa Niccolò III ( Gaetano Orsini) che arrabbiato e straziato dalla pena è in attesa di altri due papi non ancora defunti: Bonifacio VIII ( Benedetto Caetani) e Clemente V ( Bertrando de Got) . Vedo Dante acceso di sdegno contro questi peccatori che osarono oltraggiare il soglio di Pietro, a cui Cristo affidò le chiavi della chiesa senza pretendere denari, ma solo fede. Si scaglia anche contro Costantino che donò al papa Silvestro I il dominio di Roma (si tratta di una falsa credenza), dando origine al potere temporale dei papi.
    Virgilio calma Dante, lo stringe a sé fra le braccia e lo depone delicatamente sull'argine della bolgia. Io seguo con grande difficoltà i vati, però sono onorata di viaggiare con due geni incomparabili. Si passa sopra il ponte della IV bolgia; di lì guardo in basso e vedo una schiera di dannati che camminano lentamente come in processione, piangendo. Guardando meglio, osservo che hanno il capo stravolto, il viso è sul dorso , quindi procedono all'indietro. Le lacrime scorrono dagli occhi giù per la fessura delle natiche. Si tratta dei peccatori Indovini, che osarono guardare oltre il limite, ora scontano così la loro colpa. Dante ha un senso di pietà verso di loro, ma Virgilio lo rimprovera , perché non si può avere indulgenza per i malvagi. Fra i dannati di rilievo: Anfiarao ,uno dei re che assediò Tebe e come aveva previsto fu inghiottito dalla terra; Tiresia indovino tebano; Manto, figlia di Tiresia che fuggi dalla sua terra per sottrarsi alla tirannide di Creonte e approdò in una zona d'Italia fra il lago di Garda e il Mincio. lì trovò una depressione del terreno dove fondò una città ed esercitò fino alla morte l'arte di indovina. La città prese da lei il nome di Mantova, patria di Virgilio. Egli racconta tutto ciò a Dante ed io ascolto estasiata! Albeggia, la luna all'orizzonte dei due emisferi sta tramontando al di là della Spagna. Bisogna affrettarsi, sul sommo del ponte della V Bolgia mirabilmente oscura, colma di pece bollente, simile a quella che i marinai veneziani usano per riparare le navi. In questa orrenda sostanza vischiosa e nera scontano la loro pena i barattieri, cioè coloro che fecero commercio di pubbliche cariche. A guardia della bolgia ci sono diavoli Malebrance muniti di pertiche uncinate con cui arruncigliano i dannati che tentano di uscire dalla pegola spessa. Vedo arrivare un diavolo volante che porta sulle spalle aguzze un peccatore (fresco di giornata) che butta nella pece. Sto per svenire e quindi cadere nel calderone , ma Virgilio mi prende per il lembo della sottana e mi porta in salvo sul margine della bolgia.
    I diavoli in particolare Malacoda sono inviperiti contro Dante che, vivo osa aggirarsi nell'inferno. Virgilio interviene “ragionevolmente” e cheta i diavoli dicendo che il viaggio di Dante è voluto da Dio. Sembra che tutto vada bene, ma ci aspetta un diabolico inganno ... Saluti da Anna Bini ... mi leggete?


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    Messaggio Da Lemond Mer Dic 17, 2014 8:45 am

    Il mio amico Dante (inferno 6)

    Infatti non c'è da fidarsi di un diavolo come Malacoda, che ci da a intendere che il ponte per passare alla sesta bolgia è rovinato da 1266 anni, quindi dobbiamo passare da altra via. Malacoda ci mette a disposizione come guide una decina di diavoli dai brutti musi (Alichino, Cagnazzo, Barbariccia, Graffiacane...), che non fanno altro che spostarsi sempre sul margine della pece. Dobbiamo per forza assistere allo scempio di un barattiere, Ciampolo di Navarra, poi ad un zuffa fra Alichino e Calcabrina, che non sono riusciti ad arruncigliare bene Ciampolo, il quale riesce a tuffarsi nella pece scomparendo alla loro malvagità. I due diavoli si avventano l'uno contro l'altro e intrecciando le loro ali finiscono nella pegola bollente. Mentre Barbariccia ordina a due sei suoi di liberare i compagni impaniati, noi tre ce la diamo a gambe.
    Procediamo con cautela lungo l'argine, ma dall'alto piombano i diavoli che vorrebbero ghermirci , Virgilio stringe a sé Dante, sdrucciola per la ripa scoscesa e si ferma al fondo della bolgia VI, qui i diavoli Malebranche non hanno alcun potere, perché non possono, secondo la legge infernale, allontanarsi dalla loro bolgia. Quindi siamo momentaneamente salvi! Penso che il mio amico Dante abbia patito molto nella bolgia dei barattieri (giustamente sono immersi nella pece vischiosa e nera, come fu la loro arte di ingannare per denaro) perché lui stesso fu accusato dai Neri di baratteria (oggi si chiamerebbe corruzione di pubblico ufficiale, peculato) come molti altri del suo tempo. A Firenze il barattiere veniva legato alla coda di un asino, trascinato per le vie cittadine e poi giustiziato. Anche la pena della pece, richiama ad altre torture mediovali: lessatura” dei delinquenti nell'acqua o nell'olio (in questo caso si chiamerebbe frittura Very Happy), oppure “brandellatura” con uncini od altro arnese delle carni del malcapitato! Ma torniamo a noi! Sempre più dubbiosi, compreso Virgilio che a mala pena riesce a sfuggire ai vari guardiani dell'inferno. Certo la ragione che lui rappresenta è “poca” contro il potere di satana! Di male in peggio! Ora siamo nella VI bolgia: i dannati IPOCRITi vanno lentamente coperti da cappe monacali di piombo pesantissime, esternamente dorate,con i cappucci tirati sugli occhi. Essi fecero finta di agire bene, ma nascosero la malvagitò delle loro azioni, come i due dannati con cui Dante si sofferma a parlare: Catalano de' Catalani (che sentendo parlare Dante toscano, lo prega di fermarsi) e Loderingo degli Andalò. Essi furono chiamati a Firenze come podestà, invece di fare da pacieri aizzarono le lotte delle fazioni.
    Siamo fortemente sconvolti alla vista di un dannato crocifisso in terra, calpestato dagli ipocriti. Si tratta di Caifas che consigliò i sacerdoti e i farisei di uccidere Cristo. Subiscono la stessa pena il suocero di Caifas e alcuni farisei. Vi ricordate che Malacoda aveva ingannato i due poeti facendogli credere che i ponti delle bolge erano tutti crollati (vero) tacendo però che c'erano dei passaggi da bolgia a bolgia, invece Catalano ci indica una roccia sgretolata, per la quale, arrampicandosi, si va nella VII bolgia. Dante alla fine della scalata è spossato, come me del resto! Ma Virgilio lo sprona ad andare, perché prima di giungere a Beatrice dovrà salire la scala malagevole del purgatorio; quindi bando alla pigrizia e all'ozio che non fanno acquistar fama. Il cammino è ronchioso e stretto, ma si va avanti lo stesso in mezzo al buio profondo... Saluti e tante scuse Anna Bini...



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    Messaggio Da Lemond Mer Dic 17, 2014 2:21 pm

    Diario di B.B.

    3 ANNI DOPO...

    Mortirolo 2004-06-16
    L’atmosfera e l’attesa erano come quelle delle importanti gare. Si,lo ammetto. Quella mattina ero emozionata e un po’ me la facevo sotto perché dovevo vincerla quella gara, forse la più importante degli ultimi tempi. Dovevo battere quella Beatrice! Lei che non badava a spese (soprattutto quelle fisiche) e al tempo (e non solo meteorologicamente parlando) pur di allenarsi, pur di avere pace con se stessa per la preparazione fisica. Le gare…. Già il sabato sera era gara. Già quel sabato a Edolo era Mortirolo. Avevo davvero paura di soccombere a quella stronzetta della “vecchia” Beatrice il cui ricordo mi assillava. La rammento sulla regina delle salite, nel ’98, forse un po’ più allenata, ma meno furba dal punto di vista ciclistico. Forse più strafottente e irriverente per le salite, ma meno esperta. Me la ricordo con una gran voglia di scendere ad ogni curva, sudatissima, affannosa, sola, assetata, indurita dai muscoli doloranti e dalla smorfia di fatica. “Mah! Se ho sofferto allora, figuriamoci questa mattina, ho pensato appena sveglia mentre ì Chia' apriva le imposte delle finestre e ì Nucci dava gli ultimi sussulti di russamento. Combattuta tra la meno faticosa salita del valico di Trivigno e il vero Mortirolo, mi ritrovo per ultima a scegliere quale via fare. “Certo Elia sa che maman scala il Mortirolo. Bella figura ci faccio se scelgo Trivigno!”. “Sbrigati a scegliere”- quasi urla ì Caparrrini. Traccheggio con la scusa di telefonare a Maurino ma i secondi passano e i gruppi (Mortirolo vero si, Mortirolo vero no) si sono già formati. Solo la voce di Roberto mi porta alla realtà e mi invita a provare..” Se ce la fai!...” Istintivamente raccatto da buon guerriero la sfida e parto. In quel momento ho sentito,il via, il “la”. La fresca discesa dell’Aprica, Maurino che ci raggiunge,il raggio rotto del Tempestini, le risate di zio, il ciclista che mi aizza, il falso Stelvio che ho fatto filmare da Maurino,la pisciatina, il mercato dei vitelli.. tutto è festa, tutto è riscaldamento. Eccomi Mortirolo.
    Non so com’è; il secondo parto, dice sia più facile, comunque più corto del primo. Il Mortirolo targato ’98 l’ho paragonato ad un parto e di sicuro lo è stato, anche quello del 2004 ma più veloce, più fresco, più equilibrato. La sorsata d’acqua alla fonte di Mazzo ha benedetto tutti e sei i componenti della spedizione ma credo, e mi piace pensarlo, che il Mortirolo mi abbia chiamato come fu per la prima volta. Ho sentito la salita che mi diceva” Vieni, sali, ti aspetto”. E’ vero, ho pigiato fin dall’inizio ma le gambe c’erano e giravano bene. Me lo ricordo tutto, tutto, tutto. Me lo ricordavo anche più bruttino. Invece i colori, la giusta temperatura, il sole brillante, facevano un panorama da cartolina. La curvona che non finiva mai, la casetta solitaria nel bosco sulla sinistra, il bosco fitto, il Plan dell’acqua, il muretto sulla destra, la curva Bugno, la parte finale dei protoni… Le scritte per lui che da lassù, sono convinta, mi ha strizzato l’occhio e mi ha detto “Hai visto vecchia gallina brontolona, rompimento di coglioni che ce l’hai fatta? Io ero più bravino di te, però alla curva con l’alberone hai un’ora e 14 minuti; ben quattro minuti in meno dell’ultima volta. Sai, io ne ho impiegati 48 di minuti ma … sono un’altra storia!! Adesso vai, pedala fino a loro, sono lì che ti aspettano. Vedi, là c’è Roberto che ti fa la foto e il Caparrini che attende il tuo urlo - Record! Record!- Siete stati tutti bravi, tutti, anche quel ragazzo con la vespa che vi ha seguiti e filmati fino a qui. Io sarò sempre con i ciclisti, vivrò in queste scritte, nei vostri ricordi, sulle vostre bandane, nei vostri scatti. Buona vita a tutti voi” Quando il Pirata ha smesso di sussurrarmi quelle parole ero già in mezzo a loro a bischereggiare, a ridere e a farmi la dovuta e meritata foto sotto l’insegna di legno.
    Zoncolan o Mortirolo? E’ un po’ come quando siamo innamorati di due persone contemporaneamente.





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