diario
MARATONA DELLE DOLOMITES
Sabato 8-7-2000
Insolito arrivo. Generalmente ì Goti ed io partiamo di venerdì per goderci più a lungo delle bellezze della Alpi e il piacere di pedalare un giorno in più sui passi che circondano Corvara. Ci possiamo tuttavia permettere un Campolongo sull'orlo della pioggia perché, appena scesi dalla bici e guadagnato il garage dell'albergo di Colfosco, viene giù il diluvio universale.. Pioverà per tutto il pomeriggio. Al ritiro pacchi-gara avrò il piacere di incontrare un sacco di persone. Fra queste saluto cordialmente Marco Poier (sempre più affascinante) e Hildegard (sempre più buffa). La scarsa motivazione nei confronti della gara e la mancanza di Elia mi afflosciano un po'. Tuttavia il tempo passa alla svelta, siamo già al dopo cena e ….buona notte.
Notte un corno! Ho dormito poco e male: sognavo che non suonava la sveglia e che tutti ormai erano già sul Campolongo. Goti riportami a casa!!
Domenica ore 4,45. Suona la sveglia. Facciamo colazione insieme a due ragazzi di Firenze che ci ospiteranno, insieme alle nostre bici, sulla loro ammiraglia fino a Corvara. Saluto tutti e mi avvio verso la Villa:
Manicotti, maglietta estiva, gilet paravento pantaloncini corti, k-way, guantini dell'Empolitour....questo è tutto e, ignara di quello che dovrà succedere, mi avvio alla partenza. Sono in leggera discesa, il freddo è pungente ma penso fra me " Sono appena le 6,15, c'è un bel sole, è sicuramente tutto passeggero. Dopo scoppierà un caldo atroce" Me tapina! Già non sento più le mani e alla partenza tutti bubbolano dal freddo. Intanto io penso alla discesa e ai miei piedi che sono dentro a dei miseri calzini di cotone. Anche se sono un caro regalo, sempre di cotone sono! Il paesaggio è bellissimo e saluto tanti amici. Una voce annuncia che quest'anno si sono iscritte ben 430 donne. C'è Maria Canins vicino a me, un sacco di brave avversarie e ex professioniste. C'è anche Bugno. E chi se ne frega! Sarei stata più felice se vicino a me, come l’anno scorso ci fossero stati Roberto e Marco. Pazienza
Non ho lo spirto del guerrier questa mattina ma in compenso ho voglia di pedalare.
VIA!
C'è Filippo, il filiforme, che mi saluta calorosamente. Arriva subito il Campolongo e, con determinazione mi accingo a pedalare lungo gli stretti tornanti. Qualcuno urla il mio nome. Chi sarà? Con la discesa del Campolongo ho le prime sensazioni di non caldo. Ma proprio " NON "! Per fortuna è una discesa breve e ancora non mi rendo conto del freddo che farà. La salita del Pordoi non è dura; il caldo da me sperato ancora non arriva. L'andatura è piuttosto regolare come è regolare il mio battito cardiaco: 152/54. Dovrei sudare! " Ciao Francesco, buone pedalate ". E via, il Trasacco saluta e se ne va. Arriviamo al passo Pordoi e giù per la discesa.Errore madornale, non metto il k-way. Scoprirò più tardi che la temperatura era di ZERO GRADI. Il freddo mi paralizza. Le mani non le sento più, le gambe sono due bacchette e la bocca è gelata. I piedi dove sono? All'altezza dell'inizio della " via del pane " credo di essere congelata. Ma perché non mi fermo? E' pericoloso in quanto sono in un gruppo che sta venendo giù regolarmente e ho paura di sbandare e far cadere qualcuno se freno all’'improvviso. Si arriva al bivio e si inizia la salita del Sella. A quel punto inizia la crisi: non riesco a sentire la pedalata. Ho tutto gelato: La mano sinistra a malapena butta giù sul 39, la destra si arrangia e trova un rapporto adeguato al congelamento degli arti inferiori. Mi guardo intorno e molti sono nella mia stessa condizione. Nessuno osa dire nulla e solo le note di una folcloristica orchestrina rompono il silenzio " agghiacciante ". Tornante dopo tornante si spera di trovare almeno un po' di sole ma è troppo presto e questi lambisce solo l'ultimo tratto del passo Sella. Questa volta, arrivata al passo, mi fermo, mi metto il k-way e mi butto in picchiata. Finalmente riesco a fare la prima salita come si deve. Il passo Gardena non l' ho mai sottovalutato nonostante sia piuttosto corto e non abbia delle feroci asperità. Viene però dopo una discesa all'ombra e le gambe devono ripartire intirizzite e di brutto. Questa mattina mi è sembrato stranamente facile. Forse è proprio in questo punto che il mio motore si è acceso. Poi, giù verso Corvara e di nuovo il Campolongo. " Vai Beatrice " sento qualcuno urlare tra la folla. Ma chi è? Pedalo proprio bene sulla seconda salita e la discesa verso Arabba è fra le più agguerrite fino a che non mi vengono in mente le parole dì Chiarugi " istinto materno ". Rallento solo un po' e via verso il Falsarego. Qui i motori sono proprio a tutta e, in un tratto di falsopiano leggermente in discesa, tiro un gruppetto a 50/ 55 fissa. Qui è bellissimo. Sulla destra vedo alberi di un verde accecante che contrasta con l'azzurro del cielo. Mi ricordo l'anno scorso insieme a Roberto, in questo punto, sorpassammo un sacco di persone. Quest'anno la situazione è molto più rilassata. Ho fatto dei tratti quasi in solitudine senza la ressa e la bolgia propria degli ultimi partenti. L'attacco del Falsarego vede la scelta: lungo o corto? Corto, corto! Ho sofferto troppo freddo, non ne posso più. Il Falsarego mi vede in ottima forma e per tutta la salita non mi passa nessuno. Sorpasso tutti e questo mi dà una forte carica. Solo un concorrente, mi spiace per lui, ferito nell'orgoglio di maschio- ciclista (razzaccia!) non cede. Bene, mi farà almeno compagnia. Resiste dietro, senza mai tirare neppure un metro, per circa quattro km. Poi lo perdo. Lo ritroverò dopo la gara e mi farà pure i complimenti, facendo guadagnare punti alla " razzaccia ".
...E qui arriva la ciliegina della giornata! Un bambino, splendido, di due anni circa, seduto con la mamma, su un muretto in prossimità di un tornante, mi urla " Tata ". In pieno sforzo l'unica cosa che mi viene istintiva è quella di mandargli un bacio grosso, grosso. Lui mi ringrazia con un sorriso che mi ricorda tanto quello di Elia di quando era piccolo. Mi carica da morire questa cosa e, in men che non si dica, arrivo al p.sso Falsarego. Mi rendo conto che, dopo quasi quattro ore di gara non mi sono mai chiesta quale sarà la mia posizione. C’è rimasto solo il Valparola e, passato il controllo del bip, mi aspetta il dirizzone e poi, giù verso la discesa. A quel punto ho detto una parolaccia ad alta voce: “ Maremma m…la “ suscitando le risate di due montanari. Tirava, in quel tratto, un vento che mi impediva di fare più di 9 km l’ora. Pazzesco! Non ho idea di quanto tempo abbia impiegato per fare quel misero km. Nonostante lo splendido sole, ancora non è arrivato nessun tepore e la discesa mi regala l’ennesimo freddo alle mani. Incredibile il freddo patito oggi! Nei pressi dell’arrivo sono insieme ad un ragazzo romagnolo (accento inconfondibile) che mi fa un sacco di complimenti. Pranziamo insieme come vecchi amici e ci salutiamo come se ci dovessimo vedere anche l’indomani. La Maratona è anche questo: riesce ad accomunare gli animi, i corpi, gli sguardi, i pensieri, …le bici. Poi però, finita la corsa, come per incanto, ognuno ritorna nel proprio Io. All’arrivo apprendo di essere arrivata terza e di essere sul podio con Maria Canins, la vincitrice, e con una ex professionista. E’ proprio un onore essere con loro davanti a centinaia di persone e quando dicono il mio nome” come una vecchia conoscenza della Maratona perché è gia la terza volta che monta sul podio “, mi vengono i brividi. Vorrei che ci fossero i miei amici, ma non è possibile perché loro sono sul Cimone e, spero tanto, si stiano divertendo. Sento Filippo, il filiforme che mi saluta e mi aiuta a portare la coppa. Gentilmente mi accompagna fino all’albergo (altri 3 km di salita!) e insieme ricordiamo la bella pedalata dell’Acquerino e i simpatici amici di Empoli. “ Ma davvero mi ha chiamato Filiforme il poeta? “. Ma ì Goti, dove sarà? Lo ritroverò stravolto dopo tre ore, al solito incavolato con me per averlo trascinato in un’impresa più grande di lui e con il conseguente litigio che tutti gli anni caratterizza il nostro ritorno a casa. La Maratona è soprattutto questo! Arrivata a casa dovrò aspettare Elia: sta tornando dal mare con zio Paolo e famiglia. Mi addormenterò stanca ma felice per l’ennesima avventura alle 1.45 col pensiero tutto lì: il Valparola. Avevano messo degli enormi altoparlanti che diffondevano musiche di Chopin (sul Giau c’era Vivaldi). Peccato, ero sola in quel tratto di salita. Sarebbe stato molto bello avere qualcuno vicino.
Note: 110 km, 4h 30’, bevuta mezza borraccia non perché avessi sete ma per imitazione, mangiato una misera barretta con un Enervitene. Sono proprio scema. FREDDO.
Se penso che ì Chiarugi sta mangiando delle lasagne e bevendo vino rosso, lo scettro è proprio mio!