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    Quale futuro per il ciclismo (quel ciclismo descritto da Danilo Di Luca nel suo libro)

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    Quale futuro per il ciclismo (quel ciclismo descritto da Danilo Di Luca nel suo libro) - Pagina 2 Empty Quale futuro per il ciclismo (quel ciclismo descritto da Danilo Di Luca nel suo libro)

    Messaggio Da BenoixRoberti Mar Apr 26, 2016 10:17 am

    Promemoria primo messaggio :

    Ho fatto uno stralcio dalla discussione sulla frase di Di Luca su Pantani perché la discussione su "quale ciclismo vogliamo?" è decisamente decollata ed era inutile lasciarla nel 3d del grande Marco.

    vallelvo ha scritto:Perchè nessuno intervenne ai tempi? Solo sempre per soldi, anche scrivere i libri....
    Sempre più triste.

    Nel caso specifico, di Di Luca, va detto che lo stesso nel 1998 era all'ultimo anno da Under23.
    Perché nessuno intervenne? Hai ragione da vendere, ma il gruppo è qualcosa di antitetico ad una aggregazione. E' la somma di individui che tale restano anche se assembrati.
    Nessuno è mai intervenuto per un altro pesantemente chiamato in causa.
    Di fronte ai tribunali dell'ipocrisia sportiva (chiamarla giustizia è un eufemismo) ciascuno è e resta solo.

    Non so se si possa dire che Di Luca lo faccia per soldi, che abbia scritto il libro per avidità e denaro.
    Lo trovo riduttivo perché avendo una avviata azienda di produzione di bici, forse, gli sarebbe convenuto il silenzio. Non penso che la sua vita cambi con qualche decina di migliaia di euro mettendo a rischio una azienda, un marchio.

    Infine dalle preview di brani del libro interpreto una narrazione più intima, più su se stesso che non la classica vuotata di sacco per portare fango e danno ai colleghi.

    Eppoi qualche suo ex collega ... che ebbe a scaldarsi a suo tempo, diciamo che sarebbe meglio che non pontificasse.
    Non so se sia peggio tra chi si dopa e viene beccato e chi fa la morale da ventriloquo del potere e poi salta bellamente i controlli perché protetto.
    Per questa ragione non me la sento di gettare la croce addosso a Di Luca in modo esclusivo.
    Di Luca è la punta, ma sotto c'è un iceberg nascosto (dall'antidoping).

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    Messaggio Da vallelvo Sab Apr 30, 2016 5:33 pm

    Scrivi che vuoi sapere, credo dicano solo parte della verità. Troppo scottante l'argomento.
    Per i miglioramenti/cambiamenti ci vuole tempo, temo di non vederli.

    Sul libro non ti so rispondere, non sono tecnologica.
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    Messaggio Da BenoixRoberti Sab Apr 30, 2016 6:16 pm

    leonzi ha scritto:a me invece non fa male affatto leggere questi post. Io voglio sapere. A un certo punto tutto questo giustifica la scarsezza del ciclismo odierno, vale a dire che una speranza di miglioramento c'è.
    Non interpretare le mie parole come quelle di uno struzzo che vorrebbe mettere la testa sotto alla sabbia.
    Io vorrei rispondere a Dante come se fosse un mio parente, un mio amico, come se fosse un mio fratellino o un mio nipote.
    Dico così perché se fosse un mio figlio, credo che prima avrei fatto di tutto perché lui non facesse sport professionistico.
    Il ciclismo odierno seleziona ciò che serve al ciclismo odierno. E' evidente che alcune figure di spicco, non disposte ai compromessi per un sogno, se ne allontanano. E questo porta al depauperamento di talenti, di personalità e ... di valori.
    Al corridore odierno è richiesta una innaturale, assoluta indole all'ipocrisia, in una misura che credo pochi possano reggere.
    Solo che a dire queste cose, ad ammetterle anche soltanto, a qualcuno sembrerà che si voglia criticare i ragazzi prof di adesso.

    leonzi ha scritto:Domanda: qualcuno sa se esiste in formato epub il libro? Credo di no, ma chiedere è lecito, rispondere...
    Io sono andato all'antica. Carta. Mi informo Leonzi.
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    Messaggio Da BenoixRoberti Sab Apr 30, 2016 7:33 pm

    Pensando a sopra mi è venuto in mente questo passaggio del libro e mi si è accesa una lampadina. Idea

    Quando sono entrato nell’ambiente, il divario tra Nord e
    Sud Italia era abissale. So che oggi nel mondo globalizzato
    può sembrare ridicolo che la provenienza conti, ma il ciclismo
    è un piccolo ecosistema e le relazioni che sei in grado di
    coltivare fanno la differenza. Il ciclismo è un fatto lombardo,
    veneto, friulano, emiliano, toscano. I lombardi sono uomini
    di carattere e personalità che hanno vinto grandi giri, i toscani
    sono scalatori, i veneti gregari, cioè più in sottordine
    che in comando. La geografia conta, e molto. Le squadre, gli
    sponsor, i corridori nascono al nord e se non ci nascono ci
    si trasferiscono. Nibali è siciliano, si è formato in una squadra
    toscana e ora vive a Lugano. Lo stesso Figueras, il mio
    grande antagonista nei dilettanti, è napoletano ma correva
    in una squadra lombarda. Essere defilato geograficamente
    significa essere tagliato fuori dalle relazioni che ti permettono
    di costruirti una visibilità, un’immagine, gli amici giusti.
    Tutto questo non lo sapevo, vincere era così facile che non
    mi ha mai sfiorato l’idea di dover sacrificare la mia vita per
    poter continuare a farlo. In Abruzzo stavo bene, i miei affetti
    erano lì, le strade su per il Gran Sasso e la Majella, Carlo
    Santuccione il mio medico curante.
    A Pescara ero adorato come un reuccio.
    Ho pensato che essere un campione bastasse e mi sbagliavo,
    se potessi tornare indietro mi trasferirei in Svizzera.


    Dante cosa vuol dire trasferirsi in Svizzera? Perché è così importante?
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    Messaggio Da vallelvo Sab Apr 30, 2016 7:49 pm

    Faccio anch'io una domanda.

    Cunego si trasferì in Svizzera, dopo poco tornò nella sua terra natia.
    Perchè?
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    Messaggio Da dante battaglia Sab Apr 30, 2016 9:50 pm

    la motivazione di fondo si sa tutti, è pagare meno tasse e l ho fa chi può
    poi lugano è vicino alla frontiera e passata chiasso si è in italia in un attimo e ci si trova sulla briantea a far gruppo con bergamaschi e comaschi
    in svizzera ci sono i procuratori e così i soldi restano lì tranquilli
    se fosse per la uci sposterebbe tutto in svizzera per guardare meglio tutte le comparse del teatro e temere tutto tranquillo
    andate ad aigle e vedete dove sono i soldi. immaginate cosa hanno fatto in pochi anni con il teatrino dove noi recitiamo. se solo si fossero messi da parte il 10 percento ogni anno sarebbero nababbi
    ora che manovrano tutta la antidoping hanno ancora più potere e fanno più soldi
    sono assatanati dal denaro quelli e lo fanno facilmente perchè nessuno va a rompergli l'anima, fanno quell'ostia che vogliono
    e tutti i grossi pagano per tenere le acque calme
    qualche mese fa è cambiato uno e c'è stato il panico perchè non si sapeva se cambiava qualcosa magari, sono stati loro a fare capire di stare calmi che tutto era sotto controllo
    con le informazioni cè gente che si è fatta la casa, con le microdosi si sono costruiti un alibi per la stampa fessa e sui tempi hanno costruito un affare enorme
    è per quello che poi la gente da qualche anno va al teide

    vallelvo damiano ha anche lui i procuratori a mendrisio e credo che stare in svizzera con meno soldi non aveva più convenienza, ma sono cose sue che non posso ne voglio sapere
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    Messaggio Da BenoixRoberti Sab Apr 30, 2016 9:59 pm

    dante battaglia ha scritto:qualche mese fa è cambiato uno e c'è stato il panico perchè non si sapeva se cambiava qualcosa magari, sono stati loro a fare capire di stare calmi che tutto era sotto controllo
    Quello che è cambiato iniziava per z?

    dante battaglia ha scritto:con le informazioni cè gente che si è fatta la casa, con le microdosi si sono costruiti un alibi per la stampa fessa e sui tempi hanno costruito un affare enorme
    è per quello che poi la gente da qualche anno va al teide
    Mi sono perso. Perché vanno al Teide?
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    Messaggio Da dante battaglia Sab Apr 30, 2016 10:45 pm

    quello, con la z.. forse sì ma non conta

    avrai sentito parlare della finestra no
    fino a che avevi 7 ore di tolleranza dalla microdose la svizzera era perfetta per fare l'altura e viverci, perchè hai tutto ciò che serve senza stare a dannarti
    in svizzera si rischia troppo ormai e allora si fanno questi ritiri infiniti per restare a posto sui valori
    gli spagnoli si sono ingegnati prima di tutti
    qualcuno aveva già capito da tempo l'importanza del teide e la tranquillità che permette
    una volta al teide andavano solo di inverno per stare al caldo mentre oramai ci vivono le squadre e i corridori che possono

    quando il dco parte da un paese europeo o dalla stessa svizzera arriva in poche ore a sant moritz e non c'era preavviso che poteva tenere
    invece dall'europa arrivare a tenerife va un giorno e i vampiri la li conoscono tutti, tenerife è un isola piccola la parte abitata e tanti vivono del turismo dei ciclisti e anche di tanti amatori

    in primavera di solito i dco arrivano la sera per poi andare su al parador la mattina presto e tutti sono già a posto con la finestra che comunque è meno di 24 ore
    dal reina sofia l'aeroporto più vicino al parador ci va una ora e mezza se ci sta traffico in basso e poi son strade larghe ma di montagna, allora dormono giù al mare una notte e van su col chiaro
    loro stessi sanno che è una formalità un teatro e si fanno il loro viaggetto contenti
    li al teide sono tutti gentili e tranquilli perchè ci sono tanti ciclisti, i pesci grossi e stanno buoni, ma quando ti controllano a casa sono più aggressivi
    alcuni li rispetto perchè fanno il loro lavoro seriamente ma altri sono propio dei mercanti
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    Messaggio Da vallelvo Sab Apr 30, 2016 10:57 pm

    Hai capito, quante cose "s'imparano" a leggere i forum di ciclismo.
    Vado oltre e continuo a saziarmi di questo sport, malgrado tutto.

    Voi ciclisti di professione sapete e mandate giù. Che brutto vivere in un mondo di ipocrisie.
    Va beh non siamo tutti uguali.
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    Messaggio Da BenoixRoberti Sab Apr 30, 2016 11:04 pm

    Non si finisce mai d'imparare. Non avrei mai immaginato che potesse esserci una ragione del genere.
    Ora tante cose mi appaiono più chiare, ma la nebulosa mi parte per l'Uci, per quello che è diventata.
    Ho capito più del ciclismo moderno dal libro di Di Luca e dai due post di Dante che in decine di ore di dirette.
    Sono scioccato dal Teide e dal fatto che il ciclismo sia imprigionato in Svizzera ed al Teide.
    Mi devo riprendere perché sono traumatizzato.
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    Messaggio Da dante battaglia Sab Apr 30, 2016 11:17 pm

    molti cicloamatori lo sanno che i prof vanno al teide per sto motivo
    se no che differenza c era ad andare a fare l'altura sulla sierra nevada?
    avevi meno ore di volo e la temperatura era comunque buona con la fortuna di stare anche in paese con qualche abitante, che invece a las canadas non vedi neanche una capra

    pensavo che fossi più aggiornato su la uci
    se credevi che qualcosa era cambiato dal vecchio a ora ti sei sbagliato propio
    questo è più bravo a fare i suoi affari
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    Messaggio Da dante battaglia Sab Apr 30, 2016 11:28 pm

    vallelvo tutti facciamo i nostri compromessi nel nostro lavoro e per lavorare
    facciamo tutti quello che possiamo
    essere ipocriti forse non è per tutti allo stesso modo perchè dipende anche dal ruolo che uno ha
    ma la gente deve capire che siamo lavoratori, che senza di noi tanti sarebbero a spasso
    si vuole solo rispetto e se vogliono darci una mano, che non comincino dalle solite accuse
    io capisco i miei colleghi più giovani che ce l'hanno con di luca perché sputa nel piatto dove ha mangiato e adesso mangiano loro che sono messi peggio di quando di luca era un bocia in veneto e friuli alla caneva
    però la mia esperienza mi fa ammettere che anche danilo dice la verità
    non è facile ponderare le situazioni ma chi ha capito come vanno le cose e può permetterselo come danilo lo scrive sui libri per togliersi il classico sassolino dalla scarpa, ma poi sono gli altri che pagano perchè i capi prendono paura e diventano più aggressivi, ti fanno arrivare i messaggi se sei un galletto e se serve ti fregano.
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    Messaggio Da BenoixRoberti Sab Apr 30, 2016 11:46 pm

    Assolutamente esaustivo.
    Sono letteralmente scosso dal quadro, e mai come adesso posso dire che Leonzi avesse ragione quando diceva che è meglio conoscere.
    Ovviamente auspico che anche la seconda parte del suo ragionamento possa avverarsi, ovvero "che una speranza di miglioramento c'è".
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    Messaggio Da vallelvo Dom Mag 01, 2016 9:08 am

    A scanso di equivoci, sono sempre dalla parte dei ciclisti, almeno in casi come quelli narrati da Dante.
    Capisco che l'ingranaggio è quello, o ci stai o soccombi. Te ne vai da quel mondo.

    Grazie delle spiegazioni, che mi lasciano l'amaro in bocca.
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    Messaggio Da prof Dom Mag 01, 2016 12:17 pm

    dante battaglia ha scritto:vallelvo tutti facciamo i nostri compromessi nel nostro lavoro e per lavorare
    facciamo tutti quello che possiamo
    essere ipocriti forse non è per tutti allo stesso modo perchè dipende anche dal ruolo che uno ha
    ma la gente deve capire che siamo lavoratori, che senza di noi tanti sarebbero a spasso
    si vuole solo rispetto e se vogliono darci una mano, che non comincino dalle solite accuse
    io capisco i miei colleghi più giovani che ce l'hanno con di luca perché sputa nel piatto dove ha mangiato e adesso mangiano loro che sono messi peggio di quando di luca era un bocia in veneto e friuli alla caneva
    però la mia esperienza mi fa ammettere che anche danilo dice la verità
    non è facile ponderare le situazioni ma chi ha capito come vanno le cose e può permetterselo come danilo lo scrive sui libri per togliersi il classico sassolino dalla scarpa, ma poi sono gli altri che pagano perchè i capi prendono paura e diventano più aggressivi, ti fanno arrivare i messaggi se sei un galletto e se serve ti fregano.
    Caro Dante, i tuoi colleghi più' giovani fanno male ad avercela con Di Luca; fanno male perché già dai tempi di Danilo ad oggi la loro situazione è drasticamente peggiorata e fanno male perché peggiorerà ancora di più'.
    Non si pretende di essere tutti eroi, ci mancherebbe ..., si pretenderebbe cha almeno chi non ha nulla da perdere come gli appassionati, aprissero gli occhi e denunciassero il fondo marcio in cui il ciclismo è caduto. In queste condizioni è il nostro sport a perdere interesse e, con la perdita di interesse, a perdere anche soldi. Se il bottino si restringe sempre più' perché i soldi a disposizione sono sempre meno, i primi e unici a soffrirne saranno di sicuro i corridori.

    Per questo, ai corridori, io dico: fatevi furbi, usate la vostra intelligenza. Fate tutti come stai facendo tu, Dante, e come sta facendo Danilo, fate conoscere la verità agli appassionati e fatelo da furbi, altrimenti finirete tutti con l'essere sfruttati bestialmente per pochi soldi e gettati via senza un lavoro e senza alcuna prospettiva quando non servirete più'.

    Danilo, sulla cui intelligenza non esistevano molti dubbi, si può permettere oggi di fare quello che fa perché lui ha una sua professione e non dipende più' dal "sistema ciclismo". Voi giovani non avete lo stesso grado di libertà di Danilo e siete a rischio perché ancora dipendete dal sistema ciclismo (i casi Pantani è Riccò insegnano ...). Voi dovete essere astuti e dar fondo a tutta la vostra intelligenza (che non dev'essere tanto scarsa, se vi rendete conto di quel che vi accade attorno, come fai tu); "astuti come serpenti e puri come colombe", dice l'evangelista Matteo. Tocca a voi fare filtrare i "leaks" senza farvi cappellare: lo scandalo deve scoppiare affinché i ragazzi come te non vengano più' sfruttati e ricattati come siete ora e perché il vostro lavoro riceva quella dignità e quella remunerazione che merita. Quanto vorrei vedere i due "intrusi" campioni di Stato italiani finire nella polvere.
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    Messaggio Da vallelvo Dom Mag 01, 2016 1:02 pm

    Scrivi ".... campioni di Stato italiano finire nella polvere", aggiungo non solo italiano.
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    Messaggio Da BenoixRoberti Dom Mag 01, 2016 1:25 pm

    "astuti come serpenti e puri come colombe"
    Una frase perfetta che non richiede ulteriori spiegazioni.
    Il suggerimento, anzi la esplicita sollecitazione, di Prof mi trova completamente d'accordo.
    Concordo con tutto il post tranne la chiusura, ma ormai non insisto perché è il confronto fra due diverse strategie.

    Vall hai ragione a dire "non solo italiano" perché qua ci troviamo di fronte ad un problema internazionale, e se dovessi puntare il dito su un paese lo punterei verso la Gran Bretagna, anche se poi c'è anche il ruolo degli spagnoli.

    Comunque è vero che così non può continuare, così lo sport è finito ed il wrestling è più vero di questo ciclismo, non tanto per il doping farmaceutico, quanto per il doping politico.
    Io pensavo che vi fossero solo alcuni soggetti di alcune agenzie a giocare sporco, ma quello che emerge è un circo apparentemente disordinato, ma del quale la direzione conosce i segreti di ogni figurante e ne controlla la divulgazione agli altri.
    E' diabolico.
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    Messaggio Da vallelvo Dom Mag 01, 2016 1:32 pm

    Diabolico certo, alla fine, mia impressione, è sempre una questione di soldi.
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    Messaggio Da prof Dom Mag 01, 2016 1:48 pm

    vallelvo ha scritto:Scrivi ".... campioni di Stato italiano finire nella polvere", aggiungo non solo italiano.
    Rispondo a te, Vall per prendere due volpi con una gallina sola (lo trovo più' dignitoso del "due piccioni con una fava"; non me la sento di equiparare te e Ben a due piccioni ...).
    I casi Pantani e Riccò li abbiamo vissuti qui in Italia e non in UK: Cookson sarà pure inglese ma poco ha a che fare con la passione che sta sorgendo in UK attorno al ciclismo. In fondo lui è ben inchiavardato nel marciume del sistema continentale che ha la sua centrale in Svizzera, così' come il colosso SKY è un mostro che ha tentacoli in tutto il mondo e non solo in UK. Infine va considerato che, se il sistema inglese è ancora molto allo stato naif, allo stato nascente, quello italiano è la fase terminale di un processo malato ed è li' che bisogna colpire ...
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    Messaggio Da vallelvo Dom Mag 01, 2016 1:53 pm

    Prof, guarda che offendi Ben ad "equipararlo" a me. bounce  

    Già ma sei un Signore. Smile
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    Messaggio Da BenoixRoberti Dom Mag 01, 2016 1:58 pm

    Confermo che la grande volpe è Vall Very Happy

    Ovviamente per sistema inglese intendevo propriamente quello della "elite" politica ciclistica attuale.
    Il movimento ciclistico come tutti quelli spontanei e naif che nascono e si ingrandiscono in ogni dove sono sempre benedetti e benvenuti.
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    Messaggio Da prof Dom Mag 01, 2016 2:08 pm

    Vi assicuro che non avrei mai immaginato, anni fa quando correvo, di vedere tante bici da corsa e maglie "Mercatone Uno" per le strade di Londra come oggi. Per me è stato ed è commovente.
    I nostri ragazzi devono capire che il movimento è nelle loro mani ed ha un potenziale ancora enorme: se continuano a lasciarlo nelle mani di schifosi corrotti che decidono chi conviene sia campione e chi no, non solo guadagneranno sempre meno e saranno sempre più' ricattati ma rinunceranno alla loro dignità ed al loro benessere futuro.
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    Messaggio Da vallelvo Dom Mag 01, 2016 2:18 pm

    A proposito di britannici, anche oggi Froome si dà da fare al Romandia.
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    Messaggio Da vallelvo Dom Mag 01, 2016 4:39 pm

    Ho letto che questa sera alle Iene si sparlerà di ciclismo. Rolling Eyes
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    Messaggio Da BenoixRoberti Dom Mag 01, 2016 9:09 pm

    Vorrei fare altre domande a Dante, ma prima sento il bisogno di una azione catartica.
    Nel libro di Di Luca c'è una parte che è pubblica perché riportata dalla stessa casa editrice in anteprima sul loro sito.
    All'interno di quel capitolo c'è la parte più bella, più dolce e più tenera del racconto di Danilo Di Luca.
    E' la sua storia di fanciullo, di un bambino che in sella alla sua cavallina si ritrova principe in attesa di diventare re, di un bambino in cui si accende la passione per il ciclismo.
    Bellissima la descrizione del rapporto di amore "felino" con la mamma, il rispetto enorme per un papà silenzioso e gran lavoratore.
    Il resto del libro è una verità adulta, amara, piena di spine, ma queste righe di seguito non possono non emozionare, se non proprio commuovere, soprattutto chi quelle emozioni le ha vissute, direttamente o per interposta persona.


    Ho gli occhi incollati al televisore.
    Dalla finestra che dà sul cortile entra un raggio di sole, illumina
    le foto appese alla parete, sono ciclisti che si arrampicano
    sulla strada, gesti atletici e fatica.
    Fuori, appoggiata al muro di cinta, la biciclettina con cui
    ho disputato le mie prime otto gare, tutte vinte.
    Sullo schermo scivolano le immagini del 67° Giro d’Italia,
    1984.
    Il divano è piccolo, la cucina a vista, qualche oggetto di
    poco valore e i mobili fatti da mio padre, falegname. Alla
    mano destra gli mancano tre dita, una per ogni figlio.
    Seduti nell’aria calda e ferma, uno accanto all’altra, siamo
    soli, mia madre e io, ipnotizzati dall’impresa che si sta per
    compiere davanti ai nostri occhi: l’ultima tappa, la cronometro
    di Verona se la giocano Moser e Fignon. Fignon parte
    con un vantaggio di un minuto e ventuno secondi, ma Moser
    è una fucilata.
    Sento la coscia di mia madre incollata alla mia, siamo immobili,
    quando compaiono i risultati dei tempi parziali lei
    non riesce a controllare qualche fremito involontario, Moser
    è in netto vantaggio. Infila l’ingresso dell’arena ed esplode il
    finimondo. Fignon deve ancora arrivare ma tutti hanno già
    capito che Moser si è preso tappa e giro. In un attimo siamo
    in piedi e gridiamo, gridiamo forte, con i pugni chiusi alzati
    verso il cielo.

    Dopo scoppierà il putiferio, scriveranno che Moser ha rubato
    la vittoria, che l’elicottero della rai ha frenato il francese
    e sospinto l’italiano, che le ruote lenticolari l’hanno avvantaggiato,
    che per lui hanno annullato all’ultimo minuto
    la scalata dello Stelvio.
    Ho otto anni e sono così lontano dall’immaginare trucchi,
    veleni, guerre intestine. Per me la bici è tagliare l’aria con la
    faccia, è vedere la linea dell’arrivo scorrere sotto la ruota.
    Moser imbraccia il trofeo e mia mamma scoppia a piangere.
    La guardo da sotto, non ho mai visto piangere un adulto,
    soprattutto uno dei miei genitori. Le afferro la gonna e tiro
    forte: «Ma’, stai a piangere per Moser? Allora mo’ che vado
    io al Giro e lo vinco tu che fai? Svieni qui?».
    Abbassa gli occhi, mi prende il viso tra le mani e ride, poi
    si asciuga la faccia con il grembiule, non immagina che da
    quel giorno avrei inseguito il Giro, avrei fatto di tutto per tagliare
    il traguardo ed entrare nell’albo d’oro.
    ...

    Nel ’95 passo da juniores a dilettante. Ho 19 anni e corro con
    gente di ogni età, anche ex professionisti. Si fanno di tutto.
    Quelli che battevo con facilità mi sfrecciano accanto, sono
    dei bolidi. “Come cazzo è possibile?” continuo a ripetermi
    mentre li vedo sfilare uno a uno con le facce di chi sta facendo
    l’uscita della domenica. Io fatico come un dannato, sudo, entro
    in lattosi1
    e i battiti mi salgono a centottanta. Non mollo,
    anche quando mi staccano e capisco che non ne ho più.
    Sono stato un bambino prodigio e la mia mente si è abituata
    a sentire la vittoria come qualcosa che sta sempre a
    portata di mano.
    A tre anni mi metto in sella a una bicicletta e, dopo aver
    osservato bene mio fratello Aldo che ne ha tredici, provo a
    fare il surplace. Il surplace è quando stai fermo in equilibrio
    sulla bici senza appoggiare i piedi a terra. È come tenere
    ferma l’auto in salita giocando con frizione e acceleratore.
    Mi riesce facile come respirare. Aldo non ci crede.
    Da piccolo sono indiavolato e faccio di tutto: gioco a calcio,
    corro a piedi, nuoto, scio, vado con lo skateboard, e tutto
    mi riesce bene. Le cose cambiano quando a otto anni mi regalano
    la prima bici da corsa.

    Me la compra mio padre, è usata e me la rivernicia tutta:
    «Di che colore la vuoi?».
    «D’oro.»
    Mi guarda.
    «La voglio d’oro.»
    Mi accarezza la testa e mi sorride, è saldo come una quercia.
    Quando me la restituisce tutta scintillante, vado sotto la
    salita che c’è dietro casa, mi alzo sui pedali e parto. Muovo
    la bici a destra e a sinistra in modo che controbilanci il mio
    peso, il corpo sa già come fare, sa tutto. In poche mosse raggiungo
    una perfetta sincronia, io e lei siamo tutt’uno.
    Mi sono detto: “Questo è il mio sport”.
    Continuo a fare il resto ma la bici è la mia cosa speciale.
    Da quel momento non ci sono state più feste di compleanno,
    comunioni, sabati pomeriggio con gli amici, niente di
    niente, solo la bici.
    Da piccolo ero timidissimo, avevo paura di parlare con
    le persone. La presenza degli altri mi faceva sudare, non mi
    sentivo adeguato, provavo il disagio di non essere mai al posto
    giusto. La bici mi ha dato coraggio, mi ha dato una carta
    d’identità con cui presentarmi al mondo. Lo sforzo la fatica
    l’ostinazione non erano niente, alle gare ero qualcuno.
    Mia madre ripete sempre che la distruggeva vedermi correre,
    arrivavo sul traguardo che non riuscivo a parlare, ero
    stremato, dovevano tirarmi giù a braccia. Quando facevo le
    discese e lei mi guardava dalla tv di casa, se ne andava in corridoio
    dalla paura.
    Per capire cosa significa andare in discesa, basta prendere
    una bici e provare a venire giù a 40, 50 chilometri all’ora
    senza toccare i freni. Già così si ha una buona sensazione di
    quello che può succedere. Ecco, noi scendiamo a 60, 70, 80
    chilometri con punte di 100, la strada ti viene incontro in un
    modo violentissimo. Una cosa da perdere la vita.
    Per non farsi male c’è bisogno di una lucidità estrema, c’è
    bisogno di essere affilati e precisi come una lama, freddi. E
    non puoi avere paura.
    In discesa andavo come un pazzo, era l’unico modo di
    correre che conoscevo, l’unico che mi avrebbe permesso di
    vincere.
    Scalpito per gareggiare, la bici è una fissazione, una malattia.

    Mio nonno è stato un ciclista amatoriale, abbiamo la
    casa tappezzata di sue foto con il numero sulla schiena e lo
    sguardo saettante. Vorrebbe che almeno uno di noi tre seguisse
    le sue orme. Massimo, mio fratello di mezzo, non ne
    vuole sapere e si mette a fare il maratoneta, mentre Aldo lo
    accontenta.
    Sono piccolo, in mezzo alla folla assiepata lungo l’arrivo
    gli adulti spingono e si spintonano, mio nonno mi solleva e
    mi mette in spalla così da permettermi di vedere i corridori
    che tagliano il traguardo. Arriva il primo, esausto, il viso
    smangiato dallo sforzo, appena sfreccia sulla linea dell’arrivo
    stacca le mani dal manubrio e le alza al cielo, i suoi occhi in
    un secondo si fanno vivi e grandi, tutta l’energia rimasta si
    concentra in un urlo bestiale che scarica a terra la tensione,
    il desiderio, l’adrenalina. In un lampo so cosa voglio, più di
    ogni cosa al mondo voglio essere al suo posto, il mio corpo
    coperto di brividi e rabbia agonistica.
    A qualche decina di metri lo segue il gruppetto dei fuggitivi,
    Aldo non c’è, lo cerco con lo sguardo, non lo trovo.
    Spingo gli occhi più in là, fino in fondo al rettilineo che precede
    l’arrivo, eccolo, sono in due, sedicesimo e diciassettesimo
    posto. Ora sprinta con quell’altro, penso, e invece lui
    che fa? Resta dietro, lascia che l’altro faccia la volata e gli si
    mette a ruota. Arriva diciassettesimo.
    Nonno mi posa a terra, mi prende per mano e ci facciamo
    largo per raggiungere Aldo, lo vedo, scende dalla bici e dà
    una pacca sulla spalla all’avversario che l’ha battuto. Lascio
    la mano di mio nonno e mi scaravento contro di lui, tiro un
    calcio alla ruota: «Manco la volata fai! Cosa corri a fare?».
    Sono arrabbiatissimo, non per il diciassettesimo posto,
    sono furioso perché non ci ha nemmeno provato, perché ha
    mollato prima di provarci. Aldo è senza fiato per la fatica, mi
    guarda con gli occhi sgranati e non capisce, so che non capisce.
    «Ma che vuoi? Non sai di che parli, perché non ci provi
    tu?»
    «L’anno prossimo mi metto a correre e ti faccio vedere io
    come si fa.»
    A otto anni disputo la mia prima gara a Picciano, provincia
    di Pescara. Mi allena Mario Di Nicola, l’uomo che mi ha
    messo in bici e mi ha insegnato come starci.
    Il circuito è tutto in paese, due giri su strada. Fa parte delle
    gare nazionali. Anche se è il mio esordio, non corro in G1,
    corro direttamente in G2, con i ragazzi più grandi.
    Sono emozionatissimo, il cuore mi batte forte.
    Mario mi accompagna a fare il controllo rapporti della bici
    e poi alla partenza, lì mi lascia da solo: «Mo’ quando danno
    il via, tu parti e vai come sai fare, come fai sempre in allenamento».
    Ha il potere di farmi sentire che posso sconfiggere
    qualsiasi drago.
    Scatta il segnale, sono così agitato che non riesco a infilare
    il piede nel fermapunte, non parto. Gli altri sono andati tutti.
    Su un circuito del genere che dura massimo 3 chilometri,
    se parti per ultimo hai già perso. Un altro bambino avrebbe
    pianto, avrebbe buttato la bici a terra e si sarebbe ritirato,
    ma io non ci penso nemmeno, non voglio perdere.
    Mi fiondo a testa bassa e pedalo come un matto, ci metto
    tutta la forza che ho, tutta la volontà, l’ostinazione dei miei
    otto anni. Li rimonto uno a uno. A 500 metri dall’arrivo, a
    metà dell’ultimo giro supero quello che sta in testa e lo stacco.
    Non ci credo nemmeno io. Taglio il traguardo. All’arrivo mi
    aspetta Mario. Alla fine di una gara non si spendeva mai in
    complimenti, faceva solo delle grandi cazziate quando per-
    devi. Invece questa volta mi viene incontro, mi prende dalla
    bici e mi solleva in aria, mi fa festa davanti a tutti i compagni,
    anche quelli più grandi. Sono così felice che mi tremano
    le gambe, a stento riesco a trattenere la pipì. Ancora adesso
    ricordo il calore e l’intensità di quel momento. Mia madre
    tiene la coppa sul ripiano più alto del soggiorno, 29 aprile
    1984, Picciano.
    È Mario a insegnarmi tutto sulla bici: stare a ruota, fare
    le volate, stare in gruppo. Già vede i miei possibili difetti e
    cerca di correggerli alla radice. Mi urla sempre perché in discesa
    e in pianura non tengo le mani sulla parte inferiore del
    manubrio: «Dani’, mani basse sulla bici! Quante volte te lo
    devo dire?». Ha ragione, si ha più controllo, più stabilità e
    si è anche più aerodinamici.
    Imparo a impennare. Lo faccio talmente bene che Aldo
    prima di ogni gara mi fa interi servizi fotografici: faccio qualche
    metro su una ruota sola senza mani, impenno quasi da
    fermo e resto in equilibrio per una manciata di secondi.
    Sono dotato e sono anche vanitoso, esibizionista. Mario
    se ne accorge e comincia a chiamarmi “il polletto Valle
    Spluga”. Deve tenere a bada il mio carattere e non è semplice,
    perché vinco facile e spesso. Ogni volta trova qualcosa
    da rimproverarmi ed è la salvezza per me, dà una misura al
    mio ego strabordante.
    Mi bastona sempre sulla tattica, che negli anni diventa il
    mio punto di forza: «Ecco che arriva il polletto Valle Spluga!
    Eh bravo il pollo, sei partito troppo presto a fare la volata».
    Oppure: «Sei partito troppo tardi a fare la volata».
    Oppure: «Dovevi staccarlo prima sullo strappetto».
    «Dovevi anticiparlo in curva.»
    «Dovevi metterti a ruota e poi anticiparlo.»
    Mi martella per nove anni, dagli otto ai sedici, e mi regala
    gli insegnamenti più preziosi.
    Dopo Picciano disputo altre diciannove gare nazionali
    – venti è il numero massimo a cui si può partecipare –, ne
    vinco diciassette e nelle restanti due mi piazzo secondo.
    Mia madre mi ha raccontato che, quando passeggiava
    prima delle gare, c’era sempre qualche bambino che vedendomi
    si metteva a piangere: «Non voglio più correre, ci sta
    pure Di Luca oggi». Piangevano perché sapevano che vincevo.
    Sembravo un angelo, piccolino con i boccoli lucidi e
    biondi, ma avevo dentro una cosa che mi mangiava, una smania
    che era più forte di ogni vergogna, di ogni timidezza, di
    ogni paura. Era un bruciore micidiale, che si spegneva solo
    quando tagliavo il traguardo.
    A una gara capita che c’è un ragazzino bravo, un certo
    Simone. In giro ho sentito parlare di lui ma non ci ho mai
    corso. Ha la mia stessa età, due gambette sode e scattanti e
    mi passa di quindici centimetri.
    Sono seduto sul bagagliaio aperto dell’auto, mia madre
    mi sta aiutando a vestirmi, pantaloncini e maglietta da corsa,
    calze, scarpette.
    «Dani’, hai visto che oggi ci sta pure Simone?»
    Punta al centro delle mie paure e va a segno. Mi sono sempre
    chiesto da chi ho ereditato una certa durezza, un senso di
    sfida nei confronti della vita e la testa coriacea. Oggi so che
    è stata lei, mia madre ha sempre voluto che vincessi quanto
    l’ho voluto io.
    «Che me n’importa a me.»
    Mi libero dalla sua presa e finisco d’infilarmi da solo la
    maglietta. Volto lo sguardo dall’altra parte, per orgoglio, perché
    non voglio che mi legga un’incertezza negli occhi, perché
    non voglio deluderla e non voglio ammettere di aver paura,
    perché ho il dubbio che lei possa pensare che non sono il più
    forte. La paura, il dubbio sono le uniche cose che si possono
    mettere tra un corridore e il traguardo.
    Perdo, arrivo secondo dietro Simone.
    A fine gara, mentre mia madre mi spoglia, non muovo un
    dito per aiutarla, sono incazzato nero.

    «Dani’, ma che c’hai? Alza il piede che così non ti riesco
    a togliere la scarpa.»
    Sferro un calcio di protesta e le sfioro il viso. Mi guarda
    nello stesso modo in cui guardo gli avversari in gara, cosa che
    mi ha fatto guadagnare il soprannome di killer.
    «Non ti do uno schiaffo solo perché c’è gente intorno.»
    «È colpa tua se ho perso».
    «Ah sì? Questa è bella, e perché?»
    «Tu mi hai detto di Simone, tu mi hai fatto venire la paura.»
    Ho bisogno di convincermi che quel sentimento oscuro
    e pericoloso non nasce in me, non me lo porto dentro come
    qualcosa che può esplodere all’improvviso. Ho bisogno che
    qualcuno se lo carichi sulle spalle.
    L’istinto di mia madre non fallisce, la costruzione di un
    campione nasce prestissimo in famiglia, dalla smisurata fiducia
    che un genitore è in grado di far crescere in un figlio.
    «C’hai ragione, me ne dovevo stare zitta.»
    Ecco, ora tutto è tornato in ordine. La sera, prima di andare
    a dormire, mi accoccolo vicino a lei per sentire il suo
    corpo caldo premere contro il mio, un’infusione di coraggio.
    Quando gareggi le domeniche sono interamente dedicate
    alle corse, si preparano cibo vestiti e bici, si carica l’auto, si
    parte per fare i chilometri che separano dalle gare, che possono
    essere provinciali regionali o interregionali.
    Quando inizio a competere, la mia famiglia si spacca: mio
    padre segue Aldo, che poi smetterà nei dilettanti, e mia madre
    segue me. Per diversi anni, forse i più importanti nella formazione
    del carattere agonistico, mia madre è un mentore, senza
    saperlo. Sento che ha un’incrollabile fede nella mia forza fisica
    e mentale, ha la capacità di sopportare stress e fatica senza
    darlo a vedere, una determinazione emotiva fuori dal comune.
    Senza intenzione e per contatto queste sue qualità, indispensabili
    per un atleta professionista, scivolano dentro di
    me e formano il senso di un controllo totale sulle situazioni.

    Alle gare ascolto le conversazioni che ha con le altre madri:
    «Ma che cosa dai da mangiare a tuo figlio?».
    «Niente, le penne in bianco alla mattina.»
    «Eh sì, e com’è che vince sempre?»
    «È lui, questo bambino è proprio forte.»
    In me cresce un senso di straordinarietà, mi sento un superbambino
    invincibile.
    Mia madre ha la capacità di passare sopra alle ansie, di
    normalizzarle e toglie loro la possibilità di interferire con la
    mia prestazione. Quando Mario viene a prendermi a casa
    prima delle gare e lei vede che sono spesso in bagno per l’adrenalina
    o per l’agitazione, non dice nulla, non mi chiede
    se va tutto bene, se ho paura, perché me ne sto al bagno. Fa
    come se l’ansia non esistesse e così imparo a lasciarla a casa,
    a non portarmela alle corse.
    Quando divento più grande, continua a rafforzarmi nel
    conflitto, mi si contrappone in tutto, soprattutto sulla scuola:
    decide che mi devo per forza diplomare. Frequento le superiori
    perché mi obbliga ma mi rompo le palle, il mio unico
    pensiero è la bici. Secondo me campioni ci si nasce, tutto
    viene facile, poi ci vogliono dedizione ed esperienza certo,
    ma solo quando sei sulla tua strada ti senti a posto con il
    mondo.
    Comincio a diventare insofferente, scalpito per avere la
    mia indipendenza: «Tanto anche se non sono promosso,
    sono campione».
    «Finché sei in casa mia fai quello che ti dico io, non m’interessa
    se sei campione.»
    Uscivo in bici tutti i pomeriggi fino alle sei e non aprivo
    un libro.
    «Ricordati che se non prendi il diploma non corri.»
    Nella nostra guerra privata facevo piccole prove di resistenza,
    mi tempravo nel tenere testa al mio talento e alla sua
    cocciutaggine.
    A scuola la professoressa di storia dell’arte mi metteva
    sempre 2, 3, 4 perché non studiavo. Un giorno mi ha umiliato
    davanti a tutti: «Ma che ci vai a fare in bicicletta? Pensa
    a studiare che con la bici non combini niente!».
    Dentro di me ho detto: “Te lo faccio vedere io cosa combino
    con la bici”.
    Quindici anni dopo, quando ho vinto il Giro, ci siamo rincontrati
    e mi ha fatto un sacco di complimenti, ho sorriso e li
    ho accettati anche se ricordavo molto bene quando mi aveva
    messo in ridicolo davanti a tutti.
    La mia famiglia è semplice, mio padre fa il falegname da
    quando aveva nove anni, conosce l’italiano poco e male. È
    un uomo taciturno, di una smisurata gentilezza, un lavoratore
    instancabile. Tutto quello che c’è in casa è il suo sudore,
    in famiglia ci siamo sempre sudati tutto.
    Il mio talento è un vulcano, un’esplosione tale da non crederci.
    A quattro anni avevo una grinta e una determinazione
    che potevano cambiare il mio destino. E in questo scarto di
    traiettoria ho trascinato tutta la famiglia, ero il bambino d’oro,
    il minore, il più coccolato, il più dotato.
    Diventa evidente quando gareggio nella categoria allievi,
    ancora di più negli juniores. Ho diciotto anni, corro con
    quelli più grandi di me e vinco tanto. Vinco tre internazionali
    per tre domeniche di fila, dove siamo in duecento, i migliori
    da tutta Italia.
    Sono uno della Polisportiva di Spoltore, non ho una società
    alle spalle, non mi conosce nessuno, mi presento alle
    gare in mezzo a campioncini blasonati del Nord Italia che
    hanno già dimostrato di saper vincere. Parto in totale svantaggio
    e allora faccio l’unica cosa che so fare, corro da arrogante,
    mi metto in vista appena posso, attacco sempre anche
    quando so che tutto è perduto. Sono scatenato.
    A Montemagno, vicino ad Asti, mi permetto di strappare
    la vittoria a Valentino China, giovane promessa del ciclismo
    italiano. Lo faccio di forza, di rabbia, di disperazione, con
    una bici senza pretese mi metto a picchiare sui pedali a un
    chilometro e mezzo dall’arrivo in salita. Nessuno pensava che
    ce l’avrei fatta, che avrei dato un distacco così grande da essere
    imprendibile.
    A fine gara una televisione locale va a cercare China e lo
    intervista, gli passo accanto in bici e mi fermo, voglio essere
    inquadrato, comparire, ho una gran voglia di mostrarmi. Valentino
    è ancora incredulo ma sfoggia una disinvoltura notevole
    nel parlare e attribuisce il suo secondo posto a una
    sua défaillance non alla mia forza. L’operatore si ferma su di
    me, ho ancora la bici tra le gambe, il giornalista è costretto
    a rivolgermi qualche domanda. Quando mi presenta sbaglia
    il cognome e poi prosegue riassumendo in modo impreciso
    l’andamento degli ultimi chilometri di gara. Io rispondo, puntualizzo,
    sottolineo che questa è la mia terza vittoria consecutiva.
    Insomma in un minuto e mezzo riesco a risultare il
    più antipatico della terra. Non ho nessun equipaggiamento
    adeguato per relazionarmi con i media, nessuna furbizia.
    Davanti alla telecamera non sono nessuno, sono uno con
    un marcato accento del Sud che si presenta a correre in una
    squadra sfigata e si mette il gel sui capelli.
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    Messaggio Da BenoixRoberti Lun Mag 02, 2016 12:20 am

    vallelvo ha scritto:Ho letto che questa sera alle Iene si sparlerà di ciclismo. Rolling Eyes
    Solite cose. Il Giro d'Italia tutti dopati e via così.
    Un inutile promo al libro di Di Luca, che è ben diverso da questo esercizio di pornografia doping, che resta lontano anni luce da una seria discussione sul doping nello sport (tutto).



    E questa è l'intervista sempre delle Iene, ma di diverso spessore, fatta a Danilo Di Luca.
    Anche in questo si vede la differenza fra un campione ed uno qualsiasi del gruppo.

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    vallelvo
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    Messaggio Da vallelvo Lun Mag 02, 2016 9:12 am

    Il ciclista deve stare dentro al sistema, dice nell'intervista. 

    Di Luca non è stato chiaro, a mio parere.

    Avrebbe dovuto esprimersi meglio, quasi che il doping esista solo nel ciclismo. Negli altri sport non se ne parla, o meglio al primo accenno si mette subito tutto a tacere, questa è la differenza.

    Per il Gasparre, pecunia.....

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