vallelvo ha scritto:Questo sport viene tartassato dal punto di vista dei controlli, dai ciarlatani giornalai e da chi dovrebbe "reggerlo".
Questa la differenza, non tanto divertente piuttosto scandalosa.
Vallelvo prendo spunto da quanto tu scrivi per sviscerare ancor di più sul bandolo della matassa.
E' vero che:
- i controlli sono massicci, invasivi, lesivi ormai della dignità umana (i ciclisti hanno meno diritti dei cittadini italiani sotto il fascismo, tanto che il loro corpo è "perquisibile" H24, mentre sotto il fascismo anteguerra le perquisizioni di notte non si potevano fare, è tutto dire)
- contro di loro c'è un totale pregiudizio dei media (soprattutto quelli falsamente vicini, quelli di settore)
- contro di loro c'è un totale pregiudizio dell'opinione pubblica, che però è stata un po' smossa dal libro di Di Luca
- i controlli che subiscono i ciclisti sono assenti in altri sport, palese contraddizione radicale nella strutturazione della Wada, che per giustificare questo obbrobrio ha dovuto inventarsi la panzana delle cosiddette "discipline sportive a rischio", perché altrimenti questa assurda disparità non era in alcun modo giustificabile.
Osserviamo la situazione da vari punti di vista.
MEDIA GENERALISTIVedono il doping e la curiosità che suscita e seguono la notizia come le foto sullo yacht di qualche calciatore gay.
La brama di scoop è analoga. Fino a prima dello svisceramento parziale del caso Pantani erano totalmente disinteressati a ciò che stava dietro il fenomeno. Oggi, a parte i giornalisti sportivi (che ovviamente non rinunciano alla vacca da mungere) sembrano finalmente aprirsi alla osservazione del fenomeno da un punto di vista più analitico, anche se l'interesse in sostanza si basa temporalmente sui periodi di Giro, Tour e Vuelta.
Chi però va oltre, comprende e si espone, viene poi stoppato dall'editore.
Riguardo all'opinione pubblica (mondiale) basti dire che in un sondaggio sull'interesse verso il Tour, realizzato da Repucom, "i casi di doping" erano uno degli item di interesse verso la corsa francese. Della serie che tutto fa brodo.
MEDIA SPORTIVIIl doping è una gallina dalle uova d'oro. Si fanno libri e si creano etichette di irreprensibilità (remunerate) scrivendo di doping. Si scrivono libri sulla caccia alle streghe, stimolando la fantasia e la curiosità pruriginosa di un lettorato dell'ambiente che agli inizi era residuale e oggi è la maggioranza. Basta ascoltare la massa cicloamatoriale e l'attitudine alla maldicenza per capire come questa tendenza abbia preso piede.
Quante volte è capitato di vedere il classico giornalaio inseguire un campione per scambiare due chiacchiere paracule e poi sentire lo stesso giornalaio due istanti dopo esprimere le peggio cose ed i peggiori pregiudizi sul campione appena contattato.
E' un ambiente di bisce. Il giornalaio ciclistico è parte del sistema, ne è complice, lo alimenta venerando falsi manager, falsi miti, falsi mecenati, falsi campioni, compartecipando a operazioni di marketing giornalistico sulla immagine degli atleti.
Non lo fanno solo per la fama ed il prestigio giornalistico, ma anche per apprendere segreti da rivendere poi al migliore offerente. Gli atleti, anche grazie al turn over giovanile, sono ovviamente carne da cannone per questi figuri e vanno in pasto ai famelici come polli in un allevamento intensivo.
L'articolo postato sopra è un esempio di come questi intendano il giornalismo. A loro non interessa il doping in quanto tale, a loro interessa il sangue, l'imbarazzo degli atleti. Questo dà loro un potere, li fa sentire giudici, gli offre il delirio dell'essere compartecipi nel risultato finale. Erano così quando pompavano Lance Armstrong e lo sono oggi quando muovono dubbi striscianti sulla "pulizia" di Cruccosvicco.
Perché andare a sfrucugliare su Cruccosvicco, il suo passato, i suoi link professionali?
Nessuno normalmente ti chiederebbe di scrivere che Kruijswijk è l'eroe sicuro da idolatrare o di far capire che è uno da cui stare lontano. Non è questa la dicotomia oggi del ciclismo. Forse non lo è mai stata, e in tutto lo sport. Ma la favola è questa (il buono ed il cattivo, il bianco ed il nero) e deve essere alimentata per gli idioti sognatori, gli unici ormai rimasti a leggere giornali altrimenti illeggibili e concepiti per il target più basso della popolazione.
Certo capita a tutti noi ciclofili di ricevere la domanda:"Mah secondo te che conosci il ciclismo, questo olandese è pulito?"
Io rispondo sempre per tutti: "Lui fa come tutti, fa quello che può. E' un bel corridore comunque."
E fra me dico "ma vai a cagare, va a farti le pippe mentali sulla pulizia con qualcun altro!" ma so che quella domanda è il frutto e nel contempo il seme piantato dal giornalismo di cui sopra.
Il ciclismo ha vissuto per decenni il dilemma della borraccia fra Coppi e Bartali. Bartali lasciava fare a tutti le loro elucubrazioni e poi ricordava riservatamente che le borracce scambiate fra lui e Coppi erano state centinaia.
Per il giornalista ciclista era importante però sapere chi era stato a passarla quella volta.
Oggi per il giornalaio non è importante sapere quanti si dopano (o per meglio dire come e con quali sostanze, soprattutto lecite), ma chi è stato beccato o potrebbe essere beccato. E' importante fare pompe mediatiche al Campione di Stato per tenersi buoni i boss che poi gli faranno fare l'ufficio stampa in qualche evento, per i team amici, o affideranno loro degli incarichi.
Della salute dei ciclisti a loro non frega nulla. Oggi la Gazzetta e simili si occupano di patonza e simil-porno doping.
In un altro forum rinato si è sottolineato magistralmente sul concetto di "trovati positivi". Questi sono giornalisticamente interessanti quasi come le wags che scopano con quel o quell'altro calciatore per la stampa sportiva odierna.
Niente gli frega che questi malcapitati ciclisti beccati e "maledetti", spesso non peggiori dei "dopati negativi" e migliori dei "dopati sempre negativi", siano poi solo dei disperati messi alla berlina e distrutti anche nei loro affetti personali. Anzi capita pure che questi pezzi di merda si permettano di dare consigli pubblici sui loro rapporti privati e strettamente personali, rivendicando le false amicizie come sopra narrate. E lo fanno ben sapendo chi ha ordinato che la mannaia cadesse in quella direzione, la stessa mannaia di qualche altra vittima che poi magari decantano per convenienza.
Non c'è traccia informativa e formativa sulla tutela della salute nell'operato di questo giornalaismo e quando lo fanno c'è subito l'accento scandalistico, come fatto per i sonniferi. Ma perché i ciclisti soffrono di insonnia e psicosi?
No questo a loro non interessa, perché i ciclisti che hanno questi problemi non sono tecnicamente "dopati", non sono marchiati dalla infamia del sistema per cui loro lavorano.
ACCPI
Sarebbe il sindacato dei ciclisti, di tutti i ciclisti, anche di coloro che "sbagliano", dei trovati positivi compresi.
Nella realtà è ormai ridotto ad un organismo di marketing e certificazione dell'impossibile per poter garantire un prodotto che è di proprietà SOLO di altri.
Si sono ridotti ad essere il braccio armato di un sistema in fase di pre-crollo.
Di Luca e decine di altri ex prof, fuori dal ciclismo prof, raccontano il "sistema" di questo sport, doping compreso ma come accessorio ad una organizzazione complessa, e loro cosa fanno?
Querelano Di Luca che, leggendo il libro e ascoltando le sue parole, mette in evidenza cose che anche i bambini e gli inesperti di ciclismo capiscono! E' evidente che Di Luca non vuole rovinare il ciclismo, vuole mettere a nudo la menzogna e lo fa mettendo a nudo sé stesso e la menzogna di cui era stato complice e vittima.
L'Accpi invece preferisce difendere un feticcio, una ipocrisia che mostra enormi crepe e richiede dosi di ridicolo incalcolabili.
E' tutto vero che i controlli sono massicci e bla, bla, bla.
E tu cosa fai davanti a chi ti fa violenza? Tiri giù le mutande?
Fai rinunciare ai ciclisti ogni minimo diritto umano, civile, inalienabile, per aprire le porte ad agenzie antidoping sulla cui moralità ci sarebbe da aprire fiumi di pratiche di indagine?!
Perché prestarsi ad un marketing di totale ipocrisia quando incombe l'ennesimo ciclista pulito (adesso!) che fra un anno vuoterà il sacco per l'ennesima volta?
Ti metti a fare il duro contro una trasmissione ed un gruppo editoriale che si occupano (anche superficialmente magari) dei problemi di uno sport, problemi che traspaiono da ogni dove nel ciclismo?
- contratti da fame, contratti capestro, contratti falsi e soldi ritornati al mittente, contratti d'immagine per acquisti di gruppo del carburante
- pressioni indicibili del potere politico, coperture, insabbiamenti, corruzione
- doping, antidoping di facciata forte coi deboli e corrotta coi forti.
No, il problema del ciclismo adesso sono Di Luca e le Iene.
E così andranno a sbattere. Il sindacato porterà ancora più avanti la soglia di ridicolo della categoria che dovrebbe rappresentare e difendere coi denti e sarà corresponsabile delle macerie che il sistema ormai al crepuscolo lascerà quando crollerà sotto il peso ormai insostenibile dell'ipocrisia.
DIRIGENTI DEL CICLISMOTanto l'Uci che la Fci sono restate assolutamente in silenzio in questo periodo. Nessuno parla nonostante che vari giornalisti esteri stiano approfondendo i contenuti del libro di Di Luca e si stiano chiedendo come sia possibile che l'Uci non dica nulla. La domanda se la pongono anche gli italiani, ma molto riservatamente, sulla Fci.
Chi si è mosso per loro, per i palazzi del potere sportivo? Forse l'Accpi? Ma il ciclismo non è un prodotto di questi due organismi? Cosa c'entra l'Accpi a difendere il palazzo?
Domande che restano senza risposte.
CICLISTILe frasi che si sentono sono le solite (apparentemente ipocrite, ma nel contempo pure vere dal loro punto di vista e di quello ben espresso e spiegato da Di Luca quando parla dei suoi Giri vinti):
- Siamo tutti puliti, a noi non ci hanno mai beccati. Qualcuno è stato beccato e ora è a posto, sta nelle regole.
- Subiamo tantissimi controlli, siamo come delinquenti con il collare elettronico
- Oggi siamo meglio di qualche anno fa, oggi la maggior parte corre pulita (da leggersi non prende epo - come prima - ndr)
- Sapessero i sacrifici che dobbiamo subire per colpa di questi che hanno beccato nel passato, ora noi paghiamo per loro
- Il ciclismo è diverso, è cambiato, tutti siamo più consapevoli
Potranno sembrare frasi banali, ma non lo sono se lette nel gergo e oltre il velo della comunicazione non verbale.
Il problema grosso è che queste enunciazioni non arrivano complete nella loro natura al pubblico (tra detto e non detto) ed il completamento viene lasciato nelle mani dei megafoni del sistema, il giornalismo ciclistico, che sposa e ripete sino alla noia questi mantra che diventano poi macigni per il ciclista che si sarà così espresso e che disgraziatamente un giorno si troverà sotto le mannaia.
E poi c'è ciclista e ciclista. Ci sono interessi diversi. Fra i ciclisti c'è confindustria e c'è l'ultimo degli artigiani.
Per i primi non ci sono gli "studi di settore", per gli ultimi gli studi di settore sono una macelleria.
Tutti sono alleati indistintamente contro un fisco ingiusto, ma chi ne paga le conseguenze senza potere contrattuale sono gli ultimi. E allora cosa fa il ciclista di base? Fa come il piccolo artigiano che ripete da paraculo i mantra che riceve dal mainframe di Confindustria.
Esempi:
"Di Luca e gli altri de Le Iene vogliono male al ciclismo, vogliono distruggere i colleghi per vendetta, ce l'hanno con noi perché a loro li hanno beccati e per liberarsi la coscienza vogliono dimostrare che noi siamo come loro."
Dicono la verità? Vorrei tanto credere loro, ma l'esperienza insegna che certi processi richiedono mutamenti diversi, radicali, non di facciata.
Non esprimo con questo lo stesso becero pregiudizio di base dei giornalai sopra descritti. Voglio mettere in luce come il sistema (che i giornalai ben conoscono e condividono) seleziona il parco ciclistico, come li formi e li orienti nei loro comportamenti.
Penso che, sebbene nella loro ipocrisia sostanziale, i ciclisti siano una categoria composta da persone molto disciplinate, generose (e questo è un difetto perché scadono nell'autolesionismo), anche altruiste, appassionate del loro sport molto più che in altre discipline.
E come potrebbe essere diversamente visto il carico di lavoro e di fatica, la ferrea disciplina dei ruoli e i gravami disumani a cui sono sottoposti in un regime unico di vessazione e logorante ipocrisia?!
Domanda finale: ragazzi questo regime di vessazione porta a qualcosa di virtuoso per questo sport e lo sport in generale?La mia risposta è NO. Serve solo ad alimentare un potere, a regalare discrezionalità a dirigenti miopi e, peggio, male intenzionati. Serve solo ad alimentare una stampa vergognosa, indegna, che controbatte con questi mezzi un calo di vendite nei giornali o un leccaculismo social d'accatto sui media online.
La mia risposta è no anche per il dilagante ciclismo anoressizzato da prodotti e pratiche completamente lecite, ma che sono forse peggio del doping ufficiale, o comunque parimenti nocive per la salute, sebbene forse meno per la affidabilità dei risultati agonistici.
Non ho la soluzione finale da proporre, ma so che questa antidoping sta distruggendo lo sport. Ha massacrato il ciclismo, ora sta distruggendo l'atletica, ma nel caso di questo sport (per fortuna) lo scandalo è partito dall'alto mostrando (anche se solo in modo strumentale per i russi) il peso ossessivo della invasione politica e delle coperture.
Esilarante la punizione inflitta: a Rio non andranno gli atleti russi anche se questi non hanno commesso alcuna infrazione. Il loro essere russi viene punito con lo stop alla partecipazione del massimo evento sportivo di pace fra i popoli (ma non fra le nazioni), mentre i responsabili russi ed internazionali delle coperture del doping nell'atletica dormono sonni tranquilli.
All'atletica va il merito di avere raggiunto il culmine della metafora di questa antidoping ridicola.
Nel suo piccolo, invece, quanto potrà ancora resistere il ciclismo?
Anche in questo sport, nel settore professionistico, si dovrebbe prendere in qualche modo esempio da altri sport più intelligenti e lungimiranti.
Andrebbero lasciati i normali controlli in competizione AFFIDATI AD ENTI TERZI ESTRANEI ALLO SPORT, ma i controlli out competion, che sono una occasione enorme di corruzione, discrezionalità e che sono sotto il controllo della politica, andrebbero riformati e modificati perché ormai sono fonte di discredito totale per il nostro sport.
Sono solo fonte di un business lercio.
Ci vorrebbero commissioni miste di medici,
consulenti degli atleti e delle squadre, che decidessero prima di ogni manifestazione sullo stato clinico degli stessi, badando a veri principi di tutela della salute, prevedendo degli stop silenti per coloro che non sono in regola, togliendo dall'orizzonte tutto quel ciarpame di pennivendoli che campano di doping, chimico, politico e giornalistico.