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    Messaggio Da eliacodogno Mer Lug 31, 2013 9:50 am

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    Messaggio Da Lemond Dom Feb 08, 2015 10:54 am

    J. Bruyneel, l'uomo che aveva vinto otto Tour, come D.S, era un uomo pieno di risorse e si era dato molto da fare per trovare un ingaggio per sé e per il "Pistolero". L'opportunità più ghiotta gli era stata fornita dall'Astanà, il team bandiera del Kasakistan, finito nei guai per il doping di Vino. Non appena si seppe che Contador avrebbe vestito la divisa celeste, gli organizzatori del Giro si affrettarono a invitarla. "Un bel guaio - osservò Zanatta - lo spagnolo è teoricamente imbattibile, al momento". I gradi di capitano li avrebbe avuti, in quel Giro, Pellizzotti, forte in montagna, ma debole a cronometro (ce n'erano quattro in quella edizione), e quindi dovevamo puntare alle tappe con Bennati, dato che, dopo il dissolvimento della Fassa Bortolo, il jet Petacchi aveva imboccato una parabola discendente e, in più, aveva anche rimediato una squalifica per un anno.
    Come previsto la Liquigas non fornì una grande prestazione in quel Giro, ove Pellizzotti riuscì a conquistare la maglia, ma a tenerla solo nei primi giorni. Troppo cinico e regolare Contador non vinceva mai una tappa, ma era sempre a ridosso dei primi e noi, intanto, talmente ingenui che lasciammo andare Visconti nella frazione del Gargano, permettendogli di arrivare con undici minuti e regalandogli così la maglia del primato. Io caddi mentre si andava verso Carpi, mentre Sella si illustrava, compiendo un eccezionale "doppio" nella tappe di montagna. Provai a stargli dietro nella seconda, ma proprio non potevo e lo spagnolo "Purito" Rodriguez mi disse: "Lascia stare Squalo, quest'anno c'è chi va a pedali e chi a motore". Sad E Sella non finiva di sorprendere, perché poi si aggiudicò anche altre due tappe e, naturalmente la maglia verde. Per noi, ripeto, andava tutto storto, tranne Bennati che si impose in tre sprint e indossò la maglia ciclamino finale. Contador, senza neppure sudare troppo, continuava a guadagnare vantaggio in classifica e il peggio era che l'unico a contrastarlo era Riccò, un ragazzo così simpatico e sportivo, da aspettarci al traguardo per sfotterci. Sad "Anche oggi avete la lingua di fuori, ridacchiava, perché non vi ritirate?" E rincarava la dose, chiamandoci sfigati, falliti, paraplegici! Quasi mi stupivo di aver provato tanta avversione per Visconti che, pur altezzoso, restava, al confronto, un gentiluomo britannico. Wink
    Riccò sembrava in preda a un delirio di onnipotenza, che lo portava a mancare di rispetto non solo a me, ma anche ad ex vincitori, come Simoni e Di Luca; l'emiliano calpestava tutte le regole non scritte e, naturalmente, era l'uomo più odiato del gruppo e la semplice ipotesi che il Cobra potesse vincere il Giro era considerata una catastrofe per l'intiera carovana, così quando Contador lo "disintegrò" nella crono finale, fu un sollievo per tutti, perché era meglio farsi battere da un "bagnino" (soprannome datogli da Riccò) di Madrid, piuttosto che da un stronzo (parola sua) della provincia di Modena.
    Il "battage" del 95° Tour partì all'insegna della "tolleranza zero". I francesi erano abbastanza potenti da poter accusare l'UCI di chiudere un occhio sulla piaga del "doping" e rivendicarono la propria autonomia nello scegliere chi poteva correre la "Grande Boucle" e quali tipo di controlli sarebbero stati effettuati. Così fu dichiarato non gradito Tom Boonen, trovato positivo alla cocaina, e fu esclusa "in toto" l'Astanà, per i fatti dell'anno prima. L'aria che si respirava, leggendo i giornali, era, per noi piuttosto contraddittoria: da una parte il tradizionale sciovinismo dei "cugini" e dall'altra le loro istanze di pulizia. "Ben vengano queste novità - commentò Zanatta - e se proprio devono cominciare dalla Francia, che sia così",
    Certo noi non partivamo per la maglia gialla, ma con la semplice speranza di aiutare Pippo a mettersi in mostra in qualche tappa, come aveva fatto nella Milano Sanremo, dove era arrivato secondo. L'uomo di classifica era Roman Kreuziger, un ragazzo ceco, che si era imposto all'ultimo Giro di Svizzera e un po' anch'io, anche se entrambi esordivamo in questo G.G. e quindi il nostro obiettivo principale era prendere confidenza con i ritmi e l'atmosfera del Tour. A darci una mano, per meglio ambientarci, c'era lo spagnolo Beltràn, che aveva già partecipato otto volte e si diceva conoscesse a memoria tutte le strade di Francia. Wink
    I favoriti erano l'australiano Cadel Evans, l'antipatico spagnolo Valverde e il buon Damiano Cuneghin. Fu lui a convincermi che, per ribaltare il pregiudizio che ci voleva puliti, ma còmplici di chi non lo era, sarebbe stato opportuno correre con una decalcomania sul braccio ...
    E quello stemma rotondo, con la scritta "I'm doping free" (nota mia, una delle più stupide idee avuta dall'homo sapiens) si fece notare nelle riprese televisive. Il mio sincero impegno contro le "bombe", in ogni caso fu ridicolizzato (giustamente dico io) dopo la prima settimana di corsa.
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    Messaggio Da Lemond Lun Feb 09, 2015 8:54 am

    "Che figura di merda!" - ripeteva sconsolato Amadio. Lo spagnolo Beltran era finito su tutti i giornali, perché il primo squalificato per doping al Tour quell'anno era proprio lui! "Proprio nell'anno delle pulizie, ma io l'ammazzo con le mie mani!" Per colpa sua ci eravamo ritrovati i gendarmi in albergo che avevano rivoltato le stanze, come fossimo una banda di criminali. Lo spagnolo aveva fatto tutto per conto suo, ma il danno d'immagine fu comunque enorme. Amadio passò ore e ore al telefono con la dirigenza, giurando e spergiurando ... Potemmo così proseguire la corsa, ma ormai eravamo esposti alla gogna. E anche la decalcomania si rivolse contro di me: "Così voi siete Nibali, la verginella che non si era accorta di avere in squadra un drogato?" Mi apostrofavano i giornalisti francesi, ridacchiando sotto i baffi, Sad Mentre a me ridevano dietro, il Cobra indossava la maglia "à pois" dopo aver vinto due tappe. Esisteva una giustizia, o il mondo era davvero dei furbi? Ma il 17 luglio saltò fuori che Riccò era positivo al CERA, un farmaco di nuovissima generazione, che probabilmente solo i laboratori francesi erano in grado di rintracciare. Per la legge transalpina aveva commesso un crimine e rischiava fino a cinque anni di carcere. Con lui se ne andò tutta la Saunier Duval, perché di lì a poco sarebbe stata dichiarata anche la positività di Piepoli. Alla fine della stagione, ci fu anche il turno di Emanuele Sella, il piccolo diavolo delle Dolomiti.
    Gli appassionati italiani erano ormai furibondi, tanto più che il Tour delle "grandi pulizie" non aveva portato risultati. Cunego si era schiantato, battendo il mento a terra nella diciottesima tappa (nota mia, quando da tempo però era fuori classifica), Pozzato si era dovuto inchinare nelle volate e l'onore della Liquigas era stato ristabilito, solo in parte, grazie alle buone prestazioni dei suoi giovani. Per qualche giorno avevo indossato la maglia dei giovani e poi aiutato Kreuisiger, che riuscì a ottenere una buona classifica finale.
    Il nume tutelare del ciclismo italiano era rimasto Paolino Bettini. Alle Olimpiadi di Pechino corremmo tutti per lui, il 9 agosto nella gara su strada, purtroppo però una foratura lo tagliò fuori dalla possibilità di regalarci un nuovo successo e tutti i nostri piani andarono a monte. Sad Comunque assistemmo all'azione decisa di Rebellin, che festeggiava proprio quel giorno il 37° compleanno e che per poco non riuscì a imporsi, battuto solo dallo spagnolo Sanchez. Fu festa piena per il ciclismo italiano, invece, a settembre ai Mondiali di Varese: Alessandro Ballan, da Castelfranco Veneto, tagliò, a sorpresa, per primo il traguardo. (nota mia, andò in fuga in un gruppetto che non fu ripreso, perché tutti guardavano Bettini). A me però toccò guardare quei mondiali alla televisione e non riuscii davvero a godermela.
    La mia nuova casa sorgeva vicino al centro di Mastromarco ed era disposta su due piani e aveva anche una camera per gli ospiti. Ero orgoglioso di poter invitare mio fratello o gli amici, a trascorrere qualche giorno in Toscana, per far conoscere loro il paese che mi aveva accolto; e allenarci insieme lungo le strade che avevo percorso in lungo e in largo da dilettante. Quella casa mi sembrava la naturale evoluzione della mia cameretta al Quartiere corridori e, anche se ci avessi messo anni per saldare il mutuo, mi dava una sodisfazione speciale godermela ogni tanto, quasi una settimana. Aveva fatto bene il Franceschi a spiegarmi quant'è importante per un uomo ... Purtroppo, però, aveva avuto ragione anche a manifestare i suoi dubbi, quando avevo affermato che se andava bene per me, lo stesso sarebbe stato per Elena. A lei quel posto non piaceva, non lo sentiva suo e si lamentava che Mastromarco fosse fuori mano, piccolo e povero di vita sociale. Un'altra cosa che non le piaceva era l'andirivieni continuo di parenti e amici o colleghi e gente del paese. "Questa non è casa nostra", mi disse una volta, spezzandomi il cuore. "E' un porto di mare!"
    Quando andammo insieme al matrimonio di mia sorella Carmen, in Sicilia, cominciammo a parlare di sposarci anche noi; "Però non staremo sempre in Toscana - fu la sua prima condizione - e fino a quando staremo lassù, niente gente che arriva ogni due giorni" - fu la seconda. Si dice che le mogli siano le regine della casa, ma lei aveva cominciato a dare ordini ancor prima che si stabilisse una data per le nozze! Wink
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    Messaggio Da Lemond Mar Feb 10, 2015 10:58 am

    La Liquigas è andata bene, nelle ultime due stagioni - dichiarò Zanatta - e confido che tali risultati si ripetano anche quest'anno. Ma non nascondo che il nostro obiettivo di stagione è tornare a vincere il Giro e, in questo senso, il nostro valore aggiunto è l'ingaggio di Basso. Ivan era tornato alle corse il 26 ottobre dell'anno precedente, partecipando alla Japan Cup e dimostrando di non aver perso lo smalto. Quando riuscii a parlargli da solo, riconobbi lo stesso ragazzo sereno e determinato. "Ho scontato i miei errori" - considerò - "O forse ho pagato anche quelli degli altri. Ma non importa, di sicuro, non devo più niente a nessuno e voglio dimostrare ai miei figli che possono andare orgogliosi del loro padre." Gli confessai che mi dispiaceva non poterlo aiutare al Giro, dove si sarebbe confrontato con il ritorno del ciclista più chiacchierato e invidiato di tutti i tempi: Lance Armstrong. "Dispiace anche a me, ma Amadio e Zanatta hanno deciso diversamente!" Il suo arrivo era stato un evento elettrizzante, ma ci era costato la partenza di Pozzato, che si era accasato alla russa Katusha.
    Noi della Liquigas correvamo su bici Cannondale, fabbricate in U.S.A, per cui la squadra non poteva avere dubbi su quale doveva essere il primo evento della stagione: Sacramento, California. Quelle otto tappe, sulla costa ovest, non valevano molto, ma avevano un aspetto non trascurabile: la presenza di Lance Armstrong. Nessuno si dannò l'anima per vincere a ogni costo, però mi fece una certa impressione chiudere in classifica generale davanti a lui. Wink Ma quella trasferta mi dette anche un'altra indicazione: stavo cambiando le mie caratteristiche di ciclista; l'allenamento mirato a rendermi più forte e resistente in salita, mi aveva tolto qualcosa in brillantezza e agilità di pedalata e i risultati poco lusinghieri a cronometro, un tempo la mia specialità, stavano a confermarlo. Su quest'ultimo aspetto avrei dovuto lavorarci con il nuovo allenatore: Paolo Slongo.
    In marzo corsi la Tirreno-Adriatico e La Milano-Sanremo, dove lottai con Rebellin e Pozzato, senza concludere nulla, perché tutto il gruppo ci riprese. Il mese successivo mi spostai in Spagna per La Vuelta al Paìs Vasco, vinta di misura da Contador. Le gambe rispondevano bene e mi classificai sempre fra i primi dieci. Poi si partì per le Ardenne, dove bisognava cominciare a fare sul serio. All'Amstel spesi tutto sulla penultima salita per difendere una fuga di Kreuziger, ma senza successo, perché poi fu ripreso e scapparono in tre nelle ultimissime fasi della gara. Non riuscii a combinare niente alla Freccia e alla Liegi chiusi con uno svantaggio contenuto, ma mi mancava lo spunto vincente. Rebellin, che nelle Ardenne aveva vinto tante volte, non fece in tempo a godersi l'ultima Freccia, perché fu reso noto che le analisi eseguite l'anno prima ai Giochi Olimpici, avevano evidenziato una positività al CERA. I guai degli altri non mi portarono vantaggi e nemmeno a Larciano riuscii a portare a termine un'azione determinante: finimmo in gruppo e persi in volata da un corridore che non conoscevo: Callegarin. "Quest'anno zero vittorie - commentò perplesso il Franceschi - ma ti fanno allenare quelli là?" Mi facevano allenare eccome e Longo era un preparatore in gamba, ma il guaio nel 2009 non era la Liquigas. La verità era che con Elena, proprio ora che si pensava di fare sul serio, qualcosa non funzionava più come prima: discutevamo per un nonnulla e io restavo alquanto turbato, il che mi impediva di correre con la testa sgombra. Pensare troppo fa male a un corridore che punta tutto sugli attacchi repentini e non è abituato a fare i calcoli.
    Il Giro del centenario dovette rinunciare al suo pretendente più celebre ancor prima della partenza, perché Armstrong si era rotto la clavicola alla Vuelta Castlla y Leon, così il texano sarebbe stato presente alla corsa rosa solo per onor di firma. Ivan Basso, che mi era succeduto come vincitore al Giro del Trentino, diventava così il principale favorito. Avrebbe dovuto guardarsi da Cunego, a caccia di una conferma nelle corse a tappe, dal russo Menchov e dai soliti italiani. Non appena si cominciò a fare sul serio fu il Killer ad aprire le ostilità: prese la maglia rosa sulle Dolomiti, collocate insolitamente all'inizio, e non la mollò per una settimana intiera, quando Menchov, nella tappa a cronometro su e giù per le Cinque Terre lo superò di una trentina di secondi. Basso, contrariamente alle attese, non riuscì a piazzare acuti e restò sempre fra la quinta e la settima posizione, in una classifica dai distacchi cortissimi. meglio di lui fece Pellizzotti, che guadagnò la terza piazza, mentre Di Luca e Menchov lottavano per la vittoria finale sul filo dei secondi. Il Russo riuscì a spuntarla, mentre il ritorno di Ivan non era stato all'altezza e la Liquigas si doveva consolare con il podio del Delfino.
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    Messaggio Da Lemond Gio Feb 12, 2015 9:25 am

    "Ma è possibile che parli sempre di ciclismo" - mi rampognò Elena al telefono - proprio il giorno della mia prima vittoria di quell'anno al Giro dell'Appennino. Ci rimasi di sasso, ma lei aggiunse che noi avevamo un problema e io non ne volevo parlare! E il guaio era che a lei il ciclismo non interessava per niente e faceva moltissima fatica a pensare di poter convivere con un corridore, assorbito dal proprio lavoro. Dopo quella telefonato non ero più io e me ne convincevo sempre più con l'approssimarsi del Tour 2009. e quindi decisi di approfittare della cosa, decidendo che non mi chiamavo più Vincenzo Nibali, non avevo un fidanzamento sull'orlo della rottura, né le rate della casa da pagare, ero solo un tizio qualunque che per tre settimane avrebbe cercato di pedalare come una bestia feroce e al diavolo tutto il resto!
    La mia tecnica funzionò, nel senso che ritornai ad essere lo Squalo e non un fidanzatino triste, vestito da ciclista.
    Non vinsi nessuna tappa, ma corsi meglio di sempre e diedi quasi ogni giorno "filo da torcere" ai favoriti e, nella massacrante giornata dei "sei colli", chiusi a braccetto con Lance Armstrong, subito alle spalle dei fratelli lussemburghesi e di Contador. Ero stato capace di diventare la rivelazione del Tour. Wink Zanatta, esaltato dalla maglia "a pois" di Pellizzotti e dal mio settimo posto finale, non la finiva più di ringraziarci. Quella campagna di Francia andava considerata indimenticabile. Smile
    Ma nel momento stesso in cui leggevo il mio nome, in grandi caratteri, sui giornali, la mia vita privata tornava a presentarmi il conto in maniera dolorosa: Elena non voleva stare più con me!
    La mia carriera a due ruote era lodevole e promettente, ma nella vita di tutti i giorni, avevo appena perso tutto quello che un uomo può perdere!
    In agosto, all'Eneco Tour, caddi in malo modo e la spalla mi faceva molto male, ma il medico del pronto soccorso garantì che era una semplice lussazione e per lui non c'era nessuna lastra da fare e quindi, se proprio la volevamo, dovevamo pagare il servizio. Lo facemmo e seguii l'infermiera verso la sala delle radiografie, mi accomodai su una poltroncina e stavo per ringraziarla quando ... persi i sensi. Sad
    "E così in Belgio non credevano che la sua clavicola fosse rotta" - considerò il primario di Lucca - "Ha davvero un bell'occhio quel collega! E poi c'è da dire che la sua frattura non è stata subito immobilizzata, e ormai, fossi in lei non mi farei troppe speranze di rientrare prima di sessanta giorni, anche se fra un mese ci sono i Mondiali di Mendrisio". Il professore è un esperto - chiosò l'assistente - "Corre le gran fondo".
    "Non c'è nessuna speranza - proseguì - di tornare prima in sella. Lei ha una carriera lunga e con una ripresa affrettata rischia di compromettere tutto". Restai una settimana all'ospedale di Lucca e ricevetti la visita di Ballerini che mi invitò in Svizzera. Se pure non potevo correre, sarei stato prezioso per fare gruppo.
    Il padrone di casa, Cancellara, si aggiudicò la prova a cronometro, mentre la maglia più prestigiosa andò a Cadel Evans, mentre nessuno dei miei compagni riuscì a salire sul podio. Il magro bilancio fu raddrizzato dai successi delle ragazze: vinse Tatiana Guderzo e Noemi Cantele fu terza.
    "Quest'anno (2010) o si vince una grande corsa a tappe o si chiude baracca. sentenziò Amadio. L'economia del paese va a rotoli e i milioni da spendere nel ciclismo ce li hanno solo i russi. Quelli ci compreranno tutti, se non ci diamo una mossa". Poi spiegò che la Liquigas sarebbe andata al Giro con due capitani (Basso e Pellizzotti) e al Tour con quattro (ancora loro due, insieme a me e Kreuziger) e, alla Vuelta, che non va trascurata, saremmo andati Kreuziger e io. Si trattava di preparare due G.G. in una stagione: era una missione entusiasmante, ma anche un rischio enorme dal punto di vista tecnico. Non l'avevo mai fatto e non potevo saperlo, ma la mia perplessità era condivisa dagli altri uomini di punta della squadra.
    "Io al Giro voglio dare tutto, disse il Delfino, ma come farò poi ad arrivare al Tour in uno stato decente? C'è una pausa troppo breve, fra una corsa e l'altra". - Vedremo, quando ci saremo, tagliò corto Amadio -. E noi rimanemmo a pensare che ci aspettava un'annata piena di incognite e di certo, per me, la più dura da quando correvo.
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    Messaggio Da Lemond Ven Feb 13, 2015 10:26 am

    Per aprire la stagione andai al Tour de San Luis, in Argentina e quella prima volta da capitano mi mette l'occasione di conoscere un ragazzo che non avevo ancora valutato bene: Valerio Agnoli, ciociaro di Alatri, aveva un anno meno di me ed era molto impegnato nel sociale. "Non dovremmo mai dimenticare chi si trova in difficoltà, perché, più l'economia va male, più la gente si incattivisce e aumentano gli episodi di razzismo e le guerre fra i poveri!". Mi diede molto da pensare, io, al massimo, mi ero esposto contro il doping, invece il lavoro di sensibilizzazione che si poteva fare era enorme.
    Quel mio soggiorno nell'emisfero australe portò buoni frutti, perché in quell'atmosfera di collaborazione quasi fraterna, al secondo giorno ero già fra i primi, al quarto, nella cronometro, presi la maglia e la tenni fino al traguardo finale e quindi a fine gennaio 2010 avevo già una corsa a tappe al mio attivo. Wink
    Pochi giorni dopo, però, arrivò una notizia terribile: era morto Franco Ballerini in un incidente, durante una gara automobilistica. Il giorno dei funerali a Casalguidi c'erano tutti e Alfredo Martini, confessò in lacrime, di aver perso un figlio!
    Alla vigilia del Giro tutti i piani per la mia annata andarono "a farsi benedire", perché il mio amico Franco Pellizzottti, l'uomo che mi aveva aiutato a diventare un vero professionista, fu fermato per valori anormali negli esami del sangue. Mi sembrava impossibile .., però, arrivati a quel punto, ero pronto a non stupirmi di niente e a rispondere solo di me stesso. In attesa di un procedimento, che si annunciava lungo e complicato, la Liquigas decise di mandare me al Giro. All'inizio protestai! Erano mesi che mi allenavo per confermare la buona prestazione al Tour e ora saltava fuori che dovevo restare a casa di luglio! Mentre per il Giro a maggio, non ero pronto. Per riportare la pace, dovette mettersi al lavoro il mio manager Alex Carrera, che alla fine, mi annunciò buone notizie: "Se accetti di fare il Giro, sarai co-capitano insieme a Basso". Non replicai, perché correre contro Ivan era qualcosa che non avevo mai preso in considerazione...
    Ero saltato a bordo della carovana rosa con un preavviso così ridotto da non riuscire a razionalizzare la cosa e mi misi a studiare il percorso, concludendo che l'importante sarebbe stato arrivare in forma all'ultima settimana. Zanatta, poco dopo, venne da me e mi chiese di fargli una promessa: "Ricordati che non sei più un gregario e se Ivan non gira, non devi fermarti ad aiutarlo. Vai dritto per la tua strada".
    Ad aiutarmi in quel Giro ci sarebbero stati Agnoli e Vanotti, gli altri avrebbero corso per Ivan, che dovevo considerare come un avversario qualsiasi, benché portassimo la stessa maglia, almeno finché non avessimo avuto un contrordine dall'ammiraglia. Così, alla vigilia della partenza, volli parlargli da uomo a uomo: "Quel che succederà in corsa non deve cambiare i nostri rapporti". - Non preoccuparti, è normale che ognuno faccia la sua gara e mi sorrise, però aveva già l'espressione tirata di chi saluta un avversario -.
    L'indomani, nella breve crono di Amsterdam, con l'asfalto e il pavé viscidi di pioggia, partii deciso, anche per vedere se il lavoro per ritrovare brillantezza avesse dato i suoi frutti e per la foga rischiai di finire "a gambe all'aria" ad ogni curva. A un certo punto mi trovai qualcosa sulla strada, troppo tardi per correggere la traiettoria: era un piccione e lo centrai in pieno, mantenedomi in sella con un colpo di reni, fra glo "Oooh" di meraviglia degli olandesi.
    Bradley Wiggins (divenuto poi "sir") si prese la Rosa e io arrivai a soli dieci secondi; per quel primo giorno l'obiettivo era stato raggiunto. L'indomani si corse ancora su asfalto scivoloso e con numerose isole pedonali; si registrarono cadute a raffica, ma, per fortuna riuscii a starne fuori, a differenza di Wiggins. La maglia passò al campione del mondo Cadel Evans, mentre io ero a otto secondi. L'ultima tappa olandese fu segnata dalle raffiche di vento e si arrivò allo sprint di gruppo, ma Evans non c'era e il primo in classifico ora era Vino ed io quarto a cinque secondi.
    Il Giro era ancora tutto da scrivere, ma intanto ero tornato dall'Olanda con buone sensazioni. La ritrovata brillantezza a cronometro si rivelò utile nella prima frazione in Italia: 33 km. in una gara a squadre, sotto la pioggia. Vanotti ed io tirammo alla grande e anche gli altri fecero la loro parte, perché arrivammo tutti uniti. Quando mi tolsi il casco mi resi conto che avevamo fatto un tempo eccezionale e, infatti, quel giorno mettemmo in fila tutti, a cominciare dai cavalieri neri della Sky. Oltre a una grandissima iniezione di fiducia, quel giorno, a Cuneo, indossai la mia prima MAGLIA ROSA e la sera Amadio e Zanatta dovettero sforzarsi per contenere l'euforia. Very Happy
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    Messaggio Da Lemond Sab Feb 14, 2015 3:22 pm

    La quinta tappa era destinata a ripercorrere le strade del campionissimo Fausto Coppi, mentre io ero tutto vestito di rosa. Badammo solo a controllare la corsa e ci riuscimmo, mentre il giorno successivo arrivammo in Toscana e lì, ad aspettarmi, c'erano i Cannibali, anche loro vestiti di rosa. Per quanto sarebbe andato avanti quel sogno? Cominciavo a provare la vertigine del comando, generatrice di sospetti e paranoie e poi sarebbe bastato un niente, una ventata improvvisa o un calo di zuccheri o ... per dover salutare quella maglia, alla quale mi ero abituato così facilmente! In camera con Vanotti parlammo della tappa a venire e lui mi disse di aver un dolore al polpaccio. "Vai tranquillo - gli dissi - sullo sterrato basta che guidi rilassato, non giocare troppo sul cambio e alza il culo quando arriva una buca. Wink
    La sentivo nelle mie corde la tappa che ci avrebbe condotti sulle strade bianche intorno a Siena, perché, fin da piccolo, ero stato abituato alla montain-bike e invece il sogno finì proprio lì. Pioveva forte quel giorno e io mi trovavo nel mio elemento, insieme ai compagni, poi a 30 Km. dall'arrivo, chi mi stava davanti scivolò e io, dietro, volai per terra, senza possibilità di governare la caduta. Eravamo andati giù in tre o quattro e la prima cosa che mi terrorizzò fu l'idea di essermi rotto qualcosa. Per il resto, non capivo più quasi niente e solo dopo un po' riuscii a realizzare che al traguardo non avrei più avuto la maglia. Zanatta, dall'ammiraglia, continuava a ripetermi di guidare normalmente e di pensare solo ad arrivare. Quel giorno rimediai due minuti, che mi fecero scivolare al quinto posto e, quel che era peggio, sapevo che la maglia rosa per quell'anno era persa senza rimedio!
    "The Show Must Go On" e la gente ebbe di che emozionarsi: si vide Vino lottare per restare avanti in classifica e R. Porte strappargli la maglia nell'undicesima frazione, con il toccante arrivo a L'Aquila, devastata dal terremoto e si vide il gruppo risalire il passo del Barbotto e scendere a Cesenatico, per omaggiare il Pirata. Anch'io feci la mia parte, attaccando sulle rampe del Grappa insieme a Ivan, Scarponi ed Evans, per poi filarmela, da solo, in discesa e arrivare a braccia alzate sotto il traguardo di Asolo.
    No, la gente non poteva lamentarsi e si esaltò addirittura quando Ivan tornò terribile e schiantò tutti sullo Zoncolan e nella tappa di Pian de Corones si piazzò secondo in classifica, alle spalle di Arroyo. Le ultime tappe di montagna poi, furono spettacolo puro: nella IXX tappa scattammo di nuovo Basso, Scarponi ed io sul Mortirolo e ci lanciammo in picchiata, inseguiti invano da Arroyo, che perse la maglia, a vantaggio di Ivan, mentre io ero terzo nella generale. Il penultimo giorno (con Gavia e Tonale) Arroyo cercò di attaccare Basso e Scarponi me, ma entrambi i colpi di mano fallirono o quasi, perché riusci a conservare il terzo posto per un solo secondo. Solo l'ultima tappa, a cronometro, ci avrebbe detto se ero degno di salire sul podio, ma ero fiducioso, perché il mio rivale marchigiano non era certo uno specialista in questo tipo di gare. Però sapevo anche che bastava un piccione, più tonto degli altri, per ... Sad Ma a verona non ci furono pennuti di sorta, Ivan vinse il suo secondo Giro e io potei raccogliere l'applauso dell'Arena, insieme a lui e Arroyo. La Liquigas era sugli scudi, Amadio e Zanatta si abbracciavano come bambini ed eravamo tutti commossi, anche se non riuscivo a togliermi dalla testa che, senza quella maledetta caduta alle strade bianche, le cose sarebbero potute andare in maniera diversa.
    Si dice che l'appetito vien mangiando e quello degli Squali è proverbiale: a luglio vinsi il Giro di Slovenia e in agosto il trofeo Melinda e, a fine mese, andai a correre la Vuelta, con la voglia di sbranare chiunque si fosse messo sulla mia strada: la maglia rossa, simbolo del primato da quella edizione, doveva essere mia. E non mi scomposi anche se nelle prima tappe le cose non andarono per il verso giusto, perché quelli davanti a me in classifica non mi impensierivano, mentre ben altra faccenda fu il dover soccombere ad Antòn, che riusci a sfruttare il primo arrivo in salita. Dopo quella tappa la classifica aveva un assetto vicino ai veri valori in campo: maglia rossa Anton e dietro, a un secondo, Purito Rodriguez, con grande entusiasmo degli spagnoli, che forse non davano il giusto peso alla minaccia rappresentata da me, in agguato come un predatore, in terza posizione a due secondi.
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    Messaggio Da Lemond Dom Feb 15, 2015 9:56 am

    Il circo volante del ciclismo, oltre ai corridori, si portava dietro un piccolo esercito di tenici, massaggiatori, meccanici etc. Ognuno gestiva lo "stress" alla sua maniera e l'atmosfera di festa permanente che circondava la carovana si rivelò fatale per Andy Schleck e S. O' Grady, che una sera rientrarono ben oltre l'orario limite e ubriachi fradici. Bjarne Riis reagì a quella insubordinazione con un attacco di furore vichingo e i due furono rispediti a casa, senza possibilità di appello! L'indomani tutti parlavano solo del loro caso e Purito approfittò di quella distrazione lanciandosi in uno sprint intermedio, così da poter prendere la maglia rossa. La tappa successiva ci portò sui Pirenei, con arrivo ad Andorra e ci rimasi molto male quando mi resi conto di non poter tenere il passo di Antòn e di Mosquera, però, a differenza di Purito che crollò, riuscii a contenere il distacco intorno ai venti secondi. Risparmiai le forze nelle due tappe successive e avevo buone sensazioni quando affrontammo le montagne della Cantabria. Mi tenni in posizione vantaggiosa, insieme a Kreuziger, deciso ad attaccare sulla salita finale, ma, quando non ne avevamo ancora assaggiato le prime rampe, accadde qualcosa di imprevisto. Il minicomputer di bordo segnalava una velocità di 65 kmh quando la maglia rossa Igor Antòn e i corridori più vicini a lui parvero esplodere: si erano toccati, o forse una buca, fatto sta che per molti di loro, fra cui Antòn, la corsa era quasi finita. Per parte mia, restai fedele al piano; non appena arrivarono le prime rampe scattai e per lungo tempo rimasi solo in testa, ma, all'ultimo km. arrivò Purito e mi superò facilmente, per andare ad aggiudicarsi la tappa, mentre io mi dovetti "accontentare" della maglia rossa. Wink I tifosi spagnoli, imbizzarriti per la caduta di Antòn, non mi risparmiarono i fischi. Mi dispiaceva di cuore che un collega si fosse fatto male, ma che cosa dovevo fare, quando ormai si filava come treni? E poi, quando anch'io ero caduto al Giro, esi era fermato: purtroppo sono cose che capitano! Purito a soli 4 secondi e Mosquera a meno di un minuto avrebbero fatto di tutto per non lasciarmi vincere "a casa loro".
    Nella sedicesima tappa mi sentivo le gambe vuote e i rivali se ne accorsero sulla prima salita, ma Roman Kreuziger mi disse di stare calmo, mentre lui pensava a fermarli. Si portò in testa e fece un tira e molla continuo, l'unico modo per frenare le ambizioni degli spagnoli. Diede il massimo, dimostrandosi un uomo da battaglie di altri tempi, ma sulla salita finale ormai era cotto e io più di lui! Per fortuna Mosquera attaccò deciso solo all'ultimo km. e Purito gli andò dietro, per superarlo nel finale e prendersi la maglia, in una esplosione di isteria collettiva. Gli spagnoli avevano finalmente avuto sodisfazione: lo Squalo italiano era stato arpionato. Smile
    "Domani è il giorno decisivo - annunciò Zanatta - a cronometro non possono starti dietro". - Quanti km. sono, domandai? - "Quarantasei, c'è da fargli andare di traverso lo spumante di oggi". In quella tappa partii "a tutta birra", ma dopo 8 km. mi accorsi che la ruota saltava sull'asfalto: avevo forato. "Vai Squalo", gridò Zanatta, aiutandomi a rimontare in sella, di una bici, che non sapevo se era la stessa. Fissai comunque gli scarpini ai pedali e tornai a essere un cavaliere: il trotto diventò in pochi metri galoppo e il galoppo una carica a perdifiato, intorno al castello di Penafiel. Alla fine, scoprii di aver perso circa trenta secondi per la foratura, ma di aver comunque inflitto un distacco abissale a Purito e la maglia rossa era di nuovo mia, con trentanove secondi di vantaggio su Mosquera. Ormai, a giocarci la Vuelta eravamo rimasti in due. Ogni giudizio andava rimesso alla penultima frazione, con l'arrivo su una montagna chiamata "Bola del Mundo". Il mio massaggiatore, il pisano Michele Pallini, mi aveva spiegato che significava "mappamondo" e aveva aggiunto che ere piena di antenne, come il Monte Serra. Insieme a Slongo, Vano e Agnoli, il massaggiatore era una delle persone con le quali mi confidavo di più e, così gli domandai: "Allora, Michele, come la vedi per domani?" - Non c'è nessun Mosquera, mi stupì, quando si arriva ad altissimo livello, come te, non si corre più contro gli avversari; o meglio, gli avversari sono lì. ma in quanto simboli. La corsa vera è contro i nostri fantasmi, le paure che ci portiamo dietro. Tu vieni da un periodo difficile e l'anno scorso i muscoli erano pieni di paura, come la tua anima. Quest'anno invece ogni fibra del tuo corpo parla di una fiducia ritrovata -.
    "E' una buona notizia, codesta". - Ottima, così domani non pensare di dover battere un uomo, sono i tuoi limiti che devi superare, abbatti l'ultimo sottile diaframma che ti separa dalla pace e vedrai un mondo nuovo -. Wink
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    Messaggio Da Lemond Lun Feb 16, 2015 10:29 am

    Feci come mi aveva consigliato Pallini e non mi preoccupai di battere Mosquera. Più semplicemente gli restai dietro, un tornante dopo l'altro, controllando che non si staccasse mai troppo, così fu lui, costretto a soffrire più di quanto un uomo possa sopportare, fino a sfiancarsi. Lo ripresi negli ultimi metri, ma non volli infliggergli l'umiliazione di superarlo sul traguardo: la tappa se l'era meritata.
    La Vuelta era mia e mi emozionai quando vidi, in mezzo al pubblico, frammisti agli spagnoli che ululavano disapprovazione, i Cannibali e Carlo Franceschi. "Madonna bona, Nibalino! Oggi mi hai quasi fatto venire un infarto quando è partito Mosquera e si è sentito un boato da stadio!" - Ma no, gli feci scuotendolo per le spalle, era tutto sotto controllo. - Smile "Non lo so, ma quando l'ài ripreso sull'ultimo tratto, son passato dalla disperazione alla felicità, avevo pensato di morire e invece ora rivivo."
    Poi arrivò Michele a dirmi che alcuni scalmanati avevano preso a calci l'ammiraglia della Liquigas e che per raggiungere le macchine dovevamo scendere in bici fino al piazzale, passando in mezzo alla gente, con un'atmosfera per niente benevola. "Basta che un ubriaco ti dia una spinta e siamo fritti, forse è meglio se non ti riconoscono". Mi fidavo di lui e così, quando estrasse da uno zainetto un giubbotto e un berretto scuri, senza alcuna insegna, li indossai senza fiatare. Per mostrare alla gente la maglia rossa che certificava la mia prima vittoria in un G.G. aspettai il giorno dopo. Sotto il cielo terso di Madrid venni accolto da due signorine dalle gambe chilometriche e la gente mi applaudì come un vecchio amico. Quando scesi dal podio, avrei voluto abbracciare Slongo, Pallini, Amadio, Zanatta, Kreusiger e il resto dei compagni e poi telefonare a chi non c'era: tutti quelli che mi erano stati vicini, dai famigliari agli amici, avrei chiamato mezza Messina e tutta Mastromarco. Very Happy
    "Vincenzo, mi fece presente un giornalista, sei il quinto italiano ad aver vinto la Vuelta, per un ragazzo di 25 anni è la consacrazione, che cosa ti proponi ora?" - Di non cambiare come persona, risposi, è una promessa che ho fatto a me stesso. L'intervistatore non sembrava sodisfatto, perché ogni corridore, dopo una vittoria importante, si dà un nuovo obiettivo e quindi rilanciò: "Tu credi di poter battere il pistolero?" - Sarà incredibilmente difficile, risposi, molti corridori ci hanno provato, senza riuscirci, ma forse un giorno, chissà, ci potremo trovare l'uno contro l'altro per una vittoria finale ... magari proprio al Tour -.
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    Messaggio Da Lemond Mar Feb 17, 2015 9:46 am

    Dopo la vittoria alla Vuelta si aprì un mondo nuovo e al Bar della Casa del Popolo si parlava di me come della prova vivente della superiorità di Mastromarco sulla detestata San Baronto.
    Atterrato a Fiumicino, mi avvicinarono due carabinieri che mi chiesero se ero Vincenzo Nibali. "Sono io, perché?" - La dobbiamo avvertire che forse è meglio impiegare un'uscita secondaria, perché c'è una folla di scalmanati che l'aspetta. Se lei si mostra, rischiamo di creare intralcio al traffico -.
    La folla di scalmanati erano i Cannibali e il resto della popolazione di Mastromarco; sembrava che solo i non autosufficienti e i bambini piccoli non avessero affrontato il viaggio per Roma. Wink Al ritorno, in autostrada, avevamo formato un festoso corteo e, una volta arrivati, festeggiammo fino a notte fonda. Quando mi ritrovai a casa, feci scattare, brillo com'ero, l'antifurto e quel suono stridulo, capace di svegliare la gente fino a Empoli e Montecatini, fu scambiato per il segnale che la festa sarebbe proseguita fra le pareti del mio appartamento. Così, quanti erano appena rincasati, si precipitarono di nuovo fuori, pronti a ricominciare. Wink
    Ivan aveva ragione: vincere un grande Giro ti portava diritto nel cuore della gente e mi capitava spesso che giovani e vecchi mi fermassero per chiedere un autografo e il mio manager, Alex Carera, doveva selezionare una quantità imprevista di candidature da parte di nuovi sponsor e richieste di partecipazione a eventi e cerimonie.
    A Messina era cambiato tutto e trovai il negozio dei miei decorato con festoni e fotografie. Carmen mi disse che arriva gente ogni giorno per chiedere se è davvero questa l'attività della famiglia Nibali, poi aprì un cassetto e tirò fuori un fascio di lettere di mie ammiratrici. Wink Anche mamma, a casa, aveva posta per me: centinaia di mie fotografie, da autografare con dedica per tutti i parenti e gli amici e mi toccò passare tre ore a scrivere e firmare sul retro di queste immagini. Mio padre mi sorprese al termine di questa fatica e subito mi disse di non montarmi la testa, perché ero solo all'inizio della carriera. Poi aggiunse: "Io proverei ad abbassare di un millimetro la sella".
    Dovetti cambiare l'auto, perché aveva fatto troppi chilometri e anche il guardaroba, a causa di tutte le occasioni che richiedano la mia presenza e in poco tempo andai a ritirare una enorme quantità di premi. Ma, a un certo punto, decisi di dire basta e accettai l'invito del mio compagno Valerio Agnoli a trascorrere qualche giorno da lui, perché a Fiuggi ci saremmo potuti allenare in pace. Non ricordavo di essere mai stato da quelle parti, però quando arrivai, mi sembrarono familiari.
    La proposta di andare a cena in una trattoria della cittadella medievale arrivò da Giovanna, la fidanzata di Valerio e, dopo una giornata intiera sui pedali, l'accogliemmo con piacere e mi accorsi che da quelle parti si mangiava bene. Quando uscimmo ... all'improvviso la vidi. Muoveva con passo sicuro incontro a Giovanna, poi sorridendo l'abbracciò. Era bella, aveva occhi verdi come i boschi, lineamenti dolci e una voce, che pareva cantare. Non rammento che cosa riuscii a balbettare quando Rachele mi fu presentata e quasi tremai nell'ascoltare la sua risata argentina, perché Valerio aveva raccontato una storia scherzosa. "Squalo? Ci sei ancora?" Domandò quando la ragazza se ne fu andata. Ancora scosso, guardai lui e Giovanna, poi trovai la forza di proporre: "Perché non la invitiamo a cena, una sera di queste, la vostra amica?"
    L'anno successivo in molti dicevano che Nibali era appagato: ottavo alla Sanremo e ottavo pure alla Liegi, nessuna vittoria quest'anno, è stato un "fuoco di paglia". E poi, a ben vedere, se non cadeva il basco, neppure la vinceva la Vuelta! E al Giro quest'anno c'è Contandor; il Pistolero gli fa "ciao, ciao, con la manina.
    A me queste parole, però, non facevano gran male, avevo patito ben altro senza mai mollare e chi mi conosceva bene, sapeva il mio valore ed era contento per me. E poi avevo un sogno segreto: Rachele, il mio pensiero fisso, la mia nuova ragione di vita.
    Valerio ed io mantenemmo il segreto con tutti, perché sapevo che nel mondo del ciclismo un corridore innamorato pazzo era considerato inaffidabile. Solo dopo un certo tempo decisi che i primi a saperlo dovevano essere Carlo Franceschi e la signora Bruna, perché volevo mostrare alla mia nuova fidanzata la contrada dov'ero stato ragazzo, il vecchio Quartiere corridori e la casa dove vivevo.
    La prima volta che mettemmo piede alla Casa del Popolo tutti i compaesani erano stati avvertiti e così l'accolsero in maniera festosa e fu un sollievo sapere che a Rachele il paese piaceva. Ne apprezzava lo spirito di condivisione e solidarietà e capiva che sentirmi amato dalla gente di Mastromarco per me era un questione vitale.
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    Messaggio Da flatMatt Mar Feb 17, 2015 6:47 pm

    grazie carlo, leggo con gusto gli stralci. Il rischio della troppa retorica è stato evitato quasi del tutto ma capisco che nibali è nel pieno della carriera. C'è un libro che mi svela un po' di retroscena ma nel modo giusto cioè facendo ragionare invece che solo per il gusto del pettegolezzo? se c'è sarebbe il primo libro di ciclismo che prendo.....anzi no, ho quello su pantani
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    Messaggio Da Lemond Mer Feb 18, 2015 9:25 am

    flatMatt ha scritto:grazie carlo, leggo con gusto gli stralci. Il rischio della troppa retorica è stato evitato quasi del tutto ma capisco che nibali è nel pieno della carriera. C'è un libro che mi svela un po' di retroscena ma nel modo giusto cioè facendo ragionare invece che solo per il gusto del pettegolezzo? se c'è sarebbe il primo libro di ciclismo che prendo.....anzi no, ho quello su pantani

    I libri che finora ho letto (o tradotto) hanno quasi tutti aggiunto qualcosa, a partire da Fignon, per proseguire con Anquetil (2) Guimard, Porte, Mouncoutié, Brochard, Massignan. Forse quelli che non dicono molto, al di là delle cronache di corsa, sono i libri su Coppi e Nencini.
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    Messaggio Da Lemond Mer Feb 18, 2015 11:03 am

    Ero innamorato, ma anche un professionista, per cui, quando cominciò la preparazione per il Giro, cercai di concentrarmi solo sulla gara. Noi della Liquigas eravamo i campioni uscenti e scontavamo attese altissime, ma questa volta, sulla nostra strada, avremmo trovato il corridore più temuto del mondo: Alberto Contador che, fino a quel momento era IMBATTUTO nei G.G. Il Pistolero di Madrid era uno dei pochi ad aver vinto Giro Tour e Vuelta ed era ancora giovane. Di recente aveva lasciato l'Astanà, la squadra che traeva il nome dalla capitale del Kasikistan (nota mia, l'antica Alma Ata, dove Stalin aveva spedito in esilio-prigione Lev Trotsky) e si era trasferito alla Saxo, il team di B. Riis. In quel momento gli pendeva sul capo la "spada di Damocle" di una squalifica, ma gli organizzatori del Giro avevano voluto ad ogni costo che partecipasse. Visto da vicino, sembrava un ragazzo chiuso, non rivolgeva la parola a nessuno, anche perché era sempre circondato da manager e dirigenti e i suoi gregari di fiducia sembravano guardie del corpo. Nel 150° anno dall'Unità d'Italia lo spagnolo era deciso a impadronirsi, senza complimenti, della Corsa rosa e infatti fu così: solo nella prima settimana qualcuno riuscì a rubargli i titoli dei giornali e fra questi, PURTROPPO, ci fu Wouter Weylandt, morto in una una caduta a settanta all'ora. Quella sera chiamai i miei genitori per sentire la loro voce e tranquillizzarli e, per quel che poteva valere, assicurai che avrei fatto attenzione. Il decesso del belga fu celebrata con una tappa neutralizzata ai fini della classifica, preceduta da un omaggio dietro la linea di partenza. Mentre la banda dei bersaglieri diffondeva le note del Silenzio, il gruppo era scosso da singhiozzi.
    Bisognava, comunque, andare avanti e alcuni giorni dopo sbarcammo in Sicilia. La nona frazione partiva da Messina, dove fui acclamato come un eroe, per affrontare due volte l'Etna, da versanti diversi. Doveva essere la mia tappa e c'ero anch'io nella pattuglia di testa, insieme Contador, Kreuziger (che era passato all'Astanà) e Michele Scarponi. Ma quando il Pistolero cambiò passo, a 7 km. dal rifugio Sapienza, solo il marchigiano seppe stargli dietro, per poi cedere anche lui. Dopo un'altra tappa di montagna ero secondo in classifica, ma con più di 3 minuti di ritardo e con Scarpa dietro a 7 secondi. Successivamente, mentre Contador continuava ad aumentare il vantaggio, a noi due non restò che duellare per la piazza d'onore.
    Come tipi, Michele ed io non potevamo essere più diversi, perché lui aveva proprio l'indole del Mattatore: riusciva ad allietare il gruppo con trovate da cabarettista, storielle piccanti e barzellette, tanto che si diceva avesse un futuro assicurato fra i comici di Zelig. Però in corsa smetteva di scherzare e si sarebbe dannato l'anima pur di prendere il secondo posto e, prima della tappa a cronometro finale e dopo alcune tappe dall'esito contraddittorio fra noi, riuscì a staccarmi sul colle delle Finestre e ottene un minuto di vantaggio e così mi dovetti accontentare di salire per la seconda volta sul gradino più basso.
    Il trionfo riservato a Contador si sarebbe rivelato una farsa in seguito al pronunciamento definitivo delle autorità sportive, perché allo spagnolo sarebbe stata cancellata quella vittoria, così come il Tour 2010. Michele Scarponi, di conseguenza sarebbe stato riconosciuto, a posteriori, vincitore della Corsa. Ecco, perché Scarpa, memore di quella giornata milanese in cui era stato salutato come primo degli sconfitti, avrebbe fatto sfoggio di un'amara autoironia, parlando di sé come l'uomo più distratto del Paese: "Vojo di', so' l'unico che ha vinto un Giro d'Italia e non se n'è accorto. Ne conoscete voi un altro cuscì?"
    Anche alla Vuelta fui a lungo terzo in classifica e nella tappa al passo di Ancares riuscii, grazie ad un abbuono, ad infilarmi fra i due Sky (Wiggins e Froome), ma l'indomani crollai fra i monti delle Asturie, facendomi staccare, in maniera ingloriosa, da entrambi e da altri 25 corridori. Ero a pezzi e rientrai dalla Spagna deluso e ridimensionato nel prestigio. I miei detrattori se l'aspettavano e avrebbero detto che Nibali era finito. In realtà avevo preso la preparazione "sottogamba", esaltato dalla storia con Rachele e mi ero allenato come uno sportivo qualsiasi e non come un campione. Ma se non volevo arrendermi e mandare a rotoli la carriera a soli ventisei anni, dovevo ricominciare ad allenarmi in maniera massacrante e così l'uomo e il ciclista sarebbero tornati ad essere la stessa persona. Wink
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    Messaggio Da Lemond Gio Feb 19, 2015 12:25 pm

    "Massacrami, per favore - chiesi a Slongo - voglio arrivare a sera da non stare in piedi." Il mio preparatore non si fece pregare. Wink Per quell'anno avrei saltato il Giro, sul quale si concentravano le mire di Ivan, e tutte le mie energie erano riservate al Tour, dove avrei potuto anche avere Basso, per darmi una mano. Era una stagione nella quale non potevamo fallire i nostri obiettivi, anche perché arrivava a scadenza l'impegno della Liquigas. Per garantire un futuro al gruppo serviva un nuovo sponsor e questo significava dover vincere. Abbinai agli allenamenti una dieta "spartana" per perdere in fretta quei due chili "guadagnati" in inverno. Quando Rachele era a casa mia e si occupava della cucina, la pregavo di pesare la pasta e lo stesso per pane e dolci. "Povero Vincenzo, hai sempre fame, osservò una sera " - Fa parte del mio lavoro -. Era impressionata dal mio rigore e cercava di aiutarmi, a nostro modo facevamo gioco di squadra.
    Un giorno telefona Alex Carera per dirmi che mi ha trovato un appartamento a Lugano, per togliermi ogni pressione dalle spalle e inoltre ho bisogno di un domicilio in Svizzera. Il motivo di tutto ciò è che ero in scadenza di contratto ed è era arrivata una proposta-bomba. Wink
    Avevo presentato Rachele alla mia famiglia e loro avevano subito capito che, dopo anni tormentati, quella ragazza poteva rappresentare un approdo sicuro e in quei giorni ormai avevo deciso di chiederle di restare al mio fianco per sempre. Quando glielo dissi, accompagnando le mie parole con un anello, aspettavo un solenne sì; invece lei si fece prendere dalla gioia e cominciò a ridere e, dopo poco, finì per contagiarmi. Chi ci guardava pensava che fossimo pazzi e forse non aveva torto, perché l'amore non è certo ragionevole. Wink
    Il mio 2012 partì molto bene: al Giro dell'Oman vinsi sulla salita arroventata dello Jabal al-Akhdar, poi conquistai il Tridente, che premia i vincitori della Tirreno Adriatico. Lo agitai come Nettuno sotto gli occhi del pubblico e non stavo in me dalla contentezza, all'idea di aver ottenuto quell'onore davanti a Rachele. Provai a giocarmi le mie "chances" alla Sanremo e andai vicino a un risultato clamoroso, scappando al gruppo sul Poggio, ma l'illusione durò poco, perché mi raggiunsero Cancellara e Gerrans e fui solo terzo. Andai con la stessa furia alla Decana, dove partii in fuga nella discesa della Roche-aux-Faucons e per lungo tempo assaporaila mia prima vittoria in una classica, prima di essere ripreso, all'ultimo km, dal kazaco Iglinskij. L'amarezza fu enorme! Sad
    Ben peggio partì l'annata di Basso, perché il Giro fu una completa delusione per lui e tutto il ciclismo italiano: per la prima volta, dopo la metà degli anni novanta, sul podio salirono solo stranieri, con Scarponi soltanto quarto. In vista dell'edizione successiva, il pubblico già reclamava un salvatore della patria.
    La casa di Lugano era bella davvero, anche se per il momento non dovevamo abitarci: bastava sapere che esisteva per poterla usare al momento opportuno. Infatti, la clamorosa proposta di cui parlava il mio manager, si sarebbe concretata solo a condizione di avere la residenza in Svizzera. "Quelli si sentono garantiti solo così - mi spiegò Alex - d'altronde, mettiti nei loro panni: preferiscono che il loro capitano viva dove l'aria è buona, le grandi montagne sono a un passo e, soprattutto gli automobilisti non ti sfrecciano accanto, mentre ti alleni lungo una provinciale! Domani li vedo, è tempo di mettere nero su bianco le condizioni, chi vuoi portare con te dalla Liquigas?".
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    Messaggio Da Lemond Ven Feb 20, 2015 1:20 pm

    Il mio buon inizio di stagione convinse la stampa specializzata a inserirmi nel ristretto novero dei favoriti per il Tour, ma l'edizione 2012, a cui non avrebbe partecipato Contador, era più adatta ai passisti che agli scalatori. Il Team britannico del modernista B. Wiggins e dell'emaciato C. Froome, aveva a disposizione fondi immensi per raggiungere l'obiettivo e, per aumentare le proprie possibilità, aveva messo sotto contratto anche Richie Porte, il tasmaniano passato anche lui dal Quartiere corridori di Mastromarco. Ma forse non ce ne sarebbe stato neppure bisogno, dopo le tre vittorie ottenute da Bradley alla Parigi-Nizza, Giro di Romandia e Delfinato. A quel Tour le squadre italiane erano solo due e Scarponi mi disse che sapeva che la Liquigas sarebbe diventata americana e restò a guardarmi in attesa di una conferma. Ma io non potevo riferirgli certo gli incontri da film di spionaggio che avevo avuto con gli emissari della nuova squadra.
    Per il momento esisteva solo il presente e, se volevo lasciare un segno sul Tour, dovevo contare sull'esperienza di Ivan, sulle capacità di gregario del buon Vano e sullo stato di grazia di Peter Sagan. L'impresa di regalare un ultimo successo ai nostri colori, insomma, si annunciava complicata, ma non impossibile.
    "Sagaaan!", gridò, fuori di sé, lo "speaker" sul traguardo di Metz. Era la terza tappa che Peter si aggiudicava in sei giorni e così la posa da incredibile Hulk che lo slovacco mimò sul traguardo, resa più convincente dalla maglia verde della classifica a punti, guadagnò le prime pagine.
    Domani la classifica si muoverà in maniera sostanziale, assicurò Pallini e io non avevo che diciotto secondi dalla maglia gialla di Cancellara. Si arrivava in salita su di una montagna chiamata "Planche des Belles Filles", il nome era dovuto alla disgrazia di un gruppo di ragazze del luogo che, alcuni secoli fa, erano cadute nel dirupo, nel tentativo di sfuggire a dei maleintenzionati! Intanto Michele si prendeva anche cura del mio quadricipite sinistro e così approfittai per dirgli che avevo deciso di sposarmi. "Ottimo! - esclamò, senza sospendere il massaggio, sono molto contento per voi." - A Fiuggi, precisai, e vorrei che ci fossi anche tu. - "Volentieri, approvò con un sorriso, ma sento che c'è dell'altro, perché sei un po' teso". Lui aveva un contratto con la Liquigas, come facevo a spiegargli che avevo già firmato un impegno con un'altra squadra? "Lascia perdere, Vincenzo, quel che stai pensando ora e concentrati sul resto.
    Alla "Planche" arrivò per primo C. Froome e dietro c'eravamo Evans, Wiggins e io; la maglia era passata a Wiggins, con Evans a 10 secondi e io a sedici. L'aria di montagna mi esaltava e forse avrei potuto dire la mia sino alla fine.
    Froome mi scavalcò nella prima frazione a cronometro, due giorni dopo, però, seminai Evans nella tappa di montagna con i colli della Madeleine e della Croix-de-Fer e così riguadagnai la terza posizione. L'enorme compattezza della Sky in montagna mi impedivano di portare attacchi e la penultima tappa, ancora a cronometro, seppellì ogni mia ambizione; in compenso il mio diretto inseguitore in classifica era a distanza di sicurezza, così l'ultimo giorno si risolse, come sempre, in una tranquilla gita verso Parigi. Mentre percorrevamo il circùito dei Campi Elisi, ebbi il tempo di pensare a come erano cambiate le cose in pochi anni, perché a differenza delle precedenti partecipazioni, avrei potuto guardare Parigi dal palco delle premiazioni. Smile
    La mia crescita era stata regolare e non osavo immaginare che cosa sarebbe capitato se avessi continuato a lavorare duro e mi fossi ripresentato da quelle parti?
    L'estate corse via, fra una trasferta e l'altra, oltre che per i preparativi del matrimonio. Alle Olimpiadi di Londra, come capitano della squadra italiana, cercai di attaccare per sgranare il gruppo ed evitare una volata di massa e ci riuscii, ma a 5 km. dal traguardo riuscirono ad evadere Uran e Vino e quest'ultimo, grazie alla medaglia d'oro nell'ultima gara della carriera, fu elevato in patria allo "status" di eroe nazionale. La qualcosa avrebbe contato poco per me, se non che me lo sarei trovato l'anno dopo, come tecnico all'Astanà: erano i suoi dirigenti che mi avevano chiesto di trasferirmi in Svizzera. D'altro canto era una proposta irrinunciabile, nei miei panni solo uno sciocco; o un figlio di un miliardario non avrebbe accettato. Onore quell'Olimpiade portò anche a B. Wiggins che, dopo la medaglia d'oro nella gara a cronometro, diventò baronetto o *Sir*.
    Per celebrare la mia terra, partecipai ai mondiali d'Olanda con una bici, sul cui telaio avevo apposto la scritta "Baciamo le mani" e anche quella volta guidai gli azzurri all'attacco, ma alla fine non riuscii a sostenere l'arrembaggio decisivo. Il commissario tecnico P. Bettini fu comprensivo, perché in quell'anno avevo percorso 35.000 km. e ormai pensavo solo a ... baciare la sposa. Wink
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    Messaggio Da Lemond Sab Feb 21, 2015 2:50 pm

    Il 13 ottobre 2012, Rachele e io ci sposammo nella chiesa "Regina Pacis" di Fiuggi, i miei testimoni erano Eddy e Valerio Agnoli, al quale mi sentivo legato da un rapporto fraterno.
    Le ultime settimane di quell'anno e le prime del nuovo, Lance Armstrong fu accusato di aver fatto uso sistematico del doping, ammise le sue colpe e si vide cancellare le sue sette vittorie al Tour e (secondo Nibali) la buia stagione degli stregoni era finalmente dietro le spalle.
    Il matrimonio mi aveva fatto bene, secondo Martinelli, e, dopo la mia seconda vittoria alla Ti-Adr, pensava che la primavera del 2013 sarebbe stata bella. Giuseppe era uno dei pochi uomini a conoscere il segreto della mia preparazione: in Svizzera ero in contatto ancora con Slongo, nonostante che lui fosse rimasto nella nuova squadra di Amadio e Zanatta. Non potevo fare a meno dei suoi consigli e delle sue tabelle: era a lui che, ogni sera, inviavo per "e.mail" i dati registrati dal mio SRM, che lui soltanto sapeva interpretare e trasformare in suggerimenti. Quel rapporto ci procurava qualche ansia: se ci avessero scoperti Slongo se la sarebbe passata male e quindi non vedevo l'ora che potesse trasferirsi nel mio nuovo team, come avevano già fatto Michele Pallini, Vanotti e Agnoli.
    Partecipai senza ambizioni alla MI-San. e alla campagna delle Ardenne, perché in quei giorni stavo sostenendo carichi di lavoro pesantissimi e solo più tardi si sarebbe passati all'agilità, per farmi trovare la giusta brillantezza al Giro. La prova generale del mio stato di forma fu il Giro del Trentino. Insieme ai miei nuovi compagni, il veterano Tiralongo e il giovane Aru, imponemmo un ritmo spaventoso, per sfiancare gli avversari ancor prima della rampa finale. L'ultimo settore prevedeva 9 km. di arrampicata, con passaggi al 20% e il baronetto accostò mestamente quando la salita era appena cominciata, tradito da un guaio meccanico. Innestai "il turbo" ai 6 km. e riuscì a venirmi dietro solo Santambrogio, poi, però mollò anche lui e così avevo vinto in un sol colpo tappa e Giro. Ormai non potevo più nascondermi: o vincevo il, Giro o avrei deluso tutta l'Italia.
    Il nostro è un paese meraviglioso: il Tour e la Vuelta potevano solo sognarsele giornate come quella che ci condusse dal Tirreno ai monti di Calabria, per non dire dell'impressionante arrivo ai Sassi di Matera. Poi tornammo al mare, con l'arrivo a Margherita di Savoia, che pareva un baluginante miraggio. Fu il giorno dopo, mentre si correva sotto la pioggia in Abruzzo, che decisi di aver fatto il turista a sufficienza. L'istinto mi suggerì di attaccare lungo la viscida discesa che conduceva a Pescara: vidi Wiggins che guidava con troppa prudenza e, come capita in questi casi, a forza di frenare, prima o poi si scivola. Sir Wiggins era di sicuro meglio di me a cronometro, ma decisamente sapeva guidare molto peggio. Smile A fine tappa avevo un vantaggio sull'inglese di un minuto e mezzo, ma l'indomani c'era un crono di 55 km. Partii come una furia, facendo registrare il miglio intertempo e alla fine persi soltanto 11" e, dato che la maglia rosa Intxausti era crollato, ero primo in classifica. Smile "E' dai tempi del Pirata che questa gente non si esalta così", mi sussurrò Martinelli e quel semplice accostamento mi fece correre brividi lungo la schiena.
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    Messaggio Da Lemond Dom Feb 22, 2015 10:19 am

    "Ora, che sei primo in classifica, cambia tutto - fece presente Michele Pallini - e se non vuoi farti prendere dall'ansia, cerca di dimenticare di essere al comando, ti ricordi che cosa successe a Montalcino? Comunque, sei una persona diversa, perché allora avevi la paura come compagna, ora invece sei sicuro della tua forza e sono gli altri ad aver timore. Hai visto ieri Wiggins, che pur ha vinto l'ultimo Tour; gli è bastato vedere come guidi in discesa, perché gli si spezzasse il cuore. Contava di riprenderti oggi, ma gli sei rimasto addosso anche nella crono e ora non sa più ..."
    Pallini aveva quasi sempre ragione, ma il suo discorso non valeva per Cadel Evans: l'australiano era un osso duro e non mi si staccava mai di dosso, deciso a colmare quei 29" che ci separavano. "Io non mollerò mai una corsa, aveva dichiarato, piuttosto ci muoio sulla sella della bici".
    Provai a staccarlo nella prima tappa di salita, ma dopo quattro ore e mezzo di corsa, eravamo ancora insieme all'inseguimento dei fuggitivi colombiani Uran e Betancur. Quando apparve il traguardo, fu chiaro che l'unico modo di "monetizzare" la fatica di quel giorno era puntare all'abbuono, con il terzo posto e così feci. La tappa successiva era intorno al bacino del Vajont, nel cinquantesimo anniversario dell'immane tragedia, ma non successe nulla, sotto un cielo sereno. L'indomani invece l'atmosfera era affatto diversa e nuvole minacciose si vedevano ovunque, per cui, più che una tappa per velocisti, fu un fuggi-fuggi generale verso Treviso, martoriati dalla pioggia, che quasi impediva di vedere la strada. E Wiggins, più degli altri, fu contrariato dalla pioggia, finendo molto staccato. Il capofila della Sky ora ormai fuori dai giochi e l'indomani non si sarebbe presentato alla partenza.
    Il maltempo, in quel mese di maggio, sembrava stringere d'assedio l'Alta Italia e le pessime condizioni portarono a ridurre la tappa con l'arrivo sul monte Jafferau, escludendo il primo scollinamento, ma l'arrivo fu preservato, così provai ad assestare una nuova spallata al tenace australiano: attaccai nella nebbia, quando mancavano 3 km e Santambrogio salì con me. Una volta tagliato il traguardo, mi girai e vidi che i corridori arrivavano uno alla volta e solo allora mi resi conto del freddo e del perché Pallini mi si stava precipitando addosso con un giaccone imbottito. Smile Evans era arrivato 33" dopo.
    Sapevamo solo noi corridori quanto c'era ancora da soffrire. Il mio vecchio rivale Giovanni Visconti vinse la tappa del Moncenisio e del Galibier sotto un'altra nevicata, ma la parte alta della classifica non cambiò: ero in Rosa da una settimana con quasi un minuto e mezzo su Evans e quasi tre su Uran. Dopo il riposo e due tappe in pianura, nelle quali tornammo a riassaporare il tepore della primavera, Radiocorsa ci informò che l'arrivo previsto in Val Martello era a rischio: sul Gavia e sullo Stelvio non smetteva di nevicare.
    L'ultima cronometro era in salita, con un dislivello che superava i mille metri, per 20 Km. pioveva e la temperatura era piuttosto rigida, ma stabilii di vestirmi leggero; mi sarei tenuto caldo, pedalando. L'incoraggiamento del pubblico trentino aggiunse calore e quando arrivai in cima, fui accolto da un autentico boato, perché avevo il tempo migliore e i miei rivali erano a più di quattro minuti; qualcuno disse che: "Lo Squalo di Messina ha sbranato il Giro". Wink
    La diciannovesima tappa fu annullata, perché nevicava anche sul Tonale (previsto come riserva) e le squadre dei miei rivali accusarono gli organizzatori di volermi favorire con una tappa in meno. la qual cosa mi fece arrabbiare non poco: "Parleranno un giorno soltanto, domani li metto zitti tutti quanti!"
    Il 25 maggio l'arrivo era posto alle Tre Cime di Lavaredo, sopra quota 2300. Volevo quella tappa a tutti i costi, nonostante la ragione sconsigliasse di attaccare, ma c'era troppa gente a fare il tifo per me e non volevo proprio deluderli con una prestazione di ordinaria amministrazione. Così andai in fuga in mezzo alla neve, spingendo in piedi sui pedali e ringhiando; le grida della gente dietro le transenne mi spingevano sempre più su. Non ero più io, ero parte di loro, che mi prestavano fiato, cuore e coraggio e, quando vidi lo striscione dell'arrivo, avrei voluto ridere e piangere insieme.
    Ci sono giorni speciali nella vita di un uomo, nel quale si chiariscono misteri profondi, in quei momenti avevo capito che cosa significasse *entrare nel cuore della gente*. Smile
    A Brescia ero vestito di rosa da capo ai piedi, perché quel giorno l'eroe da onorare ero io: arrivato da lontano, avevo fatto sognare gli italiani, così vollero tributarmi un'accoglienza da re, con tanto di inno nazionale e trono, per le foto di rito. Smile
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    Messaggio Da Lemond Lun Feb 23, 2015 9:54 am

    Eravamo in 18 intorno alla tavola imbandita e, secondo l'usanza locale, ognuno doveva tenere un breve discorso, seguito da un nuovo giro di vodka. Resistere svegli a un pranzo del genere era un'impresa, ma non ci si poteva sottrarre, perché Vino mi aveva spiegato che i nostri commensali erano tutte persone importanti del Kazakistan, mancava solo Nursultan Nazarbaev, dal 1990 capo dello Stato e comandante supremo delle forze armate della Repubblica indipendente. Astanà era il nome della capitale e anche quello della polisportiva di Stato che raggruppava i più popolari sport del paese. Dopo la dissoluzione dell'URSS il K. aveva deciso di sfruttare in proprio gli immensi giacimenti di gas naturale del sottosuolo, senza che il molto onorevole Nazarbaev perdesse una briciola del suo potere (era segretario del partito comunista della regione). Parte dei commensali avevano lineamenti turcheschi, simili al ritratto del Capo che incombeva su di noi, altri invece erano bianchi, di sangue russo, come Vino, a riprova che gli eredi delle orde nomadi e quelli dei cosacchi potevano convivere senza fantasmi. C'erano risorse per tutti in quel paese e non serviva accapigliarsi: bastava onorare il Presidente, rispettare le gerarchie e brindare al momento giusto. Wink Avevo lo stomaco in fiamme, ma dovevo resistere, forse restava un'altra oretta, ma anche quello, alla fine, era lavoro.
    La dominazione dei cavalieri neri sul Tour sembrava non conoscesse fine: dopo Wiggins (nel 2012), fu la volta di Froome, il prototipo del ciclista-robot, dallo sguardo opaco e incapace di mostrare passioni. Era nato in Kenya e cresciuto a Johannesburg e la sua carriera aveva preso avvio nelle file della Barloword, l'unico team di un qualche peso attivo in Sudafrica, ma era decollata quando l'emaciato giovanotto era stato arruolato nello squadrone britannico. Aveva molti detrattori (forse invidiosi) convinti che le prestazioni fossero largamente costruite in laboratorio, ma lui non si sforzava minimamente di controbattere. Persino sul podio del Tour aveva sorriso a fatica.
    Il ciclismo era uno sport che affondava le radici in un'Italia rurale, praticato a costo di mille sacrifici da tanti ragazzini di umili origini. Così erano semplici anche i nostri sogni: un matrimonio sereno, una bella casa e una macchina potente, che certificasse il nostro successo. Anch'io, appassionato di meccanica fin da piccolo, avevo sempre immaginato che il passo successivo alla vittoria al Giro fosse comprarsi un bolide, con il cavallino rampante; però poi non ne ebbi il coraggio, perché non avrei mai osato presentarmi a bordo né a a Messina, né a Mastromarco. I Cannibali e i parenti mi avrebbero domandato chi credevo di essere? Una Porche Carrera mi sembrò un giusto compromesso. Quando. al concessionario, mi riconobbero mi proposero subito un prezzo di favore, il che mi fece rabbia, perché mi richiamava alla mente l'acquisto della bicicletta, quando al Lupo non regalavano neppure la leva di un freno o un copertoncino di riserva! Sad Il mondo è un posto balordo, ma ormai ero in ballo!
    "Voi siete grassi! - sbraitò Vino di fronte alla squadra riunita al termine del Giro di Polonia - Dove avete la testa?!" Nessuno dell'Astanà era entrato nel "top ten"! Il guaio era che i festeggiamenti per il Giro si erano protratti per settimane e ci eravamo preparati per la corsa polacca all'ultimo momento e così eravamo stati per tutta la settimana nel ventre del gruppo.
    "Voi pensa essere campioni? Ascolta me! Se voi corre così in Spagna, è figura di Merda!"
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    Messaggio Da Lemond Mar Feb 24, 2015 9:49 am

    L'ipotesi di vincere nello steso anno Giro e Vuelta era suggestiva, perché l'impresa era riuscita a pochissimi nella storia, così mi misi d'impegno per recuperare la forma, insieme ai compagni dell'Astanà. La prova generale sarebbe stato il Giro di Burgos, cinque giornate di gare indicatissime per un test. Nel bel mezzo della seconda tappa però, il treno dei compagni che si dannavano per tirarmi avanti, esplose in un pandemonio di ruote per aria e mi resi subito conto di essere "in volo" anch'io. Non finii sulla strada, ma dritto su Valerio e rabbrividii nel sentire il poveretto mandare un gemito straziante: si era incrinato due costole e, se pure non era stata colpa mia, mi sentivo desolato. Decisamente la campagna spagnola era partita con il piede sbagliato.
    La Vuelta di quell'anno aveva undici tappe di montagna e i miei rivali erano gli spagnoli Purito Rodriguez e l'antipatico Valverde; le loro squadre (Katusha e Movistar) erano pronte a darsi e darmi battaglia all'ultimo sangue. Martino però mi invitò a tener d'occhio anche due vecchie volpi come Basso e Scarponi, il dottor Pozzovivo e il figlio d'arte Nicolas Roche. Fu proprio lui a vincere la tappa di Baiona che, dopo due soli giorni di gara, mi regalò una maglia rossa della quale mi sorpresi io per primo. Ventiquattr'ore più tardi l'avevo già persa a vantaggio di una vecchia conoscenza, il lentigginoso C. Horner, l'americano con il quale mi ero preso a male parole durante un Giro di Svizzera. "Pensa che mi sembrava anzianotto già allora - scherzai con Pallini - quanti anni avrà adesso?" Rimasi di stucco, quando mi rispose che aveva quasi 42 anni! Davvero si poteva correre fino a quell'età? Non lo credevo, ma mi sbagliavo.
    L'indomani, a Finisterre, mi riappropria della Roja, ma quel vecchietto dalla lingua lunga perse solo pochi secondi e per tutta la settimana mi restò incollato, come un'ombra, ad appena tre secondi. Continuavo a ripetermi che, prima o poi, Horner sarebbe crollato, invece il primo a mancare il colpo fui io sull'Alto de Penas Blancas e la maglia cambiò proprietario.
    Durante la giornata di riposo andai a studiare il tracciato della cronometro: 39 km lungo un percorso vallonato, spiegò Martinelli, mentre Vino si rinfrescava muovendo l'aria con il suo cappello a tesa larga. Anche gli altri sembravano spossati dall'afa, trentanove gradi non erano pochi, ma a me il caldo non faceva paura. Il mio consiglio, disse Martinelli, "è di impugnare l'aerobar durante la salita per offrire meno resistenza all'aria, forse avrete la sensazione di respirare peggio, ma viaggerete più veloci. Annuii, anche Slongo, nel corso della nostra corrispondenza, aveva insistito perché mi abituassi a tirar fuori il massimo dalle bici da crono. E poi avevo anche un buon numero di Km. in discesa e Vino concluse che l'indomani avrei vinto la tappa.
    Poi, ad un tratto, sentii un dolore lancinante all'attaccatura del naso: un ape mi aveva punto e sentivo le tempie e le orecchie farsi roventi. Nel giro di una mezz'ora la faccia si gonfiò e le medicazioni non lenivano il dolore che in piccola parte. Per fortuna il medico aveva escluso uno "choc" anafilattico, ma restava tutto il resto! Quella notte non chiusi occhio e, quando scesi a colazione, i compagni dovettero costringersi a dissimulare l'orrore che provavano nel vedermi. "Tu non molla" disse Vino e non si capiva se la sua fosse una domanda, un'esortazione o un ordine. Comunque uscii ad affrontare il mondo e riuscii a fare anche un ottimo tempo e la Roja era di nuovo mia. Quando mancavano solo quattro tappe alla fine, i giornali davano per inevitabile la mia seconda vittoria alla Vuelta, ma negli ultimi 2 Km della salita verso Pena Cabarga arrivò la crisi, oltre ad una stretta all'interno di una curva del "maldido" Valverde. Persi l'abbrivio, mentre partivano Rodriguez e Horner. Per mille metri "sputai l'anima" e riuscii anche a raggiungerli, ma l'americano aveva ancora benzina e cambiò di nuovo l'andatura, sul traguardo, mi aveva ripreso quasi tutto il vantaggio e l'indomani, a Oviedo, completò l'opera. Battuto da un ultraquarantenne? Non ci potevo credere e poi il mio ritardo era di soli 3 secondi e nulla era ancora perduto. Ci saremmo giocati tutto nella penultima tappa, che culminava sull'Angliru, la salita più dura di Spagna.
    Il momento della verità arrivò a 7 km. dal traguardo: Tiralongo era in avanscoperta e io scattai per raggiungerlo, perché in due sarebbe stato tutto più semplice e il vecchio Horner comprese che, insieme a me, gli stava scappando la vittoria finale. Non ho mai capito da dove avesse tirato fuori le energie per riprendermi nello spazio di 500 metri, ma fu quello che accadde! Inspirai, espirai, cambiai passo e attaccai per la seconda volta, mentre la rampa dell'Angliru era inclinata al 23%. Ormai due ali di folla invadevano la carreggiata e le urla saranno state assordanti, ma io non sentivo niente. Mi piovevano addosso manate, non sapevo se per incoraggiarmi o per farmi male, in ogni caso non mi stavano aiutando e Horner, con i due spagnoli, mi erano addosso un'altra volta. Era una "via crucis", ma non mi sentivo pronto al martirio e, quando vidi lo striscione del 3 Km. lanciai il terzo attacco e sentii che mi veniva dietro un corridore solo. Pregai che non fosse Horner, invece era proprio lui! Sad Quanta fatica può sopportare un uomo? Volevo scoprirlo sulla mia pelle: abbassai la testa come un ariete deciso alla carica e mi proiettai in avanti ancora una volta, mordendo la nebbia, mentre fendevo la muraglia umana, ma poco dopo vidi l'ombra di Horner, che mi scivolava lentamente a fianco. "Attento Squalo!" Gridò la voce nel mio orecchio, mentre la folla si richiudeva alle spalle dell'americano, ma ormai era tardi per tutto!
    Arrivare secondo alle spalle di un uomo di 42 anni mi diede la misura precisa di che cosa significasse essere il primo degli sconfitti e per il momento ero talmente furioso che la mia rivincita non poteva aspettare la stagione successiva e i Mondiali in Toscana sarebbero stati il palcoscenico più bello su quale ottenerla. Ma anche lì andò tutto storto e ancora una volta c'era di mezzo il "maldido" col nome di pizzeria!
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    Messaggio Da Lemond Mer Feb 25, 2015 9:55 am

    Partimmo da Lucca sotto il diluvio e a Firenze veniva giù ancora più forte. Noi azzurri facemmo "forcing" per scremare il gruppo; così voleva Bettini. Ognuno faceva la propria parte, dimenticando le rivalità che in Nazionale non dovevano trovar posto (tipo ad es. fra lui e Visconti Smile ) L'asfalto bagnato reclamò le sue vittime eccellenti: Evans, Wiggins, Horner e Froome. Alla settima tornata partì Visconti e andò a riprendere un polacco in fuga, ma furono raggiunti entrambi nel giro di poco. Ormai non pioveva più ed eravamo rimasti una quarantina, che andavamo verso l'ultimo giro. Attaccai sulla salita di Fiesole e all'inizio, mi restò dietro solo Purito, ma in fondo alla discesa, quando ormai mancava un niente all'ultimo km. ci raggiunsero anche Rui Costa e Valverde. Ancora lui! Quando Purito attaccò, il "maldido" aveva due possibili scelte, o fare il gioco di squadra e proteggere la volata del compatriota, oppure gettarsi a testa bassa per raggiungerlo e cercare di batterlo in volata. In entrambi i casi si sarebbe dovuto fiondare a ruota del connazionale: era quello che avrebbe fatto ogni ciclista del mondo al suo posto. (nota mia. qui il racconto di Vincenzo Nibali è inesatto sia nella cronaca, che nelle osservazioni: non è vero che Rui Costa e Valverde raggiunsero gli altri due a un km. dall'arrivo, ma molto prima e infatto Purito provò due volte a partire e non una soltanto. Dipoi non si capisce come Valverde, per proteggere il connazionale avesse dovuto fiondarsi alla sua ruota!? ) Lui, però, era il "maldido" e si preoccupò soltanto di ostacolare me, lasciando Purito alla mercé del portoghese. A quel modo, tanto io che lui restammo fuori dai giochi. La gente non si capacitava di quel che aveva appena visto con i propri occhi: "Ma se proprio Valverde un voleva aiutare Purito, perché un ha provato a vincere lui? - si domandavano i tifosi - Invece il bastardo ha preferito fermare Nibali, che provare la volata!" (Nota mia, questi tifosi un hanno capito proprio niente, perché in una volata eventuale a quattro, il posto di Nibali era solo il quarto!)
    A mano a mano che la gravidanza di Rachele procedeva, i miei allenamenti si facevano più brevi e privi di mordente. Ora che una nuova vita le cresceva dentro, sentivo più che mai il richiamo del nido e dei piaceri domestici: la mia sposa era dolcissima e le sue lasagne non mi erano mai sembrate così buone. Fosse stato solo per me, avrei messo la bici in cantina per due o tre mesi e l'unica pedalata che feci volentieri fu quella organizzata a Messina il giorno dell'Epifania contro la distrofia muscolare. In occasioni come quella sentivo che la girandola di interviste e servizi fotografici non era del tutto inutile.
    "Domani vengo a Lugano - mi scrisse Slongo quando la situazione gli parve fuori controllo - fatti trovare a casa". Ventiquattrore dopo era da me a spiegarmi che cosa sarebbe accaduto se avessi continuato a prendere sottogamba gli allenamenti: lui avrebbe perso il lavoro, dopo aver fatto i salti mortali per seguirmi all'Astanà e io sarei andato incontro alla più colossale figuraccia della storia del ciclismo. Gli promisi che mi sarei rimesso a regime, ma la voglia era quella che era e il mio inverno si manifestò subito alle prime gare, mentre Froome era già attivissimo, come se gli avessero appena ricaricato le batterie.
    Dopo quattro anni senza medaglie, la gestione di Bettini venne bollata come deludente dalla Federciclismo e il Grillo perse il posto di C.T. e come successore fu nominato Davide Cassani, che rinunciò al ruolo di commentatore RAI per vestire i nuovi panni. Nell'ultima settimana di febbraio il nuovo C.T. convocò tutti i corridori del giro della Nazionale a Salice Terme e ci andai con un po' di preoccupazione, perché Rachele era entrata nel nono mese. Cassani non aveva fatto in tempo a terminare il suo discorso d'insediamento che il mio telefono prese a vibrare: era Rachele che mi annunciava che le erano cominciate le doglie. Salutai subito la compagnia e feci il viaggio a ritroso, sperando che la mia creatura non fosse più veloce di me.
    Quando, bardato di camice e sovrascarpe sterili, entrai in sala parto, non potevo immaginare a che punto la mia vita e quella di Rachele fossero a una svolta. "E' arrivata Emma" Annunciai, sconvolto dalla gioia, a Mamma, a Lupo, a Carmen, Valerio, Eddy, Antonio e Rachele sta bene. L'infermiera mi corresse, perché mia moglie aveva aggiunto anche Vittoria al nome e io andai ben felice a registrarla all'anagrafe.
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    Messaggio Da Lemond Gio Feb 26, 2015 10:18 am

    Ora stavo vivendo l'esistenza di ogni giovane padre innamorato della propria creatura, ma dormivo poco e lasciavo il lavoro fuori dalla porta di casa. Quando si cominciò a correre in Europa la mia condizione divenne evidente a tutti: alla Parigi-Nizza fui protagonista di una prestazione ridicola, alla Sanremo provai sulla Cipressa, ma le gambe erano vuote e mi ripresero sul Poggio. Nella campagna delle Ardenne il miglior risultato fu un XIV posto alla Freccia e al Giro di Romandia fui quinto, ma a grande distanza da C. Froome. Era, insieme a Contador, il mio futuro rivale al Tour e anche quest'ultimo stava facendo "sfracelli" sia alla Tirreno Adriatico, che nei Paesi Baschi. "Se continuate così, insieme a voi, salta tutta la squadra" scrisse Vino a me e ai compagni. Era arrivato anche un rinforzo di eccezione, come Michele Scarponi e tre italiani al Tour erano sufficienti, pertanto fu deciso di "sacrificare" Agnoli, accusato di fare troppa comunella con me nello scarso rendimento! Valerio ci rimase malissimo e si comportò come se a metterlo nei guai fossi stato io e da allora i nostri rapporti si diradarono. Sad
    Slongo era in ansia, Martinelli incredulo, Vino fuori dai gangheri e tutti erano convinti che dovesse accadere un "miracolo" perché mi mettessi in testa che l'obiettivo di stagione non era scaldare biberon! Sad
    Una notte ebbi un incubo, che verteva sulla fine della mia carriera e quando mi svegliai mi sentii enormemente fortunato e promisi a me stesso che, non appena il sole fosse sorto, mi sarei rimesso a darmi da fare.
    Tornai a lavorare più duro che mai, mentre i miei colleghi erano impegnati nel Giro. Ero contento che la corsa Rosa fosse una buona vetrina per il giovane Aru, ma quando qualcuno sosteneva che potesse essere un mio rivale futuro, non rispondevo nemmeno, perché ero troppo concentrato sul Tour per pensare al fantaciclismo. Wink Dopo un po' di tempo, quando il preparatore decifrava i dati del mio SRM si trovava a sorridere e a farmi i complimenti ed eravamo convinti che avremmo potuto fare meglio di Froome e Contador nelle tappe di montagna. La fase decisiva della preparazione si presentò come una simulazione vera e propria: Slongo, a cavallo dello scooter, avrebbe risalito le rampe con la stessa progressione dei rivali e io gli sarei andato dietro, con l'incarico di superarlo. Un giorno faceva Froome e l'altro Contador e io partivo, deciso a morire sulla sella della Specialized pur di non perdere il mio avversario e, indovinare, anzi, il momento giusto per alzarmi sui pedali, cambiare passo e scappare via. Wink
    I risultati del lavoro cominciarono a essere evidenti al Delfinato, dove avvenne la mia resurrezione sportiva: "Nibali è un altro uomo - si scrisse - poche settimane fa arrancava penosamente e ora sta a ruota di Contador e Froome, senza apparente fatica". Stare alla loro ruota? Dentro di me sapevo di poter fare anche meglio. Wink
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    Messaggio Da BenoixRoberti Gio Feb 26, 2015 10:45 am

    Sei un grande Carletto Smile Smile Smile
    Questa tua "traduzione" è MOLTO meglio dell'originale!
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    Messaggio Da Lemond Gio Feb 26, 2015 11:42 am

    BenoixRoberti ha scritto:Sei un grande Carletto Smile Smile Smile
    Questa tua "traduzione" è MOLTO meglio dell'originale!

    Grazie, ma non ho fatto granché, solo un po' di sintesi e qualche *ora* al posto di *adesso*. Very Happy Invece cominciare lo usano anche loro, bravi.
    Una cosa che proprio non capisco è come abbia fatto Nibali a stravolgere i fatti e le deduzioni di Firenze!? confused
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    Messaggio Da Lemond Ven Feb 27, 2015 4:15 pm

    Ritrovato lo smalto, mi mancava solo una vittoria e l'occasione da non perdere si presentò in Trentino al trofeo Melinda che, in quell'occasione, valeva anche come campionato italiano. Non avevo mai indossato la maglia tricolore, che invece Visconti si era aggiudicata per ben tre volte e sarei stato molto orgoglioso di andare al Tour, indossando quel simbolo. Così ci diedi dentro fin dalla partenza e con l'aiuto di Scarponi avevamo scremato parecchio il gruppo: eravamo rimasti una dozzina e agli ultimi km. scoppiò la "bagarre" decisiva. Rabottini partì e gli andai dietro, insieme al giovane Formolo. In breve fu ripreso e anche lasciato e quindi il destino aveva deciso che dovessi giocarmi il titolo, e la faccia, contro un neo-pro e per di più con la maglia della ex-Liquigas. E quello, porca miseria, non mollava: aveva la faccia di un ragazzino, ma filava diritto all'obiettivo come un corridore esperto, deciso a negarmi la prima vittoria stagionale. Ai trecento metri era ancora davanti, ma a quel punto smisi di pensare e mi gettai con tutte le energie possibili nell'ultima curva. Gli misi la ruota davanti mentre il traguardo ingigantiva di fronte a noi, ma, solo quando la linea era ormai a un passo, mi alzai sulla sella, lasciai il manubrio e ... presi a pugni i miei fantasmi. Smile
    "E' la terza volta che vengo al Tour - considerò Scarponi mentre costeggiavamo la Millennium Square e si passava una mano sulla testa, ormai avviata alla calvizie - ma l'emozione è la solita." Era il tardo pomeriggio del 3 luglio e stavamo percorrendo, come turisti, il centro di Leeds. Sfilavamo una squadra dietro l'altra, salutati da un pubblico entusiasta, sotto facciate dai mattoni a vista di edifici squadrati dipinti di grigio o di vinaccia. "Io la Francia, me la ricordavo diversa Very Happy disse il cabarettista Michè ". Il serpentone colorato era diretto alla volta della First Direct Arena, la sala concerti pronta per la presentazione ufficiale. La partenza dallo Yorkshire era un evento senza precedenti e gli applausi della folla enorme, si fecero scroscianti quando apparvero i beniamini di casa, i cavalieri neri della Sky guidati dal sempre inespressivo C. Froome. La gente di Leeds indicava a dito anche il Pistolero e i suoi compagni. In quell'anno la loro squadra, guidata con piglio ferreo da B. Riis, aveva avuto un'iniezione di di capitali dalla Russia, per opera di un ex ciclista, campione di Siberia in gioventù, divenuto un potente banchiere: Oleg Tinkonf e così la Saxo Bank era diventata Tinkof-Saxo e le maglie erano giallo fluorescente, in gran parte. Sul palco vidi sfilare quasi tutti gli altri: c'erano gli olandesi della Belkin, erede dello squadrone Rabobank, la Trek dei fratelli lussemburghesi e di Cancellara, i francesi, che non riuscivano a piazzare un uomo sul podio da oltre tre lustri, poi gli spagnoli della Movistar con Visconti e il maldido Valverde, che si guardava "in cagnesco" con Purito. C'erano anche i belgi dell'Omega e della Lotto e altre maglie, per me stravaganti. In quella girandola di colori non restai indifferente nel vedere il verde elettrico della Cannondale, dei miei ex compagni Sagan e Sabatini, ancora alle dipendenze di Zanatta, mentre Scarpa si emozionò per il blu-fucsia del gruppo di Beppe Saronni.
    Eravamo in Inghilterra, l'ò già detto, e allora https://www.youtube.com/v/t99KH0TR-J4


    Avremmo corso sull'isola le prime tre tappe e non bisognava aspettare la Francia per fare sul serio. Il secondo giorno si correva per 200 km. lungo un percorso vallonato e la nona salita era in grado di fare selezione e a soli 5 km. dal traguardo e Contador si portò in testa al gruppo. Gli andai subito dietro e così fece anche Froome, imboccando la discesa nell'ordine, ma Fuglsang, il mio compagno danese, si gettò a testa bassa e rimase solo davanti, con Froome ad inseguire in testa. Fu ripreso e altri ripartirono, ma senza troppa convinzione e poi c'era Sagan che aveva tutto l'interesse a riprenderli, perché era il più veloce del gruppetto di testa. Ai meno 2, presi fiato e tentai la sorte. Le grida del pubblico inglese mi sostenevano, mentre ero al vento da solo e mi meravigliavo che da dietro qualcuno non venisse a prendermi per contendermi la vittoria di giornata.  Così andai dritto fino in fondo, felice e incredulo. Wink Sotto il traguardo levai le braccia al cielo e restai sbalordito dall'espressione di Pallini che mi correva incontro nella zona riservata. "Hai preso la maglia, Vincenzo!" Pensavo si riferisse a quella verde, ma i conti non mi tornavano e ... dopo un po', afferrai il concetto. Wink
    Arrivai con l'insegna gialla a Londra con un irrisorio vantaggio di 2" su Fromme e Contador e quel divario restò tale anche dopo la prima frazione francese, una tappa che restò nella memoria per due fatti abbastanza importanti: la terza vittoria di Kittel e la tragicomica caduta di Froome nei primi km; il cheniano sapeva spingere forte sui pedali, ma non era altrettanto abile a guidare la bicicletta.
    Il giorno dopo ci aspettava una delle tappe più temute dell'intiera "Grande Boucle": 152.000 metri fra Ypres e Aremberg con il passaggio su nove settori in pavé, presi in prestito dall'Inferno del Nord, quella Paris-Roubaix che i francesi considerano la più Grande delle classiche. Arrivare per primi ad attaccare le pietre poteva significare mettere l'ipoteca sulla vittoria e il Lupo mi aveva raccontato mille volte di quando Moser si era lanciato verso il primo settore con tale impeto ... da volare a terra! Poi si era rialzato ed era ... andato a vincere. Smile
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    Messaggio Da Lemond Sab Feb 28, 2015 2:55 pm

    La pioggia incessante convinse gli organizzatori a escludere dalla tappa due dei tratti in pavé previsti, ma Froome non arrivò nemmeno a vedere il primo dei sette rimasti, perché in quell'anno non gli riusciva proprio mantenere l'equilibrio. Rientrò in gruppo, ma si vedeva che aveva paura e quando arrivammo al Carrefour del l'Arbre, uno dei luoghi simbolo della Roubaix, Martino mi lasciò di stucco: "Froome è cascato di nuovo e questa volta di brutto!". Ormai non sarebbe stato lui l'ostacolo principale sulla strada della vittoria e infatti arrivò di li a poco la notizia che il cheniano si era ritirato. Su quel terreno bisognava stare molto attenti e concentrati su ogni piccolo segnale che la bici ti mandava: non stringere troppo il manubrio e stare pronti a correggere la traettoria o a mantenersi in equilibrio con un colpo di reni. Avere esperienza su una "mountain bike" in quei luoghi poteva avere un'importanza determinante, tanto più in una giornata da lupi, come quella.
    La squadra si comportò nel modo migliore nel gestire la tappa: Westra si preoccupò di controllare la testa del gruppo, mentre Fuglsang mi scortava, come una guardia del corpo. Restammo sempre in prima linea, mentre intorno era un continuo cedere e fra questi, credo, anche Contador, perché non lo vidi mai accanto a me e neppure il maldido Valverde, così come Purito e Horner. L'acqua mi colava giù per la schiena e il fango mi schizzava in faccia e a un certo punto mi convinsi che saremmo andati avanti così per sempre, come anime dannate dell'Inferno di Dante. Wink A un certo punto l'olandese Lars Boom si sfilò con una sforzo supremo dal gruppetto di testa e io mi dissi che doveva mancare poco, perché guardai l'orologio: erano più di tre ore e mezzo di corsa e il nostro supplizio doveva essere sul punto di terminare. Eravamo dietro di una ventina di secondi, ma la gente mi applaudiva come se avessi vinto anch'io e gli uomini dell'Astanà, che mi vennero incontro, erano fuori di sé dalla gioia. Passavano secondi, che diventavano minuti e Contador non si vedeva. "Grande Squalo! - gridava una voce nell'oricolare - tu oggi vince Tour!"
    Dopo la TAPPA, uno dei tre candidati alla vittoria era fuori gioco e il mio vantaggio sull'altro era sui tre minuti, potevo difendere la maglia gialla a cuor leggero. Wink L'ottava frazione, nel cuore dei Vosgi, vide Contafor attaccare alla disperata su per la salita della Croix des Moinats, gli andai dietro e mi recuperò tre secondi, una goccia d'acqua nello'oceano che ancora ci separava.
    Non solo Martino e Vino, ma anche i giornalisti che mi intervistavano alla fine di ogni tappa, si erano ormai convinti che la mia "leadership" potesse durare fino a Parigi. I più ostili mi mettevano sotto pressione con domande trabocchetto, tirando fuori il vecchio pregiudizio sui corridori italiani e, in particolare, sugli ultimi corridori condannati per doping. Di fronte a simili insinuazioni, mi difendevo con indignazione, ricordando che ero stato una vittima , semmai, non certo avvantaggiato. Pallini mi disse che, per evitare che i francesi mi prendessero in antipatia, sarebbe stata una buona idea perdere la maglia a vantaggio dii uno di loro. La cosa non mi entusiasmava, ma mi ripromisi di parlarne con Martino e Vino. Wink
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    Messaggio Da Lemond Dom Mar 01, 2015 9:21 am

    La fuga del giorno successivo partì quando mancavano 150 km. al traguardo, ma erano solo in due (T. Martin e De Marchi) e solo a metà della tappa avvenne quello che speravamo: un composito plotone si staccò dal gruppo per andarli a prendere e fra di essi non c'era nessuno pericoloso, però ci poteva essere l'uomo che avrebbe potuto strapparmi la maglia per un giorno. Noi dell'Astanà procedevamo in gruppo, ben attenti a risparmiare le forse per il giorno dopo. "Pensa al frescone che si ritroverà in maglia gialla domani - mi fece Scarponi - magari si illuderà pure di tenerla." Very Happy E anche dall'ammiraglia erano ben contenti quando mi dissero di continuare con quel ritmo e che la maglia era di Tony Gallopin con circa un minuto di vantaggio. Quel giorno Martin non si fece prendere, coronando una fuga di 150 km. con la vittoria di tappa, mentre i primi inseguitori, che avevano riassorbito De Marchi, furono regolati allo sprint da Cancellara dopo circa tre minuti. Noi, con il resto del gruppo avevamo circa 8 minuti di ritardo e Gallopin salì sul podio per ricevere la maglia, mentre io dovevo sembrare imbarazzato; in realtà ridevo dentro di me, perché quel giorno tutto il carosello delle interviste sarebbe toccato a lui, mentre mi facevo la doccia e mi preparavo per la battaglia in quota, dell'indomani. Wink
    Sarebbe stato il 14 luglio, festa nazionale francese, e l'arrivo era previsto alla Planche des Belles Filles, mia vecchia conoscenza nell'anno del trionfo di Sir B. Wiggins. Wink Ma il 2014 doveva essere diverso e dovevo cercare in tutti i modi di resistere a Contador, così sarei arrivato al riposo in maglia gialla e avrei fatto crollare i nervi del "Pistolero" (o Bagnino, dico io). Un cosa è inseguire un avversario per giorni, un altra rendersi conto che Lui può lasciare il comando per riposarsi e riprenderlo, a piacimento, l'indomani. Wink Mi ero allenato per settimane, dietro lo scooter di Slongo e quel giorno avrei dovuto dimostrare che riuscivo a tenere quei ritmi anche in gara. C'era una fuga in atto di uomini non di classifica, quando partì T. Martin, il protagonista dell'eroica impresa del giorno prima, tirandosi dietro il suo compagno polacco mister K. La cosa non mi piaceva e avvertii i miei di "darci dentro". Quello che accadde poco dopo, mi garbò meno che mai: Contador ci sfrecciò accanto nella su divisa fluorescente e si buttò in discesa, come un pazzo. Da solo o in compagnia, dovevo riprenderlo in fretta, però, quando lo scorsi, ebbi un sussulto ... era a terra sull'esterno della carreggiata, di fianco alla bicicletta, reclinata sull'asfalto. Anche filando, come stavo facendo io, si capiva che si era fatto male, ma ero un corridore, non una crocerossina, così badai solo a evitarlo e proseguii nella picchiata. Quel giorno ripresi tutti sulla salita finale e me ne andai a vincere la tappa in solitaria. Contador aveva riprovato a rimontare in sella, ma poi il dolore lo aveva costretto a fermarsi. Meritava tutto il mio rispetto e mi dispiaceva fosse finita così, anche perché sapevo che cosa avrebbero detto subito i miei detrattori: era troppo facile vincere il Tour, senza Froome e Contador. Ma mica li avevo fatti cadere io; specialmente Contador si era assunto i suoi rischi per battermi e gli era andata male! Rammentavo che quando era toccato a me salutare la maglia rosa per un capitombolo, nessuno si era fermato a portarmi i cerotti, quindi mi potevo godere in pace il giorno di riposo.
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    Messaggio Da Lemond Lun Mar 02, 2015 9:33 am

    "Ora sei senza rivali - osservò Pallini - e comincia un Tour nuovo, che nessuno a mai visto e, se sei sincero, non ci credi nemmeno te che Porte e Valverde possono darti noia; se l'avessi tu il loro ritardo, penseresti di poterlo recuperare? Ma, come si dice giustamente, Parigi è ancora lontana e tu devi continuare come oggi, perché la gente ha bisogno di sapere che chi vince lo fa con merito, come è stato oggi: non ti serviva arrivare primo, ma hai sputato l'anima fino in cina al colle."
    "E' questo che la gente vuol vedere - approvò Vano - non quei Giri penosi in cui il vincitore, magari, non conquista nemmeno una tappa, o ne vince una e poi pensa solo ad amministrare il vantaggio!" "Tu non sai fare calcoli - intervenne di nuovo Pallini - ed è per questo che piaci agli italiani e ora devi conquistare anche il cuore dei francesi. Falli sognare, vinci ancora, senza mai pensare a controllare la corsa e ti ameranno anche loro."
    Era vero. Le cose cambiarono da un giorno all'altro e decisi che sarebbe mutato anche il mio approccio alla corsa: vivevo la condizione irripetibile di dominare la gara che mancava alla mia collezione di G.G.  e mi concessi il lusso di guardarla in maniera diversa. Non pensai più a me stesso come a un conquistatore, sceso in terra di Francia per piantare la propria bandiera, bensì un atleta che voleva dare loro, insieme agli altri, il miglior spettacolo possibile, la ragione appunto per la quale assiepavano le strade ogni giorno. Il nostro passaggio dava un senso all'euforia generale, al di là dei singoli, perché capivo che nessuno di noi era indispensabile, anche se tutti necessari. Mi sentivo un uomo nuovo e così, arrivando a Chamrousse, potevo inseguire su, per l'ultima salita, il maldido Valverde nello stesso modo in cui, un giorno assai lontano, avevo raggiunto un ragazzotto con i baffi, per il solo piacere di provare a batterlo, e non perché fosse pericoloso in classifica. E, una volta che l'avevo staccato, perché non provare a darci dentro fino in fondo e a riprendere anche i due fuggitivi che mi stavano davanti? La gente si spellava le mani, ma sarei stato io che, dopo aver vinto la tappa, avrei voluto applaudire loro.
    E qualche giorno più tardi, sui Pirenei? Mi saltò la mosca al naso quando vidi che, all'ultimo Km, mi precedeva un certo Giovanni Visconti, da San Baronto! E, anche se ormai il vecchio astio aveva lasciato il posto alla stima, provai lo stesso a riprenderlo. Invano, peraltro! All'arrivo ero accigliato, come un dilettante.
    Il giorno dopo mi trovai staccato sulla rampa di Hautacam dal vecchietto terribile, di nome Horner, quando mancavano 10 km. al traguardo. Lui era a mezz'ora in classifica, ma non volevo certo lasciare l'ultima tappa di montagna all'uomo che mi aveva fregato la Vuelta l'anno prima. Così saltai in piedi e gli diedi la caccia, finché non lo lasciai indietro e anche allora continuai a macinare da solo, in mezzo alla gente, per dar motivo di sventolare le proprie bandiere al passaggio della maglia gialla. Corridori e pubblico era uno spettacolo che andava portato avanti sino alla fine. Wink
    Fu così che arrivai a Parigi, primo in classifica per diciannove giorni su ventuno, con quattro tappe vinte e con la tripla corona nei G.G. Intorno a me avevo i compagni dell'Astanà, mentre Martino e Vino ci seguivano dall'ammiraglia e sulla seconda vettura c'erano Slongo e Pallini, senza i quali non avrei mai potuto guardare i Campi Elisi vestito di giallo.
    Il bello era che esultavano anche i francesi, orgogliosi di vedere due compatrioti salire sul podio: il trentasettenne Peraud, ex campione di "mountain bike" e la giovane maglia bianca Pinot. Così, fra il pubblico, era tutto uno sbandierare e scattare foto.
    Sapevo che ad aspettarmi c'erano i miei cari: Rachele, con la piccola Emma Vittoria, il Lupo e mamma Giovanna, fiera di quel figliolo che non voleva far partire da casa; speravo ci fossero anche Antonio e Carmen. Di certo erano presenti, al completo, i Cannibali di Mastromarco (con Carlo e la signora Bruna, mentre il buon Malucchi era morto). Il mio manager Alex Carera l'avrei visto di lì a poco, mentre ero incerto se fossero riusciti ad arrivare Eddy e Pippo Marchetta, dopo aver guidato per ventiquattro ore di fila. Fra quanti, invece, mi stavano guardando in TV, c'era il nonno d'Italia: Alfredo Martini, ormai debole e stanco, ma mi avevano garantito che non si perdeva mai le corse importanti.
    Ni-ba-li ... sentivo gridare a tempo, quando eravamo all'ultimo giro del circùito e allora mi misi a pensare che avevo 29 anni e una strada ancora lunga e, dopo un giusto riposo, mi sarei rimesso in fretta a caccia di nuove corse, traguardi e trofei. Era quella la mia vita.    

                                                              FINE

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