prof ha scritto:Ti ringrazio per la generosità con cui mi definisci imprenditore; troppa grazia. Gli imprenditori erano dei sognatori, dei poeti e oggi non esistono nemmeno piu'. Li ho sonosciuti ed erano tutti cosi': ci ho provato, ho volato alto ma ora è tutto diventato impossibile e anche quella razza si è estinta.
Capisco cio' che dici e siamo in tanti ad avere sentore di questa realtà; siamo ingenui, si', ma non poi del tutto. E' proprio questa la ragione per cui non amiamo certi corridori, specialmente tutti quelli "moderni".
Rimango in attesa del tuo post esplicativo cui accennavi prima.
Per parlarne compiutamente devo partire da lontano.
Il ciclismo, come tutto lo sport, è campionato (nel senso di monitorato), tradizionale, scontato.
Se scegli Conte come allenatore, scegli un metodo ed un team (preparatori, carichi, TUE preferite), esattamente come quando scegli un Van Gaal o un Mourinho, a parte le loro immagini pubbliche.
Lo stesso avviene anche se in modo leggermente più blando nel ciclismo, anche se in questo sport sono molto, molto più stringenti i vincoli posti dall'antidoping e dal passaporto biologico, che da strumento sanzionatorio sta sempre più diventando strumento orientativo per gli esami mirati che poi porteranno alle sanzioni.
Come e quanto questa "miratezza" sia accurata e soprattutto scientificamente "terza" non è dato saperlo.
Ci dobbiamo fidare della nuova Uci di Cookson.
Il problema di una azienda che investe in questo sport (come in tutto lo sport, dove gli altri professionistici hanno però maglie molto più larghe e misericordiose) è quello di avere garanzie.
Non intendo garanzie come quelle offerte a suo tempo alla Us Postal, ma garanzie minime di equità e terzietà dei controllori.
Il problema dell'antidoping si è pertanto spostato eccessivamente sul piano politico. Questo è purtroppo il tremendo fardello più ingombrante lasciato dall'era Armstrong, un sistema che per il ciclismo è stato come un diserbante per una rigogliosa piantagione. Non è il doping di Armstrong ad avere desertificato, bensì il doping politico, un doping che non ha laboratori in grado di individuarlo.
All'Uci questa problematica la conoscono bene e, fra mezze frasi, il presidente Cookson ha buttato lì l'idea del Tribunale Antidoping Mondiale, unico per tutte le federazioni, una cosa che potrebbe avere dei felici risvolti come pure rischi definitivi per l'immagine di questo sport. Stiamo ancora aspettando la verità su Campiglio e sulle complicità evidenti di Armstrong, immaginarsi come si possa partire con un qualcosa di condiviso, che richiede una fiducia cieca nelle istituzioni più che apparentemente corrotte del passato prossimo.
Oltre all'aspetto politico, tornando alla vicenda Astana, c'è per i team l'esigenza di dotarsi di costose strutture interne di controllo. Le strade sono due per andare sul sicuro:
1- pagare la politica e/o i controllori
2- cautelarsi con una struttura interna atta a monitorare i propri corridori, impedendo loro di avvalersi di personale esterno non autorizzato dalla squadra.
Il punto 1 è oggi probabilmente (finalmente!) arduo, o comunque più complesso, perché il passato ha sensibilizzato il tessuto ciclistico già lacerato. Ciò che non ha fatto il doping lo ha fatto l'antidoping.
Il punto 2 richiede molti, molti quattrini. Significa creare un team che si occupi specificamente di monitoraggio, un team se possibile di medici con una spiccata esperienza in tal senso. E' necessario per tenere a bada preventivamente gli istinti, sempre presenti, dei corridori di avvalersi dei guru, coloro che promettono le scorciatoie.
Poco tempo fa ho parlato con un medico sportivo lombardo che ha lasciato il ciclismo da qualche anno e mi ha spiegato con dovizia di particolari le tendenze oggi in atto nel ciclismo.
Non è un mistero che i picchi siano ormai l'unica eccellenza possibile per un ciclista. Questi picchi servono a ridurre i rischi di positività ed a puntare su specifici primari eventi. Il corridore rischia veramente solo nell'approssimarsi di quegli eventi, mentre nel resto della stagione si mantiene tranquillo.
E' evidente che le squadre hanno necessità di dotarsi di strumenti preventivi di controllo.
Per fare questo non esistono molti medici bravi che possono svolgere questa funzione.
In alcuni altri team (e fra questi metto l'Astana) si è pensato probabilmente che questa attività puntuale e mirata di controllo e monitoraggio preventivo non fosse necessaria e che si potesse proseguire cone le dichiarazioni etiche e di maniera unitamente alle prassi antiche delle preparazioni individuali e mirate degli atleti.
A mio modo di vedere è assurdo pensare al doping di squadra, perché a medio termine (nemmeno alla lunga) gli scheletri escono dall'armadio.
Inutile dire che Riis, con tutti i suoi difetti ed il suo passato, ci ha visto (anche furbescamente) meglio e prima degli altri. Fu il primo a scegliere un conveniente e politico programma interno antidoping, seguito poi dall'Astana, che però un positivo all'interno lo ebbe anche allora nel 2009, e sempre un kazako.
Come detto sopra con l'esempio calcistico, da come un team sceglie i suoi collaboratori capisci cosa voglia fare e quale modello seguire.
L'Astana ha scelto come suoi medici Joost de Maeseneer e Andrea Andreazzoli.
Il primo medico non risulterebbe come un attentissimo e rigoroso paladino del monitoraggio interno, tanto da essere stato citato con particolari imbarazzanti nel libro di Tyler Hamilton su quanto avveniva nella Csc dove costui operava.
Nell'attualità cogente non penso ad esplicite responsabilità nelle attività dopanti ma proprio ad una "bonaria" presenza medica, atta a non disturbare l'ambiente.
De Maeseneer è stato medico nella TVM, poi nella Csc sino al periodo Saxo ed ora dell'Astana.
Nel 2006 dichiarò che Basso era pulito e che non aveva nulla a che vedere con Fuentes. Poi le cose si dimostrarono purtroppo diverse. Quest'anno ha fatto analoghe dichiarazioni su Nibali e credo che il povero Vincenzo abbia dovuto toccare ferro. Queste due frasi sono estratte dal contenuto di questo dettagliatissimo sito olandese:
http://dopingzaak.nl/blog/2012/04/08/saxo-bank/
Non è il collega dopato a danneggiare l'immagine ed il prestigio di Vincenzo Nibali, ma proprio questa diffusa conoscenza nell'ambiente delle briglie molli su certi temi all'interno della Astana. E se chiami un medico come De Maeseneer sai a che tipo di accuse vai incontro.
Il secondo medico del team, Andrea Andreazzoli, è stato medico nell'ultima Mercatone Uno.
E di quella squadra mi rimase in mente una vicenda che poi riletta negli anni assume una luce diversa ed un po' sinistra. L'ho ritrovata completa su L'Unità, ma La Gazzetta ci aveva calcato ai tempi in chiave ovviamente pantaniana. Leggiamola con occhi odierni e alla luce dei nostri eventi.
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Il dott Marco Magnani, medico della Mercatone Uno, denuncia pressioni da parte dello staff della squadra di Pantani per essere più elastico sui medicinali «Io non prescrivo farmaci come fossero acqua fresca»
di Simonetta Melissa
Marco Magnani, 52 anni, di Solarolo, frazione faentina, in provincia di Ravenna, è il medico sociale della Mercatone Uno, assieme ad Andrea Andreazzoli, 43 anni, di Massa Carrara. Dottore, esattamente che cosa fa, per la squadra capitanata da Marco Pantani? «Mi occupo dei rapporti sanitari con la federazione, per quanto attiene il programma "Io non rischio la salute", e pure con l'Uci, per la medesima finalità. Sono alla Mercatone dal '97. Questo, tuttavia, è il primo anno in cui svolgo questo compito. Nella vita, sono medico di base, qui a Solarolo, e pure sportivo». La Mercatone vuole forzarle la mano, inducendola a dopare i suoi corridori? «Non esattamente. Mi si chiede di prescrivere, quando non ve n'è necessità, farmaci che non sono dopanti ma che, quando l'atleta è sano, non sono necessari. Mi riferisco, ad esempio, ad antifiammatori e ad alcuni vitaminici. Che hanno indicazioni precise e non vanno dati quando non servono». Chi è il bersaglio della sua polemica? Il team manager Giuseppe Martinelli? «Faccia lei». Magari è Marco Pantani a chiederle un aiuto farmacologico, per rientrare ad alti livelli? «No. E nel modo più assoluto. Marco è il più lontano dai farmaci, dopo quanto gli è successo. Si fa pure fatica a curarlo, quando ha davvero bisogno, perché è diventato diffidente». Al Giro d'Italia ha fallito, al Tour non è stato invitato. Ora che farà? «Purtroppo capitano le annate in cui si rende di meno. A tutti, non soltanto agli atleti. Ora deve osservare un periodo di riposo, perché ha una bronchite». Da quanto tempo riceve queste pressioni, da parte dello staff Mercatone Uno? «Da un paio di mesi. Ma la cosa spero si possa superare, anche se non è facile, in ambienti che da decenni sono abituati a muoversi senza tante prescrizioni. L'ultima legge ha rivoluzionato il mondo del ciclismo e noi medici dobbiamo convivere con chi queste cose non le ha capite». Comunque non è andato al Giro d'Italia, proprio per questo? «È vero. Io non ho accetto queste pressioni. Peraltro, credo sia un'incomprensione frequente, con chi non è medico ma pure è addetto ai lavori. La legge sul doping ha instaurato un meccanismo nuovo, che va rispettato. Il medico deve verificare lo stato di salute degli atleti e vigilare: se è lui a proporlo (il doping, ndr), è come un carabiniere che va a rubare. Ora, comunque, ci sono meno sostanze dopanti che circolano. Anche perché dall'1 aprile vengono fatte ricerche che trovano le sostanze proibite». Giuseppe Martinelli, team manager della Mercatone Uno, non ha voluto commentare.
23 June 2001
pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 17) nella sezione "Sport"http://cerca.unita.it/ARCHIVE/xml/10000/8425.xml?key=Simonetta+Melissa&first=81&orderby=0&f=fir
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Da quanto mi risulta dal racconto del collega medico milanese (sulla cui onestà professionale non ho dubbi) il dott. Magnani lasciò il team, mentre Andreazzoli no. A parte questo particolare e fuori dal contesto si noti cosa dice Magnani di Marco Pantani.
Dopo la Mercatone, Andreazzoli seguì la Saeco, che poi divenne Lampre, lasciando questo team dopo l'inchiesta di Mantova (dalla quale venne assolto) proprio per l'Astana.
Andrea Andreazzoli lo conosco di nome per essere da due mandati presidente provinciale Fci di Massa e per essere stato uno degli sponsor toscani dell'attuale presidente federale Renato Di Rocco.
Troverei stupido accusare questi professionisti di doping di squadra, come viene ventilato anche da siti esteri. Ma di certo è legittimo avere dubbi sulla loro capacità di monitorare i componenti dei team per i quali hanno lavorato.
Ed è su questo punto, non solo sulla mera pulizia, che si gioca l'immagine degli sportivi e del nostro movimento nel complesso.
Ps. Tutti danno per scontata la revoca della licenza WT per l'Astana e poi ... comincerà la solita trafila del Cas al Tas. Annus horribilis all'orizzonte? In certi casi è meglio levarsi subito il dente (messaggio a Vincenzo).