prof ha scritto: Dio rende ciechi coloro che non vogliono vedere. E fa bene!
Gesu' appare per primo alle donne dopo la sua Resurrezione: quale scandalo piu' grosso in un'epoca in cui la testimonianza di queste non era nemmeno ammessa nei tribunali?
Caro Lemond, potresti andare a parlare con papa Francesco, vista la sua propensione al dialogo: da quelli come me otterrai solo si' si', no no perchè il di piu' appartiene al demonio ... Noi non dobbiamo piacere al mondo (tampoco al principe di questo mondo). In epoca di scisma, l'unica cosa che i cattolici residuali possono fare è testimoniare la nostra appartenenza alla Chiesa della tradizione.
Invece, da quelli come te ottengo solo una parte piccola e mai il tutto, ma d'altra parte per poter discutere occorre avere argomenti e sulla donne la religione ha pochissimo da dire me in particolare il cattolicesimo, con un'unica parentesi chiusa e cioè il Concilio Vaticano secondo, non certo il cristianesimo delle origini, ovvero di Costantino.
Creata per seconda, ma prima nel peccato, volubile, tentatrice, causa della cacciata dal Paradiso terrestre, inferiore all’uomo sia per intelligenza sia per moralità, tenuta quindi a obbedirgli: così papi e teologi (maschi e celibi) hanno considerato la donna, almeno fino al Vaticano II.
Inferiorità e immoralità della donna
Questa concezione, in cui si sommano cultura patriarcale e sessuofobia cattolica, si fonda anche sull’autorità di Paolo per il quale l’uomo «è a immagine e gloria di Dio, la donna invece è gloria dell’uomo» (Prima lettera ai Corinzi, 11); il marito è «il capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa» (Lettera agli Efesini, 5); la donna «potrà essere salvata partorendo figli» (Prima lettera a Timoteo, 2), cioè confinandosi nella casa e nel ruolo di riproduttrice.
Per quasi venti secoli contro la donna si snoda un lungo rosario di insolenze: «porta del diavolo» (Tertulliano), «male di natura» (Giovanni Crisostomo), «insaziabile» di piacere (Girolamo), «di mente instabile» (Gregorio I), «sacco di escrementi» (Odo, abate di Cluny), «una sorta di inferno» (Pio II), «osso in soprannumero» (Bossuet).
Alberto Magno, maestro di Tommaso d’Aquino, con lui condivide l’idea che «la donna… rispetto all’uomo ha una natura difettosa e imperfetta» ed è anche «meno consona alla moralità. Quando una donna ha un rapporto con un uomo, è molto probabile che desideri giacere al tempo stesso con un altro. La sua sensibilità spinge la donna verso ogni male, mentre la ragione muove l’uomo verso ogni bene» (Quaestiones super de animalibus).
La donna non tocchi l’altare
Questa opinione della donna spiega perché essa nel Medioevo «non ha nessuna autorità, non può insegnare, né testimoniare, né giudicare» (Decretum Gratiani, XII sec.) e non può accedere al sacerdozio o accostarsi «ai sacri altari» (papa Gelasio). Le donne non potevano neppure “servire” messa o cantare in chiesa (motivo quest’ultimo per cui dal Cinquecento, avendo bisogno di voci bianche, si ricorse alla castrazione). Questi divieti si mantennero fino al XX secolo, quando si aggiunse «a meno che manchi un uomo» ma avvertendo che comunque la donna «per nessuna ragione si avvicini all’altare e dica le risposte da lontano» (Codice di Diritto canonico, 1917). Quando, poco dopo nella Turchia di Kemal Ataturk si concedeva alla donna il diritto di voto.
ll maschio sia il suo signore
La pretesa inferiorità della donna servì anche a giustificare la sua sottomissione all’uomo. «C’è disordine in quella casa dove la carne comanda e lo spirito serve», diceva Agostino. «Ordinata è quella casa in cui la donna obbedisce al marito». (Commento al Vangelo di Giovanni). E per Tommaso d’Aquino «la femmina ha bisogno del maschio non solo per la generazione, come negli altri animali, ma anche come suo signore» perché è più intelligente e coraggioso (Somma contro i gentili). Nel 1630, quando l’inglese Mary Ward fondò un ordine che voleva porsi sotto il controllo diretto del papa senza subordinarsi, come era d’obbligo, al corrispondente ordine maschile, Urbano VIII la fece incarcerare come eretica. Dopo un anno la liberò ma soppresse l’ordine, reo di svolgere «attività per nulla confacenti alla debolezza del loro sesso».
La sottomissione della donna all’uomo fu dottrina della Chiesa fino al XX sec. Per Leone XIII «il marito è il principe della famiglia e il capo della moglie» (Arcanum divinae). Per Pio XI «l’ordine dell’amore» richiede «da una parte la superiorità del marito sopra la moglie ed i figli, e dall’altra la pronta sottomissione e ubbidienza della moglie» (Casti connubii, 1930).
Come se non esistessero
Assai significative anche le annotazioni di Angelo Roncalli che pure, divenuto Giovanni XXIII, ispirò importanti aperture: «Mi conservo famigliari, dopo oltre quarant’anni, le conversazioni edificanti [...] con il mio venerato vescovo [...] Di donne, o di forme o di cose muliebri, mai una parola, mai, come se donne non esistessero al mondo [...] e sono riconoscente, anche ora, alla insigne e benefica memoria di chi mi educò a questa disciplina» (Giornale dell’anima, 1948).
Una ”svolta”. E anche no
Solo a partire dal Vaticano II, grazie anche all’influenza del movimento femminista, cominciò a essere posta in discussione la misoginia cattolica (almeno a parole). Giovanni Paolo II si spinge a contraddire esplicitamente Paolo e i suoi predecessori circa il rapporto uomo-donna, scrivendo nella Mulieris dignitatem (1988): «Mentre nella relazione Cristo-Chiesa la sottomissione è solo della Chiesa, nella relazione marito-moglie la “sottomissione” non è unilaterale, bensì reciproca!». E il Catechismo della Chiesa cattolica (1992) afferma la parità dei sessi negando l’idea paolina che solo l’uomo sia “immagine di Dio”: «L’uomo e la donna sono, con una identica dignità, “a immagine di Dio”» (§ 369).
Ma la Chiesa da un lato, per non mettere in dubbio la sua presunta infallibilità e ispirazione divina, non riconosce di aver insegnato il contrario per venti secoli, d’altra parte non trae le conseguenze per quanto riguarda l’autodeterminazione della donna. E seguita a escluderla dal sacerdozio.
Non potendo più giustificarsi con l’inferiorità della donna, Wojtyla sostiene che «non è ammissibile ordinare donne al sacerdozio,
per l’esempio di Cristo che scelse i suoi Apostoli soltanto tra gli uomini; la pratica costante della Chiesa e il suo vivente magistero» (Ordinatio sacerdotalis, 1994) e blinda questa scelta dichiarandola «appartenente al deposito della fede» (Congregazione della dottrina della fede, 1995), cioè sotto l’ombrello dell’infallibilità.
prof ha scritto:
Per l'amica Vall, invece, vorrei dire che si usava anche allora il doping ma si trattava di doping che lasciava conseguenze devastanti nel corridore e pertanto andava centellinato per evitare che le carriere finissero molto in fretta, come di fatto accadeva.
La categoria dei dilettanti era estremamenta competitiva e selettiva e tante carriere piu' che promettenti si sono bruciate proprio li'.
Se alla prima gara bastava una pastiglia di simpamina per vincere o, comunque, piazzarti tra i migliori, alla terza ce ne volevano due e via di questo passo a crescere. Il problema era che questi farmaci avevano effetti collaterali poco simpatici: quando arrivavi a 5/6 pastiglie per gara (fece capolino anche l'amfetamina liquida ed altre piacevolezze del genere) poi stavi una settimana senza dormire nè riposare e finiva che dovevi prenderne dosi sempre maggiori anche solo per tenere le ruote. Dopo 3 anni di questa vita erano tutti ridotti come stracci da buttare: invecchiati nel fisico, con problemi cardiaci e, peggio del peggio, con problemi depressivi gravissimi.
Non so se fosse vero o no ma si è sempre detto che il povero Simpson, nella tappa in cui perse la vita, arrivò a ingurgitare un intero tubetto di amfetamine (una trentina di pastiglie).
Io, come tanti e forse tutti, non ne fui esente: so solo che la prima volta (una sola metedrina) fu in una coppa dell'Appennino: pronti via ero già in fuga e vi rimasi per tutta la gara assiemea ad altri, alla fine ridotti a 5. Li avrei lasciati li' in ogni momento se solo non avessi avuto i crampi: le mie gambe non erano abituate a quei ritmi ed ai rapporti che spingevo. I due giorni successivi ero letteralmente uno straccio.
In una gara a tappe era impensabile reggere alla battaglia di tutti i giorni con l'ausilio delle amfetamine, ammenochè uno non fosse seguito, anche allora, da "stregoni" che riuscissero a calibrare bene i dosaggi.
Era in ogni caso impensabile correre due GG in una stagione ricorrendo a quel doping. Era l'epoca delle grandissime meteore: corridori che duravano una stagione e poi erano letteralmente bruciati.
E' questo il motivo per cui ritengo che Merckx fosse soltanto un grandissimo fenomeno e fosse sostanzialmente poco propenso alla stregoneria.
Sarebbe bello, se fosse vero, ma penso che tu creda alla teoria e non invece alla pratica comune, laddove ad esempio in un libro del Grande Jacques, con parole di quest'ultimo, si narra della scommessa fra Anquetil e Baldini che si conclude con la dichiarazione assoluta: mai più senza anfetamine. Evidentemente c'era chi non poteva permetterselo e chi invece aveva un fisico che assorbiva bene ogni tipo di stimolanti.
"Per principio rifiuto di sottopormi a questi controlli. Non sono ostile alla lotta al doping, che ritengo indispensabile tra i dilettanti, ma nel caso di professionisti è differente. Dopo 12 anni di carriera io so quello che devo fare e non voglio che una mia vittoria venga messa in dubbio dalla fantasia delle analisi".
(Jacques Anquetil, 4 maggio 1966, intervista a L'Équipe)