Morris l'originale ha scritto:L’Amstel di ieri ha poi messo un’altra pietra (ma chi ha il coraggio di dirlo fra gli addetti ai lavori?) sul muro della modestia tecnica di Damiano Cunego. Mai sognerei di mettermi a fare delle disamine su di lui - le facevo in passato, quando la pazienza e la voglia erano migliori, o il masochismo giungeva all’entità fallosa di chi lo deve fare per mestiere, con relativo spesso stupido politically corrrect - ma oggi è tempo di passare….. allo stupore. Quale? L’averlo visto come un atteso, un papabile al successo, non già dai suoi tifosi, a cui va perdonato l’appannamento o la forte miopia, ma da gente che dovrebbe avere ben altre lucidità, anche di fronte al sempre non positivo nazionalismo sulle forme artistiche come, appunto, lo sport. Davvero potevano bastare le buone prove con relativo massimo piazzamento per le qualità possedute, nelle varie corse di questo scorcio di stagione, per mettere uno come Cunego nei titoli? È pur vero che oggi gli addetti ai lavori sono, torto collo, costretti ad usare superlativi su corridori che negli anni settanta non avrebbero visto il professionismo, ed è pur vero che le benzine attuali scorrenti nei corpi, le conoscenze alimentari e tutto quel maestoso corredo d’assistenza, esaltano la rivoluzione in avanti su un mezzo che, in proporzione ad altri spinti a motore, rappresentano il top dei top, ma è pur vero che qui, in fondo, l’azione si volge su quella bicicletta che usa il propulsore insistente nel corpo umano. Ed allora, scansando atti fortuiti ed ovvie circostanze che mostrano l’involuzione dei talenti atletici presenti nel ciclismo, o il ricordo che qui, nel 2008, Damiano fece l’unica corsa da super della sua vita, poteva davvero il motorino del veronese, da anni fissato sul limatore incapace di sbalzi esplosivi con conseguenti cambi di ritmo, sgretolare un Gilbert che ha una cilindrata perlomeno tripla a quella di Cuneghino, anche quando è al 70%? Suvvia, siamo seri, ed anche se giornalisti, proviamo ogni tanto a fare i logici, i conoscenti, i lettori delle realtà, lasciando alle eccezioni che confermano le regole, quel corso storico che ne han fatto la legge dei grandi numeri. Oltre tutto, anche uno scolaro somaro di ciclismo, sa che Cuneghino, può far meglio ad una Freccia che si ferma sul culmine dell’ascesa di Huy, piuttosto che ad una Amstel che, alla cima del più tenue Cauberg (conseguentemente più da potenti per fare differenze), aggiunge quelle centinaia di metri di mezzo falsopiano, dove il motore umano conta tantissimo. Ed è mai possibile che un simile corridore, in un ciclismo dove i soldi vengono solo dalle sponsorizzazioni, che non vince una corsetta da non so quanto tempo, che non sa fare il capitano e tanto meno il gregario, debba passare indenne alle disamine e non trovare mai, un addetto che abbia il coraggio dell’intelligenza, pronto a dire che quell’ingaggio, il Cuneghino, lo meriterebbe ad uno zero in meno e non in più? Possibile che il ciclismo si possa permettere questi continui insulti alle realtà? Quello italiano poi, che vede morire delle corse storiche e che gli sponsor se li gioca sulle inutili e/o sibilline sirene granfondistiche, è ora che cerchi qualche Giuntini, o Paramatti, o Perissinotto, più bravi e meritevoli, al fine di costruirsi un’immagine! Basta con questi trapassati dal parco valore! Si investa sulla ricerca di atleti, per farne poi dei corridori, altrimenti per vincere bisogna aspettare quel fattore “c” che fa sempre parte del gioco, ma sul quale solo gli stupidi posson pensare di partorire progetti proiettati in avanti. A tenere a galla un Cunego e un Pozzato, guarda caso finiti nel medesimo team, sono fattori che non hanno nulla a che vedere col valore sportivo. Poi si scopre che l’unica ragione plausibile delle fortune economiche di uno come il Cuneghino, sta nella “vistosa” presenza dei suoi tifosi internettiani e, memori, da italiani, che pure un clown nel migliore dei propri epigoni possibili, ha usato questo nuovo e comunque applaudibile mezzo per le sue fortune politiche, non ci resta che rimbalzare sullo sconforto. Povera Italia!
E' un post che non lascia scampo, è un post che analizza dettagliatamente una situazione, ... è un post di Morris.
Anche per un tifoso di Cunego è difficile scappare ad una osservazione così lucida ed analitica.
C'è un oggettivo problema in generale relativamente ai punti di riferimento per il nostro ciclismo.
Ci sono corridori emergenti ed onesti gregari che in questo anno hanno dovuto appendere la bici al chiodo. Premesso che sono professionisti e che se un team vuole strapagare un suo corridore perché "famoso" o di "grande passato" è libero sempre di farlo, c'è oggettivamente da chiedersi se ha una logica sportiva il fatto che un corridore sia pagato come un attore, ovvero basandosi su un book (che da noi è il palmares) e non sulla base delle effettive prestazioni sportive.
Ma anche questa analogia non funziona in toto, perché quando un attore comincia a sembrare bollito il suo cachet crolla immediatamente. Che il ciclismo voglia una sua Bollitwood?