Nato a Chieri il 23 giugno 1929. Velocista pistard. Professionista dal 1949 al 1958, con oltre 100 vittorie su pista.
È difficile restringere la storia Ghella su piccoli spazi. Anche perché, all’atleta, andrebbero uniti copiosi accenni sugli itinerari di un uomo straordinario, ancora compiutamente in grado di far capire, a chi lo avvicina, le sue grandissime facoltà. Di Mario, nell’osservatorio più profondo, sono sconosciute talune parti che, se da un lato evidenziano la sua grande precocità agonistica ed i copiosi titoli ottenuti, dall’altro, liberano il rammarico per come una simile figura possa essere trattata a colpi di albi d’oro, nella considerazione, visti i suoi tempi, di un ciclismo fatto di tanti “ciao mama son contento di essere arrivato uno”. Se queste poche righe serviranno a spingere i lettori a ricercare su questo grande uomo, allora avranno colto nel segno. Ma cosa ci resta a noi italiani di Mario Ghella, da oltre mezzo secolo cittadino di Caracas in Venezuela?
Di primo acchito s’è portati a dire: “l’orgoglio di un atleta che ha vinto Olimpiade e Mondiale, che è diventato inventore e non ha mai dimenticato i più poveri”. Iniziò a pedalare seguendo il padre, calzolaio, un tempo mediocre dilettante, senza la convinzione nella scelta dello sport ciclistico, perché gli piaceva anche lo sci. Poi, il fatto di dover percorrere in bicicletta, ogni giorno, quei 12 km che separavano la natia Chieri da Torino, per frequentare l’Istituto Tecnico, lo caricò più delle prime vittorie. Un giorno d’estate del ‘45, mentre si trovava in visita al Velodromo di Torino, un tipo che lo aveva visto pedalare gli propose di sfidare l’ex Tricolore dei dilettanti, Degli Innocenti, che era lì ad allenarsi per gli imminenti “Italiani”. Mario pensò ad uno scherzo, ma decise di assecondare quel tipo. Gli prepararono alla meglio una bici e, senza esperienza alcuna, provò due sprint con quel prestigioso corridore. Lo fulminò. In extremis, fu iscritto per gli Italiani allievi che si tenevano una settimana dopo. Li vinse a mani basse e Degli Innocenti diventò ancora Tricolore fra i “puri”. Fu l’inizio di 3 anni incredibili.
Nel ’46, Mario rivinse il Titolo fra gli allievi e nel ’47 e ’48 quello fra i dilettanti. Partecipò ai suoi primi Mondiali nel ’47, a Parigi, dove si dimostrò competitivo per l’iride, ma fu eliminato non dagli avversari, ma dalla sfortuna, a causa della bicicletta ko. Nel ’48 partecipò alle Olimpiadi di Londra, convinto di poter vincere e fu così. In finale annichilì il già considerato leggenda Reginald Harris, tra l’altro corridore di casa. Tre settimane dopo, ad Amsterdam, si laureò pure Campione del Mondo, sempre nella velocità. Era il numero uno, anche rispetto ai prof, per i tempi fatti registrare. Passò nell’elite nel ‘49, ma anziché pensare alla sua carriera in termini di vertice, decise di girare il mondo gareggiando e tutto questo lo appannò. Da prof vinse i Tricolori nel ‘51, chiuse 2° nel ’49, ’50, ’52 e ’55, 3° nel ’54 e 4° nel ’58. Il tutto, continuando a girare la Terra arricchendo la prorompente cultura, ed a vincere per guadagnarsi la vita, ed un posto onde stare vicino a quei più umili per i quali nutriva vicinanza fin dai tempi in cui, ragazzino, era una staffetta partigiana. Nel ’58 si stabilì a Caracas, in Venezuela, fondò una azienda di bici e di decorazioni per interni, inventò il primo biocombustibile, ed arricchì il suo tratto d’altre invenzioni, sempre votate all’ambiente. Si scoprì pure artista. È infatti uno scultore.
Maurizio Ricci detto Morris