Ho sempre avuto una grande simpatia per questo ciclismo perché non era un ciclismo potente, o dei potenti.
Dirlo sembrerebbe una bestemmia, una negazione della storia germanica, ma è proprio così.
Il ciclismo dei potenti è stato quello sovietico e poi quello americano, tragico, della seconda ora.
Per ciclismo dei potenti intendo proprio quello che si è interlacciato con la potenza politica.
Nel blocco dell'est vi era lo squadrone sovietico, spesso disomogeneo e diviso al suo interno, e poi c'erano alcune forti nazionali, bellissime da vedere, come quella cecoslovacca e come quella tedesca-orientale.
Il ciclismo tedesco non è mai stato tanto amico del pangermanesimo, parlando dell'inizio del novecento, e non lo poteva essere proprio per le caratteristiche intrinseche di questo sport, nato internazionale sin dalle sue origini.
Come potevano i ciclisti tedeschi essere assorbiti dal nazionalismo, quando passavano gran parte della loro vita con altri ciclisti d'Europa coi quali costituivano un vera e propria famiglia?
Era proprio come chiedere loro di sparare ai loro familiari. Certo, vi fu chi si fece influenzare, ma la gran parte se ne stette fuori dalla politica nazista e vi fu anche chi ci lasciò le penne come Albert Richter.
http://www.ciclopassione.com/t649-grande-storia-e-ciclismo#2224
Nel dopoguerra il ciclismo tedesco come il resto della vita teutonica si divise in due realtà fra loro distinte, che comunicavano solo alcuni giorni all'anno fra loro. All'est nacquero alcune scuole di ciclismo, come Cottbus, che portarono alla ribalta tutta una serie di campioni. In generale dai tre lander meridionali della DDR, Alta Sassonia, Turingia e Brandeburgo, quelli più montuosi, arrivavano ottimi corridori.
A differenza di altri sport come nuoto ed atletica, nella DDR il ciclismo, pur se non scevro dai problemi del doping, era fuori dagli ossessivi interessi statali e dal risultato ad ogni costo. Anche se allora non sembrava, quelle scuole brillavano di luce propria, anzi luce vera. La storia ufficiale, rivisitata dopo il 2000 (non dopo il 1989), ha però voluto un'altra versione, anche se non è corroborata da nessuna prova.
E proprio la caduta del Muro dimostrò il valore assoluto di quei corridori. Ludwig, Ampler, Raab vincevano da dilettanti e rivinsero da professionisti.
Il doping non scalfì minimamente il ciclismo tedesco dell'est, a differenza di atletica e nuoto.
Ricordo nitidamente gli anni anni da preadolescente appassionato e si leggeva avidamente di quel ciclismo che una volta all'anno, o due, dava le paghe ai nostri dilettanti preparandoli splendidamente per le successive battaglie professionistiche. Noi li vedevamo solo ai mondiali ed alle gare primaverili della settimana fra 25 aprile e 1° maggio (Liberazione e Regioni).
Era splendido vedere questi ragazzi di quel ciclismo dell'altro mondo.
Quel ciclismo viveva il suo culmine alla gloriosa e forse scomparsa Corsa della Pace, la Friedensfahrt, che ogni anno metteva di fronte la Mitteleuropa dell'est agli "odiati" sovietici (i potenti) del grande Souko (Serguei Soukhoroutchenkov), il Merckx di oltre cortina. Odiati per noi che eravamo sempre dalla parte del Vietnam e dell'Afghanistan, i piccoli opposti ai colossi. Ovviamente non era una avversione tout court per le persone, ci mancherebbe.
Era un piacere leggere le imprese del grande Jiri Skoda o del passistone Milan Jurco, il più grande slovacco prima di Sagan, fra i cecoslovacchi, Baranowski, Lang e Piasescki fra i polacchi, per non dire di Bernd Drogan (il mostro di Cottbus che stravinse il mondiale di Goodwood dilettanti in casacca grigia), Uwe Ampler, Olaf Ludwig e l'ebreo tedesco Uwe Raab. Era una grande corsa la Corsa della Pace.
Non morì dopo la caduta del Muro, tutt'altro. Il calendario tedesco unificato ebbe negli anni 90 un suo sviluppo enorme. In Germania arrivavano a correre sia i vecchi cugini dell'est quanto gli acquisiti cugini olandesi, austriaci e svizzeri. Il ciclismo tedesco esplose letteralmente, divenendo uno dei simboli (allora ancora pochi) della Germania riunificata. Anzi quel simbolo di unità rendeva più simpatica ed accettabile quella riunificazione che ancora a molti faceva storcere il naso.
Quei ragazzi dell'est in maglia Telekom mettevano però in crisi l'assetto mediatico sportivo della vecchia Germania federale. Ogni anno milionate di tedeschi si spostavano in Francia lungo le strade del Tour per seguire i loro beniamini. Quello sport era un virus inarrestabile e stava mettendo in crisi il sistema sportivo. Il ciclismo godeva di dirette fiume ed aveva un seguito talmente vasto e popolare che sommava il calcio all'Ispettore Derrick.
Il calcio tedesco non poteva permettersi di perdere il primato federale per colpa di questi ragazzotti "neo-tedeschi" della Oster Jugend.
Ciò che non fu distrutto dal doping Stato venne invece demolito ed annientato dal doping farmaco-televisivo del professionismo. Bisognava buttar via l'acqua sporca, ma soprattutto il bambino!
Chi se ne fotte se già allora il Bayern delle tante finali di Champions recenti aveva già il medico-sciamano ed uno scheletro di dinosauro nell'armadio.
L'ipocrisia dello sport tutto in Germania ha raggiunto livelli mai sperimentati in altri paesi di vero e proprio accanimento verso una singola disciplina.
La religione del pallone andava mantenuta solida. Lì il doping non esiste per legge non scritta, conosciuta ed accettata, nella Baviera cattolica come nella Germania luterana.
Il ciclismo per una strana cieca furia antidoping, cieca solo in apparenza, è stato cancellato dalla tv nazionale.
Decine di ottimi ciclisti nati dal 1980 in poi hanno subito l'onta dello sport dopato e sono stati marginalizzati, salvati solo dalla internazionalità del ciclismo, una delle poche cose che questo sport si porta dietro dal passato, anzi da sempre, alla faccia della globalizzazione.
Un campione del mondo under 23, un campione del mondo a cronometro hanno subito in questi anni l'ostracismo mediatico insensato della loro tv nazionale.
La Corsa della Pace, che era sopravvissuta bene al crollo del Muro di Berlino, è quasi scomparsa, come pure altre gare del calendario tedesco.
Chi non ha mai abbandonato il ciclismo, per fortuna, è il pubblico tedesco. Ogni anno sia il Colonia che il Francoforte consumano i loro riti di massa con la presenza di un grande pubblico sulle salite totem di queste due corse: il Benberger Schlosse (il castello di Bensberg) in pavé e il Mammolshein ed il Feldsberg al Francoforte.
Le scuole di ciclismo dell'est hanno proseguito a sfornare campioni, alla faccia della politica, dei media e del doping. Loro buttarono giù il Muro, vorrai mica che si spaventino per i muri fiamminghi?
Ed ecco che da Gera, cittadina di Olaf Ludwig, Jens Heppner e di Heike Drechsler, arriva un John Degenkolb, qualcosa più di un velocista. Sempre dalla Turingia arriva Marcel Kittel, il Cipo del nuovo millennio. Il mondo ciclistico li adora, la loro Germania li ignora. E' immorale sponsorizzare una squadra di ciclismo in Germania. Non s'ha da fare, anche se la cosa potrebbe essere conveniente.
Per fortuna allo strapotere dei media rimbambenti e disinformanti tipo Bild, fa da contraltare la passione rimasta nei tedeschi e da lì si deve ripartire, per John, per Marcel e per i futuri Olaf, Uwe e Dietrich della Germania ciclistica unita e magari tornerà pure la gloriosa Friedensfahrt.
RADSPORT UBER ALLES.
Immagini dalla odierna Rund um Koln sull'Agathaberg
e sul Bensberger Schloss in pavé (il video è invece del 2011)