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    Messaggio Da Lemond Gio Mar 27, 2014 8:12 am

    Nous etions jeunes et insouciants

    Copertina

    Vincitore due volte del Tour, L.F. entra a 22 anni nella leggenda del ciclismo francese e diventa l'eroe di tutta una generazione. Egli incarna la gioventù, la foga, l'impertinenza e riesce ad essere il rivale di un corridore come Bernard Hinault.
    Fra il 1982 e il 1993 attraversa l'età dell'oro di un sport epico e conosce tutto ciò che un campione eccezionale può sperare e temere: il superamento di se stesso, la gloria, un infortunio grave, alcuni periodi di dubbio, la tentazione del doping e la fine di una carriera esigente.
    Nel 1989 lo si crede finito, ma rinasce dalle ceneri, vince il Giro e finisce secondo dietro Greg Lemond: otto secondi li separano dopo 3285 Km di corsa.
    In questa testimonianza, senza concessioni di sorta, l'ex campione, diventato commentatore sportivo su France T. , ci svela anche, per la prima volta in questo "mondo chiuso", il contrario del perbenismo: le feste, le ragazze, le amicizie, i tradimenti, Le "combines" e ovviamente il doping.
    Perché L.F. ha vissuto il ciclismo al suo apogeo, inserito fra gli arcaismi precedenti e le ambiguità di oggi; un'epoca dove i ciclisti non avevano paura di niente.
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    Messaggio Da Lemond Ven Mar 28, 2014 8:26 am

    Nous étions jeunes et insouciants (I)

    Otto secondi

    "La riconosco, signor Fignon, lei è quello che ha perso il Tour per 8 secondi!"
    "Nossignore, io sono quello che ne ha vinti due Laurent Fignon Bigsmile"

    Noi non avevamo paura di niente ...
    Sacrilegio! Avevo scelto molto tempo fa queste parole per introdurre il libro, poi ho esitato prima di ... per il rischio che si trasformassero in pseudo *parole d'ordine* invece che la pura testimonianza di una certa realtà: quella della mia epoca.
    Questo libro è nato da un mondo ormai perso, ove esistevano gli uomini e non soltanto gli sportivi e quel che voglio dire è che in me il primo ha sempre avuto il sopravvento. Fuori da un mondo di sogno, con gli occhi bene aperti e sempre consapevoli della propria vita, altrimenti a che serve l'esistenza? E sempre avere l'orgoglio dell'essere libero e anche ... rispetto a chi adora invece le proprie catene d'oro.
    Il ciclismo è un'attività per uomini liberi e chi dimentica ciò è di già in letargo! Vale molto di più rischiare di farsi male per vincere che accontentarsi di una sconfitta onorevole, ma passiva. Io non le volevo queste sconfitte, perché vedevo/vedo la vita nel saper cogliere il presente e non nel saper pianificare il futuro.
    Certo si può anche dire che la penso così, perché ho avuto fortuna, perché negli anni ottanta (che fanno da cerniera a due universi ciclistici antagonisti) io ho potuto vivere l'ultimo periodo di un un ciclismo "incosciente".
    Forse sì, e per me la carriera è stata la vita e se la bici dice tutto sul carattere degli uomini, è probabile che abbia detto anche quasi tutto su di me.
    Io ho vissuto senza saperlo allora, la fine di un'età d'oro. L'età d'oro? E' una grande parola, ma a me pare una definizione adeguata, anche se la mia è:"Il punto finale della dignità umana".
    Tuttavia nessuna nostalgia, tutt'al più un po' di malinconia, perché non ho mai pensato che i miei tempi ... erano differenti, voilà Laurent Fignon Wink.
    Ed ho la sensazione di aver attraversato il periodo "hippie" del ciclismo e credo anche di esserne stato uno dei principali istigatori ed alcuni infatti mi paragonano ad un capo banda. Uno strano capo, direi ed ancor più strana la banda Laurent Fignon Bigsmile.
    Per noi la vita non cessava mai di essere tale ed in sintesi si può dire che non ci sottomettevamo mai, anche se moribondi non siamo mai stati dei robot! Pazzi, ma degni; troppo giovani talvolta, maturi in altri casi.
    Il punto di svolta della mia storia si situa esattamente l'ultimo giorno del Tour 1989: giorno di tristezza, l'unico nel quale qualche secondo diventò l'eternità. Molti vedono, d'altra parte, in questa data il *segno* del passaggio fra due ciclismi affatto differenti, in sintesi l'individuo e la massa.
    Otto secondi, Champs-Elyées, Avenue del martirio, pavé d'inferno Laurent Fignon Grr
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    Messaggio Da Lemond Sab Mar 29, 2014 8:00 am

    Nous étions jeunes et insouciants (III)

    Lemond era in giallo con pochi di secondi di vantaggio ed io mi immaginavo che lui non avrebbe preso nessun rischio, ed infatti la prima tappa dei Pirenei fu conforme alla mia previsione: stette sempre dietro, quasi come uno spettattore Laurent Fignon Bigsmile, d'altra parte non aveva una squadra molto solida.
    Quando la Reynolds attaccò con Delgado ed Indurain, Greg non batté ciglio, fui io costretto a limitare i danni, con lui sempre dietro e, a dire la verità, ciò mi fece parecchio arrabbiare.
    Nella decima tappa c'erano il Tourmalet, l'Aspin e il Peyresourde ed io quel giorno ebbi una crisi, in particolare sul Tourmalet dove non avrei potuto rispondere ad attacchi portati con determinazione, però i miei avversari non si sono accorti di niente e, ironia della sorte, meno male che l'avversario era Greg che era incapace di attaccare Laurent Fignon Bigsmile.
    La salita verso Superbagnères dimostrò ciò ancora una volta: mi pare che in quel giorno non sia venuto nemmeno una volta ai miei
    fianchi Laurent Fignon Made questo fatto mi innervosiva. E quando ero nervoso, dovevo reagire in qualche modo. A pochi Km dalla vetta partirono insieme "i fratelli olandesi del siam Laurent Fignon Bigsmile" Rooks e Theunisse ed ho guardato Lemond per vedere se reagiva, perché io ero incapace di farlo. Tuttavia che Greg potesse ancora una volta restare alla mia ruota, mi rendeva pazzo e allora, all'ultimo Km mi sono spinto al di là delle mie possibilità di quel giorno e ... mi concesse 12 secondi, sufficienti per riprendere la maglia Laurent Fignon Smile.
    Io ero contento di portare ufficialmente il "peso" derivante dal simbolo del primato, tanto anche quando l'aveva Lemond, si rifiutava di farlo Laurent Fignon Mad.
    La sera, in conferenza stampa, dichiarai che il comportamento di Greg mi irritava e che l'opinione pubblica non si era sbagliata, trattandolo da "succhiatore di ruote". Ciò detto, per dimostrare che nessuno è al riparo dalle critiche, un tifoso sulla strada, urlò al mio indirizzo: "Meno chiacchere e più fatti". Questo spettatore aveva ragione, infatti era da sempre quella la concezione del mio mestiere.
    Certamente qualche osservatore attento, mi fece notare che Lui non aveva la squadra adatta per assumersi responsabilità, ma per me, anche tenuto conto di ciò, esagerava.
    La mattina dopo Egli è venuto da me e mi ha urlato "Come osi dire cose simili!" La sua immagine ne usciva immiserita e non gli piaceva per niente, perché lui ha sempre fatto attenzione alla popolarità e con i giornalisti è sempre stato in rapporti buoni, al limite del ...
    Io non sapevo/volevo farlo e perché poi? Ho sempre preferito restare me stesso: tacere magari, ma non mentire.
    Fino alle alpi la corsa rimase calma, salvo il fatto che il mio amico V. Barteau vinse la tappa del 14 luglio 1989, cioè 100 anni da ...
    Nella XV tappa c'era una cronoscalata e, sui trentanove Km, gli concessi una cinquantina di secondi e la maglia con quaranta di vantaggio ed io sapevo che nelle Alpi dovevo attaccare, altrimenti non ci sarebbe stato altro che la sconfitta assicurata.
    Il giorno dopo si arrivava a Briançon, passando per l'Izoard e in cima non riuscii a tenere le ruote di Theunisse, Mottet, Delgado e ... Lemond Laurent Fignon Mad. Mi sono buttato giù in discesa, ma ho perso 14 secondi. Per gli spettatori, sul momento, questi secondi non parevano gran cosa, se però avessero saputo ... Laurent Fignon Mado Laurent Fignon Smile
    La XVII arrivava all'Alpe-d'Huez ed insieme a Guimard abbiamo messo in essere una tattica tipo "o la va o la spacca", costretto, ma anche felice perché ciò corrispondeva alla mia voglia profonda di osare: prendere cioè la prima curva dell'Alpe come se l'arrivo fosse a 100 metri Laurent Fignon Bigsmile.
    Nota mia: L.F. descrive nei dettagli quasi tutti i tentativi dei due, prima Fignon, poi Lemond, poi ancora Fignon e così via, a me pare sufficiente la parte finale:
    "Eravamo (lui et moi) totalmente senza fiato, incapaci di alzarci sui pedali ... era o la vita o la morte".
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    Messaggio Da Lemond Dom Mar 30, 2014 10:13 am

    Nous étions jeunes et insouciants (IV)

    Per quelli che hanno visto questa serie di scatti continua, deve essere stato uno spettacolo emozionantissimo, mentre la TV non mostrò quasi niente nella diretta, con nostro grande stupore Laurent Fignon ConfusedEravamo rimasti solo noi due, però esausti, ma io non potevo rimproverarmi niente, per far cedere Lemond bisogna spingerlo verso le sue ultime difese, costringerlo al rosso subito, per poi poter ricominciare un po' più tardi se ... si poteva.
    Evidentemente qualche corridore rientrò da dietro: Rondon, Delgado, Lejarreta, Rooks ... poi a 6 Km dalla vetta, Guimard viene a dirmi: "Attacca, è cotto." Ma io ero incapace di farlo e quindi dovetti mormorargli: "Moi aussi!"
    Continuai al ritmo che potevo, ma l'intervento di Guimard mi ossessionava. Passati ai 5 Km, il ritmo si abbassò ed io cominciai a sentirmi un po' meglio, il vecchio duraccio che ero stava riprendendo la meglio, progressivamente ed ai 4 Km ho provato e ... Lemond non poté seguirmi. In meno di 4 Km gli ho ripreso 1'19''. Guimard aveva avuto ragione e se avessi potuto seguire i sui consigli il Tour l'avrei vinto.
    In che modo C.G. si era potuto accorgere che Greg era in crisi non l'ò mai saputo con certezza, ma penso che Guimard se ne fosse accorto dal modo come stava in sella.
    Avevo ripreso la maglia con 26" di vantaggio, ma temevo che non fossero sufficienti per affrontare con sicurezza l'ultima cronometro di 24,5 Km sur les Champs-Elysées e quindi cercai di approfittare del mio vantaggio psicologico ed il giorno dopo, al plateau de Vercors, allorché la PDM conduceva ad un ritmo molto elevato, ho piazzato un attacco terrificante, tanto che nessuno, sebbene Lemond e Delgado fossero coalizzati, ha potuto seguirmi. Arrivai ad avere 52" nella discesa, ma una brutta sorpresa mi attendeva nella valle: un maledetto vento contrario! Dietro erano in quattro: i due olandesi, Delgado e Lemond, ma furono i primi a fare tutto il lavoro, mentre il mio avversario non dovette dare "un colpo di pedale". Vittoria di tappa, ma solamente 24" di vantaggio e 50" in classifica, tuttavia la sera in Albergo era piuttosto l'euforia a prevalere, mi sembrava di essere sicuro di aver vinto il Tour.
    Il giorno dopo, verso Aix-le-Bains su dei colli minori, come le Granier o il Porte mi sentivo "le ali" ed a un certo momento sul Porte ho accelerato e nessuno mi ha seguito. Guimard è venuto e mi ha detto: "Che fai?" Mi diverto ho risposto. "Allora continua"
    Dilemma del tipo "essere o non essere"? Restavano 70 km e l'ultima valle ancora con il vento in faccia ed ho finito per concludere: "Ho abbastanza vantaggio per vincere, non si sa mai, potrei prendere un rischio inutile, mi rialzo".
    Quando ripenso alla situazione mi viene da chiedere: "Che sarebbe succcesso?" Mah!
    Lemond ha vinto la tappa allo sprint, perché era il più veloce di noi e per essere precisi, dopo la linea d'arrivo, sono andato a dargli un colpetto sulla spalla per congratularmi. Ero veramente sincero e gli ho detto "Ci siamo veramente battuti bene". Dentro di me era tutto terminato, avevo vinto il mio terzo Tour.
    La sera però mi sono reso conto di avere un dolore piuttosto acuto sotto la coscia; si sarebbe visto trattarsi di un indurimento muscolare proprio dove la coscia sfrega di continuo con la sella, però secondo me non era tale da preoccuparmi ed infatti non mi preoccupavo. Invece avrei dovuto!
    La sera dell'ultima tappa in linea avevo talmente male da non poter andare al controllo antidoping e i controllori ebbero la gentilezza di aspettare che io fossi sul TGV per procedere al prelievo.
    Nessuno, oltre Cyrille e il medico ne era a conoscenza e durante il viaggio non mostrai la mia inquietudine.
    Alla gare de Lyon c'era un caos incredibile: dozzine di fotografi e di cameramen, era allucinante. D'altra parte un francese era sul punto di vincere il Tour (nota mia - e loro non sapevano che non ce ne sarebbero stati più in seguito e ad oggi non si vede ancora ...).
    Appena sceso sul marciapiede mi hanno messo una telecamera sotto il naso, facendomi in più domande aggressive. Era la 5, l'ex canale francese di Berlusconi, che era di continuo alla ricerca di qualcosa di sensazionale.
    Loro mi dicono: "Perché ha rifiutato il controllo antidoping?" Io non avevo voglia di rispondere ad una domanda così ridicola e cercai di camminare senza farmi troppo impressionare da que tohu-bohu.
    Il giornalista insistè veramente troppo, secondo me, e ... ho sputato sulla prima telecamera che mi intralciava il passo!
    Sfortuna nera: era quella di una televisione spagnola che non c'entrava per niente! Laurent Fignon Grr
    Poco dopo ci furono parecchie spintonate ed il cameraman della 5 buttò Jérome Simon addosso a me, ed io, senza riflettere, ho dato uno spintone violento al tipo che, alla fine dell'anno sporgerà querela contro di me per colpi ricevuti e conseguenti ferite. Laurent Fignon Grr
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    Messaggio Da Lemond Lun Mar 31, 2014 10:47 am

    Nous étions jeunes et insouciants (V)

    Il giornalista della "5" voleva negoziare con me un risarcimento, ma ho rifiutato.
    Al processo dichiarò che lo avevo colpito ai genitali e che ciò gli aveva procurato un'ernia inguinale. Secondo me il suo avvocato era veramente grottesco, perché quasi tutti sanno che quel tipo di ernia è congenita e che non ha niente a che vedere con un eventuale colpo subito. E quindi ha perso il processo "ça va sans dire". Anche se, invece c'è da dire che, grazie alla mia notorietà, il processo l'avevo vinto prima di cominciare.
    La vigilia dell'ultima tappa ero cosciente di una cosa: per fortuna non restava che una sola tappa (corta), perché per un'altra ... non sarei stato capace di restare in bicicletta; la ferita era più grave del previsto: un dolore insopportabile. La notte non ho quasi dormito e la mattina dopo ero affaticato e, soprattutto, inquieto, ma ciò si rivelò quasi niente rispetto alla mia fase di allenamento!
    Appena montato, mi sono accorto che era impossibile pedalare, ma non mi sono fatto prendere dal panico. Mi ricordo bene quel che ho pensato:" Bon, non è così grave, resta soltanto una crono, soffrirò, ma dopo, tutto sarà dimenticato.
    E invece, come si può dimenticare ciò che sarebbe successo? Come dimenticare ciò che tutti gli appassionati di ciclismo non dimenticheranno mai!?
    Dovevo farmi morale, cosa non facile in quelle condizioni, ma avevo il vantaggio di 50 secondi ed ero intimamente convinto che non potevo perdere. Con i miei calcoli *sapienti* sapevo che l'americano poteva riprendermi un minuto su 50Km, non su 24,5!
    D'altra parte molti giornalisti della stampa scritta, l'ò saputo dopo, avevano già scritto i loro articoli. Sì era già scritto!
    Sarei montato in bici in verità per la sofferenza finale, ma dopo sarei stato liberato e infine, fiero di me, vittorioso sulle strade del Tour, cinque anni dopo il mio lungo periodo di "fame". Questa sofferenza finale non rappresentava niente per me, poco più di un piccolo incidente di percorso.
    Nell'area di partenza ci siamo girati intorno (lui ed io) e mentre ci scaldavamo egli non sapeva niente e non mi ha guardato una sola volta e la tensione era al massimo.
    Greg era di nuovo "passato sopra" ai regolamenti, decidendo di ripartire con il suo famoso manubrio da triatleta e ciò non era un vantaggio tanto piccolo!
    Io non dovevo perdere due secondi al Km e dopo le prime indicazione di Guimard era proprio quello che stava accadendo. Ho forzato per quanto mi mera possibile, serrando i denti, tentando in tutti i modi di concentrarmi sul mio sforzo, cercando di non considerare quel dolore lancinante, ma erano colpi di coltello che mi richiamavano all'ordine, fin dentro la parte più "inaccessibile" del cervello!
    Ad un certo momento C.G. ha cessato di ragguagliarmi, non avevo più riferimenti e ciò non era un buon segno, ma la corsa ha preso il sopravvento ed io mi sono astratto da tutto il resto. Soprattutto spingevo a fondo, ma proprio a fondo, non sarei mai potuto andare più forte. Non sapevo qual era il mio ritmo cardiaco, ma mi accorgevo che mi mancava il respiro, mi pareva proprio di essere in apnea.
    Chi ha visto le immagini di quando ho superato la linea d'arrivo, avrà notato che sono crollato; proprio per riprendere a respirare, un po' d'aria, nient'altro.
    In quel momento preciso non avevo nessuna informazione ed urlavo "alors?" a chiunque si profilava vicino a me. Nessuna risposta, insistevo, ma nessuno voleva rispondere, farmi conoscere "gli occhi negli occhi" la verità, quella che ognuno conosceva tranne io stesso: avevo perso!
    Per 8 secondi, otto secondi per andare all'inferno.
    In un caos indescrivibile, qualcuno ha finito per confessare la verità "Hai perso Laurent". Non ci credevo, più esattamente non ci volevo credere, non pensavo fosse possibile, era come se l'informazione non potesse superare la soglia della mia immaginazione. Per un lungo momento la sconfitta restò al di fuori di me.
    Camminavo con un pugile sonato, in un universo improbabile, fatto di rumore e furore e quei passi, che facevo, erano sensa senso. Non conoscevo dove andavo o chi/che cosa mi spingeva, sentivo soltanto braccia che mi sostenevano e mi aiutavano a restare in piedi. Intorno a me alcuni gridavano, altri erano molto tristi o ... invece gioiosi. Sì è così, c'era chi mi guardava con un odio divertito la contentezza di vedermi battuto, ma io non comprendevo perché e chi erano costoro?
    Ho vagato per alcuni, lunghi, minuti e non ricordo che feci, poi il trauma ha cominciato a prendere forma a diventare reale a far realizzare l'immagine al mio cervello. Quando sono uscito dal "coma" mi stavo dirigendo al controllo antidoping. Là ho riconosciuto T. Marie che, senza riflettere, si è gettato verso di me in lacrime. Fra queste braccia accoglienti mi son messo a singhiozzare come un bambino, lacrime spesse, lunghe, calde e ciò non mi era mai accaduro in pubblico.
    Dopo, mi ricordo vagamente, non volevo salire sul podium, perché tutto era rivoltante per me.
    Ma Lemond, pensando che ciò gli conveniva, tentò di confortarmi "Laurent, tu hai vinto il Giro" mi ha detto in maniera, per me non bella. E gli ho risposto "Me ne fotto!" Però quello che aveva detto Greg era vero, i vincitori dei tre G.T. erano sul podium, perché Delgado aveva vinto la Vuelta.
    Poi mi hanno accompagnato, quasi a forza, ad una conferenza stampa surreale: rispondevo senza rispondere, perché volevo andarmene prima possibile. Uno mi ha chiesto "Ci sarai l'anno prossimo?" Rammento bene di aver storto la bocca ed ho replicato seccamente "Le sembra questo il momento di porre una domanda così stupida?"
    I festeggiamenti della sera, previsti da diversi giorni, ebbero (naturalmente) un sapore amaro; alcuni osavano appena incrociare il mio sguardo ed io ben comprendevo il loro stato d'animo ed allora ho cercato di fare quello che non dà importanza al fatto, che sa mettere fra parentesi le cose meno importanti, di fronte agli aspetti fondamentali: *dopo tutto si tratta di uno sport* Laurent Fignon Grr
    Poi ho bevuto, bevuto molto, l'unico modo, per me, per restare sveglio.
    Da sempre il senso della sconfitta faceva parte di me, e perdere non era mai stato un problema, perché poi nel ciclismo chi non sa perdere non potrà mai diventare un campione, ma perdere in quel modo e principalmente a causa di un manubrio vietato dal regolamento, NO, era troppo per un solo uomo. A 29 anni i tempi delle recriminazioni eterne non erano ancora venuti, infatti avevo già dimenticato la ferita, ma questa storia del manubrio mi ossessionava. Infatti dopo mi hanno descritto come Lemond potesse utilizzare tutta la sua potenza tirando su quel manubrio con un rapporto che sviluppava più di 9 metri. Ed io, d'altra parte, avevo realizzato la miglior crono della mia storia: a più di 52km. all'ora!!!
    Ma perché i commissari avevano accettato, senza nemmeno storcere la bocca, un manubrio non omologato?
    Per competezza i nostri fornitori l'avevano proposto anche a me, ma, d'accordo con Guimard non ho voluto "passare il Rubicone". Non volevo/amo giocare con i regolamenti, perché eravamo sostenitori del rischio zero e quel tipo non era stato testato prima della corsa.
    Fra parentesi come giudicare quel che accadde al G.P. Eddy Merckx alcuni mesi dopo? Mi sono presentato con quel manubrio, ma il presidente di giuria ha rifiutato di farmi partire con esso! Non mi si può impedire di pensare di essere stato raggirato, ma il saperlo non è sufficiente a riconciliarmi con me stesso, perché il vittimismo non è mai stato il mio genere: tutto dipendeva da colpe mie, nel bene, ma anche nel male.
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    Messaggio Da Lemond Mar Apr 01, 2014 12:32 pm

    Nous étions jeunes et insouciants (VI)


    Il peggio, però, doveva ancora cominciare. Io contavo fino ad otto nella mia testa e più contavo, più mi rendevo conto dello spazio-tempo ridicolo che essi rappresentavano. Durante questo tempo non si può far nulla!
    Mi sono ritrovato a casa mia, solo, spesso seduto, o a camminare senza scopo, gli occhi nel vuoto, concentrati su niente!
    Poi ho cominciato a rendermi conto che si trattava di un evento nazionale e che la "tragedia Fignon" figurava in prima pagina su tutti i giornali nazionali e regionali, però non rammento nemmeno se io avevo un giornale ...
    Come avevo potuto perdere? Come potevo aver lasciato che ciò accadesse? Non avevo che questo in testa; ciò che mangiavo non aveva alcun sapore, il minimo gesto da fare richiedeva una sforzo, perché mi sembrava quasi di essere in coma. "Lasciar prevalere la tristezza è un vizio", diceva Flaubert.
    E poi il tredicesimo giorno, uno come gli altri, mentre mi preparavo per la doccia, mi son guardato allo specchio, Uno squardo un po' ... che mi faceva apparire bianco il fondo dell'occhio, una maschera livida, una visione da incubo. Avevo i tratti troppo pronunciati, gli occhi sembravano trasparenti, una sorta di vuoto dentro di me, come se non avessi più l'anima. Ero lo spettatore impotente di un uomo che non ero più io, che non riconoscevo! I miei occhi erano rimasti dentro lo specchio, dove li avevo lasciati!
    Era inutile che mi volessi convincere che esercitavo uno dei più bei mestieri del mondo, che avevo già vinto due Tour e che non avevo più niente da provare e che potevo permettermi un modo di vivere che non avrei mai immaginato neppure nei miei sogni più pazzi; non arrivavo in nessun modo a togliermi quel male che mi logorava!
    Mi ci son voluti tre giorni per rimettermi "in piedi" e quando dico ciò, uso un eufemismo, perché non si supera mai un avento così violento, al massimo si arriva ad attenuarne, psicologicamente, le conseguenze più devastanti.
    Tuttavia, ero pienamente cosciente che esistevano cose ben più gravi nella vita e poi avevo talmente sognato di ritornare al massimo livello e questo l'avevo comunque ottenuto.
    Mi sono di nuovo guardato allo specchio e ho pensato che c'era una sola alternativa: o continuavo a lamentarmi e terminavo la mia carriera; o tentavo di andare oltre il dolore ed ogni sentimento di ingiustizia e così sarei potuto ripartire per una nuova avventura.
    Ero in buona salute e nella pienezza dei miei mezzi, va bene non avevo vinto il Tour, ma il mondo non poteva smettere di girare per questo. Perché dunque autoinfliggermi altre sofferenze?
    Quel giorno ho telefonato ad A. Gallopin, che era ansioso di sentirmi e gli ho detto: "Alain si riparte per preparare il campionato del mondo".
    Ho sentito che mormorava "Bene, Laurent".
    Poi ho aggiunto "Ma ti chiedo una cosa, non si parla del Tour; se ne parlerà un giorno, ma non ora".
    Ha risposto: "Certamente e ti abbraccio".
    A causa della mia ferita avevo evidentemente annullato qualche criterium, così quando sono rientrato fu un piccolo evento.
    Pensavano: "Eccolo, è lui, il perdente". Sentivo su me questi squardi palesi, ma cercavo di mostrare tutta la mia dignità.
    Vedendo per la prima volta Greg Lemond con la maglia gialla ho stretto i denti, ma il sangue mi si è raggelato. La mia avversione per lui, già molto sviluppata prima, era divenuta ancora più grande. Riconosco l'ingiustizia di questo sentimento, ma era così ...
    Ai bordi della strada qualcuno gridava cose poco simpatiche: "Ad es. tu hai ancora otto secondi di ritardo!" L'asprezza dei propositi mi faceva male al cuore, ma la gente non parlava che di questo, talvolta senza neppure volermi ferire. Nessuno si rendeva conto che non volevo parlarne finché la piaga non si fosse richiusa. E quindi a chi ... voltavo le spalle senza rispondere. Agli occhi di molti non devo essere stato troppo simpatico, ma d'altra parte?
    In questo periodo penoso, non ricordo di aver avuta nessuna discussione con C. Guimard. Me ne sono dimenticato o il grande D.S. si era evaporato?
    Era uno dei suoi "difetti" : in queste circostanze non sapeva parlare con la gente, non era un grande psicologo.
    Però che avrebbe potuto dirmi in effetti? Perché poi sapevo di non avere un carattere facile; la prova: una giuria mal intenzionata mi aveva comunque assegnato "le prix citron" del Tour 1989.
    Avevo comunque vinto qualcosa! Laurent Fignon Grr
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    Messaggio Da Lemond Mer Apr 02, 2014 9:11 am

    Turbolento, ma dotato

    Mi chiamo L. Patrick e sono nato il 12 agosto 1960 alle 3 e 10 del mattino. All'epoca l'orgoglio della velocità era un valore sicuro, una prova di libertà! [Confrontare I. Ilic "L'elogio della bicicletta" Laurent Fignon Diavoletto] Renault, Citroen o Peugeot rivaleggiavano per offrire alle "coppie moderne" il grande brivido sulla strada. Era talmente importante la velocità che io sono nato un mese prima del termine previsto Laurent Fignon Smile.
    Fu subito chiaro che ero un ragazzo agitato, anzi molto agitato, diciamo dinamico. "Dal momento che hai saputo reggerti in piedi, non hai mai camminato, tu hai sempre ... corso Laurent Fignon Bigsmile" mi hanno sempre ripetutto i miei genitori. Ancora sono incapace di restare fermo su una poltrona e su un divano. Da ragazzo la sola idea di non far niente mi rendeva "isterico" (anche senza utero Laurent Fignon Bigsmile). Avevo paura dell'inazione, avevo paura del vuoto e più mi agitavo e meno ero stanco. [Nota mia: anch'io sono un po'/parecchio come lui, con l'unica differenza che: "sono sempre stanco" Laurent Fignon Mad].
    I professori non sapevano come comportarsi e così era un continuo "richiamarmi all'ordine"!
    Intendiamoci, non è che la scuola non mi piacesse, anzi ... ed in certi momenti della mia adolescenza ho mostrato anche parecchio zelo.
    Vivevamo a 35Km (Est) da Parigi, nel cuore di quella che ora chiamano pudicamente la "grande periferia", ma allora era solo campagna.
    Avevamo affittato un appartamento al terzo piano, senza ascensore, ma bastava scendere le scale per ritrovarsi in "piena natura": a un centinaio di metri alberi e campi mi tendevano le braccia. Con i compagni costruivamo capanne, per poi ... demolirle e questo ... tutti i giorni. All'ora del pranzo, mia madre mi chiamava dalla finestra, ma la maggior parte delle volte doveva avere pazienza, perché avevo altre cose da fare: felice di essere fuori, con dentro il gusto dell'avventura e dell'indipendenza.
    Non c'era nessuno sportivo praticante nella mia famiglia, lo sport è dunque legato alla mia sola storia e a scuola ho provato di tutto, ciò che si poteva, lo facevo: ero il ragazzo ideale per il professore di ginnastica.
    Però a scuola lo sport era riservato soltanto al giovedì, mentre ogni fine della settimana vivevo un vero trauma: il pranzo di famiglia!
    Si svolgeva in particolare la domenica dai miei zii o dai miei nonni, che abitavano a Parigi in tre stanze strette, dove non potevo muovermi senza picchiare nei mobili. Era l'orrore integrale che mi lasciato una certa avversione per la famiglia. Mio fratello, invece, più giovane di tre anni, è tutto il contrario di me.
    Mio padre era capo reparto in un'industria di teleria-meccanica e guadagnava piuttosto bene e lui, uscito dal ceto operaio, incarnava tutti i valori che si può immaginare in una famiglia modesta di questo tipo: il gusto del lavoro, lo spirito di sacrificio, una certa durezza nell'essere e nel comportarsi. Io lo vedevo poco, perché partiva presto la mattina e tornava tardi la sera, ma quando era presente, lo era insieme alla sua severità. Anche le sue mani erano piuttosto pesanti tutte le volte che compivo qualche ... Un giorno ha deciso di punirmi per una settimana di seguito (a sculacciate). Io stringevo i denti e quando aveva terminato lo guardavo negli occhi e dicevo "" E' finito?" Senza un pianto, senza sudore sul viso: sopportavo bene il dolore.
    Per quanto mi ricordi, ho sempre portato gli occhiali e questo per un corridore ciclista non è un dettaglio senza interesse, perché quando non esistevano ancora le lenti a contatto era un vero e proprio handicap. Da bambino li perdevo spesso nel boschetto vicino e quante volte ho visto mio padre partire con una torcia per ritrovarli. Stranamente ha sempre avuto successo. Laurent Fignon Smile
    Con la mia banda, giocavameno parecchio al calcio, che era la mia unica passione sportiva; però alcuni di loro correvano in bicicletta e, non rammento come, però mi hanno messo la voglia di provare.
    Eravamo nel 1975 ed io andai a prendere la vecchia bici di mio padre che lui mi ha rimesso in buono stato ed ho avuto fortuna, perché era molto leggera ed io l'ò amata questa vecchia macchina che sembrava mi conferisse uno "status" particolare. Qualcuno rideva di me, perché ad es. aveva ancora due porta borracce davanti: un'antichità. Ma non m'importava.
    La prima volta che sono uscito con i compagni fu quasi una rivelazione, non soltanto mi è piaciuto subito, ma sono anche riuscito (con sorpresa generale) a seguire il ritmo degli altri.
    Ero piuttosto messo male nello stile e nella padronanza del mezzo, ma quando occorreva spingere sui pedali non ero l'ultimo a farlo.
    Un giorno hanno voluto mettermi alla prova, ma non sono riusciti a staccarmi e nei mini-sprint che organizzavamo fra noi, riuscivo sempre più spesso ad arrivare vicino al primo posto ed anzi qualche volta riuscivo a mettere la mia ruota davanti.
    Perché non prendi la licenza, mi ha detto Rosario? Ed io ho risposto: "Sì".
    Era il 1976 e il presidente del club, Mons. Dumahut mi ha detto: "Devi sapere che il ciclismo è uno sport molto difficile, non si può più scherzare, ne fare stupidaggini". Altri, di fronte a simili discorsi, potevano anche tornare indietro, ma io invece ero ancora più motivato e l'indomani facevo parte del Club "Combs-la-Ville" con il mio amico Rosario e un allenatore, Mons. Lhomme, che mi ha lasciato un ricordo imperituro. Forse senza di lui la mia passione non sarebbe ingigantita. Laurent Fignon Smile
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    Messaggio Da Lemond Gio Apr 03, 2014 8:55 am

    Nous étions jeunes et insouciants (VIII)

    La voglia di partecipare alle corse si manifestò subito, ma i miei genitori si opposero, perché per loro sarebbe stato un sacrificio troppo grande rinunciare al pranzo domenicale! Soprattutto per cose futili come il ciclismo ... Essi avevano una sola ossessione: i miei studi.
    Allora, a loro insaputa, mi sono messo d'accordo con i miei compagni affinché i loro genitori mi prendessero con loro i giorni di corsa.
    Messi così, con le spalle al muro, i miei non hanno potuto ... d'altra parte essi sapevano che quando mi intestardivo su qualcosa, era difficile convincermi a fare il contrario.
    Nella mia prima corsa ufficiale feci, quello che si chiama "un colpo da maestro". Era una corsa di 50 Km e senza sapere nemmeno perché, vedevo che si andava a strappi, ma ciò conveniva al "cane pazzo" che ero allora. Quando mancavano pochi Km al traguardo sono scappato con due miei amici ad altri tre o quattro avversari. Ad un certo punto, come facevamo durante gli allenamenti, ho piazzato un attacco secco, per vedere che succedeva ed anche per divertirmi. Con mia grande sorpresa mi sono ritrovato solo Laurent Fignon Wink. Ho guardato indietro diverse volte, ma alla fine ho deciso di tirare diritto e nessuno mi ha raggiunto Laurent Fignon Bigsmile. Non ho nemmeno alzato le braccia, perché non sapevo se mi fossi comportato nel modo giusto e quando l'allenatore mi ha raggiunto, gli domandato se avessi avuto il diritto di far ciò? Egli ha sorriso Laurent Fignon Wink.
    Una cosa era sicura: avevo vinto, giocando e giocare è stato per me sempre importante, la corsa è seria, a partire da certi momenti, ma in fondo al mio animo c'è sempre stato il desiderio del gioco, altrimenti mi annoio. Una bella corsa è tale solo quando c'è del movimento Laurent Fignon Wink.
    Dopo questa vittoria inattesa fui spinto irresistibilmente verso l'attacco, in tutte le corse (ne ho vinte solo altre tre in quell'anno) mi sentivo bene solo se ero in testa al gruppo, non riuscivo proprio a restare dietro.
    Inutile dire che i miei genitori hanno deciso di seguirmi e hanno rinunciato per sempre alle domeniche in famiglia. Il loro appendimento fu veloce e quasi subito appresero ad amare quel mondo.
    1977, mio primo anno da junior mi sono messo in testa di diventare un esperto in meccanica. Col mio amico Scolaro avevo fatto una scommessa stupida su chi avesse avuto la bici più bella, lucida e meglio oliata. Per questo tutti i sabati la smontavo pezzo per pezzo, però non ero un meccanico e di conseguenza nella dieci o undici corse successive ho rotto sempre qualcosa! Senza saperlo io mi mettevo in pericolo e c'è voluta l'arrabbiatura di mio padre perché  smettessi di "trafficare" sulla mia bici. Risultato: ho vinto la corsa successiva, senza incidenti meccanici e fu la sola vittoria in quell'anno.
    Devo ammettere che non ero un granché come tecnica: cadevo spesso, correvo senza cervello, ero solo un apprendista, senza peraltro sapere che stavo imparando il mio futuro mestiere. Ciò comunque mi piaceva enormemente e quando ero in pieno possesso dei miei mezzi, mi sentivo avvolto da momenti di grazia asoluta. Fra virgolette, devo confessare che ero felice.
    Nel 1978 ho un ricordo preciso del campionato dell' Ile-de-France a cronometro per squadre ((42 Km). Almeno per 25 Km nessuno ha potuto darmi il cambio, mi pareva proprio di volare. Quel giorno, però, non ho assolutamente pensato ad un possibile avvenire nel ciclismo.
    Poco dopo tuttavia si è prodotta una metamorfosi completa: un giorno mentre mi allenavo, ho avuto un presentimento allo stesso tempo meraviglioso, ma anche del tutto strano; guardando gli altri intorno a me mi sono detto : "Ma io sono migliore di loro!" Non sapevo spiegare ciò, ma ne avevo la certezza dentro di me e questa convinzione mi ha spinto da allora a cercare di progredire il più rapidamente possibile.
    Nel 1978 ho partecipato ad una quarantina di corse e ne ho vinte diciotto Laurent Fignon Winke, alzando le braccia, tutte le volte mi compiacevo di aver avuto un destino così simpatico. Mi riusciva tutto, infatti vincevo allo sprint, da solo, in pianura o sulle cotes. Un giorno un allenatore mi ha gridato: "Tu sei ben dotato". Infatti avevo vinto la quinta gara di seguito.
    Fortunatamente ero ben protetto dai sogni di gloria, mai mi son detto che avrei fatto carriera o che sarei diventato chissà chi, la mia voglia di vivere mi serviva anche da scudo contro tutti i castelli in aria.
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    Messaggio Da Lemond Ven Apr 04, 2014 9:07 am

    Nous étions jeunes et insouciants (IX)


    I miei cari studi

    I grandi saggi non sono, di solito, anche dei grandi sportivi; bisogna forse concludere che gli sportivi sono raramente saggi?
    Fino alla fine dell'adolescenza, la timidezza fu il mio "tallone d'Achille": arrossivo per niente e mi richiudevo in me stesso.
    Progressivamente, sport e notorietà mi hanno guarito e mi hanno inculcato un metodo semplice: per vincere la timidezza bisogna osare. Ed il "memento audere semper" non è una della qualità essenziali affinché uno sportivo possa relizzare qualche "exploits"?
    Non conoscevo la storia del ciclismo: gionali in casa non ne entravano e la televisione per me era un mobile qualunque ed anche il Tour non mi era mai interessato e di questa corsa ho soltanto due ricordi, nella mia infanzia.
    Il primo, il 15 luglio 1969 alla radio (in macchina) un commentatore raccontava in diretta le prestazioni eccezionali di un certo Eddy Merckx. Il tono della voce mi aveva impressionato, però poco dopo (sei giorni) relitivizzai parecchio, di fronte a Neil Armstrong che andava a posare il piede sulla luna.
    Il secondo ricordo data all'incirca ai primi anni settanta, noi eravamo in Vandea e il Tour passava di là e devo confessare, anche se mi reca una certa pena, che non rammento il nome neppure di un corridore!!!
    Solo quando ho preso la licenza e dopo aver vinto le prime corse ho cominciato a leggere la stampa specializzata, però il cambiamento fu rapido e, dopo poco, ho cominciato a "divorare" tutto quello che trovavo: l'Equipe tutte le mattine, Miroir du Cyclisme, Velo magazine etc.
    Non solo ho colmato il ritardo, ma, in qualche mese, sono diventato un modesto specialista del genere Laurent Fignon Wink.
    Mi sono reso conto che il ciclismo era uno degli sport più antichi, dei più rispettati e popolari. Ho capito altresì che il Tour aveva qualcosa a che vedere con la storia della Francia del XX secolo.
    Occore aggiungere che sono sempre stato un gran lettore, perché era un altro mio modo di evadere e durante questo tempo ho raggiunto il mio diploma, anche se lo studio scolastico non mi appassionava troppo. All'esame ho avuto parecchia fortuna, perché mi hanno chiesto le cose sulle quali ero più preparato. In spagnolo poi ... era previsto che io fossi fra gli ultimi, ma feci presente che quel giorno avevo una corsa molto importante per la mia carriera ed allora il professore mi concesse di cambiare la data, però mi sono accorto subito che non conoscevo l'argomento proposto e sono entrato nel panico. Anche il prof l'à compreso e allora è stato molto simpatico e mi ha chiesto di parlargli delle differenze fra il ciclismo francese e quello spagnolo.
    In questo modo mi sono salvato ed ho avuto "le bac in tasca" Laurent Fignon Smilee potevo andare a correre con l'animo tranquillo Laurent Fignon Bigsmile.
    Però i miei genitori continuavano a mettermi sotto pressione, pensando sempre al mio avvenire e con un bac "D" non potevo fare granché, avevo bisogno di un D.E.U.G. (Diploma di studi universitari generali) che era il coronamento degli studi superiori. Ma quale? Fin dall'adolescenza ero attirato dalla natura e dagli animali. Amavo altresì l'elettricità e dunque ho scelto "Scienza delle strutture della materia". Un titolo pomposo che impressionava. Laurent Fignon Bigsmile.
    Al ritorno dalla vacanze 1978 mi sono ritrovato all'Università di Villetaneuse ed ero piuttosto lontano (mi occorrevano due ore per il viaggio) ed in più quell'anno il ministero voleva delocalizzare l'Università e spesso quando arrivavo io, i corsi erano annullati per sciopero. Ed io affrontavo il viaggio di ritorno, molto nervoso ed arrabbiato.
    Era un brutto periodo anche perché non avevo nessun controllo da parte dei prof e la mia natura troppo libera, se lasciata a se stessa, non prometteva nulla di buono.
    Infatti ho pensato al ciclismo sempre più e questo stato d'animo si incrementava giorno per giorno.
    Il mio scacco "matto" all'Università è dovuta ai lunghi viaggi o alla passione per il ciclismo che andava ... progressivamente?
    Allora ho preso il "coraggio a due mani" ed una sera ho parlato ai miei genitori: "Smetto di studiare!" "Alla fine dell'anno farò il servizio militare".
    Dopo una discussione serrata, hanno avuto l'intelligenza di accettare la mia decisione, anche se il loro mondo stava affondando.
    Mio padre ha risposto: "D'accordo, ma se non andassi militare, come previsto, tu andrai a lavorare!" Era la sua "sentenza" e una porta sconosciuta si apriva davanti a me, la cosa più bella, però, che ci fosse: la vita. Laurent Fignon Clap
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    Messaggio Da Lemond Sab Apr 05, 2014 8:29 am

    Nous étions jeunes et insouciants (X)

    Vélo ou boulot?

    Distruttori di vite, ladri del fuoco, ingannatori del tempo, pirati di generosità in sintesi l'ossimoro era quanto più ci rappresenta in quell'epoca benedetta. Il mondo faceva la faccia brutta nel dopo "choc-petrolifero", la Francia scopriva la disoccupazione di massa, ma, vai a sapere perché, la nostra (o meglio la mia) generazione viveva, seppure in ritardo, una specie di possibilità totale. Era tutto un pretesto per vivere al meglio l'esistenza: il minimo avvenimento, la semplice uscita insieme agli amici per noi significava qualcosa, eravamo montati sopra un elestico, quello della vita.
    Essere pienamente, essere tutto, minuto per minuto, non era nemmeno un filosofia, bensì un modo di vivere.
    E quando montavo sulla mia bici il richiamo del ... mi riempiva di soffi pieni di emozioni. Avevo l'impressione di voler comquistare tutto, senza neppure sapere come o perché, ero solo ispirato da questa semplice sensazione come un qualunque esploratore. Il nostro immaginario era forse più incontaminato, rispetto ai nostri figli ove il virtuale è diventato norma quotidiana, mentre noi, per forza di cose, eravamo legati alla realtà. E poi, meravigliosa bici, grazie ad essa soltanto e alla forza propulsiva della gambe, ci potevamo concedere quei grandi spazi di libertà (nota mia: confrontare sempre I.Ilic "L'elogio della bicicletta").
    Proprio le gambe, ecco il piccolo miracolo della bicicletta che resta una delle invenzioni uniche nel suo genere: fusione dell'uomo con se stesso.
    Epoca benedetta, ho detto, soprattutto per gli apprendisti ciclisti.
    Alla fine degli anni settanta i club erano pieni di giovani corridori e c'erano una quantità imprecisabile di corse in Francia, per tutte le categorie. Nel periodo estivo la Francia assomigliava nei "fine settimana" ad una corsa gigante! Il sistema di partecipazione era estremamente semplice: ci si divideve per dipartimenti o per regioni. Ora questo metodo non esiste più, perché la selezione avviene attraverso i club ed è un peccato. Perchè il sistema precedente permetteva una maggiore eguaglianza in partenza, qualunque fosse il club di ciascuno ed inoltre era più facile confrontarsi con nuovi corridori, ci si mischiava di più.
    Fu in questa temperie che dovevo onorare la parola data ai miei genitori e dunque feci la domanda per entrare al Battaglione di Joinville e, con mia grande sorpresa, fui subito accettato.
    Ero un 79/10, cioè incorporato nell'ottobre del '79 e lì ritrovai alcuni compagni ciclisti e quindi non fui per niente spaesato. D'altra parte fu proprio lì che conobbi Alain Gallopin, che sarebbe diventato più tardi uno dei miei amici più intimi. Lui era caporale-capo e era soprannominato "la rampouille" (nota: non so tradurre questo termine, presumo soltanto che derivi da "ramper", arrampicarsi).
    In bici, aveva un talento mostruoso, ma non sapeva che il destino avrebbe ben presto rovinato i suoi sogni e distrutto la carriera alla quale era sicuramente destinato.
    In questo "universo particolare" ho quasi subito compreso che si sarebbe trattato di un anno un po' bastardo per me. Tuttavia fui sorpreso dal fatto che, sebbene installato in un quadro militare con regole strette ed una disciplina di ferro, paradossalmente mi sono sentito subito libero di me stesso, non troppo sorvegliato (come all'università).
    Non esagero, certo rientravo a casa mia solo nei fine settimana per partecipare alle corse, certo dovevo rispettare il programma di allenamento previsto specificatamente per i ciclisti (e lo facevo). Ma, al di fuori di questi imperativi, il meno che si possa dire è che ci lasciavano in pace anche troppo!
    Proprio per questo è accaduto ciò che doveva fra militari della nostra età: facevamo gli stupidi, non in maniera esagerata, ma abbastanza comunque per divertirsi ed evadere.
    Tutte le volte che i superiori avevano la schiena girata, cioè ogni giorno (!), si indava in giro per Parigi e cominciavamo a frequentare qualche bar etc. etc. Però restavamo attenti a non esagerare con l'alcool, ma in ogni modo tutte queste uscite erano piuttosto contoindicate per degli aspiranti sportivi di alto livello, tanto più che mangiavamo qualunque cosa e a tutte le ore.
    Ho comunque mantenuto dei bei ricordi di queste uscite giorno-e-notte.
    Dal punto di vista ciclistico la squadra del battaglione formava un insieme piuttosto coeso, una bella banda di compagni e per me fu un anno di transizione che mi mise ben in testa lo "spirito d'équipe", anche se le mie caratteristiche erano rimaste le stesse: un po' cane pazzo, attaccante incessante, ma poco portato per la tattica.
    Posso raccontare quale fu il mio solo momento di grazia al Battaglione: una magnifica corsa sull'isola di Man, una cronosquadre a tre con A. Galopin e P. Guyot. Fu un'intesa perfetta e una grande armonia di giovinezza. (nota mia: non c'entra nulla, ma mi viene in mente la canzone fascista che ho sentito in un film, molto bello, che ho visto da poco "Il leone del deserto").
    Avevamo vinto, ma soprattutto avevamo letto nei nostri occhi, qualcosa che andava al di là della vittoria, ma è difficile spiegare che cosa sia a chi non ha mai fatto dello sport ...
    Quando finii la ferma, l'incertezza della vita albergava ancora dentro di me, ma non nella stessa maniera, perché il mio amore per la bicicletta si era enormemente accresciuto e questa è la sintesi della discussione con i miei genitori.
    "Allora, come vedi il tuo avvenire?" "Farò il ciclista, è deciso e definitivo!" Mio padre ha precisato "D'accordo, ma occorre che tu ti trovi un lavoro".
    Non fu difficile né trovare un nuovo club, né trovare un lavoro che si accordasse con esso, perché la mia piccola notorietà nell'Ile-de-France mi aveva preceduto e firmai un buon contratto con l'U.S. Creteil, che, fra l'altro aveva formato, in passato, campioni come Trentin e Morelon.
    Il contratto si adattava perfettamente alle mie esigenze: il mattino svolgevo un'attività impiegatizia al comune di Creteil, il pomeriggio era riservato all'allenamento. Nei primi tempi in comune non facevo quasi niente ed allora per passare il tempo andavo a parlare con le segretarie finché un funzionario se n'è accorto e mi hanno assegnato un servizio vero e proprio. Si fa per dire, perché mi hanno mandato a misurare la lunghezza degli attaccapanni nelle varie scuole del comune, assicurarmmi della morbidezza dei tappeti nellle palestre etc. Certo il mio orgoglio non mi faceva apprezzare ciò al massimo, ma c'era il lato buono della cosa e cioè che potevo concentrarmi esclusivamente sul ciclismo.
    E riuscivo ad andare di meglio in meglio e la voglia di altre cose si allontanava e all'inizio del 1981 sono riuscito ad entrare nella nazionale dilettanti. Non mi ricordo di essere stato particolarmente orgoglioso di questo onore, era per me la logica conclusione: il mio ciclismo interiore raggiungeva la maturità.
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    Messaggio Da Lemond Dom Apr 06, 2014 8:23 am

    Nous étions jeunes et insouciants (XI)


    L'incontro con il "Tasso" (B. Hinault)

    Eravamo dei grandi chiacchieroni, senza pudore ed ancora oggi ricerco lo spirito di quelle parole di uomini non ancora tali (in divenire), uomini che amavano tanto il senso delle parole che non aspettavamo mai le "calende greche" per trasformarle in fatti concreti.
    Nel 1981 nella squadra nazionale ho ritrovato un amico che avevo già conosciuto nei cadetti: un grande compagno, che ben presto è diventato intimo: Pascal Jules. I ricordi furono mmediati, fra noi esisteva quasi un'osmosi, anche se lui proveniva più di me dalla classe operaia. Eravamo della stessa generazione, entrambi parigini, ma sopratutto la nostra caratteristica essenziale: eravamo assetati di vita insensata! I nostri temperamenti si sommavano e avrebbero bruciato le tempeste.
    Senza dire niente fra noi si creò un patto di amicizia così intenso ed inviolabile che si potrebbe addirittura definire sacro e che durerà fin tanto che la vita ... (anche se essa non è eterna).
    Con nostra grande sorpresa, poco dopo il primo "stage" il selezionatore tricolore ci annunciò che avremmo partecipato al Tour di Corsica, una corsa "open" il che significava che avremmo trovato i professionisti: il grande salto!
    Nell'isola di bellezza (in Francia la Corsica viene chiamata "ile de Beauté") il favorito era un nome conosciuto e rispettato da tutto il ciclismo mondiale, che aveva già vinto due Tour, un Giro, la Liegi e un numero incalcolato di corse prestigiose e in quell'anno non solo era rivestito dei colori dell'iride conquistati l'anno prima a Sallanches, ma a seguito del ritiro a Pau al Tour dell'ottanta, ciascuno pronostica per lui un anno di rivincite e per gli altri sarebbero state lacrime. Quest'uomo era Bernard Hinault (Il Tasso).
    Davanti a noi non si mostrava spavaldo, mettava solo in evidenza la voluta potenza del suo mento e da tutto il suo essere traspariva sicurezza, era come un voler dire:" Io so chi sono".
    Noi, da parte nostra, avevamo da far valere solo la giovinezza e la nostra squadra era formata di tutti compagni che non avevano paura di prendere "freddo agli occhi". Io avevo principalmente il desiderio di guardare, capire, imparare, approfittando il più possibile della presenza del "Tasso".
    Dalla prima tappa, indovinate un po' qual è stato il mio atteggiamento? Mi sono messo subito alla sua ruota e se accadeva qualcosa che lo allontanava da me, subito cercavo di riprendere il mio posto di competenza. Ad un certo momento egli si è domandato che significava ciò? E mi è venuto accanto per dirmi: "Che fai tu, sempre incollato alla mia ruota?" Al che risposi. " Non ho mai corso dietro ad un campione del mondo, volevo sapere che cosa si prova".
    Lo stesso genere di scena si è ripetuta, ben dopo la fine della mia carriera, quando durante una corsa per cicloturisti alla quale partecipava Eddy Merckx, mi sono incollato alla sua ruota per vedere se si distingueva ancora l'impero sotto la su bici ...
    Arrivò la prima tappa di montagna, e due soli dilettanti seguirono il ritmo imposto dai prof negli ultimi km della salita, Rostolan ed io. Mi stavo comportando piuttosto bene, salvo che nellle discese prese in maniera ... Era impressionante, terrificante e, siccome la mia tecnica lasciava a desiderare, in ciascun tornante pensavo di morire e poi invece riuscivo a restare con i primi ed arrivai settimo in quella tappa: non male Laurent Fignon Smile.
    Gli organizzatori avevano concepito una cronometro notturna e poco prima della partenza accadde qualcosa di provvidenziale. C. Guimard in persona venne a trovarmi. Il direttore sportivo della Renault rappresentava allora la scienza del ciclismo e quando prendeva la parola, non si sa come, ma sembrava uscisse dal suo cervello un secolo di sapere accumulato [nota mia un po' come Morris nel nostro forum Laurent Fignon Wink] .
    Egli aveva allora una tale "aura" che il minimo gesto era considerato un ordine da tutto il guppo.
    Guimard mi parlò, ma non so di che, non lo rammento più, poi enigmaticamente mi guardò a lungo, come per sollecitare la mia curiosità e finì per mormorare: "Questa sera tu sai che cosa accade?" Io ho risposto "Più o meno ...".
    Comunque ascolta il mio consiglio: "In una crono tu devi partire veloce, poi acceleri in mezzo e finisci in crescendo".
    Che strano atteggiamento, non aveva saputo trovare di meglio? Ma non avevo osato ridere. Un'ora più tardi arrivai XV: piuttosto promettente.
    Dopo quattro giorni mi ero veramente ben acclimatato nell'ambiente prof, al loro modo modo di comportarsi (almeno per quanto vedevo) al loro rigore e serietà (almeno apparente). Ma soprattutto il ritmo di corsa mi conveniva: all'inzio si andava tranquilli per riscaldare la macchina, ma d'improvviso, senza colpo ferire, si passava alla massima velocità e ciò sarebbe durato fino in fondo ed io che ero molto resistente capivo che quel ciclismo era fatto per me.
    L'ultimo giorno Guimard è ritornato; Pascal Jules si era comportato anche lui molto bene e ad entrambi ha detto. "Volete che io segua la vostra stagione?" Noi eravamo pietrificati ed aggiunse "perché forse potrete passare prof con me un giorno".
    Non c'era niente da rispondere a C. Guimard, egli comunque aveva voluto impressionarci e c'era riuscito.
    Durante il Tour di Corsica era stato il solo D.S. francese ad essere vento a trovarci, era stato un caso? Probabilmente anche gli altri avevano notato che eravamo dei dilettanti a sangue caldo e quindi parecchio audaci, tuttavia solo Cyrille aveva avuto voglia di farlo e le sue parole erano per noi sinonimo di contratto, almeno morale.
    Guimard ci aveva parlato e stava ormai solo a noi provare che non si era sbagliato. L'onore, in qualche modo, ci obbligava.
    Lemond
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    Messaggio Da Lemond Lun Apr 07, 2014 9:42 am

    Nous étions jeunes et insouciants (XII)

    Si sentono spesso parecchie storie sul mondo amatoriale, piene di fantasmi. Certe storie sono vere, anche, ma vanno spiegate e soprattutto contestualizzate, mentre altre sono favole che meritano solo di essere contraddette.
    Quanto ho visto in quel mondo alla mia epoca non assomiglia per niente ad un universo di "imbroglioni" capaci di vendere "padre e madre" per intascare un po' di denaro. In quei tempi, tutto era codificato dagli anziani, spesso ex-prof che terminavano così la loro carriera.
    Essi dettavano leggi che nessuno era obbligato a rispettare, salvo che se uno voleva avere una possibilità di vincere era costretto a ...
    Essi non pensavano neppure di andare contro la morale, perché (nota mia, come il papa e i vescovi attuali in Italia) pensavano che come la terra gira intorno al sole, così quanto sostenevano loro, faceva parte delle leggi fisico/matematiche.
    E non dico che nel mondo dei dilettanti non c'era chi imbrogliava, anzi sono sicuro del contrario e se ci ripenso mi rendo conto che erano numerosissimi quelli che andavano avanti con le anfetamine, perché allora i controlli non esistevano. Ma io allora ero giovane, non conoscevo queste cose e, a dire la verità, non m'interessavano nemmeno. Facevo il ciclismo per la competizione, per vincere, per esaltarmi.
    Sia come sia, va detto però che per vincere occorreva comunque farsi degli alleati e ciò avveniva sia in partenza che durante la corsa.
    Poco dopo il Tour di Corsica, mi sono ritrovato una domenica a Chateaudun e c'era un vento quel giorno che non ci si poteva alzare sui pedali. Ero in piena forma ed amavo quelle corse, perché lì si imparava veramente a correre, niente a che vedere con quelle dei prof, ma erano comunque corse serie. Però quando si formavano le coalizioni fra "i vecchi" del gruppo bisognava essere molto forti per impedir loro di averla vinta. D'altra parte occorre comprendere che in quelle corse Loro guadagnavano la loro vita.
    Quel giorno, mi ricordo come fosse ora, tutti gli ex-prof erano in fuga ed io, che come ho detto andavo come un missile, non mi sono minimamente tirato indietro e quindi, in altre parole, disturbavo parecchio le loro ben oliate manovre.
    Ad un certo punto, hanno visto che il mio non era un "fuoco di paglia" ed il capo è venuto a dirmi :" Mettiti con noi" ed io "D'accordo, ma all'arrivo, vinco io". Allora ha proposto che dovessi mettere 3.000 franchi nel fondo comune. Era parecchio, per me, ma era il solo modo di poter continuare a correre senza subire aggressioni e quindi ho detto *oui*. La corsa si svolse come previsto ed io mi sono ritrovato in testa con il capo della coalizione e, mentre aspettavamo per giocarci in volata la vittoria "à la loyale", mi è saltata la catena e dunque sono finito secondo. Una vera sfortuna ed io ero ben deluso di aver perso in quel modo.
    Poco dopo la corsa, ci siamo ritrovati per la distribuzione dei premi. Il capo mi ha guardato un po' in tralice e mi ha detto : "Metto nel piatto comune soltanto 1.500 franchi". Non solo aveva vinto, ma metteva la metà ed ho trovato ciò molto ingiusto. Senza dubbio voleva far valere la sua autorità di fronte ad un giovane, comprendere come reagivo e preparare il mio futuro asservimento. Forse lo aveva fatto con tutti gli altri, prima e probabilmente poteva/no prmetterselo. Ma a me la cosa non piaceva e non ho esitato ad arrabbiarmi. Eravamo d'accordo ... e ...
    ho urlato : "Se non mi date i miei premi, io spacco tutto e comunque vi dico che è l'ultima volta che venite a minacciarmi". Essi hanno riso. Ma, pazzo di rabbia, ho aggiunto "Non vincerete più una corsa se ci sarò io e andate a farvi fotttere!"
    Appena girato la schiena, ho sentito che si prendevano gioco di me, gli apparivo arrogante e ridicolo. Era normale, ma non potevo tollerare quello che mi volevano imporre.
    Alcuni di loro non erano riusciti a restare prof, altri speravano di diventarlo un giorno e, ripensandoci, avrei potuto travarle patetiche quelle figure così pallide, ma invece penso ora che quegli uomini fossero un miscuglio di bizzaria e nobiltà. La stranezza consisteva nel cercare di sopravvivere in un mondo di sofferenza fisica, mentre la nobiltà: amare a tal punto il ciclismo da cercare di "onorarlo" in quella "loro" maniera.
    Dunque, avevano voluto prendermi in giro, ma non conoscevano il mio carattere e tutte le volte che la gioiosa banda mi incrociava in una corsa io tenevo sempre la stessa regola di conndotta: o vincevo io o facevo in modo che perdessero loro e devo dire che non mi tiravo mai indietro pur di raggiungere il mio scopo. Una sola volta sono riusciti a sconfiggermi in quanto mi hanno isolato, altrimenti era come se la musica fosse già scritta. Ero diventato la loro bestia nera e hanno anche tentato di rinegoziare un patto, ma io non mangiavo più quel pane. Avevano voluto abbassarmi, tanto peggio per loro.
    Senza saperlo, forzando la mia personalità, stavo diventando una specie di campione e quindi devo confessare che quelle costumanze mi hanno reso duro ed insegnato a correre.

    Maggio 1981, mentre la Francia viveva l'esperienza politica che tutti conoscono, per il mio caso personale invece una semplice telefonata è stata rivoluzionaria. Dall'altra parte del filo ho sentito C. Guimard dirmi: "L'anno prossimo ti prendo con me".
    Uno strano brivido ha percorso tutto il mio corpo e credo di aver avuto anche le lacrime agli occhi, era fatto!
    Appena realizzato, ho chiamato Pascal Jules e la mia felicità si è raddoppiate, perché era stato chiamato anche lui e quel grido di gioia comune resterà per sempre nella mia memoria Laurent Fignon Clap.
    Le patron della Renault ci aveva dato appuntamento il giorno dopo la conclusione del Tour e noi eravamo là, di mattina presto, con il cuore che batteva la gran cassa. Il tempo passava, ma Guimard non si vedeva e ci guardavamo silenziosi, ma inquieti. Arrivò molto in ritardo e affaticato dalla serata di fine Tour ed ha parlato poco, ci ha solo fatto firmare il contratto. Inutile dire che noi non abbiamo riletto niente: sapevamo l'essenziale, cioè 4.500 franchi di salario. D'altra parte come si sarebbe potuto discutere con Cyrille Guimard!
    Dopo la firma lui ci ha detto :"Voi avete commesso il vostro primo errore, perché mi avete reso l'unica copia, senza tener niente per voi, errore!" Allora gli ho risposto: "Ma Mons. Guimard, noi glielo abbiamo restituito, perché ancora non l'aveva firmato, a che ci serviva un contratto non firmato dalla controparte?" Mi ha guardato stupefatto di questa mia prontezza, ma non ha trovato altro da aggiungere che era un errore comunque!
    In questo diolago io ritrovo tutto Cyrille, che sente sempre il bisogno di mostrare la sua supposta ...
    In definitiva quel giorno eravamo sulle nuvole, non soltanto passavo prof, ma Julot che era stato contattato dalla Peugeot, alla fine avrebbe corso con me. A Creteil ero considerato di già una piccola gloria locale e la fine della mia carriera da dilettante si profilava sotto i migliori auspici.
    Guimard voleva assolutamente che partecipassimo al Tour de l'Avenir, ma noi due preferimmo il Tour della Nuova Caledonia.
    Stare al mondo senza lasciarci dominare, così noi fummo e così saremo Laurent Fignon Smile
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    Messaggio Da Lemond Mar Apr 08, 2014 9:46 am

    Nous étions jeunes et insouciants (XIII)

    Le aquile della Renault


    "Là dove il pericolo è grande, è proprio dove cerco di impegnarmi". Ho spesso pensato a questa frase di J. Anquetil. Jacques-il gigante. Il magnifico. Anquetil il non amato dal popolo.
    Per la mia storia, sapevo dove sarei arrivato firmando per la Régie-Renault, andavo da Guimard dove già c'era un certo Hinault Laurent Fignon Bigsmileera come entrare all'E.N.A. (Ecole nationale d'administration) o all'H.E.C. Laurent Fignon Wink.
    Con Pascal Jules realizzavamo un sogno, il più bel passaporto per cominciare non soltanto una collaborzaione con il grande Cyrille, ma anche per avere l'orgoglio di portare i colori della Régie. Non so se ci si rende conto ai giorni nostri ciò che significava allora, quasi un legame carnale univa la Renault ai francesi. I colori della vespa, riconoscibili fra tutti, facevano paura, come ci si può immaginare. In poche stagioni Hinault e Guimard avevano "vinto tutto" : G.T. grandi classiche e campionato del mondo. Per noi giovani il più piccolo sguardo del Tasso ci ... anche se non ci lasciavamo impressionare, ma ci invitava comunque alla modestia, almeno per il momento.
    Durante il primo "stage" fummo rassicurati: un buon umore, franco e libero era sovrano e noi eravamo contenti, perché non eravamo gli ultimi a ridere e a cercare di fare scherzi Laurent Fignon Wink.
    C'erano parecchi giovani insieme a noi. L'anno prima erano passati pro P. Poisson e Marc Madiot e quell'anno M. Gayant, P. Chevallier e Salomon. Una ventina di corridori in tutto verso i quali occorreva comportarsi, l'ò già detto, con modestia, però senza piaggeria, perché sono ben cosciente che già all'epoca avevo un certo carattere e molti di sicuro hanno pensato che ero uno "sfrontato".
    La prima occasione di parlarsi veramente fu in uno "stage" nel Sud (Alpi marittime), anche se non si poteva dire che ci scambiavamo le idee. La sera a tavola il Tasso giocava piuttosto il ruolo del fratello grande ed era simpatico. Raccontava i suoi "exploit" e la maniera che aveva di comportarsi all'interno del gruppo quando era in forma. Un giorno Bernard ci ha detto con la sua maniera di parlare (un misto di calma e fermezza) del genere se tu non sei d'accordo si regola ciò domani in bici: "Ragazzi ricordatemi il vostro "palmarès?" Si rideva, ma poi C.G. ci ha rammentato il nostro programma di allenamento e siamo passati alle cose serie, perché egli si interessava a tutti i nuovi metodi e sapeva distinguere il minimo dettaglio, conoscendo pregi e difetti di tutti i suoi allievi. Dal 1982 tentava anche di specializzarsi nei "bioritmi", però fu una passione passeggera, come si vedrà più avanti.
    In genere, quando dei giovani entravano in una grande squadra, si mettevano al servizio di uno dei capitani, secondo gli obiettivi della stagione. Alla Renault c'era solamente e soltanto Hinault e ciò semplificava le cose: eravamo tutti per Bernard e per tutta la stagione!
    Le giovani generazioni del XXI secolo, allevati dalla televisione e inseriti nei costumi ciclistici di oggi, non si rendono certo conto che all'epoca le grandi squadre e i grandi campioni non si contentavano di una sola corsa all'anno (in particolare il Tour). Hinault, se ne aveva la forza, cercava di vincere tutto dall'inizio alla fine della stagione, in marzo come in novembre. E non cercava nemmeno di vincere risparmiandosi, quando correva per vincere la faceva per vincere veramente (in Francia si dice "avec panache").
    Pertanto noi eravamo solo degli "équipiers", però ambiziosi, perché se c'era una cosa di cui eravamo sicuri Jules ed io: che avremmo vinto delle corse, anche se non sapevamo di certo quali. Avevamo dimostrato quello che sapevamo fare nei dilettanti e quindi non dubitavamo minimamente del nostro livello.
    Ma per vincere, occorreva che fosse sodisfatta una condizione e cioè che B.H. non avesse deciso quel giorno di voler alzare le braccia, perché altrimenti niente da fare. Quando Hinault era al suo massimo, raggiungeva altezze che solo le aquile ... E forse non ho detto tutto. Laurent Fignon Smile
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    Messaggio Da Lemond Mer Apr 09, 2014 9:24 am

    Nous étions jeunes et insouciants (XIV)

    Il mestiere di corridore


    Bisogna comprendere, prima di giudicare, ma come si può giudicare quando non si è capito? Non rammento dove ho sentito queste parole, ma senza dubbio chi parlava sarà stato un giurista o un avvocato; in ogni modo qualcuno che aveva riflettuto sulla complessità della vita.
    Fin dai primi mesi alla Renault qualcosa mi colpì particolarmente: i "vecchi" non volevano insegnare tutto ai "giovani" esistevano quasi dei misteri; non lo si diceva apertamente, ma ho compreso quasi subito che i più giovani erano tenuti lontano da certe discussioni. Trovavo ciò normale, ma anche ingiusto. Ne parlavo spesso con Pascal Jules e volevamo svelare questo mistero, tanto più che noi avevamo piuttosto l'abitudine di non nascondere niente e di essere piuttosto "diretti" nei nostri rapporti. Ci divertivamo anche per questo nostro non sapere, perché immaginavamo che fossero dei trucchi un po' stupidi, in ogni modo accettavamo questo stato di cose: un passaggio obbligato, una specie di periodo di apprendistato, eravamo dei profani e ci voleva un po' di tempo per diventare degli ... iniziati Laurent Fignon Wink.
    Però, dopo poco tempo, la nostra impazienza si trasformò in volonta di capire; avevamo voglia di "aprire le porte" e di abbreviare la nostra fase di apprendimento.
    B. Hinault, fedele al suo ruolo e abbastanza ieratico nei comportamenti, ma diretto nei rapporti, si comportò veramente bene con noi. Certo anche lui chiuse le porte della sua camera, come facevano gli altri più anziani, ma non ci rifiutò mai una buona parola e un consiglio ogni volta che lo sollecitavamo. Noi però avevamo paura a parlargli dei suoi metodi di allenamento, perché molto spesso era chiuso come gli altri.
    Spesso percepivamo qualche pezzo di discussione da parte dei massaggiatori, dei kiné o da altri collaboratori di Guimard e si sentiva la parola miracolosa dell'epoca: *preparazione*. Oppure "quello lì conosce il mestiere". Quante volte nella mia vita ho sentito quella frase che significa tutto, ma anche il suo contrario!
    Che mi si creda o no oggi, io vi assicuro che è la verità: non pensavamo per niente al "doping" quando sentivamo queste parole. Era perché eravamo giovani? O era perché, per convenzione, non si usavano le parole giuste. Ma lla fine che importa? Ho scoperto ben presto che "la preparazione" era un'insieme di cose, ove l'aspetto medico non giocava certo un ruolo secondario.
    Allora, come ho detto, eravamo tenuti a distanza e quindi eravamo alla continua ricerca della minima informazione, tuttavia l'integrazione andava abbastanza bene: eravamo rigorosi nel lavoro durante le sedute di allenamento. Il ciclismo è semplice: a partire dal fatto che tu rispetti il lavoro degli altri, ecco che sei subito accettato e dal momento che ottieni fiducia, puoi anche osare di porre certe domande. Però la risposta era "c'è tempo". Non so se fosse un bene o un male questa segretezza, perché poteva essere una specie di protezione, ma anche una spinta a voler farci credere le cose peggiori, mentre quando ti si spiega con chiarezza, almeno tu puoi scegliere consapevolmente.
    Alla fine della mia carriera certi giornalisti hanno affermato che da Guimard il "doping" era una cosa normale e che lui stesso incitava i suoi allievi a farne uso. Questo è completamente falso! Ed affermarlo è da ... Dire che tutti prendevano tutto è ridicolo e talmente lontano dal modo di essere all'epoca che ho conosciuto ed addirittura mi offende che si possano confrontare i tempi passati con quelli presenti in modo così poco frofessionale! Tanto più che allora, lo devo ripetere con fermezza, la quasi totalità dei prodotti che esistevano sul mercato per tutti i c.d. sportivi (e non solo ciclisti) erano rilevabili durante i controlli antidoping ed i casi di positività sono numerosi, il che dimostra ...
    E' all'inizio degli anni novanta che certi prodotti "miracolosi" come l'eritoproietina (E.P.O.) fa la sua prima apparizione e quindi chi vuole può sapere che il prima e il dopo non è per niente confrontabile.
    Secondo me la verità di fondo si può condensare in due frasi:
    Nel mio tempo, le forme di "doping" erano artigianali, mentre gli "exploit" erano considerevoli.
    Oggi le forme di "doping" sono enormi e gli "exploit" quasi inesistenti.
    Negli anni '70/80 il doping non era generalizzato e si vincevano ancora parecchie corse "all'acqua chiara". Si avevano due modi di prepararsi: prima di tutto l'allenamento, l'alimentazione, il riposo e solo dopo la preparazione medica, che è difficile chiamare scientifica, tanto allora era empirica! I corridori cercavano naturalmente di orientarsi per comprendere se qualcosa poteva convenire o no per loro. I direttori sportivi chiedevano sempre la stessa cosa "Che cosa fai in questo momento" che significava "Che prendi?". Ciò non riguardava solo il doping, ma anche le vitamine, i fortificanti etc. Essi parlavano dei prodotti che miglioravano le prestazioni e se si voleva imparare a crescere, dovevamo farlo su tutti i fronti. Queste scelte rappresentavano per me, in sintesi, la definizione del "mestiere di corridore".
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    Messaggio Da Lemond Gio Apr 10, 2014 7:57 am

    Nous étions jeunes et insouciants (XV)

    Quando allora ci si preparava medicalmente era solo per le grandi corse, contrariamente ad oggi e i prodotti vietati erano conosciuti da tutti.
    Le anfetamine circolavano molto quando non c'erano controlli, ma avevano una durata limitata, un'efficacia piuttosto aleatoria e dipendevano da caso a caso. Esse erano usate anche in maniera "festiva" per es. nei criterium era una vera e propria tradizione, un modo di vivere. Era veramente per divertirsi: si faceva festa tutti i giorni. Laurent Fignon Wink
    Gli anabolizzanti non si prendevano quasi più, perché duravano molto a lungo nelle urine. Non c'erano ancora il testosterone, né gli ormoni della crescita, che verranno più tardi, né manipolazione del sangue (a mia conoscenza) né l'EPO.
    Il prodotto che dominava allora era il cortisone, perché non era rintracciabile. Bisogna comunque comprendere che non avevamo per niente l'idea di imbrogliare, ciascuno si arraggiava un po' con la sua coscienza e d'altra parte lo facevano tutti.
    Io, per parte mia, non prendevo mai rischi particolari, né fisicamente, né sportivamente. Ero nel sistema secondo un modo mio, ma non mi è mai parso strano di "fare il mestiere", perché sapevo che in tutte le epoche ci sono sempre stati degli sportivi ragionevoli ed altri invece del tutto incoscienti.
    Non dimentichiamo mai che in ogni squadra all'inizio degli anni ottanta, non si parlava mai di doping, la parola stessa era bandita e interdetto a chiunque di pronunciarla, si parlava solo di cure. Perché evidentemente si prendevano molte vitamine ed in maniera sistematica.
    Nei rapporti con gli anziani Pascal ed io eravamo più perseveranti che pazienti e non appena vedevamo qualcuno che cercava di isolarsi andavamo spesso nel letto accanto al suo e aspettavamo. Egli indispettito non osava né muoversi, né parlare e al nostro "spiegaci che vuoi fare", non c'era risposta se non una faccia sempre più scura! Noi due trovavamo tutto ciò assurdo e ci siamo giurati di non comportarsi mai in futuro come loro.
    Fortunatamente C. Guimard tentava di reequilibrare le cose, perché parlava molto con noi, ci interrogava, cercava di spiegare; insomma non si limitava a guidare l'automobile il giorno ed a festeggiare la sera, si sentiva responsabile dei suoi corridori, riguardo alla loro salute e al loro equilibrio psicologico.
    E poi, per comprendere meglio che non c'è niente di comparabile fra le epoche occorre sapere che *MAI* in tutta la mia carriera nessuno mi ha parlato di doping. Talvolta mi si domandava se avevo preso qualcosa, ma era il massimo e la maggior parte delle volte non si considerava ciò neppure un imbroglio, anche se può apparire incredibile. Ma nell'ambiente e nel contesto di quei giorni, ove correvano ancora Thévenet, Zoetemelk o Van Impe, il sistema andava integrando e digerendo tutto e di sicuro agli occhi di molti, tutto ciò sembrava normale, ordinario, appropriato a quello che si intendeva per sport.
    In quegli anni ho parlato con un solo medico, quello della squadra, A. Mégret e non mi è nemmeno mai venuto in mente di andare da altri, come avviene invece di continuo oggi. Nelle squadre allora c'erano medici veri, nel senso che si occupavano della nostra salute: quelle particolari carenze avevano bisogno di certe vitamine, anche se i corridori non avevano tutti la stessa reazione. Io, salvo quando ero malato, ho sempre detastato ogni medicina e il mio organismo le sopportava male e talvolta delle semplici prescrizioni contro l'influenza potevano addirittura aggravare la malattia e allora ...
    Altri erano differenti ed in questo mondo dove le medicine sono abbondanti e diversificate, la tentazione era grande, anche per rassicurarsi, anticipare non si sa quale male Laurent Fignon Wink.
    Obiettivamente, ci sono dei periodi nella stagione, in particolare quando fa freddo, che è bene curarsi prima di montare in bici e ciò in genere crea delle abitudini che possono anche degenerare, lo ammetto e, per far bene il nostro mestiere, si finisce per credere che le medicine sono indispensabili al pari della bicicletta. Ho conosciuto dei ragazzi che hanno reagito così ed hanno, di solito, esagerato.
    Dal punto di vista verbale, con Pascal cercavamo di non spingerci troppo lontano e rispettavamo le regole essenziali dell'ambiente, però fino ad un certo punto, perché talvolta ci permettevamo addirittura, a tavola, di prendere in giro B. Hinault Laurent Fignon Wink. In quei casi era divertente vedere M. Le Guilloux e H. Arbes che si buttavano giù, con il naso nel piatto, vergognandosi per noi! Ma noi continuavamo, perché non c'era niente di irrispettoso, ma solo la desacralizzazione di un "mondo antico", c'era solo la ricerca di mettere in discussione l'ordine stabilito. Anch'io ho conosciuto ciò molto più tardi, dall'altra parte, ma occorre accettare che un mondo nuovo si sostituisca ad un altro: la ruota gira.
    Quel primo anno Julot ed io ci ponevamo poche questioni, presi soprattutto dal piacere delle corse.
    Durante il primo "stage" a Rambouillet, C. Guimard prese la parola in modo più solenne del solito. Un silenzio impressionante scese nella sala, perché in quel caso era il "patron" che prendeva la parola e non il confidente o il compagno ed egli finì per dire questa frase incredibile:
    "Quelli che saranno trovati, durante le corse, in compagnia femminile saranno buttati fuori dalla squadra!"
    Ci siamo immediatamente guardati e ci siamo detti "Accidenti, niente donne!" Ci siamo ben detti che di sicuro la stagione precedente qualcuno era stato trovato ... e cercavamo con lo sguardo quelli che potevano arrossire. Ma pensando a noi ci pareva un po' caro il prezzo da pagare per restare nel paradiso del ciclismo. Laurent Fignon Bigsmile
    Il sesso: un altro tabu del nostro sport e invece non ci ha mai impedito di vincere una corsa e di vivere meglio, perché come per tutti, aiuta la stabilità psichica. Niente di più logico, ma quel giorno là, Cyrille diventava Guy Roux (nota mia: allenatore per quasi cinquant'anni dell'Auxerre).
    Abbiamo però quasi subito capito che Guimard non aveva mai buttato fuori nessuno per una scappatella, ma voleva mettere tutti sull'attenti affinché le sbandate non portassero troppo lontano. Capita l'antifona, ci siamo dimenticati delle minacce ed abbiamo fatto, più o meno, i nostri comodi. Quando era il caso inventavamo storie e ci coprivamo fra noi due, d'altra parte avevamo capito anche un'altra verità, dalle parole di Cyrille e cioè che c'erano delle ragazze disponibili intorno a noi.
    E allora, per concludere: fare sì il mestiere del corridore, ma non a scapito di tutti i piaceri della vita Laurent Fignon Wink
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    Messaggio Da Lemond Ven Apr 11, 2014 8:35 am

    Nous étions jeunes et insouciants (XVI)
    Dignes e droits

    Gli uomini in bicicletta assomigliano sempre a quel che sono nella vita: non si imbroglia mai per lungo tempo. Secondo me la bicicletta è il modo per l'uomo di trovare se stesso e di provarsi. Essa gli svela moltissime cose, belle e brutte, forse non si può per es. parlare di gloria, bensì di pienezza: la bici ci fa toccare il fondo della nostra anima. Per me l'esempio emblematico, visto e rivisto ha un nome e cognome: Bernard Hinault.
    D'inverno si allenava molto poco e tutte le volte che arrivava fra noi per i primi "stages" avevamo l'impressione che tornasse da una lunga vacanza in quanto era sempre molto ingrassato. Quelli che non avevano l'abitudine di frequentarlo da tempo, come era appunto il nostro caso, si domandavano seriamente quanto tempo gli ci sarebbe voluto per ritornare in forma. Ma noi commettevamo un errore molto grosso, perché Hinault e "le Blaireau" erano in effetti una sola persona e lo avrebbe provato all'inizio di questo anno: 1982.
    Come ho detto l'uomo che si presentò a quel primo stage aveva poco in comune con il campione che ero sceso di bici alla fine della stagione precedente e che nell'ottantuno aveva vinto tutto. Pertanto i primi giorni, in gruppo, era molto arrabbiato e in grande difficoltà per ogni accelerazione; sudava copiosamente e, pur dandoci dentro con energia, sovente doveva urlare che andavamo troppo forte e quando vedeva che alcuni di noi si mostravano stupefatti, lui gridava: "Va bene, fate pure i furbi, vedrete poi fra tre mesi dove sarete, rispetto a me!".
    Egli poteva permettersi tutto ed infatti, meno di un mese dopo, vinceva la prima corsa di rientro. Quando aveva deciso di mettere la sua ruota davanti agli altri, andava a cercare tutte le energie che possedeva dentro di sé per trovare una forza vitale nata dalla rabbia e dalla fierezza.
    Era Hinault.
    Che dire delle mie prime corse con la maglia di vespa? Prima di tutto un'impressione: benché giovani dal carattere poco impressionabile, eravamo comunque (Julot e me) fieri di appartenere a quel clan di livello mondiale. Senza trasformarci in agnelli, serviva comunque a calmare i nostri bollenti spiriti. Bisognava vedere, imparare e diventare ciò che ci proponevamo e pensavamo di essere quando l'occasione si sarebbe presentata. Non ci saremmo gonfiati il petto finché non fosse stato legittimo farlo.
    Abbiamo conosciuto molta gente e rapidamente abbiamo scoperto diverse affinità nella squadra e nel gruppo. Molti dilettanti erano passati prof ed eravamo contenti di ritrovarci fra i grandi Laurent Fignon Wink. E poi, diverse volte, ci trovavamo fianco a fianco di nomi conosciuti, soprattutto gli olandesi: J.J. Raas, corridore anche lui con gli occhiali, come il suo compatriota G. Knetemann, che avevano fatto i "bei giorni" della
    Ti-Raleigh di Peter Post. Non ci dobbiamo dimenticare che in quel tempo gli olandesi e i belgi vincevano quasi tutte le prove del calendario al di fuori della portata di Hinault e Moser.
    Dal mio punto di vista, mi accorgevo che non stava cambiando niente nel mio comportamento, cioè restavo fedele al mio modo di vedere e vivere il ciclismo. Volevo sempre, prima di tutto, divertirmi.
    Le corse si susseguivano ad un ritmo infernale in quanto Guimard ci faceva correre di continuo, ma noi non eravamo scontenti e non domandavamo nessun trattamento particolare. D'altra parte emanava una grande serenità e ci dava fiducia; all'inizio della stagione non ci metteva mai sotto pressione: eravamo là solo per proteggere Hinault, finché potevamo e basta.
    I veri obiettivi della Renault erano fissati per più tardi e gli interessi extrasportivi, anche nelle grandi squadre, erano ancora ragionevoli e non turbavano per niente il buon affiatamento del gruppo. E devo dire, per quanto ne so, che i dirigenti della Règie erano persone di grande moralità.
    Perché con Guimard ci potevano essere solo uomini *degni e "diritti" * che avrebbero formato degli uomini, non soltanto degli sportivi.
    Nessuno faceva il ciclismo per guadagnare solo denaro, ma per vincere le corse e vivere pienamente la sua passione. Ripensare a quei momenti di incoscienza è qualcosa di veramente emozionante per me, pensando a come è talmente cambiato il mondo Laurent Fignon Mad.
    Oggi, vedendo la mentalità comune, mi domando veramente se le nuove generazioni sappiano ancora distinguere fra un "vincitore" ed uno che arriva primo? Noi cercavamo di essere dei vincitori, mentre gli altri sono quelli dello "show-business" che cercano sempre il "prime-time" e arrivarono un po' più tardi nel bagagliaio di Bernard Tapie ...
    In tutta la mia carriera ho detestato il freddo, che mi ha sempre messo in pericolo fisicamente. Era la mia principale debolezza ed infatti ero spesso malato: raffreddore, influenza, angina etc. e pertanto mi capitava di abbandonare spesso le corse con il maltempo. Ma Guimard non si arrabbiava e continuava a darmi fiducia. Per Cyrille era sufficiente che la nostra progressione fosse vera, tanto in bici, quanto nel comportamento nella vita del gruppo. Dovevamo mostrarci e dimostrare di fare sforzi per imparare alla svelta; lui aveva l'occhio per questo.
    Fra febbraio e marzo arrivai in forma, i miei buoni allenamenti erano paganti. Al Tour del Mediterraneo, dove ho finito "miglior scalatore" sono stato tutto il tempo davanti a chiudere i buchi, a provare ad attaccare etc. Alcuni protestavano e si domandavano chi era questo giovane sfrontato che voleva ... E una volta M. Laurent e R. Martin, che erano fra i più considerati nel gruppo, si sentirono in obbligo di farmi comprendere che non potevo fare tutto ciò che volevo. Anche il grande J. Zoetemelk, vincitore del Tour 1980, aveva finito per minacciarmi, perché non era contento che gli girassi intorno così vicino nelle salite. Io comunque consideravo queste situazioni come divertenti ed istruttive Laurent Fignon Wink.
    In quei giorni il ciclismo offriva ai corridori duri, come ero io, la possibilità di provarsi in corse molto più lunghe di quelle di ora. Anche al T. d. M. c'erano tappe di 180/200/220 Km. Ma non molti hanno compreso l'importanza del chilometraggio: le tappe non erano lunghe per martirizzare i corridori, ma al contrario per favorire il fatto che i migliori, i più resistenti, potessero essere davanti.
    Anche le abitudini in corsa erano diverse, andavamo molto forte all'inizio di una corsa, ma quando una fuga era partita e fosse stata considerata "buona" tutti smettevano di inseguire e si finiva a 30/35 Km/h. Oggi sarebbe scandaloso assistere ad un simile scenario, ma io mi domando ancora perché!?[/font]
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    Messaggio Da eliacodogno Ven Apr 11, 2014 9:23 am

    Lemond ha scritto:
    In quei giorni il ciclismo offriva ai corridori duri, come ero io, la possibilità di provarsi in corse molto più lunghe di quelle di ora. Anche al T. d. M. c'erano tappe di 180/200/220 Km. Ma non molti hanno compreso l'importanza del chilometraggio: le tappe non erano lunghe per martirizzare i corridori, ma al contrario per favorire il fatto che i migliori, i più resistenti, potessero essere davanti.
    Il concetto a me è sempre sembrato elementare...peccato che siano in pochi e perlopiù ininfluenti a pensarla così Sad 
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    Messaggio Da Lemond Ven Apr 11, 2014 9:34 am

    eliacodogno ha scritto:
    Lemond ha scritto:
    In quei giorni il ciclismo offriva ai corridori duri, come ero io, la possibilità di provarsi in corse molto più lunghe di quelle di ora. Anche al T. d. M. c'erano tappe di 180/200/220 Km. Ma non molti hanno compreso l'importanza del chilometraggio: le tappe non erano lunghe per martirizzare i corridori, ma al contrario per favorire il fatto che i migliori, i più resistenti, potessero essere davanti.
    Il concetto a me è sempre sembrato elementare...peccato che siano in pochi e perlopiù ininfluenti a pensarla così Sad 

    E' sempre stato uno dei "cavalli di battaglia" del Grande Maurizio Morris, ma ormai la tendenza contraria è irreversibile (purtroppo).  Evil or Very Mad
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    Messaggio Da eliacodogno Ven Apr 11, 2014 9:44 am

    Lemond ha scritto:E' sempre stato uno dei "cavalli di battaglia" del Grande Maurizio Morris, ma ormai la tendenza contraria è irreversibile (purtroppo).  Evil or Very Mad
    Irreversibile non saprei... quando ci si renderà conto che tolto quell'aspetto il ciclismo perde tutto (senza guadagnare niente nella lotta al doping, perché l'idea alla base è questa), forse verrà innestata la retromarcia Smile 
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    Messaggio Da Lemond Sab Apr 12, 2014 8:41 am

    Nous étions jeunes et insouciants (XVII)

    Ecco un aneddoto che la dice lunga sulla nostra disinvoltura (con Pascal), ma anche sulla nostra maniera di crederci, talvolta, più forti di quanto eravamo veramente.
    Nella prima tappa del Tour Med, Pascal m'aveva detto in partenza: "Ehilà va bene per noi, perché ci sarà un vento impossibile, noi siamo i re dei ventagli e faremo vedere a tutti, quello che sappiamo fare!" Avevamo "appena" dimenticato un dettaglio: la Ti-Raleigh era presente al gran completo e se noi eravamo dei veri specialisti dei ventagli, gli olandesi li avevano inventati! Laurent Fignon BigsmileCome eravamo giovani ed incoscienti Laurent Fignon Wink.
    Già dopo 10 Km dalla partenza gli olandesi hanno in effetti rialzato l'andatura e creato il ventaglio e noi non ci siamo accorti di niente, perché eravamo piazzati male. Allora ho detto a Julot :" Niente panico, ora rientriamo". Siamo arrivati in testa al secondo gruppo ed abbiamo constatato di essere 30 metri dietro, e dandoci dentro siamo arrivati a 20, poi 10, ma alla fine niente da fare! Vi assicuro che mancava poco per rientare come avevo previsto, ma quei 10 metri non li abbiamo mai ripresi, malgrado tutti i nostri sforzi. Incredibile, abbiamo ricominciato a perdere qualche metro, poi ancora altri ed alla fine siamo esplosi e il risultato: 20 minuti di passivo all'arrivo! Laurent Fignon Diavoletto
    La sera, distrutti, ci siamo guardati e poi siamo scoppiati a ridere: "Siamo fra i prof Laurent Fignon Bigsmile". Eravamo dei buoni corridori, ben preparati, in forma, ma eravamo saltati in aria come due debuttanti.
    Ciò detto non ci siamo sentiti ridemensionati e la stessa sera ci siamo detti: "Il Med è finito per noi, ma dobbiamo dimostrare comunque che esistiamo e tutti i giorni siamo stati davanti. Io avevo deciso di prendere la maglia del miglior scalatore e sono riuscito a conservarla fino in fondo ed anche nella crono del Mont Faron mi sono divertito come un ragazzo. Ero partito proprio davanti a Zoetemelk e sapevo che mi avrebbe raggiunto abbastanza presto, perché lui faceva sempre le crono a fondo. Ed in effetti accadde proprio e allora mi sono messo dietro, lasciando lo spazio necessario per evitare l'intervento dei commissari, l'ò seguito senza difficoltà e alla fine, quando la salita era più dura (nel finale) mi sono alzato sui pedali , l'ò raggiunto e staccato con facilità. E quando l'ò superato, gli ho detto "Andiamo, seguimi!" Ma lui non era per niente contento, però alla fine è arrivato secondo nella crono ed io sesto. Quindi quel giorno è stato positivo per entrambi.
    Ma siamo seri, ero un bon neo-pro, ma non un caso particolare nel 1982, però pochi giorni dopo ho vinto il G.P. di Cannes alla mia sesta o settima corsa ed ero veramente contento, perché non avrei mai pensato di alzare le braccia così presto. Era un sabato e il lunedì seguente raddoppiai alla Freccia Azzurra, che arrivava a Nizza in circostanze piuttosto particolari. Ero, come al solito, stato sempre nelle prime posizioni e avevo attaccato spesso, poi uno, due, tre, quattro corridori sono partiti uno dietro l'altro, come per prendermi in giro, e R. Martin mi ha deriso: "Eh Fignon è ora il momento di andare, non prima! Laurent Fignon Bigsmile" L'ò guardato, mi sono alzato sui pedali e gli ho risposto:" D'accordo si va!" Laurent Fignon Wink
    Ad una trentina di Km eravamo in cinque in testa: Pascal Simon, R. Bittinger, C. Béerard e Marc Madiot e questi ultimi due erano della mia squadra. A priori la corsa la doveva vincere Berard che era Nizzardo e veloce allo sprint, ma, sorpresa, Guimard è venuto a dirci:" Laurent non tira, mentre voi due dovete farlo per lui." Ciò mi ha fatto "ghiacciare il sangue" e mi sono sentito dire:" No, signor Guimard." Ma era troppo tardi, Cyrille aveva deciso e non si poteva discutere. Madiot e Bérard si sono messi al lavoro ed io a ruota, mentre stavo tremando, sotto il peso della responsabilità e con la fobia di poter deludere il D.S. Nello sprint finale i due miei compagni erano finiti e io dovevo battere Bittinger e Simon che non erano certo gli ultimi venuti. A un km dall'arrivo non avevo più gambe! La paura e lo stress; era impressionante e del tutto nuova per me come sensazione. E poi Simon ha lanciato lo sprint, Bittinger ha preso la sua ruota ed allora, vai a sapere come, ho ritrovato tutte le mie forze (lo stress era evaporato) e sono ritornato alla loro altezza e senza problemi sono riuscito a passarli. Prima di passare la linea c'erano ancora una ventina di metri e mi sono reso conto che quella sarebbe stata una bella e probante vittoria in quanto ero riuscito a canalizzare l'angoscia e a dominare la tensione, anzi a trasformarla in un lato positivo.
    Guimard che non esprimeva quasi mai i suoi sentimenti, è venuto a trovarmi per guardarmi negli occhi e mi ha detto:" Tu eri il più in forma e non si poteva rompere la tua spirale di vittoria."
    Alcune settimane dopo, al termine della mia prima partecipazione al Giro d'Italia, Guimard, uomo di scienza e di intuizione, dichiarò:"
    L. Fignon un futuro gran corridore per le corse a tappe, è solido; mi ha sorpreso per la sua resistenza agli sforzi ripetuti. E' un forte passista, sa piazzarsi in testa al gruppo, e va anche in salita. Quando parte a 1500 metri dall'arrivo dà prova di avere qualità di grande "finisseur". Mangia molto, dorme bene, recupera con velocità, non si piange mai addosso ed è sempre in pace con se stesso ed ha una bella mentalità di squadra. Ne riparleremo al Tour del 1983.
    Neo-pro, ero finito 15° in classifica, pur avendo fatto da gregario devoto a B. Hinault ed avevo acquistato la certezza che se avessi corso per me sarei potutto facilmente arrivare nei primi cinque in un G.T. era evidente. A qualche giorno dalla fine avevo detto, ridendo:" Hinault ha fortuna, se non fossi della sua squadra, non smetterei mai di ataccarlo." Molti ci avevano visto della presunzione, ma per me era solo una certezza, la mia personalità non si manifestava per procura, al contrario. Laurent Fignon Wink
    Era un tempo nel quale la bici ci metteva a nudo, ci svelava chi eravamo ... in toto.
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    Messaggio Da Lemond Dom Apr 13, 2014 9:42 am

    Nous étions jeunes et insouciants (XVIII)

    Bacco, le mani in alto



    Le ragazze, sono un argomento complesso e niente, come l'esperienza personale, può far comprendere la natura profonda delle cose e talvolta la loro complessità. In senso più lato, nel marzo 1982, al Tour d'Armor, ho vissuto la mia prima "festa" fra i professionisti. Non è cosa di cui essere fieri. B. Hinault giocava in casa e voleva assolutamente vincere quella prova davanti ai Bretoni. I nostri rapporti di lavoro erano eccellenti: si può affermare che ero un collaboratore fedele e leale e mai il Tasso aveva potuto lamentarsi di me. Durante le t.d.A era talmente nervoso e desiderava talmente la vittoria che non era riconoscibile. Sembrava che la notte non dormisse, con quei suoi occhi sempre fuori delle orbite.
    Cominciavo a percepire una specie di tensione fra lui e Guimard. Noi eravamo tenuti fuori dalla discussioni serie fra loro, ma comunque avevamo le nostre sensazioni e sentivamo quasi una "cancrena" che sembrava far marcire l'ambiente ogni giorno un po' di più.
    La sera della tappa a Saint-Brieuc aveva detto a tutti: "Dopo la cena porto alcune bottiglie, dobbiamo festeggiare la Bretagna". Sempre pronti al divertimento, eravamo allegramente stupiti di vedere il nostro leader in quelle così buone disposizioni, lui che di solito era così austero e chiuso in se stesso. Evidentemente la Bretagna ...
    La sera tenne la promessa e Bernard è venuto con molte bottiglie di vino, però c'era un problema: una gran parte dei quadri non era più all'albergo non si sa se perché non volessero festeggiare o perché avevano di meglio da fare. All'epoca, secondo l'importanza delle corse, la sera si aveva una notevole dispersione nei ranghi. Per la prima volta ho visto B.H. arrabbiarsi "di brutto" e cominciò ad urlare tutto quello che gli passava per la testa. Dove sono quegli imbecilli? E Guimard, mai che ci sia quando occorre, che idiota!
    Quando era in quello stato, Hinault faceva veramente paura! Poi, sempre fuori di sé, aggiunse: "Non importa, le beviamo fra noi le bottiglie".
    E noi ci siamo messi a bere e molto. Bernard di colpo si è disteso e la collera si è trasformata in piacere comunicativo: era simpatico.
    Non saprei dire quante bottiglie ci siamo scolati; dieci, dodici, di più? Il fatto incredibile è che eravamo talmente pochi: Jules, Chevalier, Hinault, io e forse altri due, dei quali non mi ricordo e in definitiva eravamo tutti partiti.
    Alla fine siamo ritornati in camera. Madiot, che era caduto quel giorno, assomigliava ad una mummia, bendato com'era dalla testa ai piedi, era bruciato da per tutto e noi non abbiamo trovato niente di meglio da fare che trasformare la sua camera in un "dopo-festa". Egli urlava, ma noi, ubriachi fradici abbiamo buttato le bottiglie vuote fuori dalle finestre, ci strattonavamo, cantavamo a squarciagola, in una parola un bordello generale.
    Evidentemente il direttore dell'albergo è venuto ad avvertirci di stare calmi, ché altrimenti la squadra ne avrebbe subito le conseguenze.
    "Vai a farti fottere, non siamo a casa mia, qui! " gli ha risposto il Tasso e noi a ridere. Laurent Fignon Bigsmile
    Non eravamo la sola squadra in quell'albergo e se noi non dormimmo molto quella notte, anche gli altri, disturbati da noi ...
    Tutti avevano dovuto subire la nostra "notte brava" ed è inutile precisare che avevano voglia di farcela pagare.
    Ed infatti, all'inizio della tappa, "badaboum", due o tre squadre si erano messe d'accordo per farci restare nella gola quanto avevamo bevuto e siamo stati con la bava alla bocca tutto il giorno; dovevamo non solo proteggere Hinault, che era nel nostro stesso stato, ma in più dovevamo rispondere a tutti gli attacchi. Guimard non aveva detto niente, ma sapevamo tutti quello che pensava, stava a noi dimostrargli che la notte non aveva modificato per niente la nostra volontà, né la nostra capacità di controllare la corsa. Con Julot non abbiamo lasciato niente, ad un ritmo infernale i "vapori di Bacco" sono svaniti e nessuno è riuscito a staccarci in quella tappa e sapete cosa? B. Hinault alla fine ha vinto quel Tour che desiderava tanto Laurent Fignon Bigsmile, avevamo solo festeggiato questa nuova vittora un po' prima. Laurent Fignon Wink
    Cercherò di spiegarmi meglio possibile. Quel "festino", malgrado le apparenze, non aveva niente a che vedere con una bevuta fra beoni, ci eravamo messi in pericolo, perché avevamo preso dei rischi inutili con la nostra salute, ma con gioia. Essa non aveva alterato per niente la nostra capacità di lavoro, né la nostra facoltà di scoprire dentro di noi la forza che si può avere quando si aspira ad "allargare" la realtà presente.
    Questi festini, che non avevano per fortuna, tutti lo stesso finale erano anche positivi per il fatto che rinsaldavamo i legami fra noi e instauravano una nuova solidarietà: vivevamo cose comuni non soltanto in bici Laurent Fignon Winke ciò ci faceva conoscere meglio e "tutti per uno, uno per tutti". E quando occorreva fare uno sforzo sovrumano per chiudere un buco, non lo si faceva solamente per il nostro leader e per il nostro compagno di squadra, ma soprattutto per un amico. Il sacrificio di sé assumeva tutto il suo senso ed anche le vittorie avevano un significato più collettivo.
    E poi, un tipo come Hinault non dimenticava niente: avevamo "disconnesso i nostri cervelli" insieme e, sempre insieme, lo avevamo fatto vincere, avevamo sofferto per lui ed era nel posto giusto per giudicare l'ampiezza della nostra abnegazione e dei nostri sentimenti di amicizia per lui. Perché bisognava proprio averne di volontà quel giorno là per riuscire ad arrivare fino a quel punto. Io sapevo, dentro di me, che Hinault era un uomo d'onore e infatti cinque giorni più tardi mi ricompensò con un altruismo che mi spinse all'ammirazione: mi aiutò a vincere il Criterium International, facendomi entrare nella corte dei Grandi.
    Quali corridori oserebbero oggi, durante una corsa a tappe, partecipare ad un festino quasi senza limiti? Azzardarsi ad una "notte bianca" senza pagarne fisicamente un prezzo forte? Ma noi avevamo il fisico del nostro carattere Laurent Fignon Bigsmile.
    Occorreva avere anche il morale, perché durante quel T.d'A epico avevo capito anche un'altra cosa: le anfetamine, anche se riconoscibili al controllo delle urine, circolavano in gran quantità in gruppo; i più anziani erano diventati specialisti e il loro modo di prenderle si adattavano ai regolamenti dell'epoca, che poi sono stati cambiati molto. Occorre sapere, per esempio, che l'ultimo giorno di una corsa a tappe, solo i primi due della tappa e il "podium" della classifica generale erano controllati. Non dirò che ciò era un incitamento, ma in ogni caso la mancanza o quasi di rischio apriva le porte a ...
    D'altra parte, dopo aver osservato con l'esperienza successiva, ho finito per essere convinto che erano numerosi i corridori che assumevano anfetamine e senza, peraltro, aspirare né a vincere, né a diventare leader, era semplicemente per fare meglio il mestiere.
    A forza di chiedere, qualcuno mi ha anche spiegato che si poteva sviare i controlli ed il caso "Pollentier" del 1978 aveva fatto un'enorme pubblicità alla "peretta con urine" e questo metodo era ancora molto in voga.
    Quando ci ripenso oggi, sono convinto che mi è capitato di perdere delle corse da dei ragazzi che avevano gli occhi pieni di anfetamine e che si erano "arrangiati" ai controlli, tuttavia non ho mai detto (nota mia: come i tifosi di Cunego Laurent Fignon Bigsmile) "X ha ingannato ed è per questo che ho perso", insomma non ho mai cercato scuse per le mie sconfitte. Se perdevo era "colpa mia" e non per colpa di un prodotto qualunque; ignoravo quelle pratiche e ciò non m'interessava. Certamente si potrebbe dire che era un modo di accettarle, ma allora funzionava così: non se ne parlava e non si protestava e c'era una ragione. Né le anfetamine, né alcuna altra sostanza, avevamo mai cambiato le gerarchie, ma questi tempi benedetti non sono durati, come ciascuno ormai lo sa. Laurent Fignon Mad
    All'inizio degli anni ottanta ciò che si chiama "doping" era considerato limitato e poco importante ed infatti per molti non era che rispettare le regole del mestiere e cioè occorreva passare per là per essere corretti con la propria squadra. Non era insomma imbrogliare per imbrogliare, ma come ho già detto.
    Doping o non doping un grande campione in forma era imbattibile ed un corridore medio poteva doparsi a volontà, ma non l'avrebbe mai battuto. Era questa la legge del ciclismo e la realtà del doping in quegli anni, nient'altro.
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    Messaggio Da Lemond Lun Apr 14, 2014 11:24 am

    Nous étions jeunes et insouciants (XIX)


    Codice d'onore


    La bicicletta non conosce tempo, il ciclismo non conosce che la storia, talvolta, purtroppo, delle piccole storie. Non voglio girare intorno all'argomento criterium. Essi esistono solo per lo spettacolo e d'altra parte gli organizzatori ingaggiano solo per questo i partecipanti.
    Tutto si svolge secondo regole ben stabilite che non sono cambiate da circa quarant'anni. Devono stare davanti e dare dimostrazioni di forza i corridori più in vista del momento ed il pubblico non ha dubbi, viene proprio per questo ed ama questo simulacro di competizione.
    Non è tutto combinato al cento per cento, ma le convenzioni vogliono che i due o tre leaders del gruppo si contendano la vittoria.
    Criterium di Camors nel 1982, poco prima del Giro d'Italia. Quell'anno Hinault, in cattivi rapporti con l'organizzatore, era assente ed io, recente vincitore dell'International mi trovavo, in qualche modo, in posizione di leader della Renault.
    Il campione di Francia si chiamava S. Beucherie che aveva la particolarità di aver "fatto l'ascensore" : passato pro, era ritornato amatore e poi di nuovo rimontato fra l'élite. Carriera strana dunque e sempre al limite. L'avevo conosciuto quando era dilettante ed era molto aperto, sorridente e parlava ai giovani senza reticenze e dava anche qualche buon consiglio, ma poi, dopo il titolo di campione di Francia, era completamente cambiato. Non soltanto non ci rivolgeva più la parola, ma mostrava, riguardo ai giovani, un atteggiamento che la diceva lunga sull'involucro zuccherato (a forma di popone) che portava al posto della testa ...
    In questo criterium, oltre a Beucherie, era iscritto anche Marc Gomez, recente vincitore della Milano-Sanremo e quindi si poteva considerare che fossero le due "vedette" del giorno, in tutti i casi nello spirito di Beucherie quel fatto era un'evidenza e pertanto è venuto da noi per dirci "senz'appello": "Voi della Renault starete dietro tutta la corsa."
    Dato che B.H. non c'era io non volevo creare difficoltà, ma Pascal, irritato per il comportamento di Beucherie, mi ha guardato ben bene negli occhi e "Tu hai vinto l'International e quindi meriti bene di stare davanti."
    Dopo trattative serrate , il comandante del giorno accettò finalmente che anch'io potessi piazzarmi fra i migliori ed arrivai sesto, il mio miglior piazzamento fino a quel giorno, ma era ingiusto.
    Alcune settimane più tardi ci ritrovammo in un altro criterium a Garancières-en-Beauce, proprio a casa di Beucherie, un luogo molto verdeggiante in piena campagna; c'era solo il problema che questo luogo si trova in Ile-de-France, cioè non lontano dalla mia residenza. Questa volta Hinault era ben presente e Beucherie è andato a trovarlo per dirgli che voleva vincere e il Tasso gli ha risposto di essere d'accordo. Io invece, intervenni, non sono d'accordo, questa volta sarò io a vincere. B. si arrabbiò molto, ma io ho aggiunto: " A Camors ci siamo accordati perché tu l'avevi chiesto, ma questa volta tu non potrai dettare la tua legge!"
    Non avevo niente da guadagnare da questo atteggiamento, ma era più forte di me, non amavo le cose ingiuste e pensavo che dovesse valere la regola "un po' per ciascuno". In quel momento ho visto il mio amico Bernard, sgonfiarsi totalmente, fuggendo il conflitto, perché ciò lo disturbava profondamente. E vedo ancora Beucherie, querulo, correre dietro Hinault, ma lui ormai si era tolto di mezzo, il che voleva dire darmi carta bianca. Beucherie era furioso e durante tutta la corsa cercava di negoziare a destra e a sinistra per convincere la maggior parte dei corridori a stare dalla sua parte. A un certo punto è venuto alla mia altezza per dirmi che sarebbe stato lui a vincere, perché ormai era stato deciso. Ma io replicai "No, tu non vincerai anche se io sono un neo-pro". Anche Jan Raas mi domandò spiegazioni, ma gli risposi che lui non c'entrava, era solo un affare fra due francesi.
    Così noi due abbiamo passato tanto tempo a scambiarci "amabilità" quanto a concentrarci sulla corsa ed alla fine ho precisato che prima di diventare campione di Francia lui non era stato granché e che stasera sarebbe ritornato ad essere quello di sempre.
    Hinault, Raas e gli altri hanno alla fine assistito quali spettatori, anche divertiti, alla fine del duello, che non fu veramente tale. Ci fu sì qualche attacco negli ultimi Km, ma io riuscii a controllare facilmente gli avvenimenti convinto com'ero che dovevo restare il maestro d'opera, era stata la mia scelta e dovevo assumermene la responsabilità. Non solamente ero più forte di lui ma, l'ò saputo dopo, che lui non era molto amato in gruppo e neppure troppo rispettato.
    Quando ho deciso, l'ò lasciato sul posto, tranquillamente, a un centinaio di metri dietro per vederlo mentre tentava di reagire e arrabbiarsi perché non riusciva a raggiungermi. Sono cosciente del lato umiliante di questa scena, ma in quel momento mi divertivo, giocavo con lui, giubilavo.
    Senza saperlo avevo corso comunque un grave rischio, perché avevo osato contestare una decisione di B.H. e per la storia quello fu uno dei pochi criterium che si corsero veramente: una rarità!
    L'aspetto positivo di questa "piccola storia" fu che essa venne raccontata nel gruppo e in tutte le squadre e la mia reputazione era ormai un fatto, non solamente ero un corridore che non lasciava fare, ma in più avevo anche dei mezzi di ritorsione. Ed a me stava bene che si ricordassero del mio nome e mi rendevo conto che tutto era andato oltre le mie speranze.
    Nel ciclismo le leggi che restano per lungo tempo sono quelle che nascono dai rapporti di forza ed è raro che un ordine nuovo possa sostituire quello vecchio, ma ogni tanto accade ed anche un leader deve dimostrare ai suoi compagni di squadra come e perché egli è giustamente tale. Anche a me, più tardi, sono occorse fierezza e capacità fisiche per resistere all' "insolenza" dei giovani e negli "stages" in montagna ho dovuto, talvolta, staccare i miei compagni per mostrare loro che ero bene al mio posto. E' una specie di voler "marcare il terreno".
    In ogni grande campione "sonnecchia" la cattiveria e la brutalità ed anche violenza e gusto per il dominio. I deboli devono sottomettersi e si soffre sovente "il martirio" fisico e psicologico e spesso si deve sottostare all'ingiustizia. Durante la Blois-Chaville, la prima classica alla quale partecipavo, l'ò provato duramente.
    In questa fine stagione, Hinault aveva fatto sapere che non era interessato e l'aggiunto di Guimard (B. Quilfen) ci ha chiesto chi voleva fare la corsa? Avevo subito risposto che a me andava bene di correre per vincere. Tutti avevano sorriso, ma con Julot noi conoscevamo quelle strade "par coer" (nota: espressione francese che significa un po' di più di "come le mie tasche"), perché era a casa nostra e i ventagli, che si producevano sovente, non ci facevano paura.
    Arrivati a Etampes alla fine di una "cote" spazzata dal vento, tutta la Raleigh si mise in un ventaglio che fu memorabile. C'è stato ua parapiglia generale, ci siamo spintonati, siamo quasi montati l'uno sull'altro ... poi tutto si è fermato. Talmente repentina è stata la differenza che Jan Raas in persona mi venne proprio addosso e perse l'equilibrio. Il mio riflesso è stato di spingerlo con la mano e lui è caduto, mentre io sono rimasto in sella e sono stato esattamente l'ultimo a reintegrare il gruppo di testa.
    Eravamo una dozzina per la vittoria e a 30 Km dall'arrivo, dopo la "cote" della Maddalena sono scattato con decisione e nessuno ha preso la mia ruota; sono riuscito a raggiungere fino a 45 secondi di vantaggio. A 15 Km il vento ritornava ad essere favorevole e pensavo che fosse quasi fatta, ma, alzandomi sui pedali, sono sbandato e caduto pesantemente, senza neppure accorgermi di quello che era successo. Uno choc terribile, l'asse della pedivella rotto, corsa persa. Ero depresso per la sfortuna, ero già caduto sia al Tour de l'Avenir che alla Paris-Bruxelles, ma questa volta era per ragioni tecniche, ma non solo: gli assi in titanio si erano dimostrati deboli già qualche settimana prima ed erano stati cambiati tutti, tranne il mio, perché ero partito in vacanza portandomi dietro la bici Laurent Fignon Muro.
    Quel giorno vinse il belga J.L. Vandenbroucke, ma tutti avevano visto di che cosa ero capace e non mi guardavano più nello stesso modo. Laurent Fignon Wink
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    Messaggio Da Lemond Mar Apr 15, 2014 8:54 am

    Nous étions jeunes et insouciants (XX)

    Testa dura


    "Caro mio, tu devi sempre allenarti e così non arriverai mai al fondo di te stesso". Mi rivedo ancora pronunciare queste parole, destinate a Bernard Hinault, ho detto bene a B.H. in persona.
    Eravamo in Italia all'inizio della stagione 1983 e il nostro Bretone era veramente in difficoltà, perché i suoi allenamenti invernali avevano, come al solito, "lasciato a desiderare". Così una sera a tavola, dopo che lui ci aveva trattato male, perché avevamo tirato troppo forte in una cronometro a squadre, non avevo resistito e gli ho detto quello che pensavo e quella frase un po' aggressiva uscì dalla mia bocca, senza peraltro nessuna premeditazione. Ci fu subito un "gran freddo" intorno alla tavola, ma poi ... accadde l'incredibile.
    Mentre tutti ci attendevamo una reazione violenta del quattro volte vincitore della "Grande Boucle", egli mise il naso nel piatto.
    Guimar mi ha raccontato molto tempo dopo che da quell'istante pensò che ci sarebbero stati molti problemi fra lui e me, ma invece non ce ne sono mai stati. Il destino si incaricò ben presto di separare le nostre strade, ma allora non lo sapevamo.
    E' difficile comprendere oggi quella mia audacia d'allora, perché alla Renault nessuno osava dire qualcosa a Hinault, perché litigare con lui era l'equivalente della morte sportiva, ma io non avevo fatto simili calcoli, non avevo pensato, prima di parlare, quali rischi corri? oppure voglio mostrargli chi sono io; avevo semplicemente detto quello che pensavo, cioè gli dicevo la verità come avrei fatto con P. Jules, al quale avevo sovente rimproveri da fare senza, naturalmente, rischiare nulla. Laurent Fignon Wink
    Hinault o no, io mi ero indirizzato ad un compagno, niente di più, niente di meno, non era la persona di Hinault al quale mi indirizzavo.
    Tuttavia, dentro la squadra, molti mi raccontarono in seguito che qualcosa era cambiato dopo quell'avvenimento. Fu quello che si può chiamare un "moment charnière" (momento topico), anche se lì per lì non me ero reso conto. Un momento che indirettamente simbolizzava, come un paradigma, le tensioni che potevamo sentire esistenti fra Guimard e Hinault. Come se la loro discordia si fosse impregnata in me e avesse finito per togliermi tutte le inibizioni. Come si mi fosse arrivato il diritto di affermare davanti a tutti e prima di tutto che Bernard non era più il dio intoccabile della squadra.
    Perché era vero: Cyrille e B.H. erano veramente "ai ferri corti". Io avevo voluto dimenticarmene, perché dovevo concentrarmi sul mio ciclismo, ma si vedeva bene che dietro le quinte accadeva qualcosa di inquietante fra i due "tenori" del ciclismo mondiale.
    Fino a questo incidente, ove restò muto, senza alcuna risposta, il Tasso si era irritato spesso, molto più che l'anno precedente. Guimard era sempre stato più o meno autoritario, ma Hinault, che si rivoltava sempre in maniera epidermica (non ragionata), riusciva a trasformare le provocazioni in forza e in nuove motivazioni. Quando era "spintonato" regiva con l'orgoglio e in generale faceva male agli altri. Ma i tempi cambiano e, da una parte, forse Hinault aveva fatto il pieno e non sopportava più i metodi di Guimard, dall'altra Cyrille si era forse convinto che il suo pupillo non avrebbe ritrovato più le capacità e la voglia dei vent'anni e che era meglio per lui anticipare il futuro ...
    Questa discordia palpabile si attenuò durante il Giro di Spagna del 1983, dove Hinault partiva come gran favorito. Non aveva ancora avvertito nessun fastidio al ginocchio, ma le relazioni fra noi presero una svolta inattesa. Nel corso della IV tappa, allorché ero rimasto fino allora nel mio stretto ruolo di "protettore", ho visto lo spagnolo Antonio Coll andare in fuga. Che fare? Gli sono andato dietro, però alla mia ruota c'era Marino Lejarreta, uno dei principali avversari per la vittoria finale. Il plotone non riusci a raggiungerci ed arrivò a 17 secondi e B.H. non era contento, proprio per niente e subito dopo passata la linea, l'ò sentito urlare nonostante avessi vinto la tappa.
    Compagno fedele, non avevo certo partecipato al buon esito della fuga, al contrario avevo fatto il possibile per rompere i cambi e mi ero impegnato soltanto negli ultimi metri per vincere, che c'era di rimproverarmi? Devo confessare che non ho risposto ai rimbrotti, il che prova che non mi sentivo a mio agio, anche se, ancora oggi, egli può/deve ammettere di non aver conosciuto molti compagni di squadra così leali come il sottoscritto. Ma neppure lui era tranquillo evidentemente, per comportarsi così. Quando ci si chiama Hinault ci si dovrebbe piuttosto congratulare con un compagno che aveva vinto una bella tappa e non fare troppa attenzione a quei miseri 17 secondi.
    Ma non era sereno in quella Vuelta e si vedeva bene. Nelle prime tappe di montagna si comportava in maniera insolita ed avevo l'impressione che non avesse la consueta potenza ed io ero ben piazzato per accorgermene, perché ero uno dei pochi ad essere *sempre* alla sua ruota dopo l'episodio della IV tappa.
    Tutti, credo, hanno dimenticato quegli anni, la Spagna era uscita da poco dal Franchismo e si era ancora quasi nel "terzo mondo" e quelli che ci sono andati sanno che dico la verità. Per noi corridori le condizioni di accoglienza si rivelarono piuttosto complicate, talvolta al limite. I ciclisti prof di oggi non si possono immaginare quello che poteva essere un albergo in Spagna nel 1983, o ancora meglio nelle Asturie o nei Pirenei ... Si mangiava male e talvolta non avevamo l'acqua calda. Il morale non era al meglio, poi un giorno ho appreso una notizia inquietante: Hinault soffriva ad un ginocchio, al punto di volersi ritirare. Non c'era nulla di ufficiale, ma eravamo comunque tutti ...
    Aveva perso dei secondi all'alto de Penticosa nei confronti di Lejarreta, Fernandez e Gorospe e la vittoria finale sembrava allontanarsi. Ma il nostro Hinault stringeva i denti, trascurando il dolore che gli arrivava fino alle ossa, e cercava ogni giorno di raschiare il barile fino in fondo. Vederlo patire e sopportare in quel modo, perché si vedeva bene quando gli si era accanto, spingeva tutti al rispetto ed il mio lo aveva in particolar modo.
    Non restava che una sola grande tappa di montagna per cercare di dare una spallata alla classifica consolidata fino a quel momento: Salamanca-Avila. C. Guimard mise a punto una strategia, un vero e proprio "trappolone" e certi hanno parlato (dopo) di un capolavoro tattico.
    Dovevamo scalare tre colli, fra i quali c'erano le difficili rampe del Serranillos. Gorospe era leader e Guimard mi aveva scelto per essere l'ultima rampa di lancio per mandare Bernard in orbita, verso la conquista della maglia, ero dunque uno degli attori privilegiati di un piano leggendario. Laurent Fignon Wink
    Nelle prime rampe del Serranillos dovevo cominciare a tirare a fondo, ma assolutamente a fondo ed, essendo la cosa semplice, mi sono gettato sulla salita "a corpo morto": gran "plateau" ( nota: mi pare meglio che moltiplica) per 5 o 6 Km. Hinault era alla mia ruota e là si giocava la Vuelta ed anche l'ultimo atto di una tragedia sportiva. Lejarreta andò subito in difficoltà, ma Gorospe restava attaccato, però, piano piano, anche lui subiva il ritmo imposto, troppo elevato e l'ò visto andare veramente "in rosso". L'istante fatidico era venuto ed io avrei visto proprio da molto vicino, in prima classe, quello di cui era capace questo Bretone ... Ed ho ben notato la firma del capolavoro, quando Hinault dette il colpo mortale. Ebbi l'impressione che si fosse dimenticato di tutto: il dolore, la ferita che peggiorava ogni giorno, i suoi avversari ed anche tutti i suoi dubbi. Restava soltanto un uomo liberato attraverso la profondità del suo saper essere se stesso, così orgoglioso e vincente e con lui " l'insolenza di un campione d'eccezione" diventava un'espressione sublimata.
    Hinault è partito solo, con Belda alla ruota, un "raid" epico e irreale di 80 Km. Avevamo rivoluzionato la Vuelta e liberato i nostri animi. Laurent Fignon Wink
    L'allegria durò, però, poco, perché le cattive notizie si confermarono ben presto: Hinault era gravemente ferito al ginocchio e intorno a Guimard si diceva "E' andato!" Ma che cos'era "andato"? La stagione, la carriera? Avevamo l'ordine di tacere e durante le settimane seguenti ci fu un gioco ridicolo "del gatto e del topo" con i giornalisti ai quali ciascuno di noi raccontava quello che gli passava per la mente, a caso. Guimard "faceva lo struzzo", Hinault "l'idiota" e fra loro non si parlavano più. E noi assistevamo a quello spettacolo insolito, senza poter partecipare. Un giorno mi dicono :" Il tendine è "andato" dovrà operarsi" in quel momento prendevo coscienza che sarebbe stato assente dal Tour e ...
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    Messaggio Da Lemond Mer Apr 16, 2014 9:27 am

    Nous étions jeunes et insouciants (XXI)

    Il più bel fiore del ciclismo

    L'emozione, la ricerca del meraviglioso, salire un gradino verso la leggenda ...
    Sono sempre stato restio verso il senso popolare comune, ma ho sempre trovato strano che possano esistere degli uomini ai quali non piaccia la popolarità e che questi "begli spiriti" non ammettano che una grande moltitudine si riunisca lungo le strade per seguire la più bella prova del mondo.
    Quando arriva luglio, ciascun anno, un evento offre alla Francia la sua celebrazione e questo evento ha un nome che ciascuno conosce. Laurent Fignon Wink
    Nel 1983 ero impaziente di scoprirlo, anche se, dentro di me, non mi fissavo certo l'obiettivo di vincerlo.
    Nella Renault, dominava una grande incertezza, per non dire di più. B. Hinault al riposo forzato, era la prima volta dal 1978 che la Régie si lanciava nella "Grande boucle" senza il leader incontestato, senza la sicurezza quindi di poter lottare per la vittoria.
    Io mi dicevo prima di tutto che dovevo imparare e che la prima partecipazione mi avrebbe portato abbastanza esperienza per l'avvenire.
    Il mio obiettivo? Qualcosa che mi pareva ragionevole: vincere una tappa, cercare di conquistare la maglia bianca e finire fra i primi dieci nella classifica generale. La Vuelta mi aveva confortato nelle mie convinzioni: benché giovane, non avevo nulla da invidiare a Van Impe, Van der Velde, Winnen, Agostinho e neppure ad uno Zoetemelk che ormai era in via ... Perché questi erano i favoriti stranieri. Ed anche nei confronti di Pascal Simon, leader della Peugeot, che aveva vinto al Delfinato non mi sentivo troppo inferiore (P. Simon è stato poi declassato, per un controllo positivo in tale corsa).
    Durante la settimana che precedeva il Tour, C. Guimard ci aveva molto parlato sul come ci avrebbe protetto, e cercato di far aumentare le nostre convinzioni positive con i migliori consigli possibili. Senza dubbio aveva paura di una reazione psicologica collettiva, contraria al ruolo che la nostra squadra aveva giocato fino allora. Nei suoi pensieri M.Madiot ed io eravamo, più o meno, i leader, o almeno i corridori protetti. Al nostro fianco c'erano, prima di tutto Jules e poi Becaas, Berard, Chevallier, Gaigne, Poisson, Vigneron, Didier. Rammento una frase di Cyrille." Dimentica la Vuelta, il Tour è dieci volte più complicato da gestire, la difficoltà del percorso, il ritmo, la pressione, tutto è moltiplicato."
    Centoquaranta corridori erano al via e il prologo si svolse quasi al mio domicilio, a Fontanay-sous-Bois e non posso dire di essere stato normale, tutt'altro. Ero teso, emozionato, mi sentivo, paradossalmente, troppo vicino a casa mia, l'aria era troppo familiare e non avevo l'abitudine di essere troppo sollecitato e circondato da così tante attenzioni. Farmi male alle gambe, assumere il mio ruolo di compagno di squadra lo sapevo fare, ma interpretare una parte diversa e soprattutto farmela entrare dentro, mi pareva molto più complicato. Ecco perché non mi facevo alcuna illusione spropositata e il mio cattivo risultato nel prologo non aveva niente di illogico.
    Anche se io mi ero portato fra i miei bagagli alcuni libri di Robert Merle, non ci si deve dimenticare che avevo solo 22 anni ...
    Nessun giornalista immaginava allora che Renault potesse vincere il Tour e quando arrivò la prima cronometro a squadre (di 100 Km), il nostro quarto posto fu considerato un buon risultato, data l'assenza del nostro massimo passista. Ma io in quella gara avevo rischiato grosso, perché molto presto, dopo una ventina di km, mi sentivo vuoto. Una vera "fringale" che poteva compromettere tutto in pochi minuti. E restavano ancora 80 km! Guimard fece rallentare la squadra e nonostante che io avessi già mangiato tutto quello che potevo, non c'era stato nessun effetto. Per fortuna B. Becaas venne in mio soccorso e mi dette tutto quanto di commestibile avesse e, dopo ciò, pian piano sentii rivenire le forze. Ma questa disavventura poteva costarmi molto più caro e io devo soltanto la mia sopravvivenza sportiva a quanto restava nella "musette" di Bernard Becaas !!! Egli pagò per me, perché poco dopo fu lui vittima della fame, per mia colpa, e non poté seguire il nostro ritmo e lasciato inesorabilmente, ma io non dimenticherò mai il suo gesto ...
    Che era successo? La spiegazione era semplice, ma potevano aversi conseguenze terribili. A quell'epoca, prima di una prova così esigente come una cronosquadre, noi prendevamo delle razioni di attesa composte essenzialmente di glucosio. Il mio organismo non lo sopportava e provocava nell'ora seguente uno scarico d'insulina per bruciare l'eccedenza di zucchero nel sangue e quindi ero diventato ipoglicemico. Impossibile il rimedio! Ma non era tutto finito lì, perché la terza tappa (Valenciennes-Roubaix) mi lasciò, proprio al riguardo, un ricordo incancellabile. Dovevamo attraversare qualche settore in "pavé" ed io scoprivo "in miniatura" una parte dell'inferno del Nord, senza peraltro sapere come affrontarlo. Nessuno mi aveva detto una cosa semplice: non bisogna mai stringere il manubrio con tutte le proprie forze, mentre ho invece fatto proprio questo, per paura di cascare o di scivolare, mentre (ora lo so) la stabilità non proviene evidentemente dalla fermezza con cui si stringe il manubrio, bensì dall'equilibrio generale collegato ad una elasticità naturale ...
    Ero tuttavia in buona forma ed avevo passato la giornata quasi sempre in testa senza troppe difficoltà, ma dopo la tappa, togliendomi i guanti, ebbi una brutta sorpresa: avevo enormi piaghe alle mani, dovute al pavé e non potevo più chiuderle a pugno.
    Il giorno dopo sarebbe stato l'orrore totale, 300 Km in programma con settori in pavé, per finire a Le Havre. Ho sofferto il martirio, non potendo chiudere le dita e potevo appena posare le mani sul manubrio e il mio "calvario" non finì lì.
    La vigilia della crono individuale, vai a sapere perché, mi è venuto una congiuntivite piuttosto seria e così tenace, che non vedevo più niente da un occhio. L'assistenza medica d'urgenza non era quella di oggi e se non fosse stato il Tour, avrei abbandonato di sicuro ed in ogni modo non potei proprio vedere il mio compagno D. Gaigne attaccare a 6 Km. dall'arrivo e vincere la tappa. Questo comunque andava al di là delle nostre speranze ed una bella occasione per improvvisare una piccola festa in albergo.
    Quando arrivò la prima cronometro individuale di 60 Km, una distanza che per me era nuova, la mia angoscia era palpabile. Risultato: 16° a più di 3 minuti dall'olandese B. Oosterbosch, ma a meno di 2 minuti da Sean Kelly ad esempio, il che, visto il contesto, mi fece rialzare il morale. E riflettendoci la tappa era stata piuttosto rassicurante, durante tre quarti del percorso in nessun momento avevo forzato e, non avendo alcun riferimento in questo tipo di crono, non avevo preso nessun rischio. Solo negli ultimi 15 Km mi sono deciso a spingere finché potevo e mi sono accorto che avevo parecchie energie ancora da sfruttare. Ed un'altra buona notizia: avevo finito la tappa senza rimanere per niente "asfissiato".
    L'entusiasmo però fu di corta durata, perché il giorno dopo, verso l'ile d'Oleron, mi accadde una cosa stranissima per la quale non ho mai trovato una spiegazione: le mani andavano bene, gli occhi stavano guarendo, ma le mie gambe erano vuote, ero incapace di alzare il ritmo.
    In tutto il giorno ho rischiato ad ogni più piccolo ventaglio, alla minima accelerazione, perché sentivo che se si fosse prodotto qualcosa di importante, mi sarebbe stato fatale. Le circostanze di corsa decisero al mio posto, perché fu solo un treno sostenuto, ma abbastanza regolare. Inghiottito al centro del gruppo sono arrivato in fondo, pur avendo lo stomaco nei piedi e le gambe di cartapesta. Avevo un'altra volta sfiorato il precipizio. Ciclismo, maestro ingrato, talvolta così vicino e tal altra così lontano ...
    La grande tappa Pau-Luchon che aveva in sé l'Aubisque, il Tourmalet, l'Aspin e il Peyresourde mi portò delle buone conferme. Guimard mi aveva ben consigliato di non tentare di restare con i migliori fino all'ultimo nei vari colli: "I colombiani accelereranno per i punti del GPM e tu non potrai rispondere, ma non importa, niente panico, perché li riprenderai in discesa. Ma tenta di approfittare di una fuga che, quasi di sicuro, ci sarà nella vallata." Ho scrupolosamente seguito queste predizioni, inserendomi nella grande fuga del giorno, formatasi fra l'Aubisque e il Tourmalet e li mi sono accorto che nessuna prudenza era stata superflua. Sono restato a lungo con P.Jimenez, R.Millar e J. Michaud, ma fra l'Aspin e il Peyresourde ho avvertito una piccola crisi e non ho voluto andare in rosso. Fu in quel momento preciso, mentre stavo gestendo la mia sofferenza, che P. Simon mi passò accanto senza neppure guardarmi. La sera tutte le carte erano state mischiate e lui ha indossato la maglia gialla, mentre io mi ritrovavo secondo a 4 e 30 e con la maglia bianca sulle spalle. Era, allo stesso tempo, molto e poco. Molto, perché Simon era di sicuro in una grande annata, poco, perché la Peugeot non era una squadra capace di poter dominare e domare la corsa come aveva potuto farlo prima la Renault con Hinault. Guimard era, d'altra parte, molto soddisfatto del mio comportamento: ero stato temerario e non avevo commesso nessun errore.
    Il ciclismo provoca il destino ed il destino purtroppo per Simon, andava crudelmente a malmenare il ciclismo. Fra Luchon e Fleurance, all'inizio della tappa, la maglia gialla si ritrovò a terra. Una caduta ridicola, come accade spesso, ma questa provocò un piccola frattura all'omero. Il giorno dopo Cyrille, più prudente di sempre, mi ordinò di restare nascosto e mi spiegò anche il perché: "Se è grave come si dice, la maglia ti cascherà addosso presto o tardi ed allora dovrai fare molti sforzi e quindi preservati per quel momento."
    Da quel giorno, dentro di me, ebbi la convinzione che avrei vinto il Tour ed era talmente evidente per me che andai subito a parlarne con Pascal, avevo bisogni di confessarlo almeno a lui.
    Il Tour ha proseguito la sua strada con un P. Simon sempre presente ed attirava su di sé tutte le attenzioni e tutti i "flashes" e ciò mi conveniva perfettamente e in quei giorni io mi concentravo su Delgado, Van Impe, Arroyo e Winnen che avevano ancora l'illusione di poter essere maestri del gioco.
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    Messaggio Da Lemond Gio Apr 17, 2014 7:54 am

    Nous étions jeunes et insouciants (XXII)


    I fari dei media e la passione popolare erano puntati su P. Simon che ogni giorno riusciva a rimandare la scadenza, tuttavia inevitabile, del suo ritiro ed era riuscito a resistere, per qualche secondo, anche alla crono sulle rampe del Puy de Dome, dove gli spagnoli mi avevano dominato e si erano ripiazzati in classifica in maniera pericolosa. Non solo dovevo prepararmi a ricevere, dopo poco, tutte le attenzioni ed a rispondere agli attacchi degli scalatori, ma ultimo e non inferiore agli altri, dovevo convincere tutti i miei compagni di squadra che potevo essere all'altezza dell'immenso compito che mi attendeva. Da qualche giorno i loro sguardi su di me erano cambiati e li vedevo puntare sulla mia credibilità. Julot, fra tutti, era il conforto più prezioso, il primo sempre pronto a spalleggiarmi. Solo Guimard, nella posizione inattesa dell'ultra prudente, rifiutava di ammettere che ero il leader unico e che tutti gli altri dovevano mettersi risolutamente al mio servizio. In effetti, come se volesse puntare su due cavalli nello stesso tempo, continuava a proteggere anche Marc Madiot. Ciò mi faceva arrabbiare, forse lui però pensava che io potessi perdere tutto nell'ultima settimana e, perché no, all'Alpe d'Huez o forse era solo un gioco per innervosirmi e costringermi ad andare a cercare, al di là di me, una ispirazione nuova e una combattività insospettabile. Capii dopo poco, a mie spese, che Cyrille ha dentro di sé un carattere particolare: è incapace di dire veramente quello che pensa, anche a quelli che gli sono più vicini. Egli elucubra sempre, calcola, dice qualcosa ad uno e poi dà una versione differente a un altro. Guimard è un adepto del mezzo-segreto, un maestro delle mezze-parole ed io, allora, non avevo ancora conosciuto quest'uomo da questo punto di vista. Una sera mi era venuto talmente a noia vedere Guimar considerarmi così poco da non ammettere che io potevo vincere il Tour, che volevo sparecchiare la tavola! Pascal per fortuna ha fatto ciò che occorreva per calmarmi e convincermi ad evitare una decisione irreparabile. Abbandonare il Tour con "un colpo di testa" mi era parso davvero una cosa fattibile e, se ci ripenso, capisco che ciò la dice lunga sulla mia incoscienza di allora.
    Ed eccoci alla tappa fra Tour-du-Pin e l'Alpe d'Huez, al Km 92 io divento il leader del Tour, perché Pascal, ormai senza più forze ed in lacrime, è costretto ad abbandonare un combattimento divenuto impossibile. Ero preparato mentalmente, ma ho commesso immediatamente un errore: nella discesa del col del Glandon ho lasciato partire Winnen e l'olandese mi aveva ripreso 2 minuti; in ogni modo l'indomani portavo la maglia con 1 e 08 di vantaggio su Delgado. La XVIII tappa, di 247 Km attraverso i colli del Glandon (di nuovo), della Madeleine, Aravis, Colombière e Joux-Plane era "dantesca" e per me un vero test. Sentivo sulle mie spalle un peso nuovo, un onore raro, una responsabilità che rimontava all'inizio del ciclismo, come se alla fine avessi preso il testimone da tutti quelli che mi avevano preceduto. Il pericolo era sempre in agguato e la prima prova fu Winnen che cominciò le sue grandi manovre prima sulla Madeleine e poi nella Colombière, accompagnato da una dozzina di occasionali alleati, fra cui Arroyo, Roche, Michaud e Millar. Avevano preso 4 minuti di vantaggio, mentre Delgado si era staccato da me. Quel passivo mi fece entrare comunque nel panico. Guimard mi disse: "Calmati, Laurent, vai tranquillo, respira, va tutto bene ..." Marc Madiot e Alain Vigneron mi aiutarono parecchio, ma entrambi non ne potevano più prima di arrivare in cima alla Colombière ed io dovetti mettermi a tirare da solo. Lo svantaggio diminuiva, ma restava ancora quel maledetto Joux-Plane, le cui percentuali non mi sono mai piaciute. In più mi sono ritrovato solo: l'orrore. Come esprimere quello che sentivo? Stavo vivendo nei minimi dettagli questo periodo di equilibrio instabile, dove gli avvenimenti possono spingere nel vuoto il tuo destino e rinviarmi da dove venivo, come se nulla si fosse prodotto di nuovo! Io non volevo essere vittima di questo fato, ma ero all'agonia, credetemi, nonostante la maglia gialla. A questo proposito, il simbolo del primato mi ha aiutato o, al contrario, paralizzato? Non lo so, però mi sono messo a pedalare come un dannato ed alla fine sono riuscito nei miei intenti, perché, seppure con le ultime energie, ho raggiunto Winnen: l'essenziale era stato fatto. Dopo una grande paura, il mio Tour si era comunque ingradito di una specie di impresa. Tanto più che il giorno dopo, nella cronometro in "cote" di 15 Km fra Morzine ed Avoriaz riuscii a limitare i danni, nonostante la scrasa predilezione per questo tipo di disciplina, riservata agli scalatori puri. Arrivando 10°, preservavo più di 2 minuti di vantaggio su Winnen e quindi non c'era da preoccuparsi. Guimard la vedeva in modo diverso e durante la tappa di transizione verso Dijon, ebbe l'idea di chiedermi di andare a prendere tutti gli abbuoni che potevo. Dovevo, con la maglia addosso, partecipare a tutti gli sprint? Però capivo l'ansia di Cyrille e quindi obbedii, seppure a malincuore. E gli osservatori, un po' stupiti, mi hanno visto combattere con Kelly, che mi ha regolarmente anticipato, ma in tutto l'affare ho comunque guadagnato una trentina di secondi ... Un bene prezioso, pensava il boss, prima dell'ultima cronometro sul circuito di Dijon-Prenois.
    In quei giorni alcuni commentatori cominciavano a parlare di un Tour a la Walko(wiak), dal nome del vincitore nel 1956 che aveva beneficiato di una "fuga bidone". Io non ero contento di questi titoli, ma restavo calmo e, d'altra parte fino allora non avevo mostrato niente di straordinario, salvo il mio valore nascente, che stava crescendo in maniera rapida.
    Prima della crono C.G. mi aveva detto: "Tu farai esattamente quello che ti dico, parti tranquillo, dopo si vedrà ..." Oggi mi rammento bene, la memoria non mi tradisce: sulla lampa di lancio, qualche secondo prima, avevo la certezza di vincere, non la crono, ma il Tour.
    Nei primi Km Guimard venne di continuo al mio fianco e non smettava di gridare di andare piano, tu sei in testa! Ho saputo dopo che mi mentiva, perché all'inizio della tappa perdevo qualche secondo, in ogni modo lo ascoltavo e mantenevo delle riserve. Arrivato a metà corsa, in una piccola asperità, mi ha urlato: "Vai Laurent, puoi togliere ogni catena!" Ed io ho lasciato andare tutti i cavalli! In tutti i tempi di passaggio ero in testa, ma non lo sapevo, perché Guimard non mi diceva più niente, a parte qualche incoraggiamento, ma avevo capito che tutto andava bene per la classifica generale. Così, quando ho superato la linea d'arrivo, ho alzato le braccia, anche se non sapevo di aver vinto la crono, ero ben cosciente invece di aver vinto il Tour. Nessuno, fino a quel momento, aveva alzato le braccia durante una cronometro e nessuno mi ha creduto, ma era comunque la verità: non sapevo assolutamente di aver vinto quella tappa, la mia prima al Tour.
    Ciò che accadde quella sera a Dijon resta un mistero, perché non ne ho alcuna memoria. Occorre che rivada a leggere gli articoli di allora per ricordarmi che sono andato alla televisione (brevemente) e che mi avevano dato una coppa di champagne prima di andare a letto. Niente altro. Dipoi ho dovuto leggere (molto tempo dopo) le parole del grande giornalista P. Chany, nell' "Année du Cyclisme" per capire perché più nessuno osasse più parlare di "Tour alla Walko". Chany scriveva infatti: "Fignon ha incorniciato la sua giusta vittoria sull'insieme del Tour con una dimostrazione tale da distruggere tutti i tentativi di minimizzare. Un prova mediocre nell'ultimo test cronometrato avrebbe rianimato ricordi ancora freschi (la rinuncia di Hinault, la caduta di Simon) e rinvigorito le tentazioni di confrontare i diversi casi e, naturalmente, l'immagine di Lauren Fignon ne avrebbe sofferto. Invece ha saputo gestire il problema con una autorità che prova il perfetto equilibrio del corpo e della mente e si è affermato non come un vincitore di circostanza, ma come il migliore di tutti i presenti e neppure gli assenti possono essere sicuri che avrebbero potuto arrivare al suo livello."
    Ecco qua, è scritto e firmato da un'autorità morale indiscutibile nel ciclismo. Ed io, dunque, ero riuscito a cogliere il più bel fiore del ciclismo mondiale ed esso aveva un odore così dolce che lo potevo paragonare ad una rosa senza spine. Privilegio raro, come Coppi, Anquetil, Merckx o Hinault al mio primo tentativo. I miei obiettivi personali, fissati prima della partenza, erano stati onorati ed infatti portavo a Parigi la maglia bianca, avevo vinto una tappa e finivo nei primi dieci in classifica Laurent Fignon Bigsmile
    Spinto dall'ardore della mia giovinezza, avevo, in più, illuminato la mia persona di un lucore meraviglioso che, forse, mi avrebbe permesso di entrare nella leggenda. Che emozione Laurent Fignon Wink

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