Nato a Thun Saint Amand (Fra) il 21 maggio 1932, deceduto a Lille il 22 luglio ‘07. Di origine polacca, il suo vero cognome era Stablewski. Fu naturalizzato francese nel 1948. Professionista dal 1952 al 1968 con 116 vittorie.
Stilisticamente non eccellente, anzi dalla pedalata poco armoniosa, ma efficace ed adattabile ad ogni variabile del ciclismo. Una completezza che, pur senza presentare singole punte di nota, ha consentito a Jean di costruire, mattone su mattone, una carriera luminosa. Tenace e coraggioso, con la paura della fame ben stampata sulle tempie, derivata dalle sue umilissime origini, ha sempre saputo svolgere il suo mestiere con l’ottica giusta: da gregario, da spalla, ed anche da capitano, ruolo per altro che lo ha visto ben poco presente, almeno sulla carta.
Sì, Stablinski è stato un signor corridore, uno che ha aperto le porte alle riflessioni e agli spunti di chi ha il dovere, ed il piacere, di raccontare le pagine del grande romanzo del pedale. Un uomo che ha saputo sempre superare le difficoltà con la concentrazione di chi l’alternativa la vuole scansare, per farla sua nei momenti più idonei e obbligati. Un esempio che va speso, perché lo sport, ed il ciclismo in particolare, sono uno specchio fedele per chi intende chiarire, con l’empirismo, i contorni dei tratti che la vita ci impone. La sua longevità e quella crescita costante che l’han fatto corridore di vertice in età matura, sono il frutto di queste sue facoltà interiori, di questo ragionare e ragionarsi interno, di una costruzione che dimostra quanto la mente conti almeno quanto le gambe nella carriera di uno sportivo.
Una mente che va studiata e letta senza stereotipi o dogmi, perché ogni caso è diverso dall’altro, ma col denominatore comune, di un’importanza peculiare e decisiva per le risultanze.
Polacco di origine, e per questo motivo ereditò ben presto l’appellativo di “Le Polac”, Jean giunse ad assumere la cittadinanza francese a soli 16 anni, cambiando il suo vero cognome, Stablewski, nel più locale Stablinski, al fine di correre in bicicletta e poter partecipare ai “Primi passi Dunlop”. Di lì l’ascesa. Da dilettante prima, e da indipendente poi, si segnalò col terzo posto alla Corsa della Pace e nel Giro del Belgio del '52, fino a diventare, quando già lo status di professionista era di suo possesso, campione francese militare nel 1953. Durante quella stagione si segnalò pure per le vittorie di tappa nel Tour della Manica e nel Tour dell’Ovest. Tanti piazzamenti ed una bella vittoria nella Parigi Bourges, segnarono il suo 1954. L’anno seguente la sua tangibilità raggiunse un buon grado, grazie alle sei vittorie, fra le quali l’importante Parigi Valenciennes e si confermò nel 1956 col medesimo ruolino numerico, nonché la conquista della sua prima corsa a tappe: il Tour delle Province del Sud-Est. Il 1957, significò per Jean il raggiungimento dei vertici. Dodici vittorie, fra le quali il Tour de l’Oise, il GP di Fourmies e, soprattutto la vittoria in solitudine, con più di dodici minuti sul secondo, nella Cannes Marsiglia, dodicesima tappa del Tour de France. Selezionato per la squadra nazionale, fu proprio in quella edizione della Grande Boucle, che nacque l’amicizia col vincitore Jacques Anquetil. Le loro carriere, si unirono con la militanza nello stesso club, l’anno seguente. L’adattabilità di Stablinski alle corse a tappe, trovò, nel 1958, la sua massima espressione, con la vittoria nella Vuelta di Spagna, dove piegò la resistenza di Fornara, Manzaneque e non si fece intimorire dagli attacchi di Bahamontes in montagna. Jean fece sue anche un paio di frazioni. Con quel successo alle spalle, “Le Polac”, detto pure “Stab”, andò incontro, col 1959, alla sua stagione più grigia: solo quattro vittorie minori, pochi piazzamenti e tanti malanni. Strinse i denti e nel 1960, tornò a ruggire, vincendo il Campionato Francese su strada, il GP d’Orchiers, la Genova Nizza, la quindicesima tappa del Giro d’Italia, vinto dall’amico Anquetil. Pur impegnato con sempre maggiori responsabilità a spalleggiare Jacques, anche il 1961 fu un anno positivo per Jean: nove successi, fra i quali la Belfort–Chalons sur Saone, settima tappa del Tour de France.
Ma sarà il 1962, l’anno d’oro di Stablinski, il quale, dopo aver vinto per la seconda volta il Campionato Francese, a Salò, sullo stupendo scenario del Lago di Garda, al termine di una fuga solitaria di 20 chilometri, con un vantaggio di 1’22” sull'irlandese Seamus Elliot, si laureò Campione del Mondo. Fra le dieci vittorie della stagione, anche una tappa della Vuelta e una del Tour. In maglia iridata vinse, nel ’63, la Parigi Bruxelles e, nuovamente, il Campionato Nazionale Francese. Buonissima pure la stagione ’64, grazie alla conferma del Titolo Francese e per il successo in una tappa della Grande Boucle che regalò la doppietta Giro-Tour all’amico Anquetil.
Per numeri e qualità il suo 1965, quando già le primavere erano 33, è da considerarsi di primario livello: una ventina di successi, fra i quali l’Henninger Turm, il Giro del Belgio, la Parigi Lussemburgo, il Tour de Picardie, il GP du Canton d’Argovie e il Trofeo Baracchi (in coppia con “Monsieur Chrono”), nonché una serie di grandi piazzamenti a cominciare dal secondo posto nella Bordeaux-Parigi, per finire al terzo nel Giro di Lombardia. L'Amstel Gold Race fu la perla del suo 1966, dove vinse fra le altre corse anche il GP Isbergues e una tappa del Giro di Sardegna.
L’anno seguente, ancora perfettamente in sella, nonostante le trentacinque primavere, fu nuovamente autore di un’ottima stagione, dove, fra gli altri centri, fu capace di vincere la tappa Reggio Calabria-Cosenza al Giro d’Italia e la Bordeaux-Limoges al Tour, ambedue, come quasi sempre, in perfetta solitudine. Quello che poi si dimostrerà più un malinteso, piuttosto che un liti-gio con Anquetil, lo spinse a rompere con Jacques e Geminiani e la stagione 1968, la sua ultima, la passò nella Mercier di Raymond Poulidor. Nell’anno, solo un paio di vittorie. Il suo “canto del cigno”, il 16 aprile nel GP de Denain, nel nord della Francia vicino a Valenciennes e alla natia Thun Saint Amand, dove aveva aperto le ali al suo romanzo. Anche il figlio Jacques, classe ‘56, provò a ripetere le gesta del padre. Dopo aver vinto, nel ‘75, fra i dilettanti, il Titolo Francese su strada, passò fra i professionisti le stagioni ’79 e ’80, ma non brillò. Il 22 luglio del 2007, un male incurabile, spinse il grande Jean, a pedalare nei cieli dell’indimenticabile.
Maurizio Ricci detto Morris