Da Morris l'originale Mer Mar 25, 2015 2:23 pm
La Dwars door Vlaanderen che si corre oggi, 70esima edizione, merita pienamente la classificazione di Hors Categorie: per storia, contenuti e, conseguentemente, attualità. È una prova crogiolo del lungo e originale percorso del Belgio: della sua incredibile passione verso il pedale, che ha eletto queste terre a templi di religione ciclistica, nonché delle metamorfosi delle diversità delle due grandi anime culturali, economiche e geografiche che compongono la nazione belga, ovvero la vallona e la fiamminga. Una manifestazione che ha percorso il suo itinerario, senza mai perdere valore sul piano prettamente tecnico, mantenendone il richiamo anche quando, perdendo progressivamente la parte di vocazione vallone, è passata da prova a tappe a corsa di un giorno. Già, perché dal 1945 al 1964, questa gara, che si chiamava Dwars door Belgie (“À travers la Belgique”, in francese) si correva su due tappe, sovente con una di queste, la seconda, divisa su due semitappe, con percorsi che univano la Vallonia e le Fiandre, almeno due volte su tre. Solo nel 1947, la manifestazione si consumò in un’unica giornata, ma fu più per quella serie di casualità, che i tempi del primissimo dopoguerra potevano pur sempre favorire, che per una scelta organizzativa intenzionale. E poi, va considerato che, dal 1947 al 1949, i medesimi organizzatori, proponevano anche una versione, sempre a tappe, della Dwars door Belgie, riservata agli Indipendenti. La saldatura fra Vallonia e Fiandre, che aveva negli anni trovato tempio nelle tappe di andata e di ritorno fra Waregem (cuore storico di questa corsa) e Ciney (nella provincia di Namur), iniziò a incrinarsi (come del resto anche la vita quotidiana della nazione) a metà degli anni sessanta. La conversione della manifestazione, nel 1965, in prova di un giorno, fu una conseguenza della crescente difficoltà di coinvolgere l’anima vallone nel progetto. Disimpegno che continuò fino a produrre, nel 1999, un cambio di nome alla manifestazione, che divenne Dwars door Vlaanderen. In realtà si trattava dell’ufficializzazione di contenuti, che la scelta dei percorsi solo fiamminghi, aveva annunciato già lustri prima.
La morfologia dei percorsi di gara, in tutti questi settanta anni (nel 1971 la corsa non si disputò) e andata a modificarsi in sincronia col mutato impegno delle due anime ispiratrici, e così, da percorsi che sviluppavano coreografie miste fra le Ardenne valloni coi muri su fondi asfaltati e quelli fiamminghi in pavé, si è andati progressivamente ed unicamente verso questi ultimi. Oggi, fra i 12 muri della Dwars door Vlaanderen, troviamo autentici templi, ad esempio, dell’attualità e del recente passato della storia del Giro delle Fiandre, nonché quel clima da corsa atta a far capire che qua il Qatar non si sarà mai e che i dollari non potranno mai prendere il posto di una religione. Aspetti che, mi si permetta, dovrebbero essere urlati nei timpani, a mo’ di “benefica tortura”, agli attuali anglosassoni dell’UCI, nonché, come forma di esempio-preghiera, a quei produttori di nulla, o di rimpianti sul “che fu”, della FCI.
La Dwars door Vlaanderen, è propagandata nelle tempie fiamminghe, è occasione di festa indipendentemente dal freddo, dalla pioggia, dalla polvere e dal Sole claudicante. È un incenso che vaga sugli orizzonti come la benedizione del sacerdote chiamato ciclismo. È così grande da inchinarsi, ma è solo un’ancella della Ronde van Vlaanderen.
Morris
P.S. La Dwars door Vlaanderen, come tutte le classiche, ha i suoi eroi. In questo caso, i 12 che l’han vinta due volte. Di alcuni di loro (André Rosseel, Walter Godefroot, Daniel Van Ryckeghem, Walter Planckaert, Jelle Nijdam), su MeMorris, posterò, dopo la corsa, un ritratto.