A mano amano che i giorni del Tour passano, la pressione va crescendo e molto spesso le telecamere sono su di me, perché ho la maglia "iridata" e viene fuori, da parte dei giornalisti, la vecchia storia del controllo "positivo" da dilettante. Anche se ne ero uscito con tutti gli onori, la riesumazione di quel tristo episodio al circùito franco-belga 1991 non fa un buon effetto.
Si porta a conoscenza,i però, anche un episodio più recente: poco prima dei campionati del mondo avevo utilizzato un prodotto a base di corticoidi, per curare un'ernia al disco, senza aver avvertito l'U.C.I, come era d'uso. F. Jimenez, il dottore spagnolo della mia squadra, aveva fornito la giustificazione terapeutica (anche se a posteriori) e ciò aveva soddisfatto l'ente di controllo che aveva dichiarato l'archiviazione del caso. Certificato *bidone* potrebbe dire qualcuno, ma io lo riaffermo qui e ora, nella maniera più esplicita: avevo bisogno di quel prodotto per la mia ernia e non certo per mascherare altri medicamenti, ben più dopanti. Willy intanto ha riconosciuto di essere al corrente delle sostanze che trasportava.
La sera, a tavola, tutti i membri della Festina si scambiano opinioni sul come poter amministrare la situazione, per parte mia non apro bocca. Pensavo che eravamo in torto, ma che non servisse troppo parlarne; bene o male il Tour continuava e noi siamo dei corridori, non degli avvocati e, a dispetto delle notti bianche, mi sforzavo di fare il mio lavoro e tiravo le volate al GPM per Pascal Hervé, che si era impadronito della maglia "a pois".
Intanto un'inchiesta è stata aperta, anche se noi lo ignoriamo del tutto, ma ben presto impareremo a nostre spese che, quando si mette in moto il meccanismo, poi non si arresta.
Il 15 luglio, dopo la tappa di Cholet, Bruno Roussel è arrestato dalla polizia, senza neppure dargli il tempo di dirci ... ciao. La "partenza" del nostro capo mi getta nell'abbattimento più totale, tanto più che egli si appresta a dire tutta la verità sul sistema di doping organizzato dalla squadra. Le cose prendono delle proporzioni gigantesche. Arresto e reclusione sono parole che non sono mai rientrate nel mio lessico, per me sono arabo! "Non siamo mica dei gangsters!" mi dico, quando lo spirito di rivolta supera il senso di colpa. I d.s. che sono rimasti ci spingono a continuare la corsa, ma io non ci credo più e sono convinto che andremo poco lontano. Un'altra cosa molto difficile da accettare e la mancanza di solidarietà di tutti gli altri corridori, anzi ci indicano "a dito" come nel film "Metti il mostro in prima pagina" e certi addirittura dànno l'impressione di esser contenti. L'atteggiamento generale è comunque, a dir poco, per niente elegante, specie se si considera che, tutto considerato, il 99%, anzi no, il 100% dei ciclisti che erano partiti nel Tour 1998, avevano fatto ricorso a prodotti dopanti. Le cose, all'epoca, andavano così e non dico che fosse "buono e giusto", però era un fatto.
Come altre volte che sono stato in una situazione difficile, mi rifugio in me stesso, come se fossi dentro una gabbia di vetro e sto in silenzio, sia con i media che con i miei colleghi e quelli che mi conoscono, mi lasciano in pace, perché sanno che da me non otterranno nessuna informazione.