BenoixRoberti ha scritto:Marcel Kittel è davvero un uragano, ma vederlo solo in queste occasioni ciclistiche è davvero deludente.
Ho una grande nostalgia per un altro tedescone: Olaf Ludwig.
Quello si vedeva anche nelle classiche, eccome se si vedeva.
Che valore ha un corridore per il quale viene ritenuta dura anche la Milano-Sanremo?
Kittel è un ottimo modello, ma per le sfilate ...
Marcello come here! Vieni in
Italia a pedalare in montagna. Sputa sangue e sudore che impari.
Giusto, ma persino troppo buono. Kittel è stereotipo dello scandaloso ciclismo odierno, uno alla cui tangibilità storica, non servirebbero nemmeno 40 tappe di GT colte in questo modo, prima dell’inevitabile ritiro per…… troppi cavalcavia. Vada a correre in pista, ed a fare delle sfilate di moda. Da lui al pur moderno Degenkolb, c’è una differenza abissale.
In quanto a Ludwig, proprio per coloro che vengono qua a leggere (ma non a scrivere….), affinché sia anche per costoro più comprensibile la galassia di superiorità di questo ex sull’alfiere della Etixx-Quick Step, ecco un suo breve ritratto.
Olaf Ludwig
Nato a Gera il 13 aprile 1960. Professionista dal 1990 al 1997 con 60 vittorie.Con questo corridore longilineo e proporzionato, incontriamo uno dei mostri sacri del ciclismo del blocco orientale. Prima della caduta del Muro nel 1989, infatti, Olaf aveva accumulato un palmares da brividi e si era dimostrato un atleta completo, capace persino di tenere e di emergere su quelle salite che, poi, da professionista, saranno le variabili più indigeste per lui. D’altronde, la differenza fra il dilettantismo e l’elite del ciclismo, s’è sempre dimostrata una costante, in ogni latitudine.
Fra le innumerevoli vittorie presenti nel suo palmares giovanile e dilettantistico, fra strada, prove a cronometro e pista, ci sono: 3 maglie iridate, 9 titoli nazionali, 2 vittorie nella Corsa della Pace e 28 tappe della stessa, il Tour de l’Avenir e 5 tappe dello stesso, nonché, soprattutto, la Medaglia d’Oro alle Olimpiadi di Seul e quella d’Argento a Mosca, quando aveva solo 20 anni. L’arrivo al professionismo, già assai spremuto, a 30 anni, per i motivi che sappiamo, ci ha tolto la possibilità di vedere il vero Ludwig. Gli era restato come distinguo lo spunto veloce e, su questo, ha saputo costruirsi ugualmente una gran bella carriera.
Ha vinto la Coppa del Mondo nel 1992, s’è imposto in classiche come l’Amstel Gold Race (’92) e l’Henninger Turm (’94); semiclassiche come il GP E3 Harelbeke (‘91), GP Fourmies (’92), Kuurne-Bruxelles-Kuurne (’92), Veenendaal-Veenendaal (’95), GP Van Steenbergen (’91); ha conquistato frazioni in tutti i GT a cui ha preso parte, giungendo, proprio nell’anno di esordio, il 1990, a vincere la Maglia Verde al Tour de France, manifestazione nella quale ha complessivamente raccolto tre tappe. Insomma, un ruolino da campione, rimarcato da una serie di piazzamenti di prestigio nelle classiche di primavera, a cui accostava protagonismo in estate, fino ad arrivare a correre con possibilità il Mondiale (fu 3° nel 1993). Quanto basta per far capire che il ciclismo internazionale, vedendolo passare nell’elite già anziano, aveva perso una parte di quel copioso protagonista, sicuramente superiore a diversi dal curriculum professionistico stellare. Lasciò il ciclismo su strada a fine ’96, vincendo a Gera, la sua città, dove aveva corso la sua prima gara da esordiente nel 1973. Il 1997, lo passò fra i pistard, conquistando le Sei Giorni di Colonia, in coppia con Etienne De Wilde, e di Berlino, con Jens Veggerby. A fine carriera è divenuto Team Manager della Deutsche Telekom.