La Gazza ha messo a punto schematicamente il programma di Nibali per il 2016.
Si tratterà di una stagione molto, molto esigente per la necessità di compensare la preparazione a Rio con la presenza al Giro.
Il piano sino al Giro non è una novità, ma lo è certamente la valutazione sul dopo Giro e, soprattutto, sul probabile rinnovo del contratto in Astana, quasi certamente con una cospicua decurtazione dell'ingaggio.
Che differenze ci sono tra il Nibali dello scorso anno e questo? «Che sono molto più tranquillo. Anche la vicenda licenza ha influito. Lo scorso anno tutti chiedevano a me e mi stressavano. Che dovevo dire io?». Pare che l’espulsione dalla Vuelta le abbia fatto bene. Prima a Nibali le cose venivano facili; dopo, Vincenzo è diventato «cattivo», grintoso, spietato. «Sì, può essere. Sono diverso. Da quell’episodio, anche se continuo a non ritenermi colpevole, ho tratto diversi spunti». Tour o non Tour? «Per essere nelle condizioni migliori a Rio, servirebbe il Tour». Giro, Tour, Olimpiade... Non è troppo? «Con Slongo stiamo studiando.
Certo sarebbe un programma particolare, forse eccessivo.Ma come faccio a essere pronto senza il Tour? Austria e Polonia non hanno lo stesso ritmo, però potrebbero essere una valida alternativa: due settimane di corsa divise da un solo giorno». Il «suo» gruppo per il 2016? «Avrò al mio fianco i corridori che avranno il piacere di correre con me. E questa non è una non risposta».
A volte si ha la sensazione, quasi come un senso di prurito, che lei in Astana sia considerato il passato, il vecchio. Concorda?Lunghissimo silenzio. «Dite? Mah... Eppure mi è stato già proposto due volte il rinnovo (dal 2017, ndr). La prima due giorni dopo la Vuelta, e questo lo trovo un gesto di grande rispetto, l’altra recentemente. L’interesse da parte loro c’è, ora tocca a me scegliere. Lo farò in base a quello che si va ad aggiungere al contratto. Ormai non è più una questione economica, ma di scelte: che corse potrò fare, che programma, chi avrò vicino... Non voglio più arrivare alle corse arrabbiato, ma felice».
Allora quante possibilità ci sono che prolunghi con i kazaki?«Direi buone»
Con quello che è successo a Parigi ha paura?«Il nostro è lo sport più vulnerabile. Sì, un po’ di paura c’è, ma non riguarda solo le corse dove il rischio comunque è altissimo. Una corsa in fondo è un obiettivo fin troppo facile. Dovremmo chiedere, tutti, non solo noi corridori, che ci siano, per quanto possibile, più controlli. Poi sui fatti di Parigi io ho una domanda, seppure semplice, a cui non ho trovato risposta: “Perché”».