A parte gli scherzi, io non credo affatto che Vallelvo sia nazionalista, e naturalmente parlo di questo aspetto in chiave sportiva.
In fondo cos'è che rimane del nazionalismo spinto in chiave sportiva in Italia?
Credo giusto l'impronta ed il modo di leggere le notizie in Rai e in alcuni nostri media.
Sono queste le produzioni che ti fanno venire l'allergia al nazionalismo.
E questo, per fortuna, non è un vizio dei nostri commentatori principali.
Restano altri, di contorno, che in effetti si concentrano sul famoso e sull'italiano.
Vallelvo dice di essere nazionalista alla francese. Dirò una cosa che mi costa parecchio vista la mia naturale avversione (competitività spinta) ai francesi. I francesi hanno un profondo sciovinismo, anche delirante a volte, ma nel contempo hanno socialmente una innata passione per il bello, una passione grassa, coltivata e irrazionale per l'eccellenza di ogni tipo, dalla cultura allo sport.
Accidenti a loro.
Noi invece siamo grandi individualità (borghi, campanili) e ci accapigliamo per il nostro borgo. Se un pisano ci parla male del Palazzo della Signoria siamo quasi pronti a fargli cadere in testa la torre pendente (e viceversa).
Io il campanilismo lo capisco meno del nazionalismo, perché è lo stesso virus modificato dalla genetica italiana in chiave provinciale.
Ovviamente non mi riferisco al bischerare campanilistico (si scherza eccome su quello!).
Il nazionalismo di Vallelvo è un gioco di partecipazione ad un pacifico risiko. Al suo nazionalismo manca quella fondamentale componente ottusa, che ti porta a vedere solo la parte "interessante" in termini nazional-popolari.
Il nazionalismo in salsa francese, quello che porta alla ricerca dell'eccellenza, se mitigato, è uno sprone sociale anche positivo.
Per dare una idea dell'indole francese, per come mi appare, dico che nei loro servizi non manca mai l'attenzione a ciò che c'è di francese, ma poi osservano il meglio assoluto (l'eccellenza) ed il bello in divenire, le possibili stelle del futuro (non se le fanno suggerire, loro sono intenditori) in quanto hanno una grossa attenzione verso le promesse.
E' un modo di vedere e vivere molto diverso, con prospettiva, con tempi dilatati (dal passato verso il futuro), come d'altro canto deve essere impostata la vita. Mi ci riconosco.
Ben diverso è invece il giornalismo nostrano, che legge tutto in tricolore e, dove ciò non è possibile, passa ad occuparsi del "famoso", prendendo a prestito le celebrità create dalla copertina di Sports Illustrated (dove però ultimamente esagerano con passere e mister muscolo).
In pratica è come se il nostro giornalismo desse il meglio nel nazionalismo, per poi occuparsi di gossip sportivo, pure di seconda mano. Gazzetta docet.
No CarLemond, il nostro ciclofilo non è parte di quel nazionalismo becero. Io lo vedo come un qualcosa di francese.
Poi, se proprio il nostro nazionalismo ciclofilo vogliamo leggerlo nell'attualità, debbo sposare le parole di Apache, quando parla di movimento italiano. Lì è solo questione di senso di responsabilità, di voler bene ad un concetto sportivo-culturale che deve essere proprio di ciascun movimento, per il bene dello sport tutto.
Perché oggi la domanda è: può il ciclismo fare a meno del ciclismo italiano?
La risposta è no, e dirlo con orgoglio non è un fatto di nazionalismo, bensì di buon senso ed amore della propria comunità, perché tutti crediamo poco all'Italia, come all'Europa, ma di certo se ci divertiamo anche qua a bischerare fra genti di Lombardia. Piemonte, Toscana Campania e Sicilia (non fatemi mettere anche la Valle d'Aosta e ...) è proprio perché questa eterogenea comunità esiste, anche e soprattutto nello sport e nel ciclismo.
E' una comunità nazionale, culturale o geografica?
Non lo so, chi se ne frega. E' sufficiente che ci piaccia. E direi che ci piace.
E' per questo che terminata una Amstel, osservato il grande Gilbert, ragionato sulle tattiche della Bmc e della Movistar, un piccolo ragionamento sui nostri e sul futuro del nostro movimento ci sta come un passito dopo il dessert in un giorno di festa.
E purtroppo non è ormai solo un gusto: è senso di sopravvivenza!
E il passito si è fatto amaro.
Ps. Domenica, alla faccia di tutto, io tiferò per l'italiano (il siciliano) Vincenzo Nibali. Sarà un Pantelleria o un Amaro Averna?
E qua non ci può essere d'aiuto la competenza di Katarrilla.