Da BenoixRoberti Ven Apr 18, 2014 8:45 pm
Premetto che, mio malgrado, devo dare ragione a Meazza sulla necessità ormai manifesta di eliminare tutti gli strumenti tecnologici coadiuvanti.
Il ciclismo è avventura, la scienza va sfavorita il più possibile, se non per la parte che è esercitata direttamente dall'intelligenza e memoria dei ciclisti, padroneggiandola con gli indispensabili coraggio e fantasia.
Ma tutto questo vale per ciascuna gara.
Volendo invece focalizzarmi sull'Amstel, vorrei esprimere una sensazione che ho ormai netta da qualche anno. E' vero che le gare sono diventate molto tattiche e racchiuse in un fazzoletto sino all'epilogo (favorite in questo dagli arrivi che culminano sugli strappi), ma l'Amstel, quando era l'ultima prova del lotto delle Ardenne (allargato al Limburgo), era una gara fantastica, molto spumeggiante e combattuta, oltre che molto nervosa. Non credo che ciò fosse determinato solo dal percorso, anche perché anche a Maastricht l'arrivo era preceduto da un abbastanza decisivo Sint-Pietersberg.
Credo che in molti adesso corrano l'Amstel in chiave Liegi e ne esce una corsa con la lingua morsa (o con la gamba misurata) per non scoprire troppo le carte prima di Liegi e trovarsi zavorrati dagli antagonisti che ti corrono contro.
Prima l'Amstel era l'ultima possibilità dove sparare le residue cartucce ed anche qualcosa in più. Anche gli sconfitti potevano raddrizzare qua la stagione delle classiche e quindi davano più del massimo. Non solo, qua emergevano anche i possibili protagonisti delle Ardenne future.
Insomma credo che l'Amstel sia troppo sacrificata come antipasto della Doyenne, senza che questa ne abbia bisogno.
Una Liegi più vicina al Giro conviene anche alla nostra gara, oltre che alla prova belga, in quanto ridurrebbe lo spazio necessario agli odiatissimi cosiddetti picchi di forma. Ma questo non è più ciclismo, è qualcosa come la ricerca della fertilità delle donne sterili.