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    Il Cippo, la Cantoniera e Carpegna, templi indelebili di ciclismo.

    Morris l'originale
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    Vuelta al País Vasco
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    Il Cippo, la Cantoniera e Carpegna, templi indelebili di ciclismo. Empty Il Cippo, la Cantoniera e Carpegna, templi indelebili di ciclismo.

    Messaggio Da Morris l'originale Ven Nov 29, 2013 3:33 pm

    Il Cippo, la Cantoniera e Carpegna, templi indelebili di ciclismo.

    Uno sguardo fra odierno e storia

                                                                                                  di Maurizio Ricci - Morris

    Chi va a Carpegna non  può che respirare ciclismo. Lì, nel paesino, sotto quel Cippo che pare proteggerlo nell’incanto della maestosità ambientale, sussurrano i respiri dei grandi del pedale; di quegli uomini che, sulla bicicletta, hanno portato i loro nomi a sibilare siamesi con quell’angolo del Montefeltro. E come tutti i fatti e gli avvenimenti che la storia traccia incontrandone i luoghi teatro, si finisce nella suggestione e nel fascino del ricordo.
    Quattro volte il Giro d’Italia è passato di qua, due volte ne è stato arrivo di tappa. Un numero esiguo, certo, eppure, grazie agli eccelsi protagonisti che l’han valutata, impressa e conquistata, questa zona è diventata un mito della “Corsa Rosa” e dell’intero pedale. Qui c’è la dimora che non morirà mai del leggendario Marco Pantani, il più grande scalatore della storia, nonostante le Cassandre appannate dall’invidia, o dalle cortezze tornite d’ipocrisia, che solo sul romanzo del pedale, fra gli sport, prosperano con sì tanta e preoccupante intensità. Lui non ha mai corso il Carpegna in gara, ma l’aveva scelto come palcoscenico dei suoi allenamenti per svettare ovunque, fermare le fabbriche, porre le genti davanti ad un video, come icona ineguagliata d’ammirazione e partecipazione emotiva. Era la sua reggia, ove preparava ogni variabile del suo leggiadro pennello, dando un tocco tutto suo a quanto fatto dai nobili che l’hanno preceduto. Qui, ha vinto il più forte corridore della storia, Eddy Merckx, quel belga con la grinta di un disperato, la forza di un Golia e la generosità agonistica di nessuno, proprio nessuno. Qui, han posto sigillo prezioso due ispanici, Julio Jimenez e Josè Manuel Fuente, che stanno fra i più grandi grimpeur di cui si abbia memoria e che anche col raffreddore più pesante, uno storico vero e non “media”, porrebbe in disamina, ben davanti alla più ottimistica delle valutazioni sui “frullini monocordi” del ciclismo di oggi. Qui si onora, con tanto ben di Dio precedente, di stare un Alessandro Bertolini, l’ultimo a passare per primo quassù e che ha sempre vissuto, con modestia la sua bravura: non da super, ma di spessore migliore a tanti strombazzati dai megafoni mediatici odierni.
    Un gruppo di eletti, dunque, che può aspettare senza modificare morfologie, personaggi ed autori che è dura prevedere possibili, per quell’inverso acume nelle traversie che il ciclismo va a cercare anche quando non ci sono. Carpegna è superiore, immutata e non scalfibile. Sono altri, del cosiddetto “grande ciclismo”, a doverla cercare, per illuminarsi. Per dare l’illusione ad un ancor folto gruppo di appassionati che digerisce anche i sassi, d’aver visto dei campioni.

    Le tappe di un mito…..

    29 maggio 1969 - Giro d’Italia  - frazione Senigallia-San Marino di 185 km

    In una giornata grigia ma caldissima e afosa ai limiti della sopportazione, si visse subito un colpo di scena. Mentre il gruppo s’avvicinava al chilometro “zero” di Senigallia, la Maglia Rosa Silvano Schiavon e Ugo Colombo caddero. Fortunatamente niente di grave, ma lo start ebbe luogo con e con qualche minuto di ritardo, per dar modo al dottor Frattini, di medicare i due. La tappa, che aveva nel Passo della Cantoniera di Carpegna, l’asperità principale di giornata, prima dell’arrivo all’insù della Repubblica del Titano, si consumò noiosa e a bassissima andatura. Le condizioni ambientali, il bisogno di cercare acqua (allora, le opportunità di oggi, erano solo dei sogni), frenarono gran parte degli ardori agonistici. I tentativi di Gattafoni e Scopel e quello più lungo di Paolini, di fatto, furono spinti dal bisogno di cercare acqua…. con più calma. Sulla Cantoniera, si visse a lungo sul “vogliamoci  bene” di gruppo. Poi, uno scatto del grande scalatore spagnolo ormai  al lumicino, Julio Jimenez, che correva per l’Eliolona,  ruppe la monotonia. In cima, “l’Orologiaio di Avila”, passò con una trentina di secondi su due romagnoli in cerca di evidenza, il cesenate Guido Neri della Scic, per tutti uno dei migliori gregari italiani negli anni ’60, ed il forlivese di San Martino in Strada, Giancarlo Toschi, spalla di Ole Ritter ed un ormai al crepuscolo Vito Taccone, alla Germanvox Wega.
    In discesa da Carpegna il gruppo ritornò compatto. La battaglia si sviluppò sulle rampe del Monte Titano, a San Marino e fu avviata da Eddy Merckx, che poi forò. L’incidente scatenò ulteriormente le polveri, ed alla fine a vincere con una manciata di secondi di vantaggio fu Franco Bitossi (Filotex) che tolse la gioia di un successo di tappa, proprio a Guido Neri. Merckx, uscito dalla possibilità di vincere la frazione per la foratura, conquistò ugualmente la Maglia Rosa.


    Sul primo al Passo della Cantoniera 1969.

    Il Cippo, la Cantoniera e Carpegna, templi indelebili di ciclismo. Julio_10

    Julio Jimenez Munoz, arrivò alla chetichella al Giro del 1969, l’ultimo della sua carriera. A fine ’68, il suo contratto con la francese “Bic” di Raphael Geminiani e del coetaneo Jacques Anquetil, non fu rinnovato, probabilmente per dissidi col nocchiero emigrato in Francia da Lugo di Ravenna. Trovatosi disoccupato, fu contattato dal pubblicitario marchigiano Alceo Moretti, un personaggio che ha fatto tanto bene al ciclismo italiano negli anni ’60. Costui infatti, era specialista nel trovare nell’inverno fra una stagione e l’altra, aziende disposte a formare squadre, attingendo fra i disoccupati e quei dilettanti d’esperienza e spessore che, incredibilmente, non erano stati posti a contratto dalle squadre consolidate. Moretti trovò nella milanese Eliolona, azienda leader nelle tende da sole (oggi assorbita dalla Zucchi), colei che gli consentì l’ennesimo salvataggio di un bel gruppo di corridori. Fra questi, appunto, Jimenez, un atleta però, già al tramonto. Tanto è vero che la conquista del GPM della Cantoniera, fu uno dei suoi ultimi fuochi e all’indomani del Giro, chiuso ad un per lui modesto 34° posto, appese la bicicletta al chiodo.
    Nato ad Avila il 28 ottobre 1934, Jimenes è stato professionista dal 1959 al 1969, con 52 vittorie all’attivo. Un atleta “passerotto” che maturò piuttosto tardi, poiché a lungo, a causa di origini umilissime, le sue corse in bici si alternarono al lavoro di orologiaio. Di qui il soprannome de “l’Orologiaio di Avila”, oppure, per la sua fede scrupolosamente osservante, quello di “Sacrestano”.
    Quando si trasferì a Madrid con la famiglia nel 1953, il suo trend non si modificò e per poter sostenere l’attività ciclistica che aveva abbracciato completamente la sua passione, fu costretto pure ad aiutarsi andando ad acquistare pezzi per lo strumento di gara, ai mercatini delle pulci. La sua taglia fisica e le sue specifiche attitudini alla salita però, pian piano lo misero in luce, fino al passaggio al professionismo. Ne uscì una carriera che lo ha fatto entrare fra i grandi scalatori di ogni epoca, naturalmente indirizzato verso le maggiori gare a tappe, dove, purtroppo, la sua debolezza a cronometro e la scarsa concentrazione, hanno ridotto sensibilmente il suo comunque buon palmares. Vissuto a lungo come alter ego del grande Bahamontes, è stato Campione di Spagna nel '64 e della Montagna nel '62 e '65.
    Ovviamente, s’è messo in mostra nelle gare in salita, come sul Mont Faron nel ’63, indi ad Arrate nel '65, Urquiola '62, '64, '65, Poly '67. Ma i pezzi forti del suo ruolino, stanno nelle maggiori corse a tappe, dove ha vinto la Classifica dei Gran Premi della Montagna 3 volte al Tour de France ('65, '66 e '67); altrettante volte nella Vuelta ('63, '64, '65), nonché le tappe a lui più congeniali: 5 al Tour, 4 al Giro d’Italia e 3 alla Vuelta. I suoi piazzamenti migliori nella classifica generale, furono il 2° posto al Tour nel ’67 dietro Roger Pingeon, il 4° al Giro d’Italia ’66 (dove per undici tappe indossò la Maglia Rosa) e il 5° nella Vuelta di Spagna ’64.


    27 maggio 1973 – Giro d’Italia – Frazione Lido delle Nazioni-Carpegna di 156 km

    Una data da scolpire. Fu la genesi imperiosa del Mito di Carpegna nel grande ciclismo. Già da sola in grado di reggere l’usura del tempo e la facilità umana di cancellare, per gli interessi dell’oggi, i significati prorompenti del passato, specie quando l’oggetto è lo sport del pedale. Per la prima volta il Giro d’Italia fece tappa a Carpegna , e che tappa!
    Il Giro 1973 partì da Verviers, in Belgio dove, nel prologo, Eddy Merckx conquistò subito la Maglia Rosa. Il “Cannibale” aveva già messo nel suo inimitabile bottino di primavera, fra le altre,  Het Volk, Parigi-Roubaix, Liegi-Bastogne-Liegi; Amstel Gold Race e  Parigi-Bruxelles. Era poi andato in Spagna, a sfidare Luis Ocana alla Vuelta, ed era uscito netto vincitore. E che fosse un Merckx alato più del solito lo si capi, qualche giorno dopo, proprio al Giro. La frazione che da Lido delle Nazioni si concludeva a Carpegna, dopo le scalate del Valico del Barbotto, di Perticara, del Passo della Cantoniera e del Cippo di Carpegna, per concludersi poi nel paesino, era la prima grande sfida su grandi pendenze del Giro. Eddy, in Maglia Rosa, partì deciso a regolare i conti con l’altro grande di Spagna, colui che alla Vuelta non c’era, ovvero Josè Manuel Fuente, nonché gli italiani di quella generazione fortissima, come mai nella storia, che stava offuscando con la sua presenza
    .

    Il Cippo, la Cantoniera e Carpegna, templi indelebili di ciclismo. Lido_d10

    Poco prima di Borello, il Cannibale parlottò con Fuente anticipandogli, forse per metterlo alla prova, che avrebbe fatto la corsa dura fin dal Barbotto. Poco dopo, strizzò l’occhio al fido compagno Joseph De Schoenmaker, per fargli capire che il piano tracciato la mattina, era confermato. Sulla prima ascesa di giornata, con un caldo incredibile che faceva appiccicare i tubolari all’asfalto divenuto tenero, Eddy impose subito un ritmo impossibile ai più. Solo Fuente gli tenne la ruota, mentre a qualche decina di metri inseguivano il giovane italiano, Giovanni Battaglin,  neoprofessionista, ma già più forte di tutti i connazionali in salita, ed il compagno De Schoenmaker. Per gli altri, la notte era già scesa anche se fatta di luce fulgida e di caldo cocente. Al culmine del Barbotto, Eddy fu primo su Fuente, a 10” Battaglin e De Schoenmaker,  gli altri, sgranati, ad una quarantina di secondi. In discesa le due coppie di testa sui riunirono e sull’ascesa di Perticara, a dare cambi a Merckx, ci pensò il compagno, rendendo la resistenza di Fuente al lumicino. Sulla Cantiniera a Pennabilli, l’affondo di Eddy, provocò il cedimento del bravo gregario e, di lì a poco, di schianto, mollò anche Fuente. In cima al passo, la Maglia Rosa passò con un sempre più grande Battaglin a ruota ed a 3’28” Gimondi ed i migliori italiani che, nel frattempo, avevano riassorbito lo spagnolo. Dopo la breve discesa su Carpegna, la prima volta del Cippo. Qui, anche il fortissimo e commovente giovane vicentino, fu costretto a cedere al passo del Cannibale, che lo anticipò dopo la picchiata sul traguardo di Carpegna di 45”. Terzo, a 4’16”, finì Zilioli. Più staccati gli altri. L’impresa di Merckx, resa più grande dalla prestazione mostruosa del giovane Battaglin, finì per suggellare quel Giro. Idem l’incredibile cornice di folla. Le immagini di Eddy e Giovanni sul Cippo l’enorme pubblico, ed i paesaggi da sogno di Carpegna, divennero il motivo conduttore del film “La corsa in testa”, un documentario su Eddy Merckx, che ha fatto epoca e che, ancora oggi, è da considerarsi una perla nel settore. Anche questo ha contribuito ad alimentare il mito della località del Montefeltro sugli sfondi ciclistici.
     
    Ordine d’arrivo:
    1° Eddy Merckx (Bel-Molteni) km 156 in 4h40’36”, alla media di 33,257kmh, 2° Giovanni Battaglin (Jolljceramica) a 45”, 3° Italo Zilioli (Dreher Forte) a 4’16”; 4° Gianni Motta (Zonca) a 4’19”, 5° Felice Gimondi (Bianchi), 6° Franco Bitossi (Sammontana), 7° Wladimiro Panizza (GBC) a 4’34”, 8° Josè Pesarrodona (Esp-Kas-Kaskol), 9° Roberto Poggiali (Sammontana) a 4’52”, 10 Gosta Pettersson (Sue-Scic)….

    Sul vincitore.

    Il Cippo, la Cantoniera e Carpegna, templi indelebili di ciclismo. Eddy_m10

    Su Eddy Merckx, non c’è niente di più significativo della sintesi dei suoi numeri (senza citare corse che renderebbero fulgida una carriera).
    Su strada ha corso in totale 1793 corse, vincendone 525 (426 da professionista).
    Ruolino anno per anno:
    1961 (Allievo) – 7 corse 1 vittoria
    1962 (Allievo) – 55 corse 23 vittorie compreso il Campionato Belga per Allievi.
    1963 (Dilettante) – 72 corse 28 vittorie
    1964 (Dilettante) – 72 corse 24 vittorie compreso il Campionato Mondiale a Sallanches (Fra)
    1965 (Dilettante) – 5 corse 4 vittorie
    1965 (Professionista) – 69 corse 9 vittorie
    1966 – 95 corse 20 vittorie
    1967 – 113 corse 26 vittorie
    1968 – 129 corse 32 vittorie
    1969 – 129 corse 43 vittorie
    1970 – 138 corse 52 vittorie
    1971 – 120 corse 54 vittorie
    1972 – 127 corse 50 vittorie
    1973 – 136 corse 51 vittorie
    1974 – 140 corse 38 vittorie
    1975 – 151 corse 38 vittorie
    1976 – 111 corse 15 vittorie
    1977 – 119 corse 17 vittorie
    1978 – 5 corse 0 vittorie
    Nel suo palmares ci sono, relativamente alle corse in linea,: quattro Titoli Mondiali (tre da professionista nel '67, '71, '74; ed uno fra i dilettanti nel ’64), un Titolo Nazionale (’70); sette Milano-Sanremo su dieci disputate (’66, ’67, ’69, ’71, ’72, ’75, ’76), cinque Liegi-Bastogne-Liegi (’69, ’71, ’72, ’73, ’75), tre Parigi-Roubaix '68, '70, '73; due Giri delle Fiandre (’69, ’75); due Giri di Lombardia ’71, ’72); tre Freccia Vallone (‘67, ’70, ’72); tre Gand-Wevelgem (‘67, ’70, ’72); due Amstel Gold Race (’73, ’75), una Parigi Bruxelles (’73), un G.P. di Francoforte (’71); due Het Volk (’71, ’73).
    Nelle corse a tappe: cinque Giri d'Italia (’68, ’70, ’72, ’73, ’74); cinque Tour de France (’69, ’70, ’71, ‘72, ’74); una Vuelta (’73); un Giro di Svizzera (’74); tre Parigi Nizza (’69, ’70, ’71); quattro Giri di Sardegna (‘68, ’71, ’73, ’75).
    Zoomando, limitatamente al professionismo: 32 classiche, 14 giri nazionali, 18 corse a tappe, 82 tappe in linea, 51 a cronometro, 10 prove a cronometro, 33 prove in salita, 164 fra criterium, circuiti, kermesse.
    Su pista da dilettante e professionista ha corso 143 manifestazioni vincendone 98.
    Il record dell'ora con km 49,431, stabilito a Città del Messico il 25 ottobre 1972, unitamente a quelli dei 10 e 20 chilometri, sono da considerarsi i più prestigiosi titoli sui velodromi, ma non si devono dimenticare altre performance di grande valore. Esattamente:
    17 Sei Giorni (16 con Patrick Sercu ed una con Ferdinand Bracke)
    1 Campionato Europeo dell’Omnium nel 1975
    1 Campionato Europeo dell’Americana (con Patrick Sercu) nel 1978
    3 Campionati Nazionali nell’Americana (con Patrick Sercu) fra i dilettanti (’63-’64, ’65).
    5 Campionati Nazionali nell’Americana (con Patrick Sercu) fra i prof. (’66-’67, ’73, ’75, ‘76).
    Ha praticato anche il ciclocross correndo 3 manifestazioni e vincendone 2




    25 maggio 1974 – Giro d’Italia – Frazione Macerata-Carpegna di 191 km

    Una tappa che si propose invertendo i ruoli dei protagonisti dell’anno precedente e che si concluse con la rivincita di Josè Manuel Fuente su Eddy Merckx. Lo spagnolo, stavolta in Maglia Rosa, partì da Macerata, col timore di vedersi la squadra sfaldare al fine di rispondere ai prevedibili attacchi nelle lunghe fasi ondulate e di pianura, precedenti il durissimo finale. Ma né Merckx, né gli italiani,  forse per il fatto di trovarsi di fronte ad un pomeriggio freddo, autunnale, con pioggia annunciata e poi arrivata, si impegnarono a rendere aspro l’avvicinamento a Carpegna. Fatto sta, che sullo strappo di Frontino, ad una ventina di chilometri dall’arrivo, erano ancora in tanti davanti. Un bel gruppo, con i bravissimi Kas, Uribezubia, Lopez Carril e Galdos, a proteggere il capitano in Rosa, in attesa del di questi affondo. E l’oceanica folla presente fra Carpegna e il Cippo, non aspettava altro.

    Il Cippo, la Cantoniera e Carpegna, templi indelebili di ciclismo. Nacera10

    Il primo attacco di Fuente si consumò presto, dopo meno di un chilometro di salita. Con lui rimasero Merckx e gli italiani Battaglin e Tino Conti, ma poco prima di metà ascesa, una seconda accelerazione dello spagnolo, gli consentì di rimanere in solitudine. Al suo inseguimento ravvicinato, il solo Cannibale, annunciato lontano dalla stato di grazia, per una primavera densa di difficoltà e acciacchi, nonché martoriato, nell’occasione, da un cattivo funzionamento del cambio. Il Cippo di Carpegna però, incappucciato dalla nebbia e con una carreggiata stretta densa di spettatori, favorì un vezzo tanto comune ai tempi, definito “compagnia della spinta” che, di fatto, rese la scalata una pagina ingiusta, o poco credibile, dietro ai due assi stranieri in testa, ed in gran duello. Gli unici su cui si poté giurare la percorrenza della salita attraverso le rispettive e proprie gambe. Sugli altri no. Ovviamente fatti che i giornali nostrani dell’epoca, a parte qualche raro caso, non narrarono con obiettività, perché il nazionalismo italiano nello sport, è un dato altrettanto acquisito dalla storia. Ed in quel caso, a godere della “compagnia della spinta”, furono gli italiani, o quegli straneri italianizzati per militanza in formazioni della penisola, magari particolarmente simpatici, perché fuori dalle possibilità di lottare per la “Rosa”. Fatto sta, che in cima al Cippo, mentre si stava scatenando sulla zona un violento acquazzone, tale da rendere estremamente pericolosi i ripidi tornanti della picchiata verso il traguardo di Carpegna, Fuente e Merckx, distanziati da 1’18”, furono autori di una corsa “pulita”, mentre gli altri, più o meno coscientemente, poterono godere, approfittando del caos, della disorganizzazione, della fregola degli spingitori, di un consistente aiuto per superare a forza di braccia, una salita per molti troppo indigesta. Dietro ai due, terzo passò Poggiali, a 2’, con a ruota Uribezubia, mentre la pattuglia di Gimondi, comprendente il giovane Gianbattista Baronchelli, varcò la cima a 2’20” da Fuente.
    I circa 10 chilometri di discesa, furono all’insegna della prudenza, più o meno di tutti, soprattutto di Merckx, che si ritrovò impossibilitato a cambiare quella bicicletta, che già in salita gli aveva dato non pochi grattacapi. Al  traguardo, il solitario Fuente, poté così prendersi una clamorosa rivincita sul belga e rafforzare il primato in classifica generale. Il distaccò del Cannibale fu di 1’05”, mentre terzo, a 1’44” dal vincitore, arrivò Enrico Paolini, che superò allo sprint un drappello di una quindicina di corridori. Le tante spinte, non produssero sanzioni importanti, a parte qualche ammonizione a figure di terzo piano e quella, incredibile, ma da regolamento, al dominatore Fuente, perché portava il numero dorsale in posizione non conforme. Su chi era stato indubbiamente avvantaggiato, nemmeno l’ombra di un richiamo. Sarà, ma pure queste note non certo gradevoli, cementarono il mito del Carpegna. Quegli aloni di fascino e leggenda che Marco Pantani, anni dopo, coi suoi allenamenti lassù, contribuì ad aumentare ancora in maniera esponenziale, nonostante l’assenza del Giro d’Italia  dal Cippo, per ben sette lustri.
    Ordine d’arrivo:
    1° Josè Manuel Fuente (Esp-Kas Kaskol) km 191 in 6h06’11” alla media di 31,296 kmh; 2° Eddy Merckx (Bel-Molteni) a 1’05”, 3° Enrico Paoloni (Scic) a 1’44”; 4° Roger De Vlaeminck (Bel-Brooklyn); 5° Marcello Bergamo (Filotex); 6° Felice Gimondi (Bianchi), 7° Roberto Poggiali (Filotex); 8° Franco Bitossi (Scic), 9° Hennie Kuiper (Ned-Rokado), 10° Wladimiro Panizza (Brooklyn)….


    Sul vincitore.

    Josè Manuel Fuente.


    Il Cippo, la Cantoniera e Carpegna, templi indelebili di ciclismo. Josa_m10

    Di questo camoscio spagnolo delle Asturie, rimane intatto il ricordo per le sue doti di scalatore e per una simpatia dettata, certo da ragioni naturalmente presenti nel personaggio, ma pure per le sue infantili scelte tattiche che gli han tolto un palmares migliore, ma non nei termini che qualcuno sostiene. Jose Manuel Fuente Lavanderia, detto ben presto "Tarangu" in Spagna e "Cico" in Italia, non è stato un corridore facile, perché amava per indole, o necessità, gli estremi: bellissimo nelle vittorie e nelle imprese, sconsolante ed amarissimo nelle sconfitte. A suo modo, un istintivo che amava l'effetto, spesso con l'intrinseca convinzione di essere di ferro, ed imbattibile sul terreno che concepiva come unico: la salita, appunto.
    Lui ed il pubblico non lo sapevano, ma nelle vene dell'atleta che schizzava in salita, insisteva uno squilibrio della giusta percentuale di glucosio nel sangue, oggi correggibile, ma non a quei tempi e ciò favoriva la nascita di scompensi tali da provocare crisi all'atleta. In sostanza, Tarangu Fuente, aveva bisogno più di ogni altro di far convivere l'attività con una dieta perfetta nella quotidianità e nelle corse, ed un'idratazione sempre ottimale. Il fatto di non saperlo, spiega molte cose, ma non elimina completamente il gap che l'ha separato dal top. Josè Manuel era forte, fortissimo, ma non era Pantani: gli era inferiore in salita, non tanto nella sparata, ma nella tenuta di alte velocità sulle pendenze; era abissalmente più scarso del cesenaticense in discesa e, pure a cronometro, fra i due non c'erano paragoni plausibili. E' dunque ragionevole credere che, aldilà del disturbo fisico e delle stupidaggini tattiche, potesse comunque perdere nelle amate corse a tappe, da un asso totale come Merckx, o dall'altro della sua epoca nettamente superiore agli altri, ovvero il connazionale Luis Ocana. Ed è mia convinzione, contemplando la sempre aleatoria e fumosa dottrina del "se", che un Fuente, pur con le sue mancanze, con avversari come gli altri della sua epopea, ovvero i vari Gimondi, Zoetemelk, Van Impe, Gosta Pettersson, Thevenet, Van Springel, Battaglin, Poulidor, avrebbe sicuramente arricchito il suo palmares di almeno un Giro e un Tour. Il motivo? Era decisamente superiore a costoro in salita, ed anche lui, con l'arrivo della sicurezza dettata dalla cementazione dei successi parziali, avrebbe diminuito l'esigenza di darsi quelle condotte tanto istintive, quanto disperate che, contro un Merckx o un Ocana, aumentavano in maniera decisiva la fatalità dell'insuccesso. La storia comunque, va vissuta con l'onestà delle evidenze e delle sostanze, ed ora, a scanso d'equivoci, salutiamo pure il "Cico", come un corridore che ci ha fatto divertire e che ha saputo donarci, nella sua breve ma intensa carriera, aloni di grande ciclismo. Applaudiamolo e, visto che non c'è più, formuliamo voti affinché la terra gli sia lieve.
    La sua storia agonistica.
    Fuente, nacque ad Oviedo, il 30 settembre 1945. Spinto dall'ammirazione e dal tifo verso Federico Martin detto "Bahamontes", il giovanissimo Josè Manuel, capì ben presto che era il ciclismo il suo sport e, per questo, allontanò da subito le chimere del calcio. Divenuto corridore dilettante, come tanti-troppi spagnoli dell'epoca, concepì la sua crescita basandola solo sul giudizio totalizzante le attenzioni di quella terra: la bravura in salita. Qui, Josè rispondeva bene e al resto, a quei miglioramenti tecnici, soprattutto in discesa, che, a quella età, sono correggibili per doveri naturali, non diede caso. Il Fuente da "puro", termine strano nella cultura spagnola che per anni ed anni non ha mai sviluppato una facile distinzione nelle categorie, non era comunque uno che poteva far pensare a sfracelli nell'elite. Era uno dei tanti nella traduzione finale, perché la grandezza del suo scatto sulle pendenze, era spesso resa meno letale, da una partenza ad handicap: troppe volte si trovava tagliato fuori a monte per la sua incapacità di stare attento in gruppo e affrontare le salite da posizioni decenti. In Josè però, superati di molto i venti anni, s'era concepita la convinzione che non poteva aspettare: doveva assolutamente provare il professionismo. Per farlo al più presto, tentò la strada individuale nel '68, cogliendo pure un bel successo nel GP Caboalles de Abajo e nel '69, s'accasò in una squadra, la Pepsi Cola che, come la consorella italiana del periodo, bruciò le ambizioni con un progetto troncato senza soverchi motivi. In sostanza, anche la stagione di fine anni sessanta, per Fuente, fu ben poco prodiga di confronti probanti. Sulle soglie dei venticinque anni, l'asturiano s'accasò alla Karpy, una formazione degna e con diversi corridori di nota fra gli spagnoli del periodo. Il nuovo sodalizio diede a Josè, divenuto "Tarangu", la possibilità di farsi conoscere in maniera compiuta. Nell'anno, dopo un ottimo Giro delle Valli Minerarie, dove giunse terzo nella classifica finale e secondo nella tappa più dura, nonché nel successo in una tappa della minore Vuelta di Guatemala, trovò nel Catalogna l'effetto che cercava. Vinse infatti, per distacco, l'ultima frazione della seconda corsa a tappe spagnola, proprio in quel di Barcellona. Il successo lo lanciò in orbita Kas, il sodalizio monstre della terra iberica, che decise di ingaggiarlo per il 1971. Nacque così il lustro d'oro, di Josè Manuel Fuente.
    La Kas lo schierò alla Vuelta, ma il fresco ritiro dell'asturiano complice una caduta, spinse i dirigenti del sodalizio a portarlo al Giro d'Italia e qui, Josè, si diede l'obiettivo di vincere la maglia di miglior scalatore attaccando su ogni vetta degna per prendersi punti. Attacchi sulle cime, ma anche distacchi nel finale di tappa: memorabile la crisi che coinvolse, per gli italiani il già divenuto "Cico", nella frazione del Grossglockner, dove partì a tutta per passare in testa sulla vetta e poi si sciolse in una crisi incredibile. Contraddizioni di comportamento che non gli impedirono di raggiungere la prima grande vittoria, grazie al suo scatto, nella tappa di Pian del Falco. A fine Giro, le sue altalene si tradussero in un 39° posto, a oltre un'ora e mezza dal vincitore Gosta Pettersson, ma con la certezza d'aver raggiunto lo scopo di vincere la maglia verde dei GPM, arricchita, tra l'altro, da un successo parziale. Un comportamento che spinse la Kas a portarlo pure al Tour de France, dove il Tarangu diede a tutti l'idea di che razza di scalatore fosse.
    Dopo un inizio in sordina e tanti minuti sulle spalle, nella tappa pirenaica di Luchon, partì con uno scatto che ricordo bene sul Portet d'Aspet e scalò solitario anche il Mente e il Portillon giungendo al traguardo con 6'21" sui migliori regolati da Merckx. Si ripeté il giorno dopo a Superbagnères, giungendo solo dopo un perentorio acuto nel finale. Due vittorie di tappa, ma pure una instabilità derivata dal 72° posto finale e più di due ore di distacco da Merckx, che spingevano l'osservatorio a vedere in Fuente uno scalatore fine a se stesso, ed inimmaginabile come vincente in una grande corsa a tappe. La smentita arrivò copiosa l'anno successivo, alla Vuelta di Spagna, certo una manifestazione senza i nomi più grandi, ma pur sempre con un cast di buon livello e, soprattutto, lunga a sufficienza per verificare la tenuta dei corridori con velleità di vittoria. Bene, Josè Manuel, vinse alla grande.
    Giunto al Giro d'Italia con le spalle coperte dal successo in patria, Cico provò a battere Merckx. Iniziò come meglio non si poteva, vincendo la frazione sulla Majella dove inflisse 2'36" al belga, ma subì tre giorni dopo sulle montagne calabresi, un attacco anticipato di Merckx, il quale gli sfilò la maglia rosa lasciando, a dimostrazione di quanto temesse lo spagnolo, la tappa allo svedese Pettersson che lo aveva aiutato nella fuga. Con Fuente, gli oltre quattro minuti di distacco, in quella frazione conclusasi a Catanzaro, se li beccarono anche gli altri favoriti compresi i vanamente attesi italiani. Ulteriormente distanziato dalle cronometro di Forte dei Marmi, Cico provò di nuovo la strada dell'attacco, nella tappa che si concludeva sulla ripida salita Jafferau-Bardonecchia. Qui, aprì le vaporiere dei critici per il criterio sballato scelto (ma almeno Fuente ci provava a staccare Merckx, non si limitava a seguirlo, tra l'altro ben poche volte con successo, sperando in una crisi del belga, come faceva qualcun altro sempre in cima ai pensieri della gente italiana...), attaccando in pianura, contro vento per affrontare l'ascesa finale già con vantaggio, ma il suo ritmo calò, ed il "Cannibale" lo riprese e lo staccò a sua volta. Fuente non si diede per vinto e riprovò sulle cime della tappa di Livigno, ma ancora una volta, grazie soprattutto alla sua abilità di discesista, Merckx ritornò su di lui e lo staccò tangibilmente. Cocciuto, ma bello da vedere nella fierezza del suo modo di giocarsi le carte per vincere, Cico riprovò sullo Stelvio e stavolta lasciò il Cannibale a 2'05". Il Giro per lui praticamente finiva lì, ma alla fine, quei 5'30" che lo divisero da Merckx, se li era giocati e non era colpa sua se uno come il belga, possedeva troppe facoltà.
    Nel 1973, gli obiettivi di Fuente si concentrarono nuovamente sul Giro con l'aggiunta del Tour, ed un passaggio comunque di pregio sul Tour de Suisse. Non fece la Vuelta, dove si scontrarono in una regolazione di conti, gli unici, ripeto, gli unici corridori più forti di Tarangu nelle corse a tappe di quel lustro: Merckx e Ocana. Al Giro, il miglior Merckx di sempre, non gli lasciò scampo e si salutarono gli attacchi dello spagnolo (stupenda la sua vittoria ad Auronzo di Cadore), come una variabile necessaria per far capire che c'era qualcuno a stuzzicare un marziano. Per il terzo anno consecutivo Cico vinse la classifica del GPM, ma non salì sul podio.
    Il Giro di Svizzera, invece, salutò con un vero e proprio dominio, il suo secondo successo in una importante corsa a tappe, ma al Tour de France, aldilà di tutte le distorsioni atte a far parlare o ingigantire le attese, Fuente fu piegato da uno che gli era superiore anche da prima: Luis Ocana. Tarangu lottò, perdendo per questo un possibilissimo secondo posto, ma il connazionale era di un'altra pasta, punto. Finì terzo, superato anche da Thevenet. Su chi lo aveva superato al Tour '73 però, si prese una gran bella rivincita alla Vuelta di Spagna '74. A contrastare il successo finale di Fuente fu il portoghese Agostinho (compagno di squadra di Luis) che lo impegnò al punto di giungergli a soli 11" nel foglio amarillo conclusivo. Ocana giunse quarto a 1'59 da Tarangu, che seppe mantenere la maglia leader per 12 tornate, mentre Thevenet si ritirò.
    Arrivò così il Giro d'Italia, che vedeva alla partenza il Merckx meno preparato della storia, vittima com'era stato in primavera di vari acciacchi che l'avevano costretto a disertare parte delle classiche e quelle poche perderle. Fuente, come sempre, attaccò per vincere e non per piazzarsi. Vinse cinque tappe, restò 12 giorni in maglia rosa, ma alla fine pagò la crisi che coinvolse nelle due tappe liguri. Dietro Merckx arrivarono Baronchelli e Gimondi e lui, forse il più forte di quella edizione, si dovette accontentare del quarto posto, dei singoli traguardi e della quarta vittoria consecutiva nella classifica del GPM.
    Nel 1975 i suoi problemi fisici, mai concepiti prima, cominciarono a manifestarsi copiosamente e le sue flessioni furono palpabili: un solo successo in una corsa minore francese. Nel 1976, riuscì a vincere una tappa della Vuelta delle Valli Minerarie e poi lo stop imposto dai medici per una grave infezione renale. Finiva lì, la carriera di una delle icone degli anni settanta. Continuò a dedicarsi al ciclismo come direttore sportivo e, soprattutto, come organizzatore. Poi il 18 luglio 1996, l'irreparabile se lo portò via.



    21 maggio 2008 – Giro d’Italia – Frazione Urbania-Cesena di 199 km

    Il Cippo, la Cantoniera e Carpegna, templi indelebili di ciclismo. Urbani10

    Il Giro tornò su Carpegna nel 2008, non con un arrivo di tappa, ma con un passaggio sul Cippo. Ciclismo diverso, molto diverso: meno campioni, praticamente nessuno, molta assistenza di vario genere sui singoli, meno spettacolo e, soprattutto, un pathos lontanissimo parente di quello di un tempo. Una crisi evidente, impossibile da nascondere, anche per il sempre fecondo mondo della stupidità. La  montagna del suo leggendario Marco Pantani, fu percorsa svariati minuti sopra le lancette del suo cantore in maglia Mercatone su bici Bianchi e minuti sullo stesso, quando questi  era un ragazzino juniores. Meglio non dire di quanto, altrimenti si finirebbe nel vedersi cadere le braccia. E nemmeno può valere la giustificazione di una giornata di maltempo: troppo il ritardo..
    S’aggiunse poco al mito di questa salita. E quel poco, nel solo fatto di passarci, mostrando conseguentemente il valore positivo della constatazione, su quali nobili pagine insistano nel passato del ciclismo. Di quel pedale  professionistico che dovrebbe cambiare radicalmente, per trovare gli istmi d’una rinascita. Lo sanno tutti, ma non c’è movimento e a chi sta bene così, per insita miopia o travolgenti interessi, va benissimo, appunto, così.
    Il giorno del quarto passaggio del Giro sul tempio di Carpegna, a farla da padrona, dopo la partenza da Urbania, fu una fuga scattata al chilometro 42, a 157 dal traguardo di Cesena. Una fuga di comprimari, di garibaldini forse più valorosi degli stessi capitani, ovvero Bertolini, Lastras, Dall'Antonia, Mangel e Veikkanen. Costoro, arrivarono in prossimità del Cippo con un vantaggio di quasi 9 minuti. Sulla cima a passare per primo fu Alessandro Bertolini, su Pablo Lastras e Tiziano Dall’Antonia, mentre dietro, si poté assistere al cosiddetto “forcing” del gruppo che, però, non arrivò mai, pure nel prosieguo di tappa, a dare la sensazione di poter ritornare sui fuggitivi. Lepri che andarono, pur con qualche defezione, al traguardi di Cesena. Qui, la beffa di una “s” d’anticipo sul proprio nome di Fortunato, piegò le velleità del corridore umbro Baliani, che scivolò su un sampietrino malmesso, lanciando così il pur veloce trentaseienne Bertolini, al suo primo successo di tappa al Giro.

    Sul primo a Cippo Carpegna: Alessandro Bertolini

    Il Cippo, la Cantoniera e Carpegna, templi indelebili di ciclismo. Alessa10

    Nato a Rovereto (TN) il 27 luglio 1971. Passista veloce. Professionista dal 1993 al 2012 con 23 successi.. Un corridore che nelle categorie giovanili e fra i dilettanti in particolare, lasciava presagire quel grande futuro, poi raggiunto solo in parte minoritaria .Un uomo squadra, generoso ed altruista, probabilmente più forte di tanti capitani e pseudo-capitani, dei quali è stato spalla o vero e proprio gregario. Forse gli è mancata un po’ di cattiveria.
    Iniziò fra i giovanissimi nel 1982, mostrando negli anni dell’apprendistato ciclistico, un crescendo costante e copioso. Da juniores fu terzo ai Mondiali del 1988. Da dilettante, fra il ’92 e ’93, fece incetta di classiche come il Palio del Reciotto, vinto due volte, l'Astico-Brenta e la Coppa Fiera di Mercatale. Nel ’92, conquistò il Titolo Tricolore e l’anno successivo finì 3°.
    Esordì fra i professionisti a fine stagione ’93, alla Milano Torino, in seno alla Carrera Tassoni. La prima vittoria nel 1996, con la maglia della Brescialat, nella tappa di  Elgoibar alla Euskal Bizikleta. Negli anni successivi corse con la MG-Technogym, la Cofidis e la Mobilvetta, con cui si aggiudicò diverse corse: la più importante, fu sicuramente la Parigi Bruxelles nel ’97. Fece poi suoi, in maglia Alessio, il Giro del Piemonte nel 2003 ed il Giro della Privincia di Lucca, l’anno successivo. Passato nel 2005 alla Domina Vacanze, s’affermò nella Coppa Sabatini. Col 2006, si spostò alla Selle Italia-Diquigiovanni del manager Gianni Savio, con le cui squadre, consumò tutti gli ultimi anni di carriera. Ottimo il suo 2007, con sei successi, fra i quali il Giro dell’Appennino, la Coppa Placci, il Giro del Veneto e la Coppa Agostoni, nonché i trionfi nella Coppa Italia e nell'UCI Europe Tour. Vittorie, che gli fecero guadagnare, a 36 anni, la prima maglia azzurra professionistica, in occasione del Campionato Mondiale di Stoccarda, dove fu prezioso gregario di Paolo Bettini, che conquistò la sua seconda Maglia Iridata. Nel 2008, la consacrazione, col successo nella tappa di Cesena al Giro d'Italia e il bis al Giro dell'Appennino. Nel 2010, a quasi 40 anni, si tolse la soddisfazione di conquistare il Tricolore nella Corsa dietro derny.
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    Messaggio Da Maìno della Spinetta Lun Dic 09, 2013 4:43 pm

    grazie Morris, finalmente mi son potuto leggere le descrizioni delle tappe del Cippo,
    quella di mercks e quella delle spinte sono mitiche, ma non avevo mai letto lo svolgimento cosi' bene

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