In tante parti del mondo, in particolare nel mondo anglosassone (per gli Usa ci sono vari distinguo), il ciclismo è in pieno e totale boom di interesse. Purtroppo non è così nell'ex dominante mondo latino europeo (per la Francia valgono a sua volta altri distinguo).
Difficile capire quale potrà essere in futuro la tendenza complessiva, ovvero se il mondo anglosassone si accoderà al mondo latino o viceversa.
Propendo più per la seconda possibilità, non per chiara preferenza e ricerca di insano ottimismo, ma perché ragionevolmente la crescita del ciclismo nel mondo anglofono si accompagna ad un consapevole e forte intreccio col mondo dei media, crescita ragionata che non è avvenuta in Italia, dove il vaso di cristallo è finito fra gli elefanti (interessi altri sport, interessi Coni, ecc.).
Per tutta una serie di ragioni il ciclismo è però in pieno boom in alcuni paesi, in particolare la Norvegia. Le due scenografiche (ma solo sul piano paesaggistico) gare a tappe appena concluse, Arctic Race of Norway e Tour des Fjordes, hanno rappresentato l'evidenza di ciò che da tempo si preconizzava, ovvero l'esclusiva forza del ciclismo nel marketing territoriale. Il ciclismo non ha rivali.
Fin qui tutto bene; va però fatto notare che ciò non comporterà per forza un periodo di vacche grasse (anzi!), perché non è ammissibile confezionare contenitori basati al 70% sulla fotografia paesaggistica a detrimento dell'emozionale coinvolgimento sportivo.
Il ciclismo è purtroppo uno sport debole, senza grande dignità e coscienza di sé stesso e del proprio valore (un paradosso in termini sportivi) e sempre pronto a svendersi al primo offerente ed al primo soldo, dall'inceneritore del pisano all'ufficio del turismo di Stavanger.
Sarà invece fondamentale rafforzare questo sport parallelamente alle opportunità di sviluppo, comunque innegabili e da cogliere, che il marketing territoriale offre. Perché un conto è la fotografia della Norvegia ed un altro è il quasi religioso pellegrinaggio ciclistico dei monumenti di storia ciclistica del Belgio, delle salite del Giro, del Tour ed anche della Vuelta. La crescita del ciclismo passa obbligatoriamente dalla acquisita sacralità del luogo, quella sacralità che è apposta solo dal grande gesto atletico. E la sacralità non la si compra, non ha prezzo.
Viene sempre da citare il ciclo-poeta-storico Morris quando dice che le gare devono nascere ed essere corse "per la gente della terra di religione ciclistica ed è la loro autoctona intensità a fare presa e null'altro".
La "terra (promessa) di religione ciclistica" di Morris è certamente il Belgio ed a quel paese è necessario fare riferimento in primis per capire il significato di religione ciclistica e di come il marketing territoriale (che certamente non è posto in second'ordine) sia in stretta armonia con la sacralità sportiva.
Spero che nei prossimi anni gli organizzatori norvegesi, come pure gli altri (si può sempre migliorare, vedasi l'esempio Eneco Tour 2013) sappiano tenere in considerazione tutto questo e non si tuffino come elefanti sul cristallo luccicante.
Il cristallo rotto non si ricompone più.
Detto questo, non possiamo nel contempo non notare alcuni dati forniti circa l'audience raccolta in Norvegia dall'Arctic Race.
La share tv è stata per le ultime due tappe di poco sotto al 30%. Ed è un trend preciso del ciclismo, perché durante l'ultimo Tour de France la share aveva raggiunto ben il 44%. Insomma la domanda di ciclismo è assolutamente chiara ed indiscutibile.
http://www.tv2.no/sport/sykkel/arctic-race-of-norway-var-en-tvsuksess-4102321.html
Riuscirà il ciclismo a valorizzare appieno e con lungimiranza questo tesoretto?