So che questo post provocherà un blocco della digestione di tanti appassionati "puri" di sport, ma da tempo mi ero prefissato di scriverlo e di trasporre tutta una serie di osservazioni e deduzioni in lettere di alfabeto.
Proverò qua a rappresentare il processo logico-decisionale che porta alla creazione di un team professionistico, e proverò a farlo nel più difficile dei paesi dove fare ciò: l'Italia.
Premessa Marketing
Investire nel ciclismo come sport, aldilà di ogni altra considerazione, rappresenta un ottimo investimento. Garantisce ritorni dall'investimento decisamente alti ed è un formidabile veicolo per la promozione territoriale: non è un caso che il ciclismo sia diventato il veicolo preferito per il lancio pubblicitario turistico di vari paesi negli ultimi anni. Ha cominciato la Turchia e a seguire sono arrivate le tre prove a tappe norvegesi, l'Azerbaigian, il Croazia ed altre gare (e paesi) come il Danimarca hanno deciso di accedere alla diretta paneuropea su Eurosport.
A queste dignitose prove si aggiungano poi le gare dei cammellari (Qatar, Oman, Dubai e ora Abu Dhabi), e la bella apertura sudamericana del San Luis.
Non è un mistero che negli anni 90 il ciclismo venne usato dalle Comunidad spagnole per lanciare le loro località turistiche, gare che poi la crisi economica ha ucciso in massa o ridotto (Valenciana, Semana Catalana, Bicicleta Basca, Asturias, Murcia, Aragona, Galizia, e altre gare di un giorno).
Insomma come veicolo pubblicitario il ciclismo è una bella opportunità.
Per chi investe potrebbe essere anche utile fermarsi alle sponsorizzazioni degli eventi, senza "sporcarsi le mani" con le squadre.
Già, ma alla lunga, così facendo, con le squadre che scompaiono per i problemi (tanti e non solo il doping) del ciclismo
chi allestirà le squadre? Torneremo agli indipendenti? O avremo sponsor mono corridore con le organizzazioni che tratteranno l'ingaggio coi singoli ciclisti ed i loro fedeli? Sono domande che possono apparire come assurde al momento, ma che non è detto che lo resteranno in futuro.
Premessa Doping
Negli ultimi tempi (due, tre anni) si è notato come le positività all'antidoping abbiano riguardato per lo più corridori dei pro team di 2a fascia e più raramente corridori dei team World Tour. E' vero che questi godono di staff medici che monitorano con più attenzione, ma il dubbio che l'antidoping sia diventata un problema per i soli polli appare più che legittimo. Per alcuni team World Tour spendere 2-300.000 euro per uno staff medico (e paramedico con psicologo, dietologo, motivatore e preparatore) non è assolutamente un problema. Lo è invece per un team piccolo.
Ci si chiede se le cifre che i team WT spendono all'Uci siano per i controlli o invece per poter far parte di un circolo ristretto di amici che si autocontrolla e si autoregola.
Visti gli esiti solo analitici della tanto sbandierata CIRC dell'Uci è legittimo pensare anche la seconda versione.
Una cosa appare ormai certa. Il CIRC è servito a fare parlare molti ciclisti, ad attingere informazioni pesantissime su personaggi del ciclismo, informazioni che non hanno portato a nessuna conseguenza disciplinare, ma che oggi servono per blindare e controllare un mondo in subbuglio.
Molti di quelli che hanno "cantato" si sono poi venuti a trovare nei fastidi, guarda caso.
Oggi il doping più pericoloso non è quello chimico, ma quello politico. E' quel doping che protegge pochi soggetti e pochi investimenti pesanti, costringendo gli sfigati a doparsi per poi essere beccati e dimostrare che il sistema funziona ed i controlli sono efficaci. Ma la tipologia dei positivi smentisce questa dozzinale osservazione sul piano statistico. Questo perché non è verosimile che siano i ciclisti dei team Continental Pro a doparsi più degli altri, e spessissimo i corridori pizzicati sono di questi team ma con un passato nelle formazioni WT.
Si dopano solo perché giunti a fine carriera o per ritornare in prima fascia? Possiamo anche crederlo.
CREARE UN TEAM
Creare un team professionistico in Italia è una vera e propria avventura, che solo un folle potrebbe fare. Il cosiddetto cuneo fiscale rende l'esborso per stipendi praticamente maggiore del 60% della media di quello degli altri paesi.
Per un Continental Pro Team appena accettabile servono 3 milioni di euro (anche se in Italia grazie agli sponsor personali ci si arrangia a volte con molto meno).
Di questi 3 milioni, quasi 1 milione e mezzo va per gli stipendi ed i contributi (ovviamente pensando a corridori non esigenti), 500.000 servono per la logistica e i mezzi, 500.000 per stipendi, rimborsi e gettoni al personale. Il resto serve per l'attività spicciola, per gli oneri verso l'Uci, la Fci, Accpi assicurazioni, Lega, per gli spostamenti, il marketing, l'ufficio stampa, la tutela legale, il commercialista, il tributarista (contributi, consulenze, ecc.).
Fare un team all'estero con le stesse risorse italiane significherebbe avere un budget per stipendi più elevato, Sarebbe come avere quasi 4 milioni in Italia.
GARANZIE D'INVESTIMENTO
Non deve sorprendere il fatto che nel ciclismo mondiale esistano solo marchi grandissimi e marchi piccoli. Niente vie di mezzo.
Manca ad esempio tutto quel mondo di media impresa italiana, ma non solo, anche europea, che oggi preferisce calcio, basket e motori, o peggio, le granfondo cicloamatoriali che garantiscono grandi numeri che il ciclismo prof non potrà mai dare.
La prima forma di ritorno d'investimento è ovviamente frutto della copertura televisiva, o comunque genericamente video (ivi comprendendo anche il sempre emergente web), quella che crea i grandi numeri su cui poi costruire la comunicazione di prodotto eventuale sulle community online o via social media.
Perché mancano i medi?
Perché sono sgamati come i grandissimi, ma non si possono permettere le risorse dei grandi per stare tranquilli da brutte sorprese.
I piccoli partecipano perché, nel bene o nel male, di loro se ne parlerà. Con pochi soldi si riesce comunque ad arrivare ad una grande visibilità ed una volta cresciuti si può anche abbandonare il ciclismo da "splendidi" dicendo che lo si lascia perché c'è troppo doping, sfruttando anche il ritorno di immagine della presa di posizione etica.
Cosa vuol dire stare tranquilli per un imprenditore che investe in un team?
La risposta è imbarazzante e per darla facciamo un distinguo fra tre figure ipotetiche di Team Manager.
1 - Il Team Manager Etico
Questo Team Manager punterà tutto sullo sport pulito, punterà solo a piccoli risultati e spenderà fior di quattrini per il monitoraggio medico dei suoi ragazzi. Avrà anche problemi a tesserare i corridori più ambiziosi. Chi lo potrà sponsorizzare? Pochissimi mecenati interessati a sposare una linea etica ed anche a pubblicizzarla, magari anche con qualche ipocrisia di troppo. Il risultato sarà una opinione pubblica che dirà che loro non vincono perché non si dopano come gli altri ed è facile immaginarsi quanto i corridori di codesta squadra sarebbero amati nel gruppo. messo alla berlina dalla fastidiosa distinzione "etica".
2 - Il Team Manager scaltro
Questo Team manager non spenderà follie per monitorare i propri corridori (risorse che spesso proprio non ci sono), ma si avvarrà di un buon legale e di un buon ufficio stampa, affermando la necessità di una radicale lotta al doping, propagandando al massimo questa presa di posizione a livello mediatico. Questa è la posizione assunta oggi dalla maggior parte dei team europei aderenti al famigerato (perché sospettato come ipocrita) MPCC. Tra le varianti possibili c'è anche quella di imporre una clausola di indennizzo pesante per i ciclisti trovati positivi (per usare l'esempio della Androni, aldilà di ogni altra considerazione).
3 - Il Team Manager rampante
Questo team manager farà tutto quello che fa l'esempio 2), poi andrà a cercare le giuste garanzie. Per fare questa operazione è necessario avere un Team Manager navigato, uno che conosce i segreti dell'ambiente, uno che conosce gli scheletri nell'armadio dei dirigenti e che nelle occasioni che servono possa digitare i numeri di telefono giusti e far capire che "io so che tu sai che io so".
Per fare un team di tipologia 3) bisogna avere buoni rapporti sia con la Fci che con l'Uci, anzi rapporti molto stretti.
Come convivere col doping
Ammettiamo che il solo ipotetico Team Manager 3) abbia una sorta di "tolleranza" e qualcosa in più col fenomeno.
Come fare attività e stare tranquilli? Il sistema va in primis costruito offshore.
Si crea una società per la gestione dei diritti di immagine in paesi "tranquilli", che non vanno tanto a guardare, se non il fatto di pagare le tasse. Parliamo di Montecarlo (ma dà nell'occhio ormai), Svizzera, si dice anche Sudamerica e Dubai.
Si fanno firmare contratti di cessione dei diritti di immagine, come avviene anche in altri sport. Ed è qua in questi paesi che avvengono gli acquisti del carburante, anche perché in Svizzera la 98 ottani costa meno ed i distributori sono diffusi capillarmente e senza fastidi burocratici per chi cerca carburante.
L'inchiesta (purtroppo fallimentare) di Roberti a Padova aveva messo in luce i meccanismi, ma quando è arrivata a toccare alcuni grossi interessi sembra sia stata fermata per fare indagare il magistrato su piaghe "ben più importanti" come il lavoro nero degli stranieri. Già, perché sembra che nessuno voglia che l'etica (vera) blocchi il medaglificio delle federazioni.
Per questa ragione oggi possiamo affermare che il doping pesante (e pericoloso) degli anni 90 era decisamente più "democratico" (uguale per tutti) del doping odierno, un doping che non è poi così tanto evoluto sul piano della ricerca farmaceutica (meno di ciò che si pensa e meno in termini relativi del passato), altrettanto pericoloso, ma si è evoluto sul piano della corruzione e della discrezionalità del sistema antidoping, un sistema dove gira altrettanto denaro anche in forma di potere che ne genera di ulteriore.
Ovviamente un sistema siffatto richiede la compartecipazione di alcuni procuratori e faccendieri, mai assenti nel fertile terreno svizzero, dove peraltro ha sede anche l'Uci, che in questo sottobosco si è sviluppata in questi decenni.
Quanto detto sui procuratori non deve stupire. Non è un mistero che il procuratore sia "per sempre" e che sia difficile cambiarlo senza subire "traumi".
Ci sono procuratori che collaborano celatamente con alcuni direttori sportivi, e questi fanno prendere ai team i corridori che sono sotto contratto dei procuratori soci (soci occulti ovviamente), un po' come da decenni avviene nel calcio.
E' naturale che sistemi così corrotti minino alla radice la credibilità di uno sport, proprio perché gli ingaggi diventano frutto di mercanteggiamento per secondi fini e non sono più basati sull'unico valore che andrebbe considerato, ovvero il valore sportivo.
Ecco pertanto che al Team Manager 3) converrà accordarsi con uno di questi clan procuratori-DS per comprare chiavi in mano il prodotto ciclistico a cui appoggiarsi, ivi comprese le coperture ed il patrimonio di conoscenze politiche ed entrature del clan.
In tale patrimonio non rientrano solo i rapporti politici, ma anche i rapporti con i funzionari delle agenzie antidoping, funzionari sulla cui moralità spesso ci sarebbe da aprire dei libri, personaggi che possono far risparmiare rogne ai team o creargliele ad hoc, o anche regolare conti con ciclisti diventati scomodi a qualcuno che conta di più.
E' questo il contesto in cui molto probabilmente dovrebbe operare oggi un investitore nel ciclismo, un contesto dove chiunque entrasse potrebbe trovarsi ricattato, anche solo per tutelare semplicemente il proprio marchio.
Ciò che non ci si spiega è perché di questo iceberg si continua solo a vedere la punta, rappresentata dai "criminali" che si dopano (e vengono pigliati), e non il resto della enorme massa grigia che rimane nel suo equilibrio "subacqueo".
Come poi alcuni marginali e non acculturati ciclisti possano accedere a prodotti sperimentali di industrie farmaceutiche è un aspetto che lascia non pochi dubbi senza risposta.
CONCLUSIONE (triste)
Nel calcio le commistioni fra procuratori ed allenatori (o dirigenti, vedi Galliani) sono note, ma la gestione doping non è sfruttata in questo contesto. Nel calcio tutto è terapeutico e gestito nelle chiuse mura delle società, luogo ove nessuno può andare a rompere le uova. Può non piacere, ma questo tutela quello sport professionistico dove l'atleta concorda tutto con lo staff medico.
Nel ciclismo alle furbizie da quartierino calcistico si aggiungono la gestione delle coperture politiche e gli acquisti di "carburante", insomma operazioni da codice penale in tre quarti di mondo (Svizzera esclusa ufficiosamente).
Non sarà per questo che l'Uci si vuole fare il suo tribunale? E che ruolo avranno i singoli paesi?
Parafrasando "Silvio Totti": DOPING PER TUTTI (O PER NESSUNO).
A nessun investitore potenziale serve l'ipocrisia, quella serve solo ai modesti politici del ciclismo e degli sport sfigati per restare in sella, anche in danno del prodotto che dovrebbero sviluppare.
Il proibizionismo doping certamente potrà aver salvato qualche vita (moderando il fenomeno, ma forse!), però di certo ha creato nell'ambiente una criminalità politica che nel ciclismo anni 80 era assente e che poi su quello dopato (ma democratico) degli anni 90 ha costruito la sua scusa per esistere e poter prosperare.
Proverò qua a rappresentare il processo logico-decisionale che porta alla creazione di un team professionistico, e proverò a farlo nel più difficile dei paesi dove fare ciò: l'Italia.
Premessa Marketing
Investire nel ciclismo come sport, aldilà di ogni altra considerazione, rappresenta un ottimo investimento. Garantisce ritorni dall'investimento decisamente alti ed è un formidabile veicolo per la promozione territoriale: non è un caso che il ciclismo sia diventato il veicolo preferito per il lancio pubblicitario turistico di vari paesi negli ultimi anni. Ha cominciato la Turchia e a seguire sono arrivate le tre prove a tappe norvegesi, l'Azerbaigian, il Croazia ed altre gare (e paesi) come il Danimarca hanno deciso di accedere alla diretta paneuropea su Eurosport.
A queste dignitose prove si aggiungano poi le gare dei cammellari (Qatar, Oman, Dubai e ora Abu Dhabi), e la bella apertura sudamericana del San Luis.
Non è un mistero che negli anni 90 il ciclismo venne usato dalle Comunidad spagnole per lanciare le loro località turistiche, gare che poi la crisi economica ha ucciso in massa o ridotto (Valenciana, Semana Catalana, Bicicleta Basca, Asturias, Murcia, Aragona, Galizia, e altre gare di un giorno).
Insomma come veicolo pubblicitario il ciclismo è una bella opportunità.
Per chi investe potrebbe essere anche utile fermarsi alle sponsorizzazioni degli eventi, senza "sporcarsi le mani" con le squadre.
Già, ma alla lunga, così facendo, con le squadre che scompaiono per i problemi (tanti e non solo il doping) del ciclismo
chi allestirà le squadre? Torneremo agli indipendenti? O avremo sponsor mono corridore con le organizzazioni che tratteranno l'ingaggio coi singoli ciclisti ed i loro fedeli? Sono domande che possono apparire come assurde al momento, ma che non è detto che lo resteranno in futuro.
Premessa Doping
Negli ultimi tempi (due, tre anni) si è notato come le positività all'antidoping abbiano riguardato per lo più corridori dei pro team di 2a fascia e più raramente corridori dei team World Tour. E' vero che questi godono di staff medici che monitorano con più attenzione, ma il dubbio che l'antidoping sia diventata un problema per i soli polli appare più che legittimo. Per alcuni team World Tour spendere 2-300.000 euro per uno staff medico (e paramedico con psicologo, dietologo, motivatore e preparatore) non è assolutamente un problema. Lo è invece per un team piccolo.
Ci si chiede se le cifre che i team WT spendono all'Uci siano per i controlli o invece per poter far parte di un circolo ristretto di amici che si autocontrolla e si autoregola.
Visti gli esiti solo analitici della tanto sbandierata CIRC dell'Uci è legittimo pensare anche la seconda versione.
Una cosa appare ormai certa. Il CIRC è servito a fare parlare molti ciclisti, ad attingere informazioni pesantissime su personaggi del ciclismo, informazioni che non hanno portato a nessuna conseguenza disciplinare, ma che oggi servono per blindare e controllare un mondo in subbuglio.
Molti di quelli che hanno "cantato" si sono poi venuti a trovare nei fastidi, guarda caso.
Oggi il doping più pericoloso non è quello chimico, ma quello politico. E' quel doping che protegge pochi soggetti e pochi investimenti pesanti, costringendo gli sfigati a doparsi per poi essere beccati e dimostrare che il sistema funziona ed i controlli sono efficaci. Ma la tipologia dei positivi smentisce questa dozzinale osservazione sul piano statistico. Questo perché non è verosimile che siano i ciclisti dei team Continental Pro a doparsi più degli altri, e spessissimo i corridori pizzicati sono di questi team ma con un passato nelle formazioni WT.
Si dopano solo perché giunti a fine carriera o per ritornare in prima fascia? Possiamo anche crederlo.
CREARE UN TEAM
Creare un team professionistico in Italia è una vera e propria avventura, che solo un folle potrebbe fare. Il cosiddetto cuneo fiscale rende l'esborso per stipendi praticamente maggiore del 60% della media di quello degli altri paesi.
Per un Continental Pro Team appena accettabile servono 3 milioni di euro (anche se in Italia grazie agli sponsor personali ci si arrangia a volte con molto meno).
Di questi 3 milioni, quasi 1 milione e mezzo va per gli stipendi ed i contributi (ovviamente pensando a corridori non esigenti), 500.000 servono per la logistica e i mezzi, 500.000 per stipendi, rimborsi e gettoni al personale. Il resto serve per l'attività spicciola, per gli oneri verso l'Uci, la Fci, Accpi assicurazioni, Lega, per gli spostamenti, il marketing, l'ufficio stampa, la tutela legale, il commercialista, il tributarista (contributi, consulenze, ecc.).
Fare un team all'estero con le stesse risorse italiane significherebbe avere un budget per stipendi più elevato, Sarebbe come avere quasi 4 milioni in Italia.
GARANZIE D'INVESTIMENTO
Non deve sorprendere il fatto che nel ciclismo mondiale esistano solo marchi grandissimi e marchi piccoli. Niente vie di mezzo.
Manca ad esempio tutto quel mondo di media impresa italiana, ma non solo, anche europea, che oggi preferisce calcio, basket e motori, o peggio, le granfondo cicloamatoriali che garantiscono grandi numeri che il ciclismo prof non potrà mai dare.
La prima forma di ritorno d'investimento è ovviamente frutto della copertura televisiva, o comunque genericamente video (ivi comprendendo anche il sempre emergente web), quella che crea i grandi numeri su cui poi costruire la comunicazione di prodotto eventuale sulle community online o via social media.
Perché mancano i medi?
Perché sono sgamati come i grandissimi, ma non si possono permettere le risorse dei grandi per stare tranquilli da brutte sorprese.
I piccoli partecipano perché, nel bene o nel male, di loro se ne parlerà. Con pochi soldi si riesce comunque ad arrivare ad una grande visibilità ed una volta cresciuti si può anche abbandonare il ciclismo da "splendidi" dicendo che lo si lascia perché c'è troppo doping, sfruttando anche il ritorno di immagine della presa di posizione etica.
Cosa vuol dire stare tranquilli per un imprenditore che investe in un team?
La risposta è imbarazzante e per darla facciamo un distinguo fra tre figure ipotetiche di Team Manager.
1 - Il Team Manager Etico
Questo Team Manager punterà tutto sullo sport pulito, punterà solo a piccoli risultati e spenderà fior di quattrini per il monitoraggio medico dei suoi ragazzi. Avrà anche problemi a tesserare i corridori più ambiziosi. Chi lo potrà sponsorizzare? Pochissimi mecenati interessati a sposare una linea etica ed anche a pubblicizzarla, magari anche con qualche ipocrisia di troppo. Il risultato sarà una opinione pubblica che dirà che loro non vincono perché non si dopano come gli altri ed è facile immaginarsi quanto i corridori di codesta squadra sarebbero amati nel gruppo. messo alla berlina dalla fastidiosa distinzione "etica".
2 - Il Team Manager scaltro
Questo Team manager non spenderà follie per monitorare i propri corridori (risorse che spesso proprio non ci sono), ma si avvarrà di un buon legale e di un buon ufficio stampa, affermando la necessità di una radicale lotta al doping, propagandando al massimo questa presa di posizione a livello mediatico. Questa è la posizione assunta oggi dalla maggior parte dei team europei aderenti al famigerato (perché sospettato come ipocrita) MPCC. Tra le varianti possibili c'è anche quella di imporre una clausola di indennizzo pesante per i ciclisti trovati positivi (per usare l'esempio della Androni, aldilà di ogni altra considerazione).
3 - Il Team Manager rampante
Questo team manager farà tutto quello che fa l'esempio 2), poi andrà a cercare le giuste garanzie. Per fare questa operazione è necessario avere un Team Manager navigato, uno che conosce i segreti dell'ambiente, uno che conosce gli scheletri nell'armadio dei dirigenti e che nelle occasioni che servono possa digitare i numeri di telefono giusti e far capire che "io so che tu sai che io so".
Per fare un team di tipologia 3) bisogna avere buoni rapporti sia con la Fci che con l'Uci, anzi rapporti molto stretti.
Come convivere col doping
Ammettiamo che il solo ipotetico Team Manager 3) abbia una sorta di "tolleranza" e qualcosa in più col fenomeno.
Come fare attività e stare tranquilli? Il sistema va in primis costruito offshore.
Si crea una società per la gestione dei diritti di immagine in paesi "tranquilli", che non vanno tanto a guardare, se non il fatto di pagare le tasse. Parliamo di Montecarlo (ma dà nell'occhio ormai), Svizzera, si dice anche Sudamerica e Dubai.
Si fanno firmare contratti di cessione dei diritti di immagine, come avviene anche in altri sport. Ed è qua in questi paesi che avvengono gli acquisti del carburante, anche perché in Svizzera la 98 ottani costa meno ed i distributori sono diffusi capillarmente e senza fastidi burocratici per chi cerca carburante.
L'inchiesta (purtroppo fallimentare) di Roberti a Padova aveva messo in luce i meccanismi, ma quando è arrivata a toccare alcuni grossi interessi sembra sia stata fermata per fare indagare il magistrato su piaghe "ben più importanti" come il lavoro nero degli stranieri. Già, perché sembra che nessuno voglia che l'etica (vera) blocchi il medaglificio delle federazioni.
Per questa ragione oggi possiamo affermare che il doping pesante (e pericoloso) degli anni 90 era decisamente più "democratico" (uguale per tutti) del doping odierno, un doping che non è poi così tanto evoluto sul piano della ricerca farmaceutica (meno di ciò che si pensa e meno in termini relativi del passato), altrettanto pericoloso, ma si è evoluto sul piano della corruzione e della discrezionalità del sistema antidoping, un sistema dove gira altrettanto denaro anche in forma di potere che ne genera di ulteriore.
Ovviamente un sistema siffatto richiede la compartecipazione di alcuni procuratori e faccendieri, mai assenti nel fertile terreno svizzero, dove peraltro ha sede anche l'Uci, che in questo sottobosco si è sviluppata in questi decenni.
Quanto detto sui procuratori non deve stupire. Non è un mistero che il procuratore sia "per sempre" e che sia difficile cambiarlo senza subire "traumi".
Ci sono procuratori che collaborano celatamente con alcuni direttori sportivi, e questi fanno prendere ai team i corridori che sono sotto contratto dei procuratori soci (soci occulti ovviamente), un po' come da decenni avviene nel calcio.
E' naturale che sistemi così corrotti minino alla radice la credibilità di uno sport, proprio perché gli ingaggi diventano frutto di mercanteggiamento per secondi fini e non sono più basati sull'unico valore che andrebbe considerato, ovvero il valore sportivo.
Ecco pertanto che al Team Manager 3) converrà accordarsi con uno di questi clan procuratori-DS per comprare chiavi in mano il prodotto ciclistico a cui appoggiarsi, ivi comprese le coperture ed il patrimonio di conoscenze politiche ed entrature del clan.
In tale patrimonio non rientrano solo i rapporti politici, ma anche i rapporti con i funzionari delle agenzie antidoping, funzionari sulla cui moralità spesso ci sarebbe da aprire dei libri, personaggi che possono far risparmiare rogne ai team o creargliele ad hoc, o anche regolare conti con ciclisti diventati scomodi a qualcuno che conta di più.
E' questo il contesto in cui molto probabilmente dovrebbe operare oggi un investitore nel ciclismo, un contesto dove chiunque entrasse potrebbe trovarsi ricattato, anche solo per tutelare semplicemente il proprio marchio.
Ciò che non ci si spiega è perché di questo iceberg si continua solo a vedere la punta, rappresentata dai "criminali" che si dopano (e vengono pigliati), e non il resto della enorme massa grigia che rimane nel suo equilibrio "subacqueo".
Come poi alcuni marginali e non acculturati ciclisti possano accedere a prodotti sperimentali di industrie farmaceutiche è un aspetto che lascia non pochi dubbi senza risposta.
CONCLUSIONE (triste)
Nel calcio le commistioni fra procuratori ed allenatori (o dirigenti, vedi Galliani) sono note, ma la gestione doping non è sfruttata in questo contesto. Nel calcio tutto è terapeutico e gestito nelle chiuse mura delle società, luogo ove nessuno può andare a rompere le uova. Può non piacere, ma questo tutela quello sport professionistico dove l'atleta concorda tutto con lo staff medico.
Nel ciclismo alle furbizie da quartierino calcistico si aggiungono la gestione delle coperture politiche e gli acquisti di "carburante", insomma operazioni da codice penale in tre quarti di mondo (Svizzera esclusa ufficiosamente).
Non sarà per questo che l'Uci si vuole fare il suo tribunale? E che ruolo avranno i singoli paesi?
Parafrasando "Silvio Totti": DOPING PER TUTTI (O PER NESSUNO).
A nessun investitore potenziale serve l'ipocrisia, quella serve solo ai modesti politici del ciclismo e degli sport sfigati per restare in sella, anche in danno del prodotto che dovrebbero sviluppare.
Il proibizionismo doping certamente potrà aver salvato qualche vita (moderando il fenomeno, ma forse!), però di certo ha creato nell'ambiente una criminalità politica che nel ciclismo anni 80 era assente e che poi su quello dopato (ma democratico) degli anni 90 ha costruito la sua scusa per esistere e poter prosperare.