Nato a Renouard (Fra) l’11 luglio 1935. Deceduto a Le Mans, il 16 marzo 1960. Completo. Professionista dal ‘56 al ‘60 con 27 vittorie.
Era un campione che un tragico destino ha tolto ai suoi cari e al ciclismo. Normanno come Anquetil, ebbe una maturazione più lenta, anche a causa delle sue dimensioni fisiche: 1,92 per 72 kg. Nato in un paesino vicino la più grande Argentan, poi divenuta sua dimora di vita e ciclismo, Gerard, diventò corridore nel ‘51, ed evidenziò subito qualità sul passo ed in salita. Dal debutto al passaggio fra i “puri” nel ‘54, aveva già un palmares di 22 corse vinte. Fra i dilettanti e gli indipendenti passò meno di 2 anni, ed in quel lasso le sue vittorie di nota furono la crono della Parigi-Normandia ’54, il GP di Francia e 2 tappe della Route de France (chiusa 2°) nel ‘55. Le notizie sulle sue grandi doti sul passo e l’imponenza, fecero il giro della Francia, tanto è che i dirigenti del Velodromo dell’Hiver, lo invitarono, all’esordio fra i prof nel ’56, a sfidare nell’inseguimento, il Campione del Mondo della specialità, Guido Messina. Il torinese, che in carriera aveva fatto piangere sovente Anquetil ed altri francesi, venne battuto dal giovane Saint, con 70 metri di vantaggio sui 5 km. Il successo ebbe risonanza, ed a Gerard venne associato in quei giorni il soprannome di “Trampoliere”. Il rodaggio produsse il successo nella 7a tappa del Tour de l’Ouest, ed una serie di secondi posti: di nota quello nella Manica Oceano. Nel ‘57, vinse dapprima il GP de Louvigné du Desert e la cronotappa dello stesso, indi dominò il Tour de l'Ariege, vincendo la Classifica finale e tre frazioni. Poi, andò a sfidare Gaul al Giro di Lussemburgo. Charly gli rifilò 3’ nella dura tappa iniziale a crono, ma Saint non si diede per vinto e, forse, con un pizzico di libertà lasciata all’incoscienza degli esordienti, andò in fuga nella 3a frazione, il tappone. Quando Gaul e compagni provarono ad inseguire, non scalfirono per nulla il vantaggio del “Trampoliere”, che conquistò tappa e maglia di leader. Gerard vinse così il Giro.
Nel ‘58, dopo tante piazze (2° nel GP delle Nazioni e nel GP Lugano, battuto da Anquetil), colse 4 vittorie: Circuit de l’Aulne, GP Egletons e i Criterium di Taulé e di Meymac. Nel ’59, la consacrazione a big. Vinse in successione il GP Nizza, GP d’Alger (crono con Geminiani e Riviere) e la Menton-Ventimiglia, tappa della Parigi Nizza. Qui, finì 2° a 15” da Graczyk, ma poi vinse la prosecuzione, fino a Roma e senza soluzione di continuità, denominata Menton-Genova-Roma. Indi vinse la Bol d’Oror des Monedieres, il Trofeo Saint-Jean d'Angely e la 7a tappa del “Lussemburgo”. Finalmente, partecipò al Tour, dove, come tanti, pagò la tappa più calda della storia, Alby-Aurillac, ma sul resto dimostrò che avrebbe potuto vincere, visto che in tutte le altre più importanti frazioni, arrivò 3 volte 2° e 2 volte 3°. Chiuse 9° la Generale, 2° nella Classifica a Punti e 3° in quella dei GPM. Vinse la Classifica della Combattività. Dopo il Tour da protagonista, colse la Manica-Oceano, la Chateau-Chinon e il GP Felletin. A fine anno fu 5° in quella che era la classifica mondiale per eccellenza: il SuperPrestige Pernod. Poi, il 16 marzo ’60, mentre viaggiava con la sua Citroen nei pressi di Le Mans, a causa della pioggia, uscì di strada e si schiantò contro un albero. Morì, mentre lo trasportavano in ospedale. Lasciò nella disperazione la moglie Nicolle e le tre figliolette: Fabienne di venti mesi e le gemelle Veronique e Stephane di un solo mese.
Considerazioni.
Di questo grande e tragico giovane francese, parlai a lungo con diversi corridori e campioni della sua epoca e tutti, indistintamente, m’hanno evidenziato un collega di sicuro avvenire e di un campione già affermato, perché a definirlo tale, erano la strada e quell’insieme di classe, combattività e lealtà che lo accompagnavano. Di nota pure la sua grinta nel superare ostacoli che si frapposero sul suo cammino, prima della tragedia di Le Mans. Nel 1957, durante il Delfinato, cadde per lo scoppio di un tubolare, fratturandosi una clavicola. L’anno seguente, sempre nella per lui sfortunata corsa del Dauphiné Libéré, non poté evitare l’impatto con un collega finito a terra e su ruppe un polso. Due incidenti che gli impedirono la partecipazione al Tour de France e che, al tempo, non erano proprio semplici da riassorbire.
Gerard, aveva un sorriso ed un portamento elegante alla Hugo Koblet, che ammaliava il pubblico femminile, ma restò sempre il bravo normanno tutto dovere, famiglia e pragmatismo: niente a che vedere con le pretese più tali che concrete, di taluni suoi colleghi recenti ed attuali. Ma pure questi aspetti, così laterali o di involucro ad un ciclismo che all’epoca era ancora l’icona massima dello sport della vecchia Europa non isolana, contribuirono a fare del breve e tragico Saint, un personaggio in grado di lasciare un alone tutto suo sull’osservatorio. Ed è indubbio che in una Francia che allora poteva disporre e sognare attraverso il già sire Jacques Anquetil, il regale Roger Riviere e l’intellettuale Henry Anglade, l’arrivo di un Gerard Saint così talentuoso e generoso, aggiunse splendore alla tipica ricerca francese dell’eccellenza nei vertici. Potremmo dire un fascino ulteriore che elevò l’epopea di quel lustro all’alba degli anni sessanta.
Per i tecnici e gli amanti dai palati fini di ciclismo, Saint, resta un esempio di come un atleta con Segmento antropometrico e Indice di complessità da simil-anoressico, potesse essere tale al naturale. Proprio come un segno di talento, senza dunque incidere nel metabolismo attraverso quelle induzioni esterne o mentalmente estranee alla corretta preparazione, sì tanto comuni nell’oggi. Un caso lontano, ma lindo nella sua essenza testimoniale, esemplare nella percezione di quanto dietro l’azione di santoni senza scrupoli di oggi e del recente passato, ci possa essere un prosieguo di vita deviato ed incrinato, o, addirittura, la morte precoce di chi è, o fu, atleta.
Maurizio Ricci detto Morris
Era un campione che un tragico destino ha tolto ai suoi cari e al ciclismo. Normanno come Anquetil, ebbe una maturazione più lenta, anche a causa delle sue dimensioni fisiche: 1,92 per 72 kg. Nato in un paesino vicino la più grande Argentan, poi divenuta sua dimora di vita e ciclismo, Gerard, diventò corridore nel ‘51, ed evidenziò subito qualità sul passo ed in salita. Dal debutto al passaggio fra i “puri” nel ‘54, aveva già un palmares di 22 corse vinte. Fra i dilettanti e gli indipendenti passò meno di 2 anni, ed in quel lasso le sue vittorie di nota furono la crono della Parigi-Normandia ’54, il GP di Francia e 2 tappe della Route de France (chiusa 2°) nel ‘55. Le notizie sulle sue grandi doti sul passo e l’imponenza, fecero il giro della Francia, tanto è che i dirigenti del Velodromo dell’Hiver, lo invitarono, all’esordio fra i prof nel ’56, a sfidare nell’inseguimento, il Campione del Mondo della specialità, Guido Messina. Il torinese, che in carriera aveva fatto piangere sovente Anquetil ed altri francesi, venne battuto dal giovane Saint, con 70 metri di vantaggio sui 5 km. Il successo ebbe risonanza, ed a Gerard venne associato in quei giorni il soprannome di “Trampoliere”. Il rodaggio produsse il successo nella 7a tappa del Tour de l’Ouest, ed una serie di secondi posti: di nota quello nella Manica Oceano. Nel ‘57, vinse dapprima il GP de Louvigné du Desert e la cronotappa dello stesso, indi dominò il Tour de l'Ariege, vincendo la Classifica finale e tre frazioni. Poi, andò a sfidare Gaul al Giro di Lussemburgo. Charly gli rifilò 3’ nella dura tappa iniziale a crono, ma Saint non si diede per vinto e, forse, con un pizzico di libertà lasciata all’incoscienza degli esordienti, andò in fuga nella 3a frazione, il tappone. Quando Gaul e compagni provarono ad inseguire, non scalfirono per nulla il vantaggio del “Trampoliere”, che conquistò tappa e maglia di leader. Gerard vinse così il Giro.
Nel ‘58, dopo tante piazze (2° nel GP delle Nazioni e nel GP Lugano, battuto da Anquetil), colse 4 vittorie: Circuit de l’Aulne, GP Egletons e i Criterium di Taulé e di Meymac. Nel ’59, la consacrazione a big. Vinse in successione il GP Nizza, GP d’Alger (crono con Geminiani e Riviere) e la Menton-Ventimiglia, tappa della Parigi Nizza. Qui, finì 2° a 15” da Graczyk, ma poi vinse la prosecuzione, fino a Roma e senza soluzione di continuità, denominata Menton-Genova-Roma. Indi vinse la Bol d’Oror des Monedieres, il Trofeo Saint-Jean d'Angely e la 7a tappa del “Lussemburgo”. Finalmente, partecipò al Tour, dove, come tanti, pagò la tappa più calda della storia, Alby-Aurillac, ma sul resto dimostrò che avrebbe potuto vincere, visto che in tutte le altre più importanti frazioni, arrivò 3 volte 2° e 2 volte 3°. Chiuse 9° la Generale, 2° nella Classifica a Punti e 3° in quella dei GPM. Vinse la Classifica della Combattività. Dopo il Tour da protagonista, colse la Manica-Oceano, la Chateau-Chinon e il GP Felletin. A fine anno fu 5° in quella che era la classifica mondiale per eccellenza: il SuperPrestige Pernod. Poi, il 16 marzo ’60, mentre viaggiava con la sua Citroen nei pressi di Le Mans, a causa della pioggia, uscì di strada e si schiantò contro un albero. Morì, mentre lo trasportavano in ospedale. Lasciò nella disperazione la moglie Nicolle e le tre figliolette: Fabienne di venti mesi e le gemelle Veronique e Stephane di un solo mese.
Considerazioni.
Di questo grande e tragico giovane francese, parlai a lungo con diversi corridori e campioni della sua epoca e tutti, indistintamente, m’hanno evidenziato un collega di sicuro avvenire e di un campione già affermato, perché a definirlo tale, erano la strada e quell’insieme di classe, combattività e lealtà che lo accompagnavano. Di nota pure la sua grinta nel superare ostacoli che si frapposero sul suo cammino, prima della tragedia di Le Mans. Nel 1957, durante il Delfinato, cadde per lo scoppio di un tubolare, fratturandosi una clavicola. L’anno seguente, sempre nella per lui sfortunata corsa del Dauphiné Libéré, non poté evitare l’impatto con un collega finito a terra e su ruppe un polso. Due incidenti che gli impedirono la partecipazione al Tour de France e che, al tempo, non erano proprio semplici da riassorbire.
Gerard, aveva un sorriso ed un portamento elegante alla Hugo Koblet, che ammaliava il pubblico femminile, ma restò sempre il bravo normanno tutto dovere, famiglia e pragmatismo: niente a che vedere con le pretese più tali che concrete, di taluni suoi colleghi recenti ed attuali. Ma pure questi aspetti, così laterali o di involucro ad un ciclismo che all’epoca era ancora l’icona massima dello sport della vecchia Europa non isolana, contribuirono a fare del breve e tragico Saint, un personaggio in grado di lasciare un alone tutto suo sull’osservatorio. Ed è indubbio che in una Francia che allora poteva disporre e sognare attraverso il già sire Jacques Anquetil, il regale Roger Riviere e l’intellettuale Henry Anglade, l’arrivo di un Gerard Saint così talentuoso e generoso, aggiunse splendore alla tipica ricerca francese dell’eccellenza nei vertici. Potremmo dire un fascino ulteriore che elevò l’epopea di quel lustro all’alba degli anni sessanta.
Per i tecnici e gli amanti dai palati fini di ciclismo, Saint, resta un esempio di come un atleta con Segmento antropometrico e Indice di complessità da simil-anoressico, potesse essere tale al naturale. Proprio come un segno di talento, senza dunque incidere nel metabolismo attraverso quelle induzioni esterne o mentalmente estranee alla corretta preparazione, sì tanto comuni nell’oggi. Un caso lontano, ma lindo nella sua essenza testimoniale, esemplare nella percezione di quanto dietro l’azione di santoni senza scrupoli di oggi e del recente passato, ci possa essere un prosieguo di vita deviato ed incrinato, o, addirittura, la morte precoce di chi è, o fu, atleta.
Maurizio Ricci detto Morris