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    Alfredo Di Stefano: Saeta Rubia

    Morris l'originale
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    Alfredo Di Stefano: Saeta Rubia Empty Alfredo Di Stefano: Saeta Rubia

    Messaggio Da Morris l'originale Lun Lug 07, 2014 9:57 pm

    Il cuore di Alfredo Di Stefano s’è fermato, lasciando il testimone ad una leggenda che non morirà mai, perlomeno fino a quando esisterà lo sport.
    Il protagonista di questo ritratto-racconto è il calcio, nella sua versione totale e nell’unica figura della storia, che s’è resa siamese ad un simile ruolo: appunto “Saeta rubia”- Alfredo Di Stefano.
    Scrissi questo racconto nel 2001, l’ho rivisto nel 2004 e l’ho pubblicato nel primo volume della collana “Graffiti” nel 2010.
    Lo riporto integralmente.    
     

    Morris




    ALFREDO DI STEFANO: Saeta Rubia


    Alfredo Di Stefano: Saeta Rubia Di_ste10
    E’ difficile parlare di questo figlio della pampas: gli ingialliti filmati del tempo, le foto, i ricordi trasmessi ad ogni narratore odierno, si attenuano nella rabbia per non averlo osservato da vicino, applaudito per quella arte atletica e tecnica che pare unica nella storia del calcio. Si afflosciano le volontà di confronto, per l’impossibilità personale di un contatto, e si rimane a bocca aperta di fronte all’incredulità che viene al sentire vecchietti, o signori seduti sull’età della pensione, esternare fulgidi lampi di ammirazione nel rimembrare Alfredo: per costoro il più grande, l’inavvicinabile, l’unico, l’immenso.
    Incontrai un tipo così, in un ristorante davvero “over”, di fronte al Museo Guggenheim di Bilbao, nel 2000. Un uomo basco, di non meno di settanta anni, che si presentò a me, per l’amicizia che ci legava entrambi ad un grande ciclista. L’avevo già notato ai margini di una conferenza, nel Salone della Fiera, dove mi ero davvero divertito in quegli excursus storici che amo, indipendentemente dallo sport di riferimento. Anche là aveva cercato di parlarmi, ma la ressa, le telecamere e quell’intreccio di microfoni, avevano impedito ogni contatto.
    Joseba, il suo nome, nella maggior tranquillità di quel ristorante, dove, per il nostro gruppetto la direzione aveva riservato un’apposita saletta, per darmi il benvenuto, mi regalò una foto inedita scattata con Charly Gaul, alla partenza di una delle non certo tante gare del lussemburghese in Spagna. La sua loquacità e la voglia di parlarmi in italiano senza far intervenire troppo l’interprete, trasmettevano simpatia ed una gentilezza inaspettate. Era un esperto di sport, Joseba: lui stesso, in gioventù, ne aveva praticati diversi e, come tutti i baschi della per loro capitale, viveva di ciclismo e di Athletic Bilbao.
    Lo capii quando, svariando nelle più varie discipline, arrivai proprio a quella che era stata una bandiera della squadra locale, l’indimenticabile guardiano nero, Josè Iribar. A quel punto, il mio intraprendente interlocutore, si lasciò andare ad una serie di aneddoti particolareggiati e coinvolgenti, fino al punto di chiedermi, quasi sospettasse una mia incredulità, di trattenermi ancora, per farmi conoscere proprio il lontano ex della porta del Bilbao. Gli telefonò addirittura, per verificare se era possibile. Poi, tolse dalla borsa che si teneva presso, un piccolo gagliardetto dell’Athletic e me lo donò: come a dire che ci teneva a continuare a parlare di calcio.
    Mi sentii in dovere di spingermi oltre e, dalla squadra del luogo, passai direttamente a quel Real Madrid che avevo intuito meno odiato del Barcellona. Fu una folgorazione per Joseba, perché poteva lanciarsi nel racconto di un idolo: Alfredo Di Stefano.
    Per capirlo bastava guardare i suoi occhi neri come la pece, diventare brillanti e lucidi. Ascoltarlo era un vero piacere. Del grande Alfredo sapeva tutto e la mia interprete, che lo spagnolo l’aveva imparato per la convivenza col compagno argentino, mi chiese licenza: anche per lei era troppo coinvolgente l’ascolto. Joseba, come se avesse capito la situazione incentivò il suo “italiano castigliano”, ma si capiva benissimo. Mi raccontò la storia dell’argentino che gli spagnoli sentivano come loro e non solo per lingua e naturalizzazione, condensando il tutto con un significativo: “di fronte a lui, baschi, catalani, madrileni e andalusi, erano fratelli nell’ammirazione e nella riconoscenza”. Si soffermò così, a rimembrare il lungo colloquio che ebbe con Di Stefano nel 1959, ai margini di un allenamento del Real, proprio a Bilbao. Della sua umanità nel raccontarsi come solo sulla spinta di una grande povertà divenne calciatore, dei giorni di digiuno forzato, per mancanza di viveri e del suo intendere il calcio, come un mestiere da svolgere con professionalità e devozione.
    Negli occhi di Joseba, spuntarono le lacrime, rimembrando un gol di Alfredo fatto proprio al suo Athletic, quando seminò tre avversari nella sua metà campo, lanciò Puskas e fu sempre lui a raccogliere il cross dell’ungherese sfoderando un tiro potentissimo che si insaccò nel sette. Lacrime che divennero ancor più evidenti al ricordo di una delle ultime partite dell’argentino, quando, a quaranta anni, nel ’66, con la maglia dell’Espanyol, giocò a Salamanca.
    Joseba, era andato nel capoluogo di Castiilla y Leon, un giorno prima, per vederlo in allenamento. “Dietro le reti – disse - gli urlai che era ancora il migliore. Lui si voltò e venne da me, chiedendomi se ero quello di Bilbao. Mi firmò un altro autografo, con dedica. Mi aveva riconosciuto, incredibile! La domenica giocò magnificamente, correndo sempre più forte di tanti che potevano essere suoi figli. No, non ho mai visto uno come lui. Anche Maradona, Pelè e Garrincha erano diversi. Lui giocava dappertutto, lo vedevi nella sua area, a centrocampo e a far gol. Non sbagliava un passaggio, destro e sinistro erano lo stesso piede e poi, quando partiva, era davvero una Saeta Rubia, anche se i capelli biondi, pian piano, venivano a meno. Il suo tiro poi, era di una potenza e una precisione da lasciarti a bocca aperta. So bene, che per un vecchio come me, può apparire scontato vedere uno della sua generazione come il più forte di tutti i tempi, ma io lo dico lo stesso: Di Stefano è stato il più grande giocatore di calcio che abbia mai visto, perché sapeva fare benissimo tutto quello che puoi chiedere ad un calciatore. Non aveva un difetto, nemmeno uno. Lo scriva se le capita di dover raccontare chi era Alfredo!”.
    Le parole di Joseba, sono dunque arrivate fin qui, e le ricordo fin troppo bene, per quella sua voce cavernosa e quegli acuti baritonali che accompagnavano gli emotivi percorsi di racconto. Quel vecchietto, da un paio d’anni ci guarda da lassù e, forse, da quel palcoscenico che sfugge alla nostra comprensione, gli sarà stato possibile rivedere d’un fiato, tutte le coreografie calcistiche tracciate sui campi da Alfredo Di Stefano. Se così fosse, il suo paradiso si chiamerebbe davvero felicità.
     
    Alfredo Di Stefano: Saeta Rubia Di_ste11


    La storia e la carriera del grande campione argentino.


    Alfredo Di Stefano Lauhle, è nato poverissimo, il 4 luglio 1926, a Barracas, un umile quartiere di Buenos Aires. La sua famiglia era di origini italiane: il nonno, da Capri, era giunto nella capitale argentina, in cerca di quella fortuna che in Italia vedeva impossibile. Il padre, aveva avuto l’occasione di affermarsi, perché era stato un discreto giocatore del River Plate, ma ai suoi tempi i calciatori non guadagnavano nulla, anzi, erano un peso in più a carico delle famiglie. Quando il piccolo Alfredo aveva solo quattro anni, i Di Stefano si sistemarono in una piccola fattoria dove facevano i bovari e dove solo ogni tanto, potevano guadagnare qualcosa. Troppo poco per schiarire il nero di una povertà incipiente, resa ancora più cupa dalla mancanza di viveri, a causa delle regole ferree che aveva imposto il proprietario della piccola azienda agricola.
    Il piccolo Alfredo era cresciuto con un pallone di stracci, l’unico gioco che gli veniva possibile, quando mamma, non avendo nulla da dargli da mangiare, lo spingeva fuori di casa, perché dimenticasse in qualche modo il pasto mancato. La sua situazione era drammatica, ma dalla sua aveva l’abilità della disperazione. Era intelligente il piccolo Alfredo, aveva capito, attraverso le parole di un ragazzo più grande, che dribblava sempre, quanto fosse possibile guadagnare imparando a giocare a calcio. La strada di fronte alla fattoria in cui viveva, era un campo scomodo per uno che non aveva scarpe, ma solo un paio di zoccoli che servivano per andare a scuola. Da scalzo, in mezzo ai sassi e con una pallone irregolare, fatto appunto di stracci, si mostrò ben presto bravo abbastanza, per poter dire di saper trattare anche un pallone di cuoio, con scarpe che non fossero la pelle dei piedi. Lo capirono subito alcuni componenti la squadra di Los Cardeles, i quali, erano venuti a vederlo di nascosto, in strada, su suggerimento di quel ragazzo più grande, il solito, quello preso a dribbling e tunnel.
    Quegli improvvisati osservatori, convinsero il piccolo Di Stefano, allora solo dodicenne, a calzare scarpini che assomigliavano più a dei sandali, ma adatti per fargli sostenere un provino per la loro squadra. Doveva giocare in mezzo a giovani tanto più grandi di lui e, soprattutto, su un campo vero, ma per Alfredo fu un gioco da ragazzi superare una simile prova. Entrò così nelle giovanili del Los Cardeles, giocando in mezzo a ragazzi di quattro cinque e sei anni più anziani di lui. Nemmeno due anni dopo, nel marzo del 1940, giocò una partita importante, perché serviva da provino per le selezioni del River Plate. Gli attenti occhi dei selezionatori dello squadrone platense, rimasero entusiasti nel vedere quel ragazzino segnare tre gol e deliziare di coreografie veloci la partita. A fine incontro, quei signori raggiunsero Alfredo e gli diedero del danaro, con la promessa che nel giro di un paio d’anni, l’avrebbero inserito nelle file del River. Dopo tanti anni, a proposito di quella partita Di Stefano racconta:
    "Consegnai quei soldi, li diedi a mia madre, dicendole che non avremmo mai più sofferto la fame. Fui di parola. Presto capii che se avessi giocato meglio mi avrebbero dato più danaro e anche che per giocare meglio, avrei dovuto allenarmi di più. Tutto quello che ho fatto nel calcio, l'ho dovuto imparare, provando e riprovando: non ero un talento naturale, mi sono sacrificato ed ho sofferto."
    Due anni dopo, nel 1942, come gli era stato promesso, Alfredo fu inserito nelle giovanili del River Plate e solo un anno dopo, appena compiuti i diciassette anni, l’esordio in prima squadra nel ruolo di ala destra. La squadra platense, piena di grandi nomi, decise poi di mandare il ragazzino a “farsi le ossa” in una squadra con meno ambizioni, ma pur sempre di nome come l’Huracan.
    Qui, “El Aleman”, come venne subito chiamato in virtù della sua chioma bionda, giocò con frequenza nel ruolo di centravanti e trovò pure le vie del gol. Il suo originale modo di ricoprire le funzioni di attaccante fu subito notato come una novità assoluta. Alfredo partiva da lontano ed azzerava le distanze dalla porta, con una velocità incredibile e un tiro fulminante con entrambi i piedi. Nel corso del campionato giocato con i rossi dell’Huracan, segnò diversi gol, uno addirittura decisivo per la vittoria, contro il suo River. Nel 1946, tornò nella squadra platense come centravanti, divenendo “la bocca di fuoco” principale della “maquina” (la macchina), definizione che si legò all’attacco del River di quei tempi, per il modo spietato con cui sgominava le difese avversarie. Furono stagioni di successi per Alfredo e per il suo nuovo e poi immortale appellativo di “Saeta Rubia”. L’anno successivo, Di Stefano, sempre più astro del calcio argentino, guidò con fare da dominatore la Selecion alla conquista della Coppa America.
    Nel 1949, la carriera della giovane stella rischiò un grave stop. Alfredo giocava soprattutto perché lo pagavano, ed aveva un bisogno enorme di soldi, per la promessa che si era, ed aveva fatto a se stesso e alla propria famiglia. Era l'Argentina di Evita e di Peron, ed era scoppiata una grande crisi economica. Le società non pagavano più gli stipendi, ed i giocatori, compreso Di Stefano, risposero con uno sciopero che poi si trasformò in una vera e propria fuga verso la vicina Colombia, paese che si annunciava come un paradiso.
    Il campionato colombiano di calcio però, nonostante il valore tecnico di giocatori e club, era considerato “pirata”, perché esterno alla giurisdizione dalla FIFA. Alfredo finì nei Millionarios di Bogotà, una squadra dove lui era nettamente il più giovane e dove, assieme ad Adolfo Pedernera, formò una coppia che seppe fare immediatamente epoca. Tre anni più tardi, finalmente, l’irganizzazione mondiale del calcio, reintegrò la Colombia, ed i Millionarios, per festeggiare l’avvenimento, fecero una tournèe mondiale, dove il valore del club fu compiutamente dimostrato. In una di queste partite, quella del cinquantesimo anniversario della fondazione del Real Madrid, Di Stefano, folgorò i taccuini e le intenzioni del grande club spagnolo, il quale si accordò immediatamente con la squadra colombiana, per l’acquisto del cartellino dell’argentino.
    Nel 1953, Alfredo, partì così per la Spagna, alla conquista di un nuovo calcio, ma gli aspetti di quel passaggio non furono per niente semplici. Il Barcellona, infatti, si era accordato precedentemente col River Plate, ed un tribunale spagnolo, fu costretto a risolvere la querelle, con una salomonica decisione: Di Stefano avrebbe dovuto giocare un anno nel Real e uno nel Barcellona, a meno che, i due club, non si fossero messi d’accordo fra di loro in maniera diversa. I primi due mesi spagnoli di Alfredo furono pessimi, non riusciva ad integrarsi al clima e agli automatismi del Real e tutto questo portò i catalani a trovare un accordo con la società rivale, al fine di cederle al miglior prezzo possibile la propria parte. L’accordo fu siglato in fretta e furia e fu per il Barcellona una topica gigantesca. Solo quattro giorni dopo, infatti, Di Stefano, si svegliò dall’incantesimo e segnò tre gol, proprio ai bleugrana catalani. C’è chi dice che il comportamento disarmante di Alfredo nei primi tempi spagnoli, non fosse altro che una recita concordata coi dirigenti madrileni, ma, probabilmente, è solo una lettura atta ad alimentare la leggenda di Saeta Rubia. Alla storia resta il fatto inconfutabile dell’apertura di un’era, lunga undici anni, fra Di Stefano e il Real e la nascita della striscia di successi più tangibile e prestigiosa, da parte di un club, nel corso storico del calcio. All’arrivo di Alfredo, il Real Madrid veniva da più di 20 anni di digiuno nella Liga, con lui ritornò subito Campione di Spagna e, negli undici anni nei quali Di Stefano ne sarà l'indiscusso leader o il faro supremo, vincerà il titolo altre sette volte. Ai campionati spagnoli, il club aggiunse 5 Coppe dei Campioni (tutte consecutive), una Coppa di Spagna ed una Coppa Intercontinentale (ma ne avrebbe vinte di più, se la nascita della manifestazione fosse coincisa con quella dei Campioni). Una serie di trionfi, dunque, senza paragoni. Nelle finali europee che videro il Real vincente, Alfredo andò sempre a segno.


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    Messaggio Da Morris l'originale Lun Lug 07, 2014 10:21 pm

    Stellare fu la sua tripletta nel 1960, quando i  madrileni si imposero sull’Entraicht di Francoforte per 7 a 3, in una delle più belle partite della storia. Nel 1957 e ‘59, Di Stefano, già più che trentenne, conquistò il Pallone d’Oro. Grazie al doppio passaporto, pur anziano, giocò anche per la nazionale spagnola, ma la sua carriera, in considerazione delle vicissitudini che l’hanno accompagnata agli inizi, va letta soprattutto per le sue capacità nei club. Nel ‘63, mentre si trovava in Venezuela col Real Madrid, venne rapito dai guerriglieri e poi rilasciato. Prima di chiudere, e solo come soddisfazione personale, si trasferì quarantenne nella città che poteva essere sua, Barcellona, per giocare nell’Espanyol. Ed anche da signore di mezza età, il suo magico gioco continuò a ruggire. Terminò la carriera nel ‘66, ma non lasciò lo sport che l’aveva tolto dalla povertà. Iniziò ad allenare, fra Spagna ed Argentina, le sue patrie, raccogliendo anche in questo ruolo, qualche bella soddisfazione.
    Alfredo Di Stefano: Saeta Rubia Di_ste12

    LE CIFRE DELLA SUA INEGUAGLIABILE CARRIERA.


    Le sue squadre come giocatore:
    1943-1945 River Plate (Argentina)
    1945-1946 Huracan (Argentina)
    1946-1949 River Plate (Argentina)
    1949-1953 Millionarios (Colombia)
    1953-1964 Real Madrid (Spagna)
    1964-1966 Espanyol (Spagna)


    Le sue squadre come allenatore:
    1967-1968: Elche
    1969-1970: Boca Juniors (Argentina)
    1970-1973: Valencia
    1974-1975: Sporting de Lisboa (Portogallo)
    1976-1977: Rayo Vallecano
    1977-1978: Castellón
    1979-1980: Valencia
    1981-1982: River Plate (Argentina)
    1982-1983: Real Madrid
    1986-1988: Valencia
    1990-1991: Real Madrid


    Il suo palmares come giocatore:
    1 Coppa Intercontinentale (1960)
    5 Coppe dei Campioni d’Europa (1956-’57-’58-’59-’60)
    1 Coppa America (1947, Argentina)
    8 Campionati Spagnoli (1954-’55-’57-’58-’61-’62-’63-’64)
    1 Coppa di Spagna (1962)
    1 Coppa Libertadores (1947, River Plate)

    2 Campionati Argentini (1945-‘47, River Plate)
    3 Campionati Colombiani (1949-’51-‘53, Millonarios)
    2 Palloni d’Oro d’Europa (1957-‘59)
    5 Titoli di Goleador della Liga Spagnola (1954-’56-’57-’58-’59)
    1 Titolo di Capocannoniere del Campionato Colombiano (1952)
    1 Titolo di Capocannoniere del Campionato Argentino (1947)
    2 Coppe Latina (1955-‘57)


    Il suo ruolino anno per anno: 

    Alfredo Di Stefano: Saeta Rubia Di_ste13

    Partite: 698 Gol : 554 Media reti a gara: 0.79 



    Il suo palmares come allenatore:
    1 Coppa delle Coppe d’Europa (1980, Valencia)
    1 Supercoppa Europea (1981, Valencia)
    1 Campionato spagnolo (1971, Valencia)
    1 Campionato Argentino (1970, Boca Juniors)
    1 Supercoppa di Spagna (1990, Real Madrid)


     
     
    Di Stefano con le nazionali:
    29 partite e 7 reti con l’Argentina.
    31 partite e 23 reti con la Spagna


     
     
    Il suo score completo, comprese le amichevoli:
    1090 partite giocate con 789 gol (il quarto di tutti i tempi)
     
    Le sue grandi finali:
     
    Coppa dei Campioni - Parigi 13 Giugno 1956
    Real Madrid - Stade de Reims 4-3
    Real Madrid: Alonso; Atienza; Lesmes; Munoz; Marquitos; Zarraga; Joseito; Marsal; Di Stefano; Rial; Gento. All.Villalonga.
    St.de Reims: Jacquet; Zimny; Giraudo; Siatka; Jonquet; Leblond; Hidalgo; Glovacki; Kopa; Bilard; Templin; All.Batteux.
    Arbitro: Ellis (Inghilterra)
    Marcatori: 6' Leblond(S),10' Templin(S),14' Di Stefano(R),30' Rial(R),62' Hidalgo(S),67' Marquitos(R),79' Rial(R).


    Coppa dei Campioni – Madrid 30 Maggio 1957
    Real Madrid - Fiorentina 2-0
    Real Madrid: Alonso, Torres; Lesmes; Munos; Marquitos; Zarraga; Kopa; Mateos; Di Stefano; Rial; Gento. All. Villalonga.
    Fiorentina: Sarti; Magnini; Cervato; Scaramucci; Orzan; Segato; Julinho; Gratton; Virgili; Montuori; Bizzarri. All. Bernardini.
    Arbitro: Horn (Olanda)
    Marcatori: 70' Di Stefano(R),76' Gento(R).


    Coppa dei Campioni – Bruxelles, 29 Maggio 1958
    Real Madrid-Milan 3-2 d.t.s.
    Real Madrid: Alonso; Atienza; Lesmes; Santisteban; Santamaria; Zarraga; Kopa; Mateos; Di Stefano; Rial; Gento. All. Carniglia.
    Milan: Soldan; Fontana; Beraldo; Bergamaschi; Maldini; Radice; Danova; Liedholm; Schiaffino; Grillo; Cucchiaroni. All. Viani.
    Arbitro: Alsteen (Belgio)
    Marcatori: 69' Schiaffino(M),74' Di Stefano(R), 78' Grillo(M), 79' Rial(R), 107' Gento(R).

    Coppa dei Campioni – Stoccarda 3 Giugno 1959
    Real Madrid-Stade de Reims 2-0
    Real Madrid: Dominguez; Marquitos; Zarraga; Santisteban; Santamaria; Ruiz; Kopa; Mateos; Di Stefano; Rial; Gento. All. Carniglia.
    St. de Reims: Colonna; Rodzick; Giraudo; Penverne; Jonquet; Leblond; Lamartine; Bliard; Fontaine; Piantoni; Vincent. All.Batteux.
    Arbitro: Dusch (Germania Ovest)
    Marcatori: 2' Mateos(R), 47' Di Stefano(R)
     
    Coppa dei Campioni – Glasgow 18 Maggio 1960
    Real Madrid-Eintracht F. 7-3
    Real Madrid: Dominguez; Marquitos; Zarraga; Pachin; Santamaria; Vidal; Canario; Del Sol; Di Stefano; Puskas; Gento. All.Munoz.
    Eintracht.F: Loy; Lutz; Hofer; Weilbacher; Eigenbrodt; Stinka; Kress; Lindner; Stein; Pfaff; Meier. All.Oswald.
    Arbitro: Mowat (Scozia).
    Marcatori: 19' Kress(E), 26' Di Stefano(R), 29' Di Stefano(R), 45',56',60' e 71' Puskas, 72' Stein(E), 74' Di Stefano(R), 76' Stein(E).
    Coppa dei Campioni – Amsterdam, 2 Maggio 1962
    Benfica-Real Madrid 5-3
    Benfica: Da Costa; Mario Joao; Ang.Martins; Cavem; Germano; Cruz; Josè Augusto; Eusebio; Aguas; Coluna; Simoes. All. Guttmann.
    Real Madrid: Araquistain; Casado; Miera; Felo; Santamaria; Pachin; Tejada; Del Sol; Di Stefano; Puskas; Gento. All.Munoz.
    Arbitro: Horn (Olanda).
    Marcatori: 17'e 23' Puskas(R), 25' Aguas(B), 34' Cavern(B), 38' Puskas(R), 51' Coluna(B), 64' e 68' Eusebio(B).
     
    Coppa dei Campioni – Vienna, 27 Maggio 1964
    Inter-Real Madrid 3-1
    Inter: Sarti; Burgnich; Facchetti; Tagnin; Guarneri; Picchi; Jair; Mazzola; Milani; Suarez; Corso. All.Herrera.
    Real Madrid: Vicente; Isidro; Pachin; Felo; Santamaria; Zoco; Amancio; Muller, Di Stefano; Puskas; Gento. All.Munoz.
    Arbitro: Stoll (Austria)

    Marcatori: 43'Mazzola(i), 61' Milani(I), 66' Mazzola(I), 80' Felo(R).

    Alfredo Di Stefano: Saeta Rubia Di_ste14

    Alfredo Di Stefano tecnicamente. 


    C’è un aspetto che crea un distinguo netto, fra Di Stefano e gli altri grandi calciatori della storia: Alfredo, è stato l’unico ed inavvicinabile “calciatore totale”. Il suo modo nuovo di giocare, si basava su una dinamicità senza pari per 90 minuti, trascorsi sempre attraverso una capacità di correre, senza ombre e flessioni e con la perfezione del senso del ritmo e dei tempi da dettare alla squadra. Possedeva una visione di gioco sublime, era potente, ed aveva una suprema facilità nel calciare sia nel passaggio che, soprattutto, nel tirare in porta con entrambi i piedi. L’efficacia del suo tiro, si impreziosiva di una ulterio-re unicità: calciava con violenza istintivamente in corsa, senza la necessità di cambiare passo, come fosse una macchina entro la quale veniva azionato un pulsante letale. Inseguiva gli avversari, portava i tackle, lo si poteva trovare nel cuore della sua area, a difendere e rilanciare l’azione, poi, con mostruosa velocità, andarla lui stesso a concludere. Un aneddoto sulla sua immensa grandezza, ci viene da un riporto della sua esperienza nei Millionarios di Bogotà, quando, dopo aver recuperato un pallone in difesa ed aver impostato l'azione avanzando con la palla al piede, attraversò il campo in diagonale per ricevere il cross di un compagno e insaccare il pallone in rete, ad 80 metri dal punto in cui aveva interrotto la trama avversaria. Gli si avvicinò, Adolfo Pedernera, il suo grandissimo ed anziano compagno di squadra che gli disse: “Ragazzo, ma tu, a chi vuoi rovinare il mestiere? Non rendere ridicolo un gioco che ci fa mangiare!”.

    Dietro Alfredo ci stavano doti di resistenza sovrumane, costruite grazie ad una rigorosa applicazione negli allenamenti, una vita ferrea sui principi che si vogliono comunemente legati allo sportivo, ed una condotta che non conosceva nemmeno saltuari incontri coi piaceri della tavola. Ventidue anni di carriera professionistica esemplari, inimitabili.
    “Non è stato difficile – ha raccontato nelle non certo numerose interviste concesse su come fosse riuscito, per tanti anni e dopo aver vinto più volte tutto, a trovare gli stimoli per continuare ad allenarsi – fare come ho fatto io, se si è stati poveri ed affamati come lo sono stato io. A me bastava ricordare il giorno che capii che se giocavo bene mi pagavano bene, ma se giocavo meglio mi pagavano meglio. E da allora non ho mai smesso di cercare di migliorarmi.”
    Definire un ruolo a Di Stefano, è dunque da blasfemi: tolto il portiere sapeva e poteva far tutto. A tal proposito, ci giunge esemplare la definizione che diede del campione argentino, Miguel Munoz, l'allenatore storico del Real Madrid che vinse tutto: “Avere in squadra Alfredo è come giocare con un uomo in più in tutte le zone del campo”.
    Anche da qui, ben si capisce, perché siano ancora tanti, nell’osservatorio, a definirlo come il calciatore più grande della storia. Questo ritratto però, si rivolge al pubblico italiano, quindi ad una “prateria” composta da tifosi e media particolari, spesso esclusivisti, nonché vergognosamente nazionalisti. Le definizioni date su Di Stefano da personaggi stranieri hanno, proprio per i motivi citati, poca presa. E nemmeno può portare acqua al mulino dei meriti del grande argentino, la testimonianza convinta ed ammirata di un Gianni Brera, troppo bravo e troppo conoscitore dello sport in generale, nonché scrittore decisamente superiore alla norma, per essere accettata dalle tipiche malformazioni italiche. Perciò, a conclusione di questa monografia, voglio portare la voce di uno straniero che fu “italianizzato” come pochi, lo spagnolo Luis Del Sol, bandiera juventina degli anni ’60 e calciatore che militò nel Real col grande “Saeta Rubia”.
    “Di Stefano – dichiarò Luis nei primi anni ’70 – è il più grande giocatore che io abbia mai visto. Le cose che ha fatto in campo, sono convinto, non saranno mai eguagliate. Era troppo per la nostra comprensione. Non lo ha superato Pelè e vorrei campare abbastanza, per vedere se ci sarà, o come sarà, colui che avvicinerà di molto l’inimitabile Alfredo”. Ed il fatto che Di Stefano, non abbia mai tirato indietro il piede di fronte alle sfide e ai campionati roventi, rafforza non poco le convinzioni dei suoi estimatori. Il resto lo ha fatto la sua longevità, in un’era dove il doping era…una pasticca di Zigulì.


    …..Il cielo era sempre buio
    non vedevo l’azzurro
    avevo fame.
    Calciavo gli stracci
    schiacciando i sassi
    coi miei calli da vecchio
    ed ero ancora bambino.
    Poi ho visto la luce faticando
    lavorando e correndo
    stavo diventando adulto
    per mamma e per me.
    Ora sorrido
    guardando il sole della mia vita…… 




    Maurizio Ricci detto Morris
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    Messaggio Da meazza Mar Lug 08, 2014 6:27 pm

    Grande Morris , sempre uno spettacolo leggerti (speriamo bene per domani)

    Se ne va uno dei piu' grandi (nella mia top 5.. tre son Argentini..)

    La tua ipotetica classifica all time ? (top 10..)
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    Messaggio Da Morris l'originale Mar Lug 08, 2014 9:44 pm

    meazza ha scritto:Grande Morris , sempre uno spettacolo leggerti (speriamo bene per domani)

    Se ne va uno dei piu' grandi (nella mia top 5.. tre son Argentini..)

    La tua ipotetica classifica all time ? (top 10..)

    Grazie!
    Spero in una finale Brasile-Argentina. Ovvio che spero in un colpaccio della Selecion. Per il bene del calcio, della sua storia e di quello che a me piace di questo sport, due europee in semifinale sono anche troppe….
     
    Per quanto riguarda i più grandi di tutti i tempi (escludendo i portieri), questa è la mia classifica:
    1° Maradona
    2° Di Stefano
    3° Van Basten
    4° Messi
    5° Pelè
    6° Didì
    7° Sivori
    8° Garrincha
    9° Best
    11° Schiaffino
    12° Pusckas
    13° Platini
    14° Rivera
    15° Varela
    16° Cubilla
    17° Suarez (Luisito-Inter)
    18° Overath
    19° Bechembauer
    20° Charlton (Bobby)
    21° Facchetti
    22° Artime
    23° Spencer
    24° Cubillas
    25° Abbadie
    26° Rocha
    27° Eto’o
    28° Tostao
    29° Mazzola Valentino
    30° Mazzola Sandro
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    Messaggio Da Morris l'originale Mer Lug 09, 2014 2:04 am

    Correzione doverosa, perché nella fretta per la partita (che delusione, pur considerando il Brasile odierno il peggiore che io ricordi!), mi sono saltati sui 40 che avevo in un file, ben 5 calciatori: Ronaldo (il brasiliano) al 12° posto (dopo Schiaffino); Baggio al 16° (dopo Rivera), Cruijff al 17° posto (dopo Baggio), Rivelino al 26° (dopo Spencer); Eusebio al 27° (dopo Rivelino), Maldini Paolo al 28° (dopo Eusebio); Pirlo al 29° (dopo Maldini) Cambiasso al 30° (dopo Pirlo); Sindelar al 39° dopo Mazzola Sandro; Gento al 40°.
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    Messaggio Da meazza Mer Lug 09, 2014 6:39 pm

    Be anche quello di Italia 90.. era molto scarso
    Rispetto a me metti molto avanti Van Basten (che non è nei primi 10 per me)
    e manca Meazza (5°)
    Anch'io non ho primo Pele (solo terzo..) Di Stefano 4°
    Sul primo è una lotta tra Maradona e Messi..
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    Messaggio Da Morris l'originale Mer Lug 09, 2014 8:27 pm

    Ovviamente sono opinioni…Wink 
    Spesso preferenze che, nel mio caso, vanno verso i giocatori tecnici. Ho dato più spazio e credito ai prodotti dei club, come si può vedere nel buon posizionamento di calciatori, ad esempio, come Luis Artime e Alberto Spencer, perché è il calcio più presente, ed è indipendente dal paese di nascita del singolo.
     
    Sulla posizione di Van Basten ha pesato tantissimo la sua tecnica a dispetto dell’altezza e dei piedoni che aveva, la correttezza e, soprattutto, la “tegola mentale” di dover giocare e prendersi botte con caviglie di cristallo e legamenti di talco. Aspetto che qualcuno, tal pelato, non voleva prendere in considerazione di fronte a quel “che tutti nell’ambiente sanno, ma che nel calcio non si può dire”. Va da sé, che in un pomeriggio, tanto memorabile quanto sconosciuto ai più, il Cigno attaccò al muro l’isterico pelato e questo per me vale come una ripetizione del maestoso gol fatto all’URSS nell’Europeo. Per etica e valori…. (non ti sfuggirà il “perché”….)
     
    Su Meazza ha pesato una scelta, da me proposta in tanti sport: dividere le ipotetiche classifiche fra fase pionieristica o antica e moderna. Ovvero un divisorio che, nel calcio, ben si inquadra fra il periodo precedente e quello seguente la seconda guerra mondiale.
    Nella mia classifica dei top 40, ho infatti inserito, fra i giocatori precedenti il citato conflitto, il solo Matthias Sindelar “Cartavelina”, per me il più grande giocatore di quella fase storica (Meazza è stato il 2°).
    Ciao!

    E incrociamo le dita. Entrerà Alvarez e sarà decisivo…..
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    Messaggio Da meazza Mer Lug 09, 2014 8:38 pm

    Ok , ho capito

    Su Ricky non son cosi fiducioso (ci pensera' il 10..)
    cauz.
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    Messaggio Da cauz. Ven Lug 11, 2014 8:31 pm

    grazie maurizio, finalmente ho trovato il tempo per leggere il tuo ritratto di questo grandissimo.
    sarebbe stato interessante integrarlo anche con qualche riga sul di stefano dirigente, visto che tante "voci" hanno attribuito alla saeta le poche doti di realismo e obiettività all'interno della casa blanca e della varie (tragicomiche) esperienze dirigenziali che l'hanno abitata nell'ultimo ventennio.
    ma con le "voci" effettivamente non si fa la storia.


    mi stupisce molto la classifica invece che è scaturita da questa discussione, perchè credo che avrei condiviso meno della metà dei nomi e ne avrei aggiunti tanti altri (tra quelli che ho visto, a mero titolo di esempio, e restando a madrid, aggiungerei per forza raul, laudrup, zidane e soprattutto redondo). ma queste classifiche lasciano sempre il tempo che trovano, troppo difficili da applicare ad uno sport semplice come il calcio.
    la usero' come spunto di riflessione, comunque, perchè qualcosa non mi torna proprio Smile

    grazie ancora per il ricordo di di stefano.


    Ya corre la Saeta, ya ataca mi Madrid,
    soy lucha, soy belleza, el grito que aprendí
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    Messaggio Da Morris l'originale Dom Lug 13, 2014 10:25 am

    cauz. ha scritto:grazie maurizio, finalmente ho trovato il tempo per leggere il tuo ritratto di questo grandissimo.
    sarebbe stato interessante integrarlo anche con qualche riga sul di stefano dirigente, visto che tante "voci" hanno attribuito alla saeta le poche doti di realismo e obiettività all'interno della casa blanca e della varie (tragicomiche) esperienze dirigenziali che l'hanno abitata nell'ultimo ventennio.
    ma con le "voci" effettivamente non si fa la storia.


    mi stupisce molto la classifica invece che è scaturita da questa discussione, perchè credo che avrei condiviso meno della metà dei nomi e ne avrei aggiunti tanti altri (tra quelli che ho visto, a mero titolo di esempio, e restando a madrid, aggiungerei per forza raul, laudrup, zidane e soprattutto redondo). ma queste classifiche lasciano sempre il tempo che trovano, troppo difficili da applicare ad uno sport semplice come il calcio.
    la usero' come spunto di riflessione, comunque, perchè qualcosa non mi torna proprio Smile

    grazie ancora per il ricordo di di stefano.

    Caro Cauz, c’è sempre una spiegazione sulle opinioni e nella spesso aleatoria formulazione di classifiche sui singoli di sport di squadra. Magari, non agli ultimi posti, quella simpatia che è umano provare, o, in maniera più tangibile o addirittura dirompente, quel che si sa, ma che non può essere ufficializzato, perché proprio nel calcio, su talune argomentazioni, ci si imbatte su una morfologia granitica di falsità, ipocrisie e conseguenti pericoli. 
    Ti faccio due esempi, senza nessuna pretesa di fare morale, o esprimere personali giudizi, che il calcio rinnega, come se sul proprio capo pendesse una catastrofe: omosessualità e doping. Trattasi di due incipienti realtà, eppure diventano ufficiali sotto forma di rarefatti elettroni, in numero esiguo rispetto anche a quel che si sovviene quali eccezioni che confermano le regole.
    Ognuno di noi possiede un suo bagaglio di informazioni e tele che spingono le comunque sempre aleatorie classifiche citate, ed è altrettanto pur sempre vero che un consistente peso in queste formulazioni, lo giocano le entità di quel non ufficiale presente nella propria borsa di arnesi decisionali.
     
    Hai fatto dei nomi e ti rispondo per quel che si può, senza entrare nel territorio delle “voci” più o meno siamesi alla verità.
    Inizio da Di Stefano. La non citazione in monografia sul suo segmento dirigenziale e che, conseguentemente, non conta nella formulazione della classifica da giocatore, rappresenta il rispetto che si deve, all’enorme atto d’amore verso il Real Madrid che il Saeta ha dimostrato. Le voci che tu hai richiamato sono “probabilissimamente” vere. Un dirigente d’animo cattivo, o con le palle (come tanto s’ama dire nella violenza del linguaggio-cultura delle giovani generazioni odierne), avrebbe mandato a quel paese le farfallesche e tragicomiche piante delle decisioni madrilene. Si sarebbe dimesso, usando la terapia d’urto. Invece, cercò dietro le quinte di stemperare, di creare rivoli di realismo e obiettività, uscendone comunque sconfitto, ma sempre unito al suo amore per il sodalizio e la sua gente. Ha fatto una scelta di centralismo democratico, ed uno come me, cresciuto su quel metodo, contestabile fin che sui vuole, ma “meno peggiore” in assoluto, non poteva non considerarlo. Ed allora, visto che di voci in ogni caso si trattava, per rispetto all’atto d’amore e alla grandiosità d’animo del grande Alfredo, ho preferito bypassare come tu hai perfettamente sintetizzato. In fondo, era una monografia, non l’opinabile classifica.
     
    Sulle classifiche.
    Prima premessa doverosa: trattasi di 40 giocatori complessivi, in una sport che ha evidenziato perlomeno 800 giocatori in grado di elevarsi a qualcosa in più di una onesta partecipazione all’undici schierato….. Quindi essere nei primi 50-60, significa già essere dei top…..
     
    Un primo stupore, potrà giungere nella minimale presenza di giocatori della “grande Olanda”. Nella sostanza però, ciò rappresenta la personale coerenza con uno “scalino” che spiegai in un post pubblicato su Cicloweb nel 2004, ma già vecchio di tre anni. Poi, volendo andare oltre, potrei dirti che su un terreno prettamente soggettivo, preferirei sempre un Krol a Cruijff….
     
    Si potrà dire che ci sono pochissimi tedeschi.
    Certo, ma è pur vero che la Germania nel calcio (ma non solo), è sempre stata un perfetto esempio di squadra, lasciando minori spazi alla fantasia e agli spessori dei singoli. Ed è proprio per questo che lì che sono nati dei ruoli funzionali al gioco di squadra, che hanno esaltato, in chiave individuale, le qualità di giocatori che hanno persino potuto godere delle difficoltà tattiche nel gioco di allora, atte ad affrontare queste novità. Su tutti Beckenbauer. Nato come mediano di spinta, ma non centrocampista epocale, buon incontrista, ma non eccelso, nel nuovo ruolo di libero fluidificante, poté sommare le sue qualità, divenendo esempio, ma non vale per me una posizione migliore di quella che gli ho data. Posizione sorprendente che ho invece assegnata ad Overath, poco amato in patria e dalla fitta corte di quegli scrivani del calcio che, da sempre, fanno le fortune o sfortune dei singoli, anche perché sovente lacchè dei più potenti. Sepp toccava tanti palloni, era un tessitore incredibile che, talvolta, aspettava un poco prima di passare la palla, solo perché cercava il compagno nella posizione migliore per sviluppare un’azione ficcante. Giocava nel Colonia e non nel Bayern, una sfiga, allora come oggi, perché tutto il mondo è paese e la Germania è tutt’altro che perfetta. In ogni caso, calciatori tedeschi eccelsi ci sono stati, taluni superiori al quadrante assegnato loro dal contraddittorio osservatorio mediatico. In ordine d’anzianità Seeler, Haller (sublime, altro che Kroos!), Gerd Muller (un rapinatore d’area incredibile), Netzer, Grabowski (il calciatore da me più ammirato, che mi strappò le lacrime nella sua ultima partita, ma con la sfiga di giocare a Francoforte…. ), Braitner, Rummenigge (un atleta prima che calciatore, poco artista, solo scattista), Littbarski….. In altre parole, una lunga sequela di nomi, sicuramente tutti superiori agli attuali della nazionale. Già, quella Germania di oggi, che, probabilmente vincerà il Mondiale, ma che non possiede nel suo seno nessun giocatore epocale. Forse il solo Lahm, sarebbe fra i 23 di un ipotetica selezione all time della Germania….
     
    Sulla personale classifica, ha poi pesato l’evoluzione diretta ed incredibilmente indotta o esogena, avvenuta dagli inizi degli anni 90 ad oggi. Di quel calcio che produce atleti in grado di fare sforzi superiori a 5 tapponi ciclistici consecutivi. Di quei calciatori di vertice che fanno tre partite settimanali alla media di 12-13 km percorsi l’una (il doppio del 1971!), fatte di scatti, elevazioni e movimenti impensabili nel ciclismo, con un numero di muscoli sollecitati in grado di far saltare tendini e sottoporre la resistenza fisica a stress pazzeschi. Di quel calcio che oggi non si vergogna, anche perché i giornalisti sono quel che sono, di usare alla luce del sole, procedure genetiche per correggere infortuni (o cambiare ancora una volta i motori) nati da prestazioni atletiche superiori a 1900 di Vam di ciclistica memoria. Di quel calcio che ha bisogno, per rendersi spettacolare, di allungare le squadre (porca miseria si consideri il fuorigioco solo dai  limiti dell’area!), perché rischia sovente di essere una noia mortale. Proprio come quel tiki-taka sviluppatosi e vincente solo se proporzionalmente superiore alla media dell’esogeno che tutti sanno ma che nessuno vuol (o può) dire…..
    Ecco allora il perché, salvo rarissimi ed importantissimi casi, i calciatori dell’ultima epoca, appaiono penalizzati nella personale classifica top 40.
    Tu Cauz, mi dici di Raul, Laudrup, Zidane e Redondo. Sono tutti di quest’era, quindi…. E sono tutti figli di squadroni, dove è più facile emergere. Raul e Laudrup per me stanno oltre la cinquantesima posizione, per quel che si vedeva (Laudrup meno di Raul). Su Zinedine Zidane, che non si deve mai dimenticare quel modesto cantautore, Galacticos e Gobbi moggici a parte, ha vinto uno dei Mondiali più interrogativi della storia, checché ne dicano i puritani delle pulizie francesi (roba da ridere!), giocando la finale in 11 contro 10, perché l’avversaria era stata depennata del miglior calciatore per un attacco epilettico da reazione chimica…... E ne ha fatto perdere ai Galletti un altro, perché sovente la testa è un’arma contundente, senza neuroni correttivi. Strano che per un morsetto, sia scattato il Daspo mentre per quello lì, siano scattate…..le scuse. Per me, Zidane, senza se e senza ma, non vale una top 40 di tutti i tempi, ed una volta nella vita sono d’accordo con una certa definizione dell’Avvocato…..
    Il caso che mi strugge, invece, è quello di Redondo (41°). Lui, aldilà del fatto che giocava fra i galattici, era veramente un qualcosa di straordinario, per tecnica, copertura del ruolo ed essenzialità. Ma c’è sempre un qualcosa, una partita o una piccola serie di partite, che fanno scattare, razionalmente, un salto in una classifica che, dal soggettivo, vuol tingersi di oggettivo. Redondo in Nazionale non ha inciso nel momento in cui era lui che doveva fare la differenza. Dopo la squalifica di Maradona (una farsa voluta dalla Fifa), quella squadra che con Diego avrebbe vinto il Mondiale (e lo sapeva bene tal Sepp), con Redondo e Batistuta doveva andare avanti, invece, si fece sbattere fuori dalla Romania del “Maradona dei Carpazi Hagi (42° nella classifica personale). Redondo e lo stesso si può dire anche per Batistuta, considerando pure la forza di quella squadra, segnarono un limite, nel momento in cui tutti va considerato perché si parla di eccellenze. Per me, Redondo, resta un grandissimo, una pietra miliare del calcio, ma se devo fare una classifica, sublimando al soggettivo l’oggettivo, non posso non mettere in conto anche gli aspetti…..più “antipatici” (tra l’altro sono tifoso dell’Argentina).
     
    Chiudo con una prosecuzione doverosa, in considerazione del punto sopra. Ci sono dunque partite che cambiano i valori di un giocatore quando si parla di eccellenze. Stasera, ad esempio, una vittoria della Germania, così squadra (anche se tutt’altro che eccelsa), difficilmente farà salire le quotazioni storiche di taluni singoli. Non così per l’Argentina, meno squadra, ma con potenziali grandi singoli. Messi, ad esempio, se vorrà essere davvero paragonato con colui che è stato di gran lunga il miglior giocatore di ogni tempo, ovvero Diego Maradona, deve donare la Coppa alla Selecion con una prestazione degna, non quella insufficiente espressa con l’Olanda. Altrimenti resterà sempre uno che rischia di scivolare all’indietro nel personale “Best Ranking”. Mascherano, invece, in caso di vittoria biancoceleste, entrerà lautamente nella “top 40”, perché in questo torneo è statu un super, senza se e senza ma. Roba che impallina, e non poco, chi lo ha allenato al Barcellona. È il vero capitano della Selecion, un Obdulio Varela dell’altra sponda della Plata. Di sicuro, con due Mascherano, la Germania perderebbe. Messi, lo deve sapere, con o senza vomito…..   
     
    Ciao! 

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