Di carne al fuoco ne è stata messa tanta.
E una gran parte di ciò che volevo inserire nel 3° capitolo potrei dire che andrebbe rimodulato sulla base di come la discussione si è sviluppata.
Per il momento terrei fuori il discorso sulle "altre" categorie (amatoriale e giovanile) proprio per focalizzare, qua ovviamente, la discussione sul Giro.
Siccome però sarebbe bene allargare il confronto nelle sue complessità, si potrebbe aprire una discussione più ampia sulla tematica con un thread apposito.
Come avevo fatto nei primi due capitoli, anche nel terzo avevo pensato di partire dalla storia antica per analizzare il ruolo e lo spazio di manovra del ciclista professionista nel dare senso allo spettacolo, e il doping è stato storicamente un ingrediente di questo contesto. Il doping va secolarizzato nella storia di questo sport e gli va data una collocazione storiografica e "laica" al di fuori di ogni valutazione legalitaria e etica (valutazione che peraltro ha una datazione recente e progressiva nel tempo a seconda della sensibilità con la quale lo stesso è percepito).
Il doping è stato parte della storia del ciclismo. Questo è un assunto pesante come un macigno, ma è storicamente innegabile e va accettato.
Quello che nel tempo si è modificato sono la coscienza e la sensibilità verso il fenomeno. All'inizio del secolo un probabilmente dopato di stricnina Dorando Pietri è diventato una icona nazionale grazie alla "non vittoria" della maratona olimpica. E tale resterà eternamente.
Prendere coscienza di questo con la delicatezza dell'analisi storica è fondamentale, anche ricordando la grossolana (quando non superficiale) trasparenza con cui più o meno da sempre il ciclismo si è relazionato con il doping. Dal programma Il Musichiere in cui Coppi e Bartali si sfottono amabilmente sull'uso della bomba davanti a milioni di italiani, un non tabù negli anni 50, alle confessioni sulle pratiche doping, comprese le trasfusioni di cui parla un medico con Robert Chapatte (in un programma del 1962)
http://www.ina.fr/video/CPF04006886
alle trasparenti opinioni sulla materia del citato Magni o del libertario Anquetil, c'è una evidente leggerezza culturale, ingenua o meditata come nel caso del francese.
Con l'introduzione dell'antidoping cominciò a sorgere il segreto "non segreto" su cosa fanno i ciclisti, sino alla esplosione del morboso interesse mediatico con il doping ematico.
Nonostante la grande attenzione sulla materia a partire dallo scandalo sul diffuso doping ematico, io ad oggi fatico e credo sia fuorviante leggere nel comportamento dei ciclisti una vera e propria omertà sul doping, e/o un parallelismo con il fenomeno mafioso. Lo ravvedo invece nelle azioni di altre figure collaterali.
Chiunque, fra giornalisti ed amici dei ciclisti ha in qualche modo e nel tempo avuto la possibilità di sapere un po' tutto di questo segreto di pulcinella.
In quanto al reperimento delle sostanze con furti ospedalieri, questo attiene più al mercato delinquente di chi vuole lucrare illecitamente. Distinguerei questo reato dall'uso illecito. Lo dico perché credo che la grande totalità dei prof consumatori si avvalga di canali ufficiali all'estero. Credo che l'epo sia ancora comunemente acquistabile nelle farmacie elvetiche ad esempio e che, nonostante la recente legge antidoping spagnola, in quel paese siano ancora teneri e compiacenti.
carmysco ha scritto:Quello che vorrei capire, soffermandomi in ambito professionistico (la discussione verte sul Giro d'Italia) è se gli utenti che maggiormente intervengono in questo thread propendono per una sostanziale sistematicità del ricorso al doping e per una impossibilità di prestazioni di alto livello senza l'ausilio di pratiche mediche o di sostanze non consentite dai regolamenti sportivi.
La domanda si presta ad una interpretazione duale ed equivoca, così posta.
Peraltro parte da un assunto che non lascia via di scelta ed approfondimento.
Posta così è come dire che si sta facendo apologia del doping. Se questo è un assunto concreto ogni discussione qualitativamente utile cessa di esistere.
Ad ogni buon conto, l'impossibilità indicata è, come ho già avuto modo di scrivere varie volte (l'ultima per il thread sul libro di Danilo Di Luca) una sorta di mantra che viene ripetuto da vari "ciclisti maledetti", da Lance Armstrong allo stesso Danilo Di Luca. E' un mantra che poi va interpretato, perché Danilo Di Luca ha ad esempio sviscerato e spiegato il significato ampiamente durante una trasmissione il classico tormentone "non si può vincere un Giro senza doping".
Personalmente non credo che questa sia una verità incontestabile, la logica e l'esperienza di alcuni dimostra che ciò non è vero. Di Luca ha spiegato molto bene che questa frase è vera all'interno del sistema che domina il ciclismo.
Se io prof vado con la 94 ottani e capisco che altri vanno a 98 ottani cercherò di fare altrettanto ed ancor di più. Discorso triste sin che si vuole, ma crudelmente reale, preso a prestito dalle parole di Lance Armstrong e miscelate nell'impasto del biscotto del film di Stephen Frears.
Se prendere consapevolezza e maneggiare senza tabù questi argomenti in una ottica di "riduzione del danno" (ovvero la storica strategia per contenere la diffusione di malattie infettive tra i tossicodipendenti) è motivo di turbamento e di sconvolgimento di principi etici e legalitari mi scuso, ma non è mai stato mio costume affrontare le problematiche profonde (tutte quelle che lo richiedono) partendo dal sesso degli angeli e/o dalle enunciazioni di principio.
Lo Stato etico è uno stato dell'utopia, luogo che fa a botte con un luogo come quello dello sport professionistico.
Sono state citate figure importanti della storia italiana giudiziaria, figure importanti che hanno anche pagato con la vita un metodo investigativo che non partiva assolutamente dalla visione di uno Stato etico, che lascerei invece alla sensibilità della materia politica.
Direi che alcune di quelle figure avevano e hanno più l'indole di chi per capire "metteva le mani nella merda", proprio per comprendere meglio i fenomeni che andavano a combattere.
Mi sia permesso di dubitare fortemente che questo approccio veramente fattivo (mettere le mani n...) abbia mai allignato fra gli organi sportivi e tra la classe politica, che è lontano anni luce dall'inquadramento del fenomeno, come lo sono larga parte dei media.
La dirigenza sportiva è largamente compromessa e agisce indisturbata nella violazione delle medesime regole che la stessa impone alla platea, sicura dell'insindacabilità del proprio operato.
In un regime di vera terzietà ed indipendenza dai vertici sportivi dell'antidoping, anche io sarei per sperimentare gli effetti pratici di una radiazione per tutti alla prima positività per doping ematico o genetico, corruzione per copertura e chiara intenzionalità per altri prodotti "minori" (non alla non negatività che è solo una fase tecnica prima della controanalisi).
Con la scusante della legislazione sui contratti di lavoro e della legislazione europea, gli organismi sportivi si sono creati un alibi per non adottare un provvedimento che toglierebbe loro potere e discrezionalità ed anzi favorirebbe le confessioni e soprattutto una ampia scoperta del cosiddetto "sistema", che non è solo il doping (solo una parte), ma tutto quell'insieme di vessazioni contrattuali e di bad practices che servono a spingere implicitamente o esplicitamente i ciclisti verso il doping e che li rende schiavi della ipocrisia e dei ricatti.
L'ho scritto a più riprese questo e, in mancanza di questo deterrente, non sono più disposto ad accettare l'assurdo fango che viene scaricato dal sistema ipocrita (dirigenze, team, media, ecc.) sui dopati "trovati positivi", perché quell'accanimento è ipocritamente decontestualizzato dalla effettiva realtà del fenomeno, cosa che ormai percepiscono in parecchi.
Non concordo in parte con questo assunto:
- assoluta incompatibilità per ex atleti, dirigenti, direttori sportivi coinvolti in vicende di doping a ricoprire qualsivoglia ruolo nei team (giovanili, dilettantistici, prof.).
Sarebbe un provvedimento insensato perché sarebbe come condannare una intera generazione al 99%, e naturalmente mi riferisco agli ex ciclisti e limitatamente alla loro assunzione personale di doping.
Con la "furia iconoclasta" antidoping alimentata ad arte dal 2012 in poi, che propugnava simili soluzioni anche un CT come Franco Ballerini avrebbe dovuto lasciare l'incarico e sono certo che sarebbe successo. La sua saggezza e misura umana sarebbe stata utile per mettere in luce i punti deboli di soluzione come queste.
Poi a voler esser scrupolosi ci sarebbero anche quelli che non sono stati coinvolti, quelli che erano "dopati negativi", col rischio quindi di premiare bugiardi ed ipocriti.
Meglio un reo sincero, liberato e guadagnato alla virtù di un falso irreprensibile.
Semmai ragionerei sulle reali intenzioni di queste persone e sui comportamenti recenti. Credo inoltre che per le stesse ragioni di cui sopra sarebbe inapplicabile come la famosa regola Osaka (punizione afflittiva).
Faccio comunque un distinguo. L'incompatibilità l'applicherei invece per le categorie giovanili (quindi esclusi i prof) e per tutti coloro, ciclisti e non, che si sono resi responsabili di spaccio, somministrazione medica e in generale di reati associativi.
Aumentare le sanzioni penali
Ok, bella intenzione, ma perché dare 2 anni (un esempio) per il doping, quando ladri seriali prendono mesi?
Discorso complesso. Punirei pesantemente invece il doping politico, quello che sfugge sempre ed è una concausa del fenomeno.
Per queste ragioni io non credo che sia possibile distinguere in modo netto fra onesti e disonesti perché, senza voler offrire gratuiti alibi ad alcuno, esistono anche i "disonesti per necessità", categoria in aumento nella società, che scompagina una legittima utopia.
Da cristiano che crede nella nobiltà del perdono e dell'energia liberatoria della confessione sono per una società ed uno sport che valorizzi l'assunzione di responsabilità, che significa anche dare valore ideale alla denuncia tout court, come strumento di crescita civile e di consapevolezza.