Lo Spettacolo - Parte 2/3 - Sponsor Privati e Sponsor Pubblici (e Statali)
De lo Spectaculo per lo Potere ad inCastrum
LA CAROVANA PUBBLICITARIANel ciclismo, nei Grandi Giri in particolare, una parte notevole dello spettacolo è sempre stata la pubblicità, attraverso la carovana pubblicitaria.
Negli anni 50 la comunicazione pubblicitaria nel ciclismo era avanti anni luce al calcio, anche perché non essendo uno sport stanziale ci si doveva inventare qualcosa di originale.
La sensazione di novità e di moderno che si doveva percepire allora al passaggio della carovana doveva essere notevole, alla faccia dello sbiadito bianco e nero che arriva oggi ai nostri sensi assuefatti dai video di cineteca.
Anche questa è una ragione per la quale la tradizione non deve diventare una gabbia di conservazione frigorifera.
Allora, alla staticità delle pubblicità negli stadi si anteponeva il dinamismo di quelle auto (oggetto allora ancora di sogno per larga parte della popolazione), che venivano rimodellate anche con livree avveniristiche. Uno spettacolo!
Era il trionfo della genialità e del dinamismo di un Paese che rinasceva dalla guerra. Le emozioni io le posso solo immaginare, sia per la passione ciclistica, sia in materia di comunicazione.
La carovana pubblicitaria nacque al Giro nel 1933, come occasione per vendere prodotti e oggetti sulle strade percorse dalla corsa. La vera e propria carovana pubblicitaria come la intendiamo oggi arrivò nel dopoguerra, nel 1946 e fu l'occasione per dare sfogo ad alcuni geniali carrozzieri italiani, famosi e meno famosi come i Fratelli Fissore, Boneschi, Mantelli, Borsani, Monviso, Coriasco, Barbi e Zagato.
La battaglia con il Tour per la carovana pubblicitaria era totale e di altissimo livello, con gli altri grandi paesi europei (pensare a Gran Bretagna e Germania) a guardare con stupore il genio latino. Bando ai sentimentalismi ed alle nostalgie del non vissuto (almeno per me).
Questo tipo di strumenti pubblicitari è arrivato sino ai giorni nostri più o meno, sebbene in Francia sia decisamente più cospicuo e spettacolare di quello del Giro.
IL CICLISMO PROFESSIONISTICO E LE MARCHE INDUSTRIALI PRIVATEL'altro strumento, il principale grande veicolo pubblicitario del ciclismo sono ovviamente le maglie, con la pubblicità che nel ciclismo è diventata extrasettore prima di ogni altro sport, prima dell'automobilismo, grazie ai primi accenni di crisi delle case produttrici di biciclette e grazie al genio di Fiorenzo Magni che trovò la sponsorizzazione Nivea.
Sono pochi gli sport che possono vantare un così antico e capillare collezionismo, con grandi e piccole originalissime collezioni private. I musei di ciclismo sono oggi numerosi e decisamente apprezzati dalla gente, se i loro costi si mantengono contenuti e non come al Ghisallo, progetto troppo ambizioso per quel paesino inerpicato sulle Prealpi. Vedremo come funzionerà lo spettacolo museale del realizzando e inaugurando nuovo Vigorelli.
Detto delle maglie, vale allora la pena analizzare le squadre come marchi, ovvero l'evoluzione degli sponsor negli anni, sponsor privati e "sponsor pubblici", del quale più innanzi ne spiegherò la definizione.
Il ciclismo è stato un formidabile canale per creare una conoscenza eterna del marchio, si pensi solo a Nivea, Ignis, Salvarani, San Pellegrino, Scic, Magniflex in
Italia.
IL CICLISMO DILETTANTISTICO DI STATO (VEICOLO DI IMMAGINE DELLA POTENZE DELL'EST)Il ciclismo professionistico visse nell'immediato dopoguerra un grande boom al quale si affiancò il boom del ciclismo dilettantistico che nei paesi dell'est, dell'ex Patto di Varsavia, era il ciclismo assoluto che vedeva nel momento olimpico il suo culmine.
La forza del ciclismo dell'est, che comunque vantava tradizioni decennali nella Germania Est, in Cecoslovacchia e Polonia, si manifestò in seguito nella seconda metà dei '50 con la crescita del movimento sovietico e con il mitico Viktor Kapitonov, olimpico a Roma 1960, che poi divenne il CT dei sovietici. Qui nella foto abbracciato da Livio Trapè, guerra fredda alla ciclista.
I russi attraverso il Cio pretesero che l'Uci desse vita ad organismi separati fra dilettanti e professionisti e la politica sportiva italiana avallò questa richiesta con rigore da real politik. I russi apprezzarono questa apertura e per decenni i sovietici considerarono l'
Italia la loro base occidentale, comprando in
Italia biciclette, vestiario e mandando alle gare italiane i loro migliori atleti.
L'UCI creò due federazioni ad essa subordinate, la FIAC (Fédération internationale amateur de cyclisme) e la FICP (Fédération internationale de cyclisme professionnel). La FIAC aveva sede non casualmente a Roma, mentre la FICP era in Lussemburgo e l'UCI a Ginevra.
L'
Italia in particolare viveva in pratica due spettacoli in uno. Tra i dilettanti (che non erano under 23!) si poteva godere lo spettacolo delle nuove leve azzurre che si confrontavano con i colonnelli in bici dell'Armata Rossa, i giganti della DDR, i mastini polacchi e i simpatici zingari cecoslovacchi nonni di Sagan. E' di quegli anni la definizione di CdS, Campioni di Stato, termine con il quale giornalisti e giovani italiani dei club di base dilettantistici tendevano a definire i colossi delle nazionali sovietiche e tedesche soprattutto. Era un termine che veniva utilizzato tranquillamente da destra in senso vagamente dispregiativo per descrivere la lotta impari, sia da sinistra (ricordando il mitico Gino Sala) che con quel termine usato con rispetto politico strizzava comunque l'occhio ai suoi beniamini italiani, auspicando una lotta che avrebbe permesso ai ragazzi di farsi le ossa prima del professionismo.
C'era molta armonia, molto rispetto, molta sana rivalità in quel ciclismo.
L'
Italia per i Campioni di Stato dell'Est era un punto di riferimento ciclistico e loro erano per i nostri dei micidiali sparring partners in vista dell'agognato professionismo. E gli sparring partners erano ufficiali della Armata Rossa, gente dilettante sulla carta ma in realtà professionisti di Stato, come il mitico Soukhoroutchenkov (campione olimpico a Mosca e papà di Olga Zabelinskaya).
Fra loro c'era anche un ottimo pistard e discreto stradista di nome Igor Makarov, oligarca proprietario della Itera e deus ex machina dei team Katusha e Gazprom.
Certo, il professionismo non era mondiale perché mancava l'est, ma in qualche modo tutti gli appetiti ciclistici venivano soddisfatti con buona pace anche della politica, pure in tempo di Guerra Fredda.
Di certo gli anni della Guerra Fredda dal 1965 (anno della separazione fra la FIAC e la FICP) al 1985 non furono anni di crisi per il ciclismo, nè per quello dilettantistico, tanto meno per quello prof. Per larga parte di questo periodo la presidenza Uci fu italiana, del bergamasco Adriano Rodoni.
LA CADUTA DEL MURO E LA CONFUSIONE FRA DILETTANTISMO E PROFESSIONISMOCon il 1989 alla caduta del Muro di Berlino tuttò cambiò, e inizialmente anche bene perché l'atmosfera della Caduta del Muro apriva entusiasmi e il sogno degli appassionati era quello di vedere il mitico Soukhoroutchenkov confrontarsi con i Moser, gli Hinault e i Saronni, un sogno impossibile in quanto tutti e tre allora a carriera finita e il neoprof Soukho ormai in là con gli anni.
La Caduta del Muro offriva anche la possibilità di pregustare il grande scontro tra l'americano Lemond e uno degli orsi russi (o meglio ex sovietici), gusto pregustato grazie alla cinematografia americana, oltre che alle gare a tappe, fra cui una organizzata dall'attuale candidato repubblicano Trump (oltre a Coors Classic e Dupont Tour).
La caduta della DDR portò anche alla scoperta del doping di Stato, alla quale venne associata la precedente definizione di Campione di Stato, anche se in questo caso il doping del ciclismo fu marginale rispetto ad atletica e nuoto.
Gli eredi di Soukho non si dimostrarono forti come il "Merckx dell'est" ed anzi si dimostrarono abbastanza mercenari e poco leader come i loro modelli di provenienza.
La caduta del Muro portò con sé anche una cosa che per me è stata assolutamente negativa, almeno per come è stata gestita: la licenza unica ed il superamento repentino e non ragionato fra dilettanti e professionisti realizzato sul finire degli anni 90, un cambiamento che noi italiani non abbiamo saputo realizzare per tempo, che abbiamo subìto e che ci ha ridotti a questo infimo livello attuale, complice una politica dirigenziale a dir poco disgraziata e miope.
Il risultato è che oggi larga parte dei tesserati elite mondiali sono degli ibridi, non sono professionisti veri e non sono dilettanti. Per noi paese di lunga tradizione è stata la fine di una lunga storia gloriosa mentre di fronte abbiamo grosse nubi.
Si pensava, allora, che il futuro del ciclismo sarebbe stato solo professionistico e che le aziende, i marchi occidentali privati sarebbero stati i definitivi partner e finanziatori del ciclismo. Insomma, l'est aveva perso e l'ovest dell'edonismo reaganiano aveva trionfato.
Così avvenne sino a che la Russia indebitata rimase in mano ad oligarchi e corruzione dall'estero, ma con l'affermazione di Putin (comunque la si pensi su di lui) il ciclismo di Stato è tornato e non solo a est.
Tutto quanto sopra era una lunga premessa.IL GRANDE WORLD TOUR - UNA GRANDE CHIAVICA DI RISIKOVeniamo ai giorni nostri per capire come la seconda gamba dello spettacolo, gli sponsor, si sono evoluti dagli anni 60 ad oggi.
Prendiamo a pretesto come base di raffronto il Giro del 1960, anno del boom economico e delle Olimpiadi di Roma, di una
Italia attraversata da grandi problemi sociali, da aspirazioni di crescita di benessere e anche da un grande moto di dinamismo industriale. Non cito il boom italiano degli anni 90 (di team, marchi e corridori) perché preferisco citarlo nel capitolo 3/3 dedicato ai ciclisti.
Queste di seguito erano le squadre, anzi i marchi rappresentati in quel Giro 1960. Sono 56 anni fa! Ai marchi di bici si affiancano aziende di tecnologia, elettrodomestici, alimentari e food in genere. Parliamo di marchi di economia privata, quella che l'occidente mostrava con successo all'orso statalista sovietico:
EmiAtalaBianchiCarpanoFaemaSaint-RaphaelGazzoli-FiorelliGhigiIgnisLegnanoMolteniPhilcoSan PellegrinoTorpadoE qua invece siamo ai giorni nostri, con l'elenco dei World Team del World Tour, nome pomposo per un ristretta cerchia di aziende private e tante, tante aziende di stato, non solo e non tanto ad est.
Cod. Squadra Biciclette Gruppo Ruote ALM | AG2R La Mondiale | Focus | SRAM | Zipp |
AST | Astana Pro Team | Specialized | Campagnolo | Corima |
BMC | BMC Racing Team | BMC | Shimano | Shimano |
CPT | Cannondale Pro Cycling Team | Cannondale | Shimano | Mavic |
EQS | Etixx-Quick Step | Specialized | Shimano/FSA | Roval |
FDJ | FDJ | Lapierre | Shimano | Shimano |
IAM | IAM Cycling | Scott | Shimano | DT Swiss |
LAM | Lampre-Merida | Merida | Shimano/Rotor | Fulcrum |
LTS | Lotto-Soudal | Ridley | Campagnolo | Campagnolo |
MOV | Movistar Team | Canyon | Campagnolo | Campagnolo |
OGE | Orica-GreenEDGE | Scott | Shimano | Shimano |
DDD | Team Dimension Data | Cervélo | Shimano/Rotor | Enve |
TGA | Team Giant-Alpecin | Giant | Shimano | Shimano |
KAT | Team Katusha | Canyon | SRAM | Zipp |
TLJ | Team Lotto NL-Jumbo | Bianchi | Shimano | Shimano |
SKY | Team Sky | Pinarello | Shimano | Shimano |
TNK | Tinkoff | Specialized | Shimano | Roval |
TFS | Trek-Segafredo | Trek | Shimano | Bontrager |
Ai marchi di biciclette che sono tornati a sponsorizzare, nessuno però italiano fra i Title Sponsors, si aggiungono marchi di "non aziende" che sono vere e proprie emanazioni statali basate sul petrolio e sulla industria di logistica e militare ad est (Katusha, Astana).
Ma le aziende di Stato non sono finite qui, non c'è solo l'Est.
Sono statali ben tre team europei occidentali legati ai giochi (Lotto BE, Lotto NL e FdJ) ed è una controllata statale anche il main sponsor del primo World Team africano, la sudafricana di sede e giapponese di capitale Dimension Data, in quanto appartenente alla Nippon Telegraph and Telephone, gruppo posseduto al 30% e controllato dal governo giapponese.
E' infine privata ma strettamente legata allo stato australiano la Orica, multinazionale degli esplosivi al servizio dell'industria militare e mineraria-estrattiva.
All'orizzonte si intravvedono infine gli sceicchi coi loro fondi sovrani, capitali loro che però sarebbero in realtà del loro Stato.
Ai suddetti colossi statali si affiancano poi possenti multinazionali come il leader mondiale dell'info-entertainment Sky, colossi multinazionali finanziari, delle telecomunicazioni.
Il caro vecchio marchio industriale è insomma ridotto a margine nel puzzle del ciclismo mondiale di vertice.
Perché questa mutazione genetica così vistosa e così radicale, una corsa a chi ha il cannone più potente?
Non c'è alcun dubbio che gli appetiti estremi dell'Uci, che con la caduta del muro si crea la sua isola felice e protetta in Svizzera, abbiano alzato notevolmente l'asticella. Il progetto dietro Lance Armstrong (usato e scaricato) che ha fatto da anticamera alla nascita del ProTour ora World Tour ha creato una sorta di bolla, una enorme barriera all'ingresso, che ha reso il ciclismo mondiale alla stregua di un grosso risiko politico-sportivo.
Il gioco del ciclismo attuale assomiglia più al Ciclismo di Stato della FIAC che al ciclismo professionistico della FICP anni 60-90, senza avere però il fascino di quel ciclismo prof e dilettantistico.
Almeno nel vecchio ciclismo dilettantistico si viveva la sfida, il sogno della lotta impari fra il Davide giovane italiano ed il Golia colosso sovietico. C'era un fascino enorme in quel confronto.
Lo spettacolo ciclistico nel risiko fra Aziende di Stato e Multinazionali che si fanno Stato rischia di soffocare nella gara al più forte, al più influente, al più disposto a pagare per servigi, forse anche non confessabili, ad un banco-giudice supremo ciclistico che risponde a vecchi statuti unionistici (Uci) di antiche federazioni ormai possedute da signori locali titolari di diritti e rappresentanze autoreferenziali, un po' su larga scala quello che è la Federazione Ciclistica Italiana. Anche qui dilettanti che fanno i professionisti giocando a risiko.
LE SPONSORIZZAZIONI POLITICHE E I PATROCINIAlle sponsorizzazioni private e pubbliche dobbiamo poi aggiungere altre sponsorizzazioni (in termini di incentivazione) di carattere statale: le sponsorizzazioni politiche, gli endorsement il cui prezzo non è dato sapere.
Abbiamo visto tutti il tweet di Renzi, ripreso da tutta la stampa, non si sa se per tributare gli onori a Nibali o se per accrescere la gloria attorno al ducetto-infante del primo secolo del terzo millennio.
Abbiamo visto tutti le immagini, dalla Gazza di oggi, del presidente del Coni Malagò precipitatosi a Cuneo, all'hotel della Astana, per fare colazione con Nibali prima della tappa finale.
Certo Malagò è una autorità sportiva, ma è anche una figura politica, spesso sincero come un politico navigato fra mezze verità, come in questa intervista del 2009 prima dei mondiali di nuoto in cui negava di volere diventare presidente coni,
ma ammetteva di volere le Olimpiadi a Roma, cosa che lo rende comunque una sorta di sindaco ombra non eletto da nessuno in questo momento.
http://vittoriozincone.it/2009/06/09/giovanni-malago-magazine-settembre-2007/
Dovremo aspettarci un Nibali testimonial di Roma 2024. Dite che sia una facile previsione che i bookmakers inglesi nemmeno quoterebbero?
Questi tentativi della politica di appropriarsi del Campione di turno, o anche di mettere a frutto il Campione di Stato hanno radici antiche e negli anni del fascismo sappiamo a che razza di pressioni furono sottoposti gli sportivi non allineati. Almeno questo oggi sembra che ce lo si possa risparmiare, almeno spero. Prima si diceva della sobrietà degli austeri ministri democristiani degli anni '60 e '70, che raramente sconfinavano nello sport, anche perché memori del precedente regime.
Ma c'è un grande precedente storico nel quale la politica democristiana chiese aiuto allo sport. Si tratta della celeberrima vicenda-leggenda sul ruolo che ebbe la vittoria di Gino Bartali al Tour 1948 nel placare gli animi e le contrapposizioni ed allontanare il rischio di una guerra civile, dopo l'attentato a Togliatti. Aldilà della reale riappacificazione a seguito delle parole dei leader dell'allora Pci, rinforzate dal miglioramento delle condizioni fisiche del leader politico, quella che sembrò per tanti una leggenda, ovvero l'aiuto richiesto dal primo ministro De Gasperi a Bartali, si dimostrò poi invece concreta e reale, anche se era ovviamente solo un auspicio e certamente la politica non invase lo sport maldestramente.
Se ne era parlato qua.
http://www.ciclopassione.com/t1445-gino-bartali-centenario-dalla-nascita#10879
De Gasperi inviò in Francia due suoi ministri, Giuseppe Pella e Pietro Campilli, con quest'ultimo che pochi mesi prima era uscito da uno scandalo finanziario che oggi farebbe sorridere al confronto coi nostri "eroi" attuali. Quella trasferta lo aiutò a recuperare punti di appeal (diremmo oggi).
https://www.cosapubblica.it/corruzione/campilli-vanoni-febbraio-1947-tangentopoli/
Nella foto di seguito, una lettera cartolina di ringraziamento agli "eroi francesi" controfirmata dai suddetti Ministri Giuseppe Pella e Pietro Campilli, che nella occasione si mostrarono ottimi come motivatori, anche grazie all'enorme premio in denaro che fu concesso alla squadra italiana.
Evidentemente le doti motivazionali di Pietro Campilli si trasferirono anche ai discendenti ed in particolare ad un bis-nipote famoso.
Quel nipote famoso si chiama ...
Giovannino Malagò.
Corsi e ricorsi storici.
Bene o malagò, sempre viva l'
Italia, questo spettacolo di
Italia.