Nel pomeriggio, davanti alla tomba di mio padre, son tornato bambino, ripercorrendo, e mi capita spesso, i fotogrammi di quell’infanzia che babbo ha saputo illuminarmi e che mi porterò siamese per il resto dei miei giorni. Un giorno particolare, che si lega ad una figura che è riuscita a rendere, incredibilmente, più forte il legame fra un figlio ed un padre che gli poteva essere nonno. Ne è uscito un dialogo immaginario nel presente, verissimo nei contenuti vissuti e nella suggestione che li accompagnava. È la ricorrenza del giorno più tragico di quella figura, Fausto Coppi, e se non la ricordassi un poco anche qui, mi sentirei come se avessi fatto un torto a babbo, proprio colui che me l’ha scolpita sulla pelle e sulla mente quando ancora ero piccino. Poco importa, se gran parte di ciò che seguirà, è stato da me già pubblicato su libri o altri spazi web…...
Fausto Coppi, il Campionissimo.
La sua carriera
Fausto Coppi e il Tendicollo nei ricordi di un bambino.
La morte prematura di Fausto.
Due giornate sottostimate della sua leggenda....
....Una sconfitta, ed una strepitosa vittoria.....
FRECCIA VALLONE
13a Edizione: 13 aprile 1949 (Charleroi – Liegi)
Ordine d’arrivo:
1° Rik Van Steenbergen (Bel) Km 231 in 6h20’34” media di 36.419 kmh
2° Ward Peeters (Bel)
3° Fausto Coppi (Ita)
4° Pino Cerami (Ita)
5° Marcel De Mulder (Bel)
6° Roger Gyselinck (Bel) a 41”
7° Louis Caput (Fra) a 3’11”
8° Maurice Mollin (Bel)
9° Louison Bobet (Fra)
10° Joseph Verhaert (Bel)
11° Emile Idée (Fra) a 4’46”
12° Raymond Lucas (Fra)
13° Roger Chupin (Fra)
14° Albert Anciaux (Bel)
15° Jean Bolly (Fra) a 7’56”
16° Norbert Callens (Bel) a 8’16”
17° Albert Anutchin (Bel)
18° René Janssens (Bel)
19° Serse Coppi (Ita)
20° Marcel Kint (Bel)
21° Louis Thiétard (Fra) a 8’41”
22° Robert Minnaert (Bel)
23° Julien Janssens (Bel)
24° José Beyaert (Fra) a 12’56”
25° Nedo Logli (Ita)
26° Florent Mathieu (Bel)
27° Jean Baptiste Delille (Fra)
28° Joseph Van Stayen (Bel) a 14’30”
29° Hilaire Couvreur (Bel)
30° Alphonse Meurs (Bel)
31° Jean Breuer (Bel)
32° Pierre Vermeiren (Bel)
33° Andrea Carrea (Ita)
34° Oscar Plattner (Sui)
35° Hughes Guelpa (Fra)
36° Henk De Hoog (Ned)
37° Maurice Blomme (Bel)
38° Julien Ardijns (Bel)
39° Ugo Fondelli (Ita)
40° Aldo Ronconi (Ita)
41° Bim Diederich (Lux) 18'06"
42° René Beyens (Bel)
43° René Walschot (Bel)
44° Jean Kirchen (Lux)
45° Maurice Meersman (Bel)
46° Italiano Lazzerini (Ita)
47° Marcel Verschueren (Bel)
48° René Biver (Lux) a 28’16”
49° Lode Vanderauwera (Bel)
14a Edizione: 1 maggio 1950 (Charleroi – Liegi)
Ordine d’arrivo:
1° Fausto Coppi (Ita) Km 235 in 6h24’40” alla media di 36.655 kmh
2° Raymond Impanis (Bel) a 5’05”
3° Jean Storms (Bel)
4° Marcel De Mulder (Bel)
5° Maurice Blomme (Bel)
6° René Walschot (Bel)
7° Lionel Van Brabant (Bel)
8° Joseph Verhaert (Bel)
9° Ward Van Ende (Bel)
10° Jean Breuer (Bel)
11° Omer Braekevelt (Bel) a 6’40”
12° Fermo Camellini (Fra)
13° César Marcelak (Fra) a 11’45”
14° Galliano Pividori (Ita)
15° Ettore Milano (Ita) a 12’23
16° Elias Walckiers (Bel)
17° Andrea Carrea (Ita)
18° Richard Masutti (Ita)
19° Marcel Verschueren (Bel) a 12’48”
20° Henk De Hoog (Ned)
21° Jean Chateau (Fra)
22° André Declerck (Bel)
23° Guy Persico (Fra)
24° Florent Mathieu (Bel)
25° Karel Vandormael (Bel)
26° Julien Van Dycke (Bel)
27° Eugène Van Roosbroeck (Bel)
28° Jean Kirchen (Lux)
29° (Fra)ns Leenen (Bel) a 22’40”
30° René Haugustaine (Bel)
31° Jean Bolly (Fra)
32° Alphonse Meurs (Bel) a 23’41”
33° René Biver (Lux) a 32’21”
Maurizio Ricci - Morris
Edit:
Lo speciale Rai del cinquantenario dalla scomparsa (2010):
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-fb5c3b54-1b45-47f1-a1b0-51ba272211bd.html
Sfide - Il Volo di Fausto Coppi - Speciale Rai del 2011
I Miti del Ciclismo - Fausto Coppi
I Funerali di Coppi - Immagini dalla Tv di San Marino
Speciale Fausto Coppi - L'ultimo volo dell'airone
L'airone alto nel nostro cielo - I Tortonesi raccontano di Fausto (docu-interviste)
Intervista a Fausto Coppi (La Bomba - 1952)
C&B al Musichiere
Il Tour del 1949
Il Tour più incredibile e fantastico della Storia - 1952
Una delle azioni più "impressive" della Storia del Ciclismo (Puy de Dome):
Fausto Coppi raccontato da Gianni Mura
Fausto Coppi - La storia in giallo 2007-2008 (programma radiofonico)
Antonella Ferrera ospita in studio il Capo Redattore del Tg1 Marco Franzelli.
La voce di Fausto Coppi e' quella di Riccardo Rossi.
Fausto Coppi quando faceva il giornalista
Documental sobre Fausto Coppi "Il Campionissimo" (di Canal Plus España)
L'airone ha chiuso le ali
Il film "Il Grande Fausto" è recensito qui:
http://www.ciclopassione.com/t823-cinema-e-ciclismo-il-grande-fausto-di-alberto-sironi
Da segnalare infine l'ottimo post di Mario Masala sulle musica legata a Coppi:
http://www.ciclopassione.com/t713-musica-su-due-ruote#2924
Fausto Coppi, il Campionissimo.
Oggi, due gennaio 2014, è il 54° anniversario della morte del Campionissimo, dell'uomo che ha fatto sognare milioni di italiani, del più grande campione che lo sport del nostro Paese abbia mai avuto.
Certo, su questo, qualcuno potrebbe trovare lo spazio per obiettare nonostante il risultato, quasi plebiscitario, del sondaggio sull'atleta italiano dell'ultimo secolo del millennio scorso. Nessuno però, potrà cancellare o contestare il fatto che sia stato Fausto Coppi il personaggio del nostro sport più capace di entrare nei "media", nella fantasia, nella cultura e nel costume degli italiani. Egli era unico nel bene e nel male, proprio perché tutti, in un modo o nell'altro, aveva conquistato. Nel suo segno si muovevano le penne, si arricchivamo le strade, strillava la voce della radio.
Già, la radio, palcoscenico di una frase che ancor oggi (e probabilmente per sempre), echeggia e scolpisce le gesta del Campionissimo: "Un uomo solo al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi". L´autore, Mario Ferretti, da quelle radiocronache, si è legato indissolubilmente all'immagine, alle imprese, alla leggenda di Fausto.
Dire in poche righe perché Coppi è tanto nella storia del ciclismo e dello sport non è facile, anche perché ai più giovani sfuggono spesso le motivazioni, o non vengono spiegate a sufficienza dai media la sua popolarità e le immanenze che ne erano alla base. Vedrò in questo spazio e in rapida sintesi di porre all'attenzione le sue cifre e il suo curriculum.
Certo, su questo, qualcuno potrebbe trovare lo spazio per obiettare nonostante il risultato, quasi plebiscitario, del sondaggio sull'atleta italiano dell'ultimo secolo del millennio scorso. Nessuno però, potrà cancellare o contestare il fatto che sia stato Fausto Coppi il personaggio del nostro sport più capace di entrare nei "media", nella fantasia, nella cultura e nel costume degli italiani. Egli era unico nel bene e nel male, proprio perché tutti, in un modo o nell'altro, aveva conquistato. Nel suo segno si muovevano le penne, si arricchivamo le strade, strillava la voce della radio.
Già, la radio, palcoscenico di una frase che ancor oggi (e probabilmente per sempre), echeggia e scolpisce le gesta del Campionissimo: "Un uomo solo al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi". L´autore, Mario Ferretti, da quelle radiocronache, si è legato indissolubilmente all'immagine, alle imprese, alla leggenda di Fausto.
Dire in poche righe perché Coppi è tanto nella storia del ciclismo e dello sport non è facile, anche perché ai più giovani sfuggono spesso le motivazioni, o non vengono spiegate a sufficienza dai media la sua popolarità e le immanenze che ne erano alla base. Vedrò in questo spazio e in rapida sintesi di porre all'attenzione le sue cifre e il suo curriculum.
La sua carriera
Centocinquantatre vittorie su strada, la metà raggiunte dopo fughe solitarie talune di decine di chilometri: 3041 km, per l'esattezza, da solo, la lunghezza di un Giro d'Italia di oggi, per intenderci. Di qui, l'estrema giustezza della frase di Ferretti, anche se, come dichiarò lo stesso Coppi, alcune fughe se le poteva risparmiare. Non sarebbe cresciuto a livelli così eccelsi il suo mito, però. Cinque Giri d'Italia, due Tour de France, tre Milano-Sanremo, quattro Giri di Lombardia, una Parigi-Roubaix, tre Titoli Mondiali, uno su strada e due su pista. Due accoppiate Giro-Tour nello stesso anno (1949-'52), ventitré le tappe vinte nei vari Giri d'Italia e trentuno le maglie rosa; nove tappe e diciannove maglie gialle nei tre Tour disputati. Il record mondiale dell'ora nel 1942 con 45,780 km.
Ottantacinque vittorie nell'inseguimento, con tempi impressionanti all'epoca. Un paio d’esempi: il 6'06"2 col quale superò l’allora iridato della specialità, l’australiano Sydney Patterson nel 1953 e il 6'07" nel 1955 sul lussemburghese Gillen.
Le cifre, è vero, sono spesso fredde, ma rimangono significative per i più profani. E' stato però, il modo unico di Coppi di vincere e di perdere, quello che più ha dipinto la sua leggenda.
Dalla fantastica galoppata solitaria di 192 chilometri, da Cuneo a Pinerolo, attraverso cinque mitici colli, Maddalena, Vars, Izoard, Monginevro e Sestriere, conclusasi con 11'42" di vantaggio sull'eterno rivale Gino Bartali, fino alla formidabile crisi di Montpellier, in cui il ritiro pareva la soluzione più logica. In quell'occasione furono i suoi gregari, Ettore Milano in testa, a fargli cambiare idea, ma non fu facile, tant'è che per ravvivarlo Luciano Pezzi fu costretto a versargli un'intera borraccia di vino in testa.
Un altro aspetto del suo mito ci viene dalla sua sfortuna e da quelle cadute che gli hanno provocato fratture come in nessun'altra carriera di grande corridore e tali da scoraggiare qualsiasi atleta. Coppi ha sempre saputo reagire anche quando tanti lo davano per finito, d'altronde dopo essersi rotto clavicole, scapole, pube, collo del femore, ed aver subito l'incrinatura della scatola cranica, la lesione del legamento collaterale del ginocchio e contuso la colonna vertebrale, l'essere pessimisti sui recuperi era logica conseguenza.
Alle disgrazie fisiche aggiunse quelle umane, come la sua tribolata storia sentimentale con Giulia Occhini (la "Dama Bianca") e la tragica perdita dell'amato fratello Serse.
Seppe sempre tornare in sella e, da gagliardo quarantenne, si poneva ancora come un faro del gruppo, pronto a lanciare e consigliare giovani, nonché difendersi onorevolmente a cronometro, come dimostra il suo quinto posto al G.P. Tendicollo Universal di Forlì, dove arrivò a ridosso di quel formidabile cronoman che rispondeva al nome di Roger Riviere.
Gli albori degli anni Sessanta dovevano vederlo ancora in bici, alla San Pellegrino, per pilotare, assieme al suo amico-nemico di tante battaglie Gino Bartali, che avrebbe svolto i compiti di direttore sportivo, quello che era considerato il suo probabile erede: Romeo Venturelli.
La stessa sua morte, evitabilissima, avvenuta per la malaria contratta nell'Alto Volta, liberò ancora una volta le penne e contribuì ad accrescerne il mito. Sono ancora vivi i rincrescimenti per il clamoroso errore dei medici italiani che non capirono la malattia e a nulla valsero le telefonate dei congiunti di Raffaele Geminiani (uno dei compagni di Coppi nella trasferta) che, dalla Francia, informavano casa Coppi e il relativo contorno medico, di usare il chinino, perché si trattava, appunto, di malaria.
Le cifre, è vero, sono spesso fredde, ma rimangono significative per i più profani. E' stato però, il modo unico di Coppi di vincere e di perdere, quello che più ha dipinto la sua leggenda.
Dalla fantastica galoppata solitaria di 192 chilometri, da Cuneo a Pinerolo, attraverso cinque mitici colli, Maddalena, Vars, Izoard, Monginevro e Sestriere, conclusasi con 11'42" di vantaggio sull'eterno rivale Gino Bartali, fino alla formidabile crisi di Montpellier, in cui il ritiro pareva la soluzione più logica. In quell'occasione furono i suoi gregari, Ettore Milano in testa, a fargli cambiare idea, ma non fu facile, tant'è che per ravvivarlo Luciano Pezzi fu costretto a versargli un'intera borraccia di vino in testa.
Un altro aspetto del suo mito ci viene dalla sua sfortuna e da quelle cadute che gli hanno provocato fratture come in nessun'altra carriera di grande corridore e tali da scoraggiare qualsiasi atleta. Coppi ha sempre saputo reagire anche quando tanti lo davano per finito, d'altronde dopo essersi rotto clavicole, scapole, pube, collo del femore, ed aver subito l'incrinatura della scatola cranica, la lesione del legamento collaterale del ginocchio e contuso la colonna vertebrale, l'essere pessimisti sui recuperi era logica conseguenza.
Alle disgrazie fisiche aggiunse quelle umane, come la sua tribolata storia sentimentale con Giulia Occhini (la "Dama Bianca") e la tragica perdita dell'amato fratello Serse.
Seppe sempre tornare in sella e, da gagliardo quarantenne, si poneva ancora come un faro del gruppo, pronto a lanciare e consigliare giovani, nonché difendersi onorevolmente a cronometro, come dimostra il suo quinto posto al G.P. Tendicollo Universal di Forlì, dove arrivò a ridosso di quel formidabile cronoman che rispondeva al nome di Roger Riviere.
Gli albori degli anni Sessanta dovevano vederlo ancora in bici, alla San Pellegrino, per pilotare, assieme al suo amico-nemico di tante battaglie Gino Bartali, che avrebbe svolto i compiti di direttore sportivo, quello che era considerato il suo probabile erede: Romeo Venturelli.
La stessa sua morte, evitabilissima, avvenuta per la malaria contratta nell'Alto Volta, liberò ancora una volta le penne e contribuì ad accrescerne il mito. Sono ancora vivi i rincrescimenti per il clamoroso errore dei medici italiani che non capirono la malattia e a nulla valsero le telefonate dei congiunti di Raffaele Geminiani (uno dei compagni di Coppi nella trasferta) che, dalla Francia, informavano casa Coppi e il relativo contorno medico, di usare il chinino, perché si trattava, appunto, di malaria.
Ma la peculiarità che ha fatto di Coppi lo sportivo che ogni famiglia italiana conosce sono stati gli apogei storici in cui la sua figura di campione andava a proiettarsi. Si era all'indomani di un conflitto immane che aveva messo l'Italia sulle ginocchia e c'era la consapevolezza di essere usciti sconfitti ed umiliati. Dell'Italia pomposa, in perfetto stile mussoliniano, erano rimaste le vergogne. Coppi, al pari del suo alter ego Bartali, dava alla giovane Repubblica Italiana l'unico segno vincente internazionalmente riconosciuto. Le sue vittorie poi, colte nel segno di quella impresa e di quella superiorità che l'uomo non credeva possibile, facevano di questo personaggio qualcosa di straordinario e di incomparabile, aumentando l'orgoglio degli italiani e la loro personale sfida con quelle nazioni che erano le leader nell'opera di rinascita. Coppi era il più forte e tutti lo sapevano, in Italia e in Europa. In condizioni solo normali, era imbattibile e il suo passo in salita su quelle strade polverose e non asfaltate, raccolto dalle immagini sfuocate del tempo, si presenta ancor oggi come dimostrativo di sublime superiorità. Se poi a questo aggiungiamo la serie terribile di infortuni che ha subito, i tre anni di stop causati della guerra dove incontrò una prima volta la malaria, capiamo come la definizione di "Campionissimo", fosse solo un atto di estremo realismo.
Fausto Coppi e il Tendicollo nei ricordi di un bambino.
Sono nato nel luglio del 1955, ma ho fatto in tempo a vedere il Campionissimo e quel ricordo della tenerissima infanzia, lo porto ancora con me nitido, come lo vivessi in questo momento. Il ciclismo era già entrato in me per passione di famiglia: di mio padre innanzi tutto, un campione del motociclismo che non poté avviare una carriera per meri motivi famigliari, ma che non perdeva occasione di manifestare la sua vicinanza alle emozioni verso gli sport più faticosi o audaci. Di mia madre, che si lasciava andare al suo ruolo di antitesi sportiva, solo per chi correva in bicicletta; di mio fratello che correva veramente sul cavallo d’acciaio e vestiva da dilettante la casacca dell’Emi e di mia sorella, già maestra elementare, che faceva del ciclismo una sua personale poesia. Anche i nomi dei campioni mi suonavano già famigliari, perché ero un prodigio (che poi s’è fermato fino a rincretinire....) e non poteva essere diversamente, in considerazione delle discussioni che, sovente, proprio la mia “dada”, con la loquacità e la penna che poi l’hanno fatta divenire illuminata, era sempre pronta a propinare sul Giro d’Italia in particolare.
Era il 14 giugno 1959, s’era da poco conclusa l’edizione del Giro, vinto alla grande da Charly Gaul e si correva a Forlì la seconda edizione del Trofeo Tendicollo Universal, una gara a cronometro dal lunghissimo chilometraggio: ben 90 chilometri e mezzo. Per l’intera Romagna, quella era una gara dal sapore unico e tutt’oggi ineguagliato: nelle sue sei edizioni seppe raccogliere sulle strade, qualcosa come ottocentomila persone. Quell’anno era poi particolare, perché Ercole Baldini, il campione di casa, correva in maglia iridata, la sfida col normanno amico e celeberrimo avversario, Jacques Anquetil. Ma c’era, soprattutto, la possibilità di vedere, per la prima volta su quella prova sì difficile, il Campionissimo Fausto Coppi. L’eco fu così enorme che in casa, nei giorni precedenti, non si parlava d’altro. Inutile dire che anche il piccolino sottoscritto non voleva mancare a quell’appuntamento. I miei fratelli con le rispettive comitive, in bicicletta, si portarono sulle strade di quel lungo circuito, mentre io raccolsi con entusiasmo le parole di mio babbo: “Giarganen, ci znì, ma han poss non fét avdé Coppi” (Giarganen, sei piccino, ma non posso non farti vedere Coppi).
E fu così che mi mise fra le sue gambe, in piedi sul “pianerottolo” della sua “lambretta” verde e mi portò alla corsa. Ricordo la marea umana che si incontrava fra le non certo belle strade del tempo: quell’asfalto tanto più ruvido di quello di oggi e quel “brecciolino” che pareva appiccicato al catrame, anche perchè il gran caldo di quel giorno, tendeva a liquefarlo. Ricordo come la gente usasse tutti i pochi mezzi di locomozione del tempo, per giungere il più vicino possibile all’arrivo o in zone visibili del circuito. Si vedevano cavalli col calesse, addirittura i carri agricoli più leggeri trainati da mucche, posti sui limbi delle strade, per poter fungere da tribunette o osservatori privilegiati. Babbo con la sua lambretta, arrivò fino ad un luogo che era ben più zeppo di gente assiepata dietro a staccionate bianche e rosse e dove, in lontananza, si vedeva, in alto, uno striscione rosso: era l’arrivo. Mise la lambretta sul cavalletto vicino ad un negozio sulla cui vetrina, era stato incollato un grande manifesto con le foto di tre corridori, due dei quali li riconobbi, perché a casa c’erano le loro cartoline: Ercole Baldini e Fausto Coppi, mentre sul terzo, fu babbo a dirmi che si trattava di Jacques Anquetil.
Arrivammo sul limbo della strada proprio quando una voce, che io definii il “tuono che parla”, facendo ridere tutti coloro che mi sentirono, annunciò il passaggio di Roger Riviere. Avevo sentito parlare di lui in casa, ma non riuscii a vederlo perché davanti a me, pur stando sulle spalle di babbo, la muraglia umana era troppo alta e noi troppo distanti dalla prima fila. Mio padre capì che non era posto per vedere al meglio il passaggio dei corridori, così mi posò per terra e tenendomi per mano, mi portò con lui un po’ lontano dalla strada. Capii che cercava qualcosa di particolare, ma non osai chiedere. Intanto, la medesima voce di prima, annunciò il passaggio di Ernesto Bono, ed io non feci altro che rendermi conto di quanto la gente fosse disponibile ad urlare “dai, dai, daiiii” e ed applaudire con un suono assordante. Babbo però, aveva visto qualcosa di particolare: una scala di ferro che stava vicino ad una capanna posta accanto ad una casa, dove sedeva una vecchietta tanto sorridente quanto tremolante. Andammo da lei, e lui le chiese se poteva prendere quella scala che poi le avrebbe riportato dopo la fine della corsa. Ricordo il consenso immediato di quella vecchia e quella sua frase che mi coinvolgeva: “Tulì pù bon oman, a voi neca mè che e babì e véga Coppi e Baldini!” (Prenda pure buon uomo, voglio anch'io che il bambino veda Coppi e Baldini!)
E fu così che il babbo poté dare compimento a ciò che aveva in animo. Arrivammo fino ad un grosso ma non molto alto albero, posto fra una transenna ed un fossato che avevamo scavalcato per raggiungerlo. Grazie alla scala, potemmo salire su quell’albero senza pericolo alcuno, vista la sua robustezza. Addirittura ci potemmo sedere, tant’è che la prima frase che uscì a babbo, dopo esserci sistemati fu, contrariamente al suo solito, in italiano: “Che fortuna abbiamo avuto Maurizio!” Effettivamente la visuale era stupenda: sotto di noi le teste dei tanti e la strada visibile per metri e metri fino all’arrivo. Dopo non più di due minuti, passò Jacques Anquetil e la mia esclamazione di bambino, dopo il passaggio del francese, quando il baccano s’era attenuato, fu: “ Ma babbo quello piscia dalla faccia” – e giù le risate di tutti coloro che avevano sentito. Effettivamente la sudorazione del francese come quella di Ercole, che vidi poi più tardi, erano qualcosa di incredibile. Di tutti i corridori che mi sono passati davanti o di cui ho scritto, nei tanti anni intercorsi da quel giorno, nessuno mi ha lasciato la medesima impressione di Anquetil e dell’amico Baldini. Venne finalmente il momento di Fausto Coppi. La gente all’annuncio del suo passaggio impazziva, urlava, piangeva di gioia. Rimasi stupefatto. La mia reazione di bimbo fu quella di accostarli alla mia età, perché anche loro piangevano come capitava sovente a me. Non solo, ma mi chiedevo cosa poteva essere stato quel corridore per loro, visto che ai miei occhi era apparso tanto più vecchio degli altri, pieno di rughe, con una smorfia che rendeva la sua bocca aperta e sofferente come quando a me capitava di dover mangiare, perché costretto, i cavolfiori. Pensavo tanto.....e ad ogni passaggio di Coppi, aumentava in me la convinzione che diventare importanti corridori in bicicletta, doveva essere davvero speciale. La corsa finì e vinse Baldini, il Campione del Mondo, che correva in casa, ma quella doveva essere davvero la giornata di Fausto e lo capii quando, dopo il suo arrivo, gli misero sulla maglia bianca quella rosa, con tanti fotografi armati di quelle mastodontiche macchine del tempo, che lo volevano fotografare. Guardai babbo e gli dissi: “Ma perché sono tutti per Coppi, quando la voce che sembra un tuono, ha detto che ha vinto Baldini?”. Mio padre si lasciò andare ad un largo sorrise e mi rispose: “Ricorda questo giorno e quando sarai grande lo capirai, magari scriverai di lui, come fa la Dada oggi”. Aveva ragione.
Era il 14 giugno 1959, s’era da poco conclusa l’edizione del Giro, vinto alla grande da Charly Gaul e si correva a Forlì la seconda edizione del Trofeo Tendicollo Universal, una gara a cronometro dal lunghissimo chilometraggio: ben 90 chilometri e mezzo. Per l’intera Romagna, quella era una gara dal sapore unico e tutt’oggi ineguagliato: nelle sue sei edizioni seppe raccogliere sulle strade, qualcosa come ottocentomila persone. Quell’anno era poi particolare, perché Ercole Baldini, il campione di casa, correva in maglia iridata, la sfida col normanno amico e celeberrimo avversario, Jacques Anquetil. Ma c’era, soprattutto, la possibilità di vedere, per la prima volta su quella prova sì difficile, il Campionissimo Fausto Coppi. L’eco fu così enorme che in casa, nei giorni precedenti, non si parlava d’altro. Inutile dire che anche il piccolino sottoscritto non voleva mancare a quell’appuntamento. I miei fratelli con le rispettive comitive, in bicicletta, si portarono sulle strade di quel lungo circuito, mentre io raccolsi con entusiasmo le parole di mio babbo: “Giarganen, ci znì, ma han poss non fét avdé Coppi” (Giarganen, sei piccino, ma non posso non farti vedere Coppi).
E fu così che mi mise fra le sue gambe, in piedi sul “pianerottolo” della sua “lambretta” verde e mi portò alla corsa. Ricordo la marea umana che si incontrava fra le non certo belle strade del tempo: quell’asfalto tanto più ruvido di quello di oggi e quel “brecciolino” che pareva appiccicato al catrame, anche perchè il gran caldo di quel giorno, tendeva a liquefarlo. Ricordo come la gente usasse tutti i pochi mezzi di locomozione del tempo, per giungere il più vicino possibile all’arrivo o in zone visibili del circuito. Si vedevano cavalli col calesse, addirittura i carri agricoli più leggeri trainati da mucche, posti sui limbi delle strade, per poter fungere da tribunette o osservatori privilegiati. Babbo con la sua lambretta, arrivò fino ad un luogo che era ben più zeppo di gente assiepata dietro a staccionate bianche e rosse e dove, in lontananza, si vedeva, in alto, uno striscione rosso: era l’arrivo. Mise la lambretta sul cavalletto vicino ad un negozio sulla cui vetrina, era stato incollato un grande manifesto con le foto di tre corridori, due dei quali li riconobbi, perché a casa c’erano le loro cartoline: Ercole Baldini e Fausto Coppi, mentre sul terzo, fu babbo a dirmi che si trattava di Jacques Anquetil.
Arrivammo sul limbo della strada proprio quando una voce, che io definii il “tuono che parla”, facendo ridere tutti coloro che mi sentirono, annunciò il passaggio di Roger Riviere. Avevo sentito parlare di lui in casa, ma non riuscii a vederlo perché davanti a me, pur stando sulle spalle di babbo, la muraglia umana era troppo alta e noi troppo distanti dalla prima fila. Mio padre capì che non era posto per vedere al meglio il passaggio dei corridori, così mi posò per terra e tenendomi per mano, mi portò con lui un po’ lontano dalla strada. Capii che cercava qualcosa di particolare, ma non osai chiedere. Intanto, la medesima voce di prima, annunciò il passaggio di Ernesto Bono, ed io non feci altro che rendermi conto di quanto la gente fosse disponibile ad urlare “dai, dai, daiiii” e ed applaudire con un suono assordante. Babbo però, aveva visto qualcosa di particolare: una scala di ferro che stava vicino ad una capanna posta accanto ad una casa, dove sedeva una vecchietta tanto sorridente quanto tremolante. Andammo da lei, e lui le chiese se poteva prendere quella scala che poi le avrebbe riportato dopo la fine della corsa. Ricordo il consenso immediato di quella vecchia e quella sua frase che mi coinvolgeva: “Tulì pù bon oman, a voi neca mè che e babì e véga Coppi e Baldini!” (Prenda pure buon uomo, voglio anch'io che il bambino veda Coppi e Baldini!)
E fu così che il babbo poté dare compimento a ciò che aveva in animo. Arrivammo fino ad un grosso ma non molto alto albero, posto fra una transenna ed un fossato che avevamo scavalcato per raggiungerlo. Grazie alla scala, potemmo salire su quell’albero senza pericolo alcuno, vista la sua robustezza. Addirittura ci potemmo sedere, tant’è che la prima frase che uscì a babbo, dopo esserci sistemati fu, contrariamente al suo solito, in italiano: “Che fortuna abbiamo avuto Maurizio!” Effettivamente la visuale era stupenda: sotto di noi le teste dei tanti e la strada visibile per metri e metri fino all’arrivo. Dopo non più di due minuti, passò Jacques Anquetil e la mia esclamazione di bambino, dopo il passaggio del francese, quando il baccano s’era attenuato, fu: “ Ma babbo quello piscia dalla faccia” – e giù le risate di tutti coloro che avevano sentito. Effettivamente la sudorazione del francese come quella di Ercole, che vidi poi più tardi, erano qualcosa di incredibile. Di tutti i corridori che mi sono passati davanti o di cui ho scritto, nei tanti anni intercorsi da quel giorno, nessuno mi ha lasciato la medesima impressione di Anquetil e dell’amico Baldini. Venne finalmente il momento di Fausto Coppi. La gente all’annuncio del suo passaggio impazziva, urlava, piangeva di gioia. Rimasi stupefatto. La mia reazione di bimbo fu quella di accostarli alla mia età, perché anche loro piangevano come capitava sovente a me. Non solo, ma mi chiedevo cosa poteva essere stato quel corridore per loro, visto che ai miei occhi era apparso tanto più vecchio degli altri, pieno di rughe, con una smorfia che rendeva la sua bocca aperta e sofferente come quando a me capitava di dover mangiare, perché costretto, i cavolfiori. Pensavo tanto.....e ad ogni passaggio di Coppi, aumentava in me la convinzione che diventare importanti corridori in bicicletta, doveva essere davvero speciale. La corsa finì e vinse Baldini, il Campione del Mondo, che correva in casa, ma quella doveva essere davvero la giornata di Fausto e lo capii quando, dopo il suo arrivo, gli misero sulla maglia bianca quella rosa, con tanti fotografi armati di quelle mastodontiche macchine del tempo, che lo volevano fotografare. Guardai babbo e gli dissi: “Ma perché sono tutti per Coppi, quando la voce che sembra un tuono, ha detto che ha vinto Baldini?”. Mio padre si lasciò andare ad un largo sorrise e mi rispose: “Ricorda questo giorno e quando sarai grande lo capirai, magari scriverai di lui, come fa la Dada oggi”. Aveva ragione.
Fa un certo effetto guardare questo filmato: quel giorno di oltre mezzo secolo fa: fra quella muraglia umana (oltre centomila persone) c’era anche il piccolo bimbo sottoscritto.
http://www.vecchiazzano.it/video/tendicollo.wmvLa morte prematura di Fausto.
Alle 8.45, sei rantoli sordi e poi il nulla. Era il 2 gennaio 1960. Quei rantoli erano stati l'ultimo messaggio terreno di Fausto Coppi, morto di malaria, aldilà dei dubbi che qualcuno sollevò qualche anno dopo. A confermarlo, inequivocabilmente, quel bacillo che fu isolato e dimostrato nei vetrini. Quel che è duro accettare, è il motivo sul quale ancora oggi e per sempre rimarrà perenne rammarico, è come dei medici, alcuni pure famosi, non siano stati capaci di capire nei tempi utili quella malaria. Coppi l'aveva già avuta durante la guerra, quando era sul fronte africano e lì, privi di macchinari e grandi dottori, gliela curarono col chinino senza soverchi problemi.
Fausto tornò il 18 dicembre dall'Alto Volta, dove aveva corso un criterium per festeggiare il primo anniversario dell'indipendenza di quel paese africano. Assieme a lui tanti altri campioni come Anquetil, Riviere, Anglade, Geminiani. Fu proprio Raphael, verace romagnolo trapiantato in Francia, che di Coppi era amicissimo, a dormire con lui nel misero albergo dove alloggiarono nei giorni di permanenza in quello stato.
"Fummo presi d'assalto dai Moustiques - dirà Geminiani - i letti non avevano le zanzariere. Fummo martoriati. Appena dopo Natale ci telefonammo. Fausto voleva gli combinassi una squadra di corridori francesi per la sua bici, la bici Coppi. Gli dissi che stavo male, che avevo una strana febbre. Mi rispose che anche lui si sentiva addosso l'influenza e che si sarebbe messo a letto".
La sera del 27 dicembre Fausto Coppi, esausto e giallo come un limone, si infilò sotto le coperte: aveva 40 di febbre. Chiamarono Ettore Allegri, il suo medico. Diagnosi: influenza asiatica. Antibiotici. In Francia Raphael Geminiani andò in coma. Il suo sangue fu portato all'Istituto Pasteur. Responso: malaria perniciosa plasmodium falciparum. Lo bombardarono col chinino e lo salvarono. La moglie di Raphael allora telefonò a Villa Carla (casa Coppi) e disse che il marito aveva la malaria e che anche Fausto, nel frattempo fortemente peggiorato, era sicuramente malato della stessa. Un medico le disse che non si impicciasse e che Coppi l'avrebbero curato loro.
Ed infatti al capezzale del Campionissimo arrivarono diversi dottori che formularono un'altra diagnosi: broncopolmonite emorragica da virus. Agli antibiotici venne aggiunto il cortisone che per la malaria era come concime. Il fratello di Geminiani telefonò per sincerarsi delle condizioni di Fausto e ribadì di andare dritti sul chinino. Niente da fare, i medici non ne volevano sapere. Comunque il 31 dicembre, anche il chinino, sul suo fisico bombardato di antibiotici e cortisone, non avrebbe potuto evitargli la morte. Il primo gennaio i medici si decisero a ricoverarlo in ospedale. Arrivarono i barellieri e Fausto, raccogliendo le ultime forze, quasi a presagire la morte imminente, volle per la prima volta che il figlio Faustino lo vedesse in quello stato. Lo chiamò vicino alla barella e gli disse: "Fai il bravo, Papo!". Fausto Coppi fu ricoverato a Tortona dove nel frattempo erano arrivati gli esiti degli esami: era malaria. Troppo tardi per evitare che l'Airone chiudesse per sempre le ali. Il due gennaio 1960, alle 8,45, il suo volo solitario, in mezzo alle nebbie e alla polvere, sullo sfondo della sua leggenda, iniziò una nuova dimensione nei cuori e nelle menti.
Fausto tornò il 18 dicembre dall'Alto Volta, dove aveva corso un criterium per festeggiare il primo anniversario dell'indipendenza di quel paese africano. Assieme a lui tanti altri campioni come Anquetil, Riviere, Anglade, Geminiani. Fu proprio Raphael, verace romagnolo trapiantato in Francia, che di Coppi era amicissimo, a dormire con lui nel misero albergo dove alloggiarono nei giorni di permanenza in quello stato.
"Fummo presi d'assalto dai Moustiques - dirà Geminiani - i letti non avevano le zanzariere. Fummo martoriati. Appena dopo Natale ci telefonammo. Fausto voleva gli combinassi una squadra di corridori francesi per la sua bici, la bici Coppi. Gli dissi che stavo male, che avevo una strana febbre. Mi rispose che anche lui si sentiva addosso l'influenza e che si sarebbe messo a letto".
La sera del 27 dicembre Fausto Coppi, esausto e giallo come un limone, si infilò sotto le coperte: aveva 40 di febbre. Chiamarono Ettore Allegri, il suo medico. Diagnosi: influenza asiatica. Antibiotici. In Francia Raphael Geminiani andò in coma. Il suo sangue fu portato all'Istituto Pasteur. Responso: malaria perniciosa plasmodium falciparum. Lo bombardarono col chinino e lo salvarono. La moglie di Raphael allora telefonò a Villa Carla (casa Coppi) e disse che il marito aveva la malaria e che anche Fausto, nel frattempo fortemente peggiorato, era sicuramente malato della stessa. Un medico le disse che non si impicciasse e che Coppi l'avrebbero curato loro.
Ed infatti al capezzale del Campionissimo arrivarono diversi dottori che formularono un'altra diagnosi: broncopolmonite emorragica da virus. Agli antibiotici venne aggiunto il cortisone che per la malaria era come concime. Il fratello di Geminiani telefonò per sincerarsi delle condizioni di Fausto e ribadì di andare dritti sul chinino. Niente da fare, i medici non ne volevano sapere. Comunque il 31 dicembre, anche il chinino, sul suo fisico bombardato di antibiotici e cortisone, non avrebbe potuto evitargli la morte. Il primo gennaio i medici si decisero a ricoverarlo in ospedale. Arrivarono i barellieri e Fausto, raccogliendo le ultime forze, quasi a presagire la morte imminente, volle per la prima volta che il figlio Faustino lo vedesse in quello stato. Lo chiamò vicino alla barella e gli disse: "Fai il bravo, Papo!". Fausto Coppi fu ricoverato a Tortona dove nel frattempo erano arrivati gli esiti degli esami: era malaria. Troppo tardi per evitare che l'Airone chiudesse per sempre le ali. Il due gennaio 1960, alle 8,45, il suo volo solitario, in mezzo alle nebbie e alla polvere, sullo sfondo della sua leggenda, iniziò una nuova dimensione nei cuori e nelle menti.
Due giornate sottostimate della sua leggenda....
....Una sconfitta, ed una strepitosa vittoria.....
FRECCIA VALLONE
13a Edizione: 13 aprile 1949 (Charleroi – Liegi)
La svolta sulla internazionalizzazione della Freccia Vallone avvenuta l’anno prima, trovò in questa edizione la conferma storica: ben 196 partenti e, soprattutto, davvero la massa dei migliori ciclisti mondiali. A sancire il nuovo vento sulla classica delle Ardenne, un nome su tutti: Fausto Coppi, proprio nell’anno che lo consacrerà alla storia di questo sport. E proprio colui che si apprestava a diventare il “Campionissimo” fu il filo conduttore della corsa. I ripetuti allunghi di Fausto, alzarono il ritmo della gara, provocarono una selezione senza precedenti, che spinse al ritiro i tre quarti dei partenti (sul traguardo di Liegi, giunsero solo in 49!), ed assottigliò vistosamente il gruppo di testa, fin dai primi cento chilometri. L’intento dell’alfiere della Bianchi, era quello di sfiancare sulle cote il temuto Rik Van Steenbergen, un ventiquat-trenne belga già considerato, ben aldilà delle copiose ed importanti vittorie, come imbattibile allo sprint, nonché fortissimo sul passo. A sessanta chilometri dall’arrivo, su uno dei ripetuti attacchi di Coppi, rimasero con lui proprio Van Steenbegen (che fu il primo, come in precedenza, a rispondergli), ed un mazzetto di altri forti belgi: Ward Peeters, Marcel De Mulder, Roger Gyselinck e Pino Cerami, gran corridore potenziale, italiano di sangue e di nascita, ma ormai belga per residenza, lavoro e vita. Anche i fortissimi francesi Louis Bobet, non ancora “Louison” e Louis Caput, furono costretti a cedere. Coppi non si fermò, ed attaccò ancora, ma aldilà del cedimento di Gyselinck proprio sull’ultima cote, non poté evitare l’epilogo in volata. Qui, Van Steenbergen, che pure aveva speso più degli altri per resistere all’italiano, vinse agevolmente. Ed il suo successo, dopo la vittoria colta l’anno prima nella Parigi Roubaix, confermava che il ciclismo mondiale aveva trovato un altro fuoriclasse.
Ordine d’arrivo:
1° Rik Van Steenbergen (Bel) Km 231 in 6h20’34” media di 36.419 kmh
2° Ward Peeters (Bel)
3° Fausto Coppi (Ita)
4° Pino Cerami (Ita)
5° Marcel De Mulder (Bel)
6° Roger Gyselinck (Bel) a 41”
7° Louis Caput (Fra) a 3’11”
8° Maurice Mollin (Bel)
9° Louison Bobet (Fra)
10° Joseph Verhaert (Bel)
11° Emile Idée (Fra) a 4’46”
12° Raymond Lucas (Fra)
13° Roger Chupin (Fra)
14° Albert Anciaux (Bel)
15° Jean Bolly (Fra) a 7’56”
16° Norbert Callens (Bel) a 8’16”
17° Albert Anutchin (Bel)
18° René Janssens (Bel)
19° Serse Coppi (Ita)
20° Marcel Kint (Bel)
21° Louis Thiétard (Fra) a 8’41”
22° Robert Minnaert (Bel)
23° Julien Janssens (Bel)
24° José Beyaert (Fra) a 12’56”
25° Nedo Logli (Ita)
26° Florent Mathieu (Bel)
27° Jean Baptiste Delille (Fra)
28° Joseph Van Stayen (Bel) a 14’30”
29° Hilaire Couvreur (Bel)
30° Alphonse Meurs (Bel)
31° Jean Breuer (Bel)
32° Pierre Vermeiren (Bel)
33° Andrea Carrea (Ita)
34° Oscar Plattner (Sui)
35° Hughes Guelpa (Fra)
36° Henk De Hoog (Ned)
37° Maurice Blomme (Bel)
38° Julien Ardijns (Bel)
39° Ugo Fondelli (Ita)
40° Aldo Ronconi (Ita)
41° Bim Diederich (Lux) 18'06"
42° René Beyens (Bel)
43° René Walschot (Bel)
44° Jean Kirchen (Lux)
45° Maurice Meersman (Bel)
46° Italiano Lazzerini (Ita)
47° Marcel Verschueren (Bel)
48° René Biver (Lux) a 28’16”
49° Lode Vanderauwera (Bel)
14a Edizione: 1 maggio 1950 (Charleroi – Liegi)
Solo 87 partenti per l’edizione d’ingresso negli anni cinquanta, ma quella qualità che confermava quanto la Freccia Vallone, dividesse col “Fiandre”, il gradino più alto del podio delle classiche belghe. C’era il divenuto “Campionissimo” Fausto Coppi, dopo la storica doppietta Giro-Tour del 1949 e questo bastava per garantire spettacolo e tanta gioia per le migliaia di emigranti italiani in Belgio. La corsa fu la fotocopia di quella dell’anno precedente con l’alfiere della Bianchi a dettare il ritmo sulle cote, fino a provocare i medesimi sconquassi (alla fine chiuderanno la Freccia solo 33 corridori!), fin dai primi chilometri. Stavolta però, non ci fu nessun Van Steenbergen a fermare quel levriero dal passo armonioso, che s’avviò a donare ulteriore linfa alla sua fama di “uomo solo al comando”. Rimasto in solitudine a cento chilometri abbondanti dal traguardo di Liegi, Fausto Coppi proseguì senza mai dare segni di cedimento ed aumentando progres-sivamente il vantaggio, fino a giungere all’arrivo con più di cinque minuti sui primi inseguitori. La folla gli tributò un’ovazione. Una vittoria tra le più significative di Coppi, un po’ troppo sottostimata dall’osservatorio.
Ordine d’arrivo:
1° Fausto Coppi (Ita) Km 235 in 6h24’40” alla media di 36.655 kmh
2° Raymond Impanis (Bel) a 5’05”
3° Jean Storms (Bel)
4° Marcel De Mulder (Bel)
5° Maurice Blomme (Bel)
6° René Walschot (Bel)
7° Lionel Van Brabant (Bel)
8° Joseph Verhaert (Bel)
9° Ward Van Ende (Bel)
10° Jean Breuer (Bel)
11° Omer Braekevelt (Bel) a 6’40”
12° Fermo Camellini (Fra)
13° César Marcelak (Fra) a 11’45”
14° Galliano Pividori (Ita)
15° Ettore Milano (Ita) a 12’23
16° Elias Walckiers (Bel)
17° Andrea Carrea (Ita)
18° Richard Masutti (Ita)
19° Marcel Verschueren (Bel) a 12’48”
20° Henk De Hoog (Ned)
21° Jean Chateau (Fra)
22° André Declerck (Bel)
23° Guy Persico (Fra)
24° Florent Mathieu (Bel)
25° Karel Vandormael (Bel)
26° Julien Van Dycke (Bel)
27° Eugène Van Roosbroeck (Bel)
28° Jean Kirchen (Lux)
29° (Fra)ns Leenen (Bel) a 22’40”
30° René Haugustaine (Bel)
31° Jean Bolly (Fra)
32° Alphonse Meurs (Bel) a 23’41”
33° René Biver (Lux) a 32’21”
Maurizio Ricci - Morris
Edit:
Lo speciale Rai del cinquantenario dalla scomparsa (2010):
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-fb5c3b54-1b45-47f1-a1b0-51ba272211bd.html
Sfide - Il Volo di Fausto Coppi - Speciale Rai del 2011
I Miti del Ciclismo - Fausto Coppi
I Funerali di Coppi - Immagini dalla Tv di San Marino
Speciale Fausto Coppi - L'ultimo volo dell'airone
L'airone alto nel nostro cielo - I Tortonesi raccontano di Fausto (docu-interviste)
Intervista a Fausto Coppi (La Bomba - 1952)
C&B al Musichiere
Il Tour del 1949
Il Tour più incredibile e fantastico della Storia - 1952
Una delle azioni più "impressive" della Storia del Ciclismo (Puy de Dome):
Fausto Coppi raccontato da Gianni Mura
Fausto Coppi - La storia in giallo 2007-2008 (programma radiofonico)
Antonella Ferrera ospita in studio il Capo Redattore del Tg1 Marco Franzelli.
La voce di Fausto Coppi e' quella di Riccardo Rossi.
Fausto Coppi quando faceva il giornalista
Documental sobre Fausto Coppi "Il Campionissimo" (di Canal Plus España)
L'airone ha chiuso le ali
Il film "Il Grande Fausto" è recensito qui:
http://www.ciclopassione.com/t823-cinema-e-ciclismo-il-grande-fausto-di-alberto-sironi
Da segnalare infine l'ottimo post di Mario Masala sulle musica legata a Coppi:
http://www.ciclopassione.com/t713-musica-su-due-ruote#2924