Da ieri nei ritagli di tempo libero mi sono messo a cercare informazioni negli archivi di giornali olandesi perché c'è un particolare di questo articolo de Il Mattino di Napoli che ha colpito la mia attenzione.
Ho trovato alcuni spunti che mi chiedo se siano stati presi in considerazione dagli inquirenti.
Prima meglio postare l'articolo.
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Pantani, il supertestimone ignorato per sedici anni
di Mary LiguoriC'era un supertestimone, che in sedici anni, gli inquirenti hanno ignorato. All'epoca giovane autista - in prova - di colui che, nel 1999, era il numero due dell'Unione ciclistica internazionale: Wim Jeremiasse. Otto mesi dopo quel maledetto 5 giugno dei test positivi al doping a Marco Pantani, il commissario olandese morì, inghiottito da un lago di ghiaccio, in Austria. C'era anche lui, quella mattina a Madonna di Campiglio, nell'hotel in cui si tennero i prelievi, ma i medici che presero in consegna il campione ematico che segnò l'inizio della fine di Marco Pantani non ne hanno mai parlato, neanche durante il processo in cui il ciclista fu imputato per frode sportiva, a Trento, e loro tre, Michelarcangelo Partenope, Eugenio Sala e Mario Spinelli dell'ospedale Sant'Anna di Como, furono testimoni. Non parlarono di colui che - riferisce il supertestimone - «uscì in lacrime dal laboratorio dopo avere appreso che i test di Pantani erano positivi e disse, in francese, il ciclismo è morto».Perché piangere? Si chiedono i carabinieri che aggiungono: «Jeremiasse già in quel momento era tormentato da un evento che probabilmente aveva qualche punto oscuro. La sua - si legge negli atti - è l'unica figura trasparente che non esitò a confidare al proprio autista il suo stato d'animo per una vicenda che travolse il ciclismo mondiale». Eppure, lo staff che si mosse tra l'hotel in cui si tennero i prelievi e quello in cui era allestito il laboratorio, non parlò di Jeremiasse, la cui presenza a Madonna di Campiglio è testimoniata anche dall'ex ds della Mercatore Uno. È l'ennesimo mistero in una storia che potrebbe chiudersi con un'archiviazione, nonostante i tanti elementi raccolti anche dai carabinieri della procura di Forlì. Elementi che collocano Jeremiasse nell'hotel in cui il flacone con il sangue di Pantani, contrassegnato con uno stranissimo 0 anziché con un normale numero progressivo, «potrebbe essere stato manomesso» su indicazione della camorra.Sono convergenti in tal senso i racconti di Renato Vallanzasca e dell'ex boss Augusto La Torre, entrambi concordi nel riferire che «l'Alleanza di Secondigliano corruppe i medici perché, se Pantani avesse vinto, il banco delle scommesse clandestine sarebbe saltato». Dello stesso tenore le intercettazioni del ras della Sanità, Rosario Tolomelli.A corredo, ci sono, nero su bianco, le considerazioni dei Nas. La bici del Pirata, scrivono, fu fermata da «agenti esterni» che entrarono in contatto con lo staff medico. Lo deducono da ciò che riferisce il testimone «dimenticato». L'autista racconta cosa accadde tra le 6 e le 7.40 del 5 giugno a Madonna di Campiglio, nei due alberghi dove erano allestiti il laboratorio e la sala per il prelievo ai primi dieci atleti che quella mattina, alle 10.30, sarebbero partiti per l'ultima tappa del Giro. Tappa che Marco Pantani non corse perché risultò positivo al doping. «Accompagnai Jeremiasse nel parcheggio in cui ci aspettavano i tre medici», ha riferito il supertestimone «gettando un'ombra», aggiungono i Nas, su ciò che, invece, durante il processo che si tenne a Trento sulla storia del doping, i medici sostennero: nessuno di loro fece riferimento al fatto che quella mattina c'era anche il commissario olandese. Perché omettere una circostanza del genere? I Nas hanno chiesto di poter mettere sotto intercettazione i medici, ma la procura ha respinto l'istanza e di deleghe ai Nas di Roma non ce ne sono più state. Lo stesso reparto ha ricostruito altre circostanze, non meno inquietanti delle altre. Il ciclista fu minacciato dallo staff antidoping, la settimana prima di quel test maledetto.«Caro Pantani, questa te la facciamo pagare»: lo ha riferito il massaggiatore dell'indimenticato campione. La sera del 4 giugno - hanno invece detto gli amici dello scalatore di Cesenatico - qualcuno, seduto al tavolo accanto al loro, al ristorante, ripeté due volte: «Ti faccio vedere cosa succede domani al Giro». Oltretutto, scrivono i Nas, «Pantani poteva vanificare qualsiasi esito positivo del controllo con una colazione anticipata che, vista l'imminenza della gara, sarebbe stata lecita e giustificabile». Ma il Pirata non aveva mangiato nulla. Si sottopose ai prelievi che poi diedero esito positivo. E i valori, due ore dopo, a Imola, erano invece rientrati nella norma. «Mi hanno fregato», disse Pantani. «Esistono metodi scientifici per rendere positivo un campione ematico che tale non è»: è un dato di fatto che, oltre ai Nas, sostenne un esperto di medicina sportiva durante un programma televisivo in cui si parlava del caso Pantani. «Uno dei medici mi minacciò di querela, era arrabbiatissimo», disse poi l'esperto ai carabinieri. Stranezze, dimenticanze, ipotesi scientifiche e investigative: uno scenario che richiederebbe una proroga d'indagine.Sarà il gip di Forlì a decidere in merito, entro i prossimi 10 giorni. Chi si batte perché il caso non venga chiuso, prima tra tutti la madre del compianto ciclista, rappresentata dall'avvocato Antonio De Rensis, ha in mano la relazione che apre nuovi scenari, anziché chiuderne di vecchi. A 16 anni di distanza dalla squalifica che fu l'inizio della fine per lo scalatore di Cesenatico, i Nas hanno trovato elementi apparentemente «sufficienti» a non archiviare il caso. «Agenti esterni», scrivono i carabinieri, entrarono in contatto con lo staff medico che eseguì il prelievo ematico risultato poi di un punto e nove superiore ai limiti consentiti. «Agenti esterni» che, ed è la stessa procura di Forlì che chiede l'archiviazione a metterlo nero su bianco, «provenivano da Napoli ed erano collegati ad ambienti di malavita». La relazione è stata acquisita anche dalla Dda di Bologna. Chissà che non sia l'Antimafia a dare la svolta alla vicenda della leggenda del ciclismo che nessuna «provetta» è ancora riuscita ad ammazzare.__________________________________________________________________________
Simone Cantù non è un fantasma capitato dal buio. Si tratta dell'attuale segretario dell'Accpi, il sindacato dei corridori ciclisti professionisti che ha sede a Milano assieme ad altre strutture del ciclismo professionistico italiano.
La sua testimonianza, probabilmente un po' tardiva, ha oggettivamente aperto uno scenario che inspiegabilmente è stato ignorato per troppi anni (ma che tra i commissari internazionali dell'Uci era conosciuto e discusso, sempre con molta circospezione).
Della presenza di Jeremiasse ai fatti di Campiglio io avevo avuto conoscenza proprio da uno di costoro che mi aveva anche espresso implicitamente dei dubbi sulla modalità della sua morte.
A questo punto sarebbe il caso di verificare con le autorità austriache un supplemento di indagine su quell'incidente che portò il commissario olandese alla morte nel lago ghiacciato del Weissensee, a pochi chilometri dal Tarvisio.
Giusto per ricordare: gli omicidi non vanno mai in prescrizione.
Come dicevo ho rilevato un particolare che mi ha colpito nel contenuto riguardante il boss indicato nella frase grassettata:
Augusto La Torre.
Si tratta di un boss della Camorra di Mondragone, un soggetto che esula dal classico stereotipo del camorrista ignorante, caciarone e zooticone. Augusto La Torre è un personaggio tanto spietato quanto di fine intelligenza e cultura, amante delle scienze umanistiche tanto da laurearsi in psicologia in carcere e capace di parlare sia l'inglese che l'olandese.
Di lui mi hanno colpito alcuni particolari narrati da Roberto Saviano.
http://mafieitaliane.it/augusto-la-torre-la-vita-criminale-del-boss-psicologo/
Nato a Mondragone in provincia di Caserta il 1° dicembre 1962 Chiamato Augusto in base alla tradizione di famiglia di dare il nome degli imperatori romani (ma in ordine cronologico inverso, infatti il padre si chiamava Tiberio. "Figlio d’arte", da ragazzo subentrò al padre nel comando del clan dei Chiuovi di Mondragone, egemone nell’alto Casertano, nel basso Lazio e lungo tutta la costa domizia. Accumulava capitali con estorsioni, traffico di stupefacenti, controllo di attività economiche varie e appalti, e poi li reinvestiva all’estero, in particolare in Olanda e Gran Bretagna, dove fondò una colonia del clan (tra gli affiliati Brandon Queen, il primo camorrista di nazionalità scozzese della storia.
Spietato con i nemici, elaborò una tecnica di eliminazione che ora si definisce, appunto, “alla mondragonese”: macellare a decine e decine di colpi la vittima, occultarla nei pozzi delle campagne e lanciare bombe a mano per dilaniare il corpo e far rovinare la terra sui resti che così si impantanano nell’acqua. In questo modo fece fuori Antonio Nugnes, vicesindaco democristiano scomparso nel nulla nel 1990 (si era opposto alla gestione del clan degli appalti pubblici e all’ingerenza nelle vicende politiche e amministrative, in particolare all’ingresso di Augusto nell’azionariato di Incaldana, una clinica privata in via di costruzione vicino a Roma.
A Mondragone Augusto aveva vietato la distribuzione di stupefacenti. Il clan creò perfino un gruppo antidroga (Gad) e chiunque violasse il divieto era punito severamente (come Hassa Fakhry, eroinomane, che non riuscendo a comprarsi le dosi si era messo a spacciare a Mondragone e fu quindi prelevato dal Gad e ammazzato a pistolettate). Sotto il suo comando Mondragone era diventata famosa perché non si poteva scopare senza preservativo, grazie al controllo capillare che il boss deteneva sulle analisi dei residenti. Quando venne a conoscenza che un suo subordinato, Fernando Brodella, aveva l’Hiv, lo uccise.
Ha due condanne definitive, a 22 anni (per associazione camorristica ed estorsione), a nove anni (per estorsione aggravata il 15 marzo 2007). Ha vari processi in corso, anche per omicidio. Nel 2003, quando fu arrestata anche sua moglie (ora separata), maturò la decisione di confessare estorsioni e decine di omicidi (facendo ritrovare nelle campagne mondragonesi i resti dei cadaveri). Sottoposto al 41 bis fino al 16 giugno 2011, finora collaborare non gli è valso sconti di pena (i giudici hanno ritenuto «riduttiva» la collaborazione), ma il regime di carcere duro non è stato più prorogato. «Una confessione tarata piuttosto sugli aspetti militari che su quelli economici» (Saviano).
• In carcere si è laureato in psicologia. Ha letto l’opera omnia di Jung e di Freud e nei processi cita di continuo Lacan o la scuola della Gestalt. «Lo studio è l’unica cosa che mi tiene in vita!».
• Patito di cinema e specialmente del Padrino.
• Ha preteso che la mensa del carcere si adattasse alla sua dieta vegetariana.
Ed ecco il particolare che ha colpito la mia attenzione e che potrebbe aprire delle ipotesi investigative da verificare:
"Non è mai stata trovata, ma la cassa del clan La Torre, milioni di euro, probabilmente si trova in Olanda, tanto che a Mondragone è invalso il modo di dire «mi hai preso per la banca d’Olanda?».
• Durante la latitanza in Olanda si era appoggiato a Barbato, che lo aveva sistemato in un circolo di tiro a volo. «Così seppur lontano dalle campagne mondragonesi il boss poteva sparare ai piattelli volanti per tenersi in esercizio».
• Arrestato in Olanda l’8 giugno 1996, messo subito al 41 bis."http://www.cinquantamila.it/storyTellerThread.php?threadId=LA+TORRE+Augusto
L'Olanda
... la congettura nasce naturale.
L'Olanda era la patria del big boss di allora del ciclismo mondiale, Mr. Hein Verbruggen, il padrino che in quegli anni stava preparando il terreno per il falso fenomeno texano iperprotetto dal corrotto vertice mondiale del ciclismo.
Va detto che Augusto La Torre era al 41 bis da 3 anni e 3 giorni quando accaddero i fatti di Madonna di Campiglio.
Ho cercato allora informazioni sui giornali e siti olandesi di quel periodo.
L'uomo che ospitava la latitanza del boss La Torre era Raffaele ‘Rockefeller’ Barbato, così soprannominato in Olanda, dove reinvestiva probabilmente il tesoro dei Mondragonesi.
Questo sito olandese offre degli spunti molto interessanti sulle infiltrazioni della camorra in Olanda che andrebbero verificati:
http://pfwstanenlars.webklik.nl/page/maffia-in-nederland
Vi si legge:
Tradizionalmente, la camorra è la sovrana incontrastata nel gioco illegale. L'intera organizzazione ha un fatturato annuo stimato di 15 miliardi di euro. Le attività si estendono in tutto il mondo. Un membro del clan La Torre di nome Raffaele 'Rockefeller' Barbato è sposato con una donna olandese e fa un sacco di affari con i Paesi Bassi. Egli possiede un casinò. Il capoclan Augusto La Torre si nascondeva nei Paesi Bassi. Ha milioni contenuti in un deposito nei Paesi Bassi. La Torre non era l'unica famiglia di camorra che operava negli anni Ottanta e Novanta in Olanda. Ci sono vari clan di camorra di Napoli attivi sul mercato della droga di Amsterdam, in particolare nel traffico di cocaina.
A causa di numerosi arresti è chiaro che la politica olandese deve essere fare qualcosa contro la mafia e in particolare contro la camorra. Nel 1992, le principali forze di polizia dell'Aia (Den Haag) hanno svolto un'indagine congiunta sulla mafia italiana nei Paesi Bassi.Un estratto del libro "L'impero: Traffici, storie e segreti dell'occulta e potente mafia dei Casalesi" di Gigi Di Fiore:
E infine da questo sito:
https://www.wattpad.com/113211073-gomorra-aberdeen-mondragone
"la potenza internazionale partita da Mondragone era personificata anche da Rockefeller. Lo chiamano così in paese per l'evidente talento negli affari e per la mole di liquidità che possiede. Rockefeller è Raffaele Barbato, sessantadue anni, nato a Mondragone. Il suo vero nome forse l'ha dimenticato persino lui. Moglie olandese, fino alla fine degli anni '80 gestiva affari in Olanda dove possedeva due casinò frequentati da clienti di calibro internazionale"
Concludendo, dalla deposizione si desume che La Torre attribuisca il malfatto alla Camorra scissionista dell'Alleanza di Secondigliano, anche perché La Torre era in carcere in quel momento. Ma potrebbe anche darsi che lo faccia per levarsi dall'attenzione di un reato, l'omicidio "sportivo" di Marco Pantani, che mediaticamente avrebbe più risalto degli omicidi di camorra da lui perpetrati con assoluta ferocia.
Va ricordato infine che in Olanda venne successivamente arrestato (nel 2007) anche un cugino del boss, di nome Francesco Tiberio La Torre. Verificare i contatti dei La Torre in Olanda non sarebbe cosa malvagia.
Per concludere un articolo di Andrea Cinquegrani, storica voce anticamorra.
http://www.lavocedellevoci.it/?p=5303
http://www.lavocedellevoci.it/?p=5291
GIALLO PANTANI / DOPO LA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE SPUNTA UN VERBALE CHOC DEL BOSS AUGUSTO LA TORRE
16 marzo 2016 autore: Andrea Cinquegrani Un altro schiaffo alla memoria di Pantani. Tra le carte degli inquirenti della procura di Forlì, che hanno indagato con successo sull’intervento della camorra per far perdere al campione quel Giro d’Italia ’99, spunta un’altra pistola fumante, ossia la verbalizzazione di un super boss, Augusto La Torre. Ma nonostante tutto ciò, gli stessi pm hanno chiesta l’archiviazione del caso, per l’ormai prossima prescrizione del reato di “corruzione” del quale gli stessi camorristi si sarebbero macchiati per “comprare” la contraffazione della provetta contenente il sangue di Marco, squalificato perchè il suo ematocrito era sopra i livelli consentiti.
L’avvocato Antonio De Rensis
“Reati prescritti e impossibilità di individuare i responsabili”, scrivono i pm di Forlì per motivare la loro richiesta di archiviazione. Contro la quale insorge la famiglia Pantani per bocca dell’avvocato Antonio De Rensis: “Per accertare chi ha modificato i test è sufficiente risalire a coloro che potevano maneggiare le provette. Per questo il caso non può essere chiuso”. Non proprio un’impresa titanica, appunto, individuare coloro i quali avevano la possibilità di prelevare il sangue, analizzarlo e custodirlo: due o tre addetti, all’epoca dei fatti, non di più. Eppure, per la procura di Forlì ciò risulta “impossibile”.
La verbalizzazione del boss di Mondragone, La Torre, si aggiunge all’inequivocabile contenuto dell’intercettazione telefonica in cui un altro boss, stavolta della Sanità, a Napoli, ossia Rosario Tolomelli, parlava con una parente a proposito di quel Giro d’Italia e dell’intervento della camorra – impossibilitata a pagare una montagna di scommesse – per far perdere la corsa al campione. Un “sì” ripetuto per ben cinque volte alla domanda se poi la corsa era stata effettivamente truccata dagli uomini del clan. Parole che si aggiungono a quelle – che diedero origine alle indagini della procura di Forlì – pronunciate da Renato Vallanzasca, entrato in contatto, durante la sua permanenza al carcere milanese dell’Opera, con un camorrista poi identificato.
Ora il verbale di Augusto La Torre (un impero, quello della sua dinasty, tra i primi a riciclare massicciamente all’estero, perfino in Scozia a metà anni ’90, come documentò il presidente dell’Osservatorio Anticamorra Amato Lamberti, al quale collaborava Giancarlo Siani). Che racconta agli inquirenti: “non sono a conoscenza di come abbiano fatto a modificare i dati di Pantani per farlo risultare positivo, ma il clan ha sicuramente avvicinato chi era addetto ai controlli e lo ha corrotto”. E ancora, più in dettaglio: “Solo i Mallardo di Giugliano, con poteri decisionali nell’Alleanza di Secondigliano, potevano aver fatto una cosa simile”.
E La Torre descrive ai magistrati di Forlì il contesto nel quale traggono origine le sue dichiarazioni: il boss di Mondragone, infatti, parlò proprio della vicenda
Augusto La Torre
Pantani con altri tre super boss, e cioè Luigi Vollaro di Portici, Angelo Moccia di Afragola e Francesco Bidognetti dei Casalesi. Vale a dire con i “Vertici” dell’holding camorrista in Campania, una vera Cupola alla quale niente può sfuggire. E tutti e tre gli confermarono quella versione, ossia che il Giro era stato taroccato perchè altrimenti la camorra sarebbe andata in crac per pagare la montagna di scommesse che volevano Pantani vincitore.
Una rivelazione multipla, il sipario che si alza su quel Giro maledetto. Ma ciò non basta ai pm di Forlì che archiviano.
E’ possibile, poi, chiudere gli occhi anche sul secondo tempo della tragedia, ossia l’omicidio – perchè così va chiamato – di Marco Pantani nel residence “le Rose” di Rimini per mano della camorra spacciatrice? Anche perchè Pantani non doveva parlare. Non avrebbe mai dovuto alzare il coperchio su quel Giro, su quella camorra, e soprattutto sui complici in colletto bianco.
Infine, interrogativo delle cento pistole: come mai, pur in presenza di un “intervento” di camorra così massiccio e invasivo, la Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna ha finora pensato bene di farsi notare per la sua totale assenza?