PARTE 3/3
Cosa avvenne quella mattina del 5 giugno 1999?
Avvenne che arrivò un controllo "a sorpresa" dell'Uci.
Questi i funzionari che eseguirono i controlli:
Antonio Coccioni - Commissario internazionale dell’Uci
Michele Partenope - Commissario Medico dell’Uci (Ospedale S. Anna di Como)
Eugenio Sala - Commissario Medico dell’Uci (Ospedale S. Anna di Como)
Gianni Giana - Commissario Medico dell’Uci (Ospedale S. Anna di Como)
Mario Spinelli - Commissario Medico dell’Uci (Ospedale S. Anna di Como)
Ispettore medico Uci al Giro - Wim Jeremiasse
A coordinare il lavoro dei Commissari, come sempre, un Ispettore, anzi l'Ispettore Medico Uci, che coordinava il tutto da una sede unica a Campiglio dove raccoglieva gli esiti del lavoro dei Commissari Medici. Anche al Giro 1999 si trattava di Jeremiasse.
Abbiamo detto che si trattava di controllo a sorpresa, ma in realtà la sorpresa era poca, perché si sa che le squadre erano state in qualche modo preallertate, come in varie altre occasioni. Anche chi pensa che quell'esame fu effettuato secondo norma, come invece non pensa lo scrivente (anche sulla base delle prove testimoniali emerse in sede processuale), comunque ritiene che l'assenza di sorpresa potesse favorire ancor di più una eventuale alterazione del risultato, se la volontà di qualcuno fosse stata quella.
Per quanto riguarda le molteplici stranezze di quell'esame rimando al libro del bravo Brunel ed ai tanti siti che narrano quelle vicende e le deposizioni processuali. Credo che se ne parlerà anche dopodomani, nel corso delle trasmissioni che verranno dedicate a Marco.
Nella pratica comune di quel tempo era consuetudine che, prima dell'esame dell'ematocrito, i corridori trattati con Epo assumessero dell'Emagel per rendere meno viscoso il sangue e risultare ok al molto aleatorio (lo sapremo purtroppo solo dopo) esame dell'ematocrito. L'effetto dell'Emagel aveva però un effetto limitato ed un ritardo nell'esame poteva compromettere il risultato desiderato.
Il corridore non poté scegliere la provetta che fu invece utilizzata arbitrariamente dal commissario (ammissione processuale). L'esame di Pantani fu infatti svolto con notevole ritardo, se non ricordo male per ultimo.
In più si dice che quella mattina mancava al hotel il responsabile che avrebbe dovuto sovrintendere a quelle necessità di squadra. Il Pirata secondo molti andò in bocca ad una imboscata ben architettata. Purtroppo quella mattina non era presente una persona di fiducia, a conoscenza del regolamento, che potesse contestare ed invalidare quel test, come poi successivamente si è scoperto potesse essere tranquillamente fatto.
Le tante stranezze negli ultimi cinque anni di Marco non riguardano comunque solo il 5 giugno 1999 (quel giorno è solo la punta dell'iceberg), le stranezze partono da ben prima e si protrarranno anche oltre la sua morte fisica (sino all'Operation Puerto del 2006) ma la morte, quella psichica e di uomo orgoglioso, fu certamente consumata quella mattina di fine primavera 1999 e con lui morì anche la primavera del ciclismo, certamente uccisa con la massima infamia dagli stessi uomini che il ciclismo in quel momento lo comandavano.
Come detto e come da tutti ricordato, Marco dopo quella disgraziata giornata si isola e su di lui e sul suo stato inizia il walzer delle voci incontrollate. Il volgo comune pretende di attribuire a Marco Pantani l'isolamento ed il rifiuto di andare al Tour per lo sgarbo subito.
In realtà le cose non stanno così. Per fare andare Marco al Tour intercedono parecchie persone. Una fra queste, il grande Charlie Gaul si fa carico di sondare Jean-François Pescheux, direttore del Tour, ma questi gli fa esplicitamente intendere che Marco non è gradito.
Quello è un segnale forte, indubitabile, che qualcosa è successo, che Marco non è più un patrimonio del ciclismo mondiale da difendere. Il campione uscente del Tour è bandito! Perché questo? Solo per i sospetti di doping? Mah.
Marco, il perché lo capirà durante il Tour 1999, alla vista del fenomeno americano che compie una incredibile trasformazione. Li si rende conto che il suo spazio nel ciclismo, se mai lo riavrà, sarà radicalmente ridimensionato.
I corridori cominciano esplicitamente a dire di voler essere protetti, che i patti del passato che avevano portato all'accordo di categoria sul 50% di ematocrito e ad altre prese di posizione "corporative" siano state disattese, ma il loro linguaggio è fumoso, indiretto e le frasi sono mezze frasi, sussurrate, non esplicite. Non possono dire che senza doping non si finiscono nemmeno le corse, e che serve una soluzione, senza poi venire sbranati mediaticamente.
Tutto ciò non aiuta il loro ruolo.
"Andate a vedere cosa è un ciclista e quanti uomini vanno in mezzo a la torrida tristezza" scriverà in seguito Marco Pantani, torturato dal dilemma di dire cos'è un ciclista ed il dubbio che la gente, i suoi tifosi possano davvero comprendere le sue parole.
Al Tour 1999 Marco Pantani non andrà ufficialmente (a detta dei media) per i suoi capricci ed i suoi intestardimenti, ma nella realtà Marco non vi andò perché l'Aso non lo volle. Il ciclismo aveva ormai altri piani, altri disegni di espansione ed un grosso investimento era all'orizzonte prossimo, supportato da una vera e propria macchina da guerra sia mediatica che di marketing. Il nome della macchina era Lance Armstrong, ma il sistema era fatto da decine di persone che da quel sistema ebbero ritorni enormi. Quando 13 anni dopo l'incantesimo sull'americano si ruppe, logorato e poi distrutto dalle decine di confessioni e dalle molteplici prove, a pagare resterà il solo texano dagli occhi di ghiaccio.
Il Tour 1999 viene vinto da Lance Armstrong, l'eroe che ha sconfitto il cancro ed è rinato allo sport e tutto il resto, bla, bla bla.
Anni dopo si venne a sapere che alcune sue positività in quel Tour furono esplicitamente coperte dal vertice Uci, mentre altri dannati venivano esposti sulla gogna, per dimostrare il verbo dell'antidoping e quindi celebrare l'eroe divino.
Nel mondo era iniziata la nuova era del ciclismo mondiale, il ciclismo globalizzato, il ciclismo miliardario che incantava milioni di appassionati un ciclismo diverso da quello dopato di Marco Pantani ...
E in Italia? In Italia non si parla più dello scandalo dell'Acqua Acetosa e delle provette dei calciatori finite nel Tevere, si parla solo di Marco Pantani. Marco devi confessare, Marco devi fare questo, devi fare quello, Marco sei un codardo, Marco sta zitto perché senza il doping non è nessuno, ecc.. Il tam tam dell'ipocrisia non si ferma.
Marco non era probabilmente un santo riguardo al tema più discusso dello sport, la Sentenza n. 533-2003 del Tribunale di Ferrara lo indica fra gli atleti trattati dai medici Francesco Conconi e Giovanni Grazzi, ma nessuno può e potrà mai mettere in dubbio la qualità cristallina di questo incredibile atleta e il suo essere intimamente una bellissima persona.
Marco non "era un angelo caduto dal cielo" (cit. Mura), era un grande uomo, un passionale ed un estremo generoso e non fu "vittima di un complotto cosmico" (cit. Mura) o dell'imperialismo americano, ma di tanto semplici quanto inconfessabili interessi incrociati.
Ora proviamo ad immaginare cosa poteva passare nella testa di Marco Pantani in quel 1999. Marco si chiude certamente e comincia a fidarsi di pochi e ad ascoltare ancora meno persone. Diviene diffidente del potere, sia quello politico che quello sportivo.
Non si fida del Coni che lo usa come testimonial "al contrario" e che nel 2000 olimpico (gestione Petrucci) lo additerà e lo strumentalizzerà in modo indegno.
Non si fida della Federazione e del suo presidente, personaggio molto doppio e per lui sostanzialmente inaffidabile ed infido, un amico di Squinzi da cui stare alla lontana. Non si fida della politica che prima lo ha idolatrato, a cominciare dal Presidente Ciclista Romano Prodi, che poi fa di tutto per evitarlo, nonostante che lo stesso sia fraterno amico di Francesco Conconi e suo compagno di uscite in bici, e forse anche di Squinzi in precedenza (col quale anni dopo darà vita ad una patetica querelle di orgoglio sportivo ottuagenario sullo Stelvio), oltre che di Mario Resta, big manager dell'Eni di Stato, ferrarese e grande appassionato di ciclismo.
Non si fida dei giornali, di Repubblica in particolare, il giornale di sinistra che lo attacca un giorno sì e l'altro pure tramite la penna di Eugenio Capodacqua.
Gianni Mura, nella intervista al Foglio, ha confessato di esser stato sul punto di lasciare Repubblica in quel momento. Molto comprensibile.
http://www.dagospia.com/rubrica-30/Sport/i-pantani-di-gianni-mura-dopo-la-sua-squalifica-pensai-di-lasciare-repubblica-e-71563.htm
Torniamo al Marco del 1999. Non si fida più anche della Magistratura che lo prende di mira oltre l'immaginabile ed il sensato, manco fosse Bernardo Provenzano o Totò Riina.
Beninteso, anche Marco commise una infinità di errori, errori di comunicazione e comportamentali e li pagherà tutti perché niente gli verrà perdonato.
Uno degli errori di Marco e dei suoi legali fu quello di sollevare dubbi non circostanziati su quell'esame di Campiglio, i dubbi sulla non sua appartenenza del sangue prelevato (a freddo facile dirlo, certamente), fatto che diede adito alla Procura di Trento di aprire un fascicolo. A quello di Trento se ne aggiunsero altre sei. E molti dei processi nacquero assurdamente prima dell'introduzione della legge antidoping del 2000, che trasformò il doping in reato penale.
E' in questo quadro che Marco Pantani chiede aiuto esplicitamente a Silvio Berlusconi, non certamente per particolari convinzioni politiche (che forse manco aveva e che comunque non avrebbe reso pubbliche) o perché lui fosse tifoso milanista. E' una razionale reazione a ciò che osserva del mondo attorno. E' comunque anche quella una richiesta di aiuto che non verrà mai degnata di nota. Il "criminale sportivo" Pantani non era più interessante nemmeno per Silvio Berlusconi.
Alla luce degli eventi di questi giorni (il pregresso dell'incarico a Monti deciso da un club di industriali e banchieri) e dell'abitudine della politica agli incontri riservati, ai favori agli amici e agli amici degli amici, possiamo dire di tutto su Marco, ma non possiamo non notare uno strano accanimento contro di lui. E il centrosinistra in questi anni ha dimostrato come sapesse essere attento e sensibile ai richiami di industriali e banchieri amici (di merende).
Marco si sente accerchiato da quel mondo di sinistra (il club), che gli ha messo inspiegabilmente la croce addosso e gli vuole contemporaneamente togliere l'appoggio popolare dei tifosi, degli sportivi, che nonostante alcuni tentennamenti ed imbarazzi, non lo abbandonerà mai, perché leggendo in quegli occhi tristi, feriti ma sinceri, la gente vede lo sguardo perduto ed intimo di un proprio figlio, né prodigo, né divino, ma un uomo, un uomo vero (cit. Davide De Zan).
Immaginiamoci lo stato d'animo di Marco quando viene a sapere, almeno a settembre 1999 come lo sapemmo tutti, che i trionfi dell'americano erano supportati dalla consulenza di un preparatore italiano, il medico ferrarese ex conconiano (ex?) Michele Ferrari.
Nel ciclismo va così, da un doping vergognosamente diffuso ed indistinto per tutti si passa ad un indicibile doping da vertice scientifico messo in sicurezza dal doping amministrativo (coperture) dispensato dal vertice dell'Uci, una cosa che tutti ignorano ufficialmente, ma che tutti conoscono e sussurrano dietro le quinte, comprese quelle decine, centinaia di pennaioli che tutto sanno della truffa di Armstrong & Uci (cit. Armstrong), ma che celebrano, urlando come le oche del Campidoglio, il campione texano, salvo poi gettarlo nel fango una decina abbondante di anni dopo, quando il pentolone è scoperchiato, tutti sorpresi come le verginelle cadute dal pero.
E Marco è probabilmente in quel periodo che si avvale di altri santoni. Nel 2006 il suo nome finirà elencato tra i supposti clienti di Eufemiano Fuentes, un altra occasione per attribuirgli un mortale (anche nella memoria) colpo al cuore. Ma almeno in quel momento l'effetto non andò a segno.
Come detto, Marco fu semplicemente vittima di un sistema di interessi, sia italiani che internazionali. In Italia il Coni lo usò come capro espiatorio di tutti i peccati dello sport. Il ciclismo si suicidò individuando in lui un diavolo per poter esorcizzare i peccati collettivi rinviando così di oltre un quindicennio il suo chiarimento interno. Ed infine il vertice dell'Uci ebbe l'occasione di mettere a frutto succosamente un disegno partito grazie ad un contatto generato per motivazioni inverse a ciò che poi avvenne. Da una potenziale emancipazione delle squadre di ciclismo, attingendo ai diritti televisivi (motivo del contatto con Marc Biver e IMG) si passò ad una dittatura dell'Uci che umiliò addirittura il Tour de France, anche grazie all'autolesionismo francese ed alla vanagloria della sua politica, cattiva cugina di quella italiana.
Si dice che le tante stranezze di quel Tour 1999 e le numerose esenzioni terapeutiche di Armstrong & Co. misero in difficoltà Wim Jeremiasse.
Il "povero" Ispettore Medico Uci dovette subire i primi dubbi e critiche della allarmata stampa francese che, almeno in quel caso, avvertì subito un certo puzzo di bruciato, però subito zittita dalle trombe internazionali anglosassoni della ragion di Stato e del quieto vivere.
A quel punto anche l'Aso poteva/doveva far buon viso a cattivo gioco e dei soldi americani non poteva fare a meno, come pure di tutta la conveniente retorica del mondo armstronghiano. Allo stomaco non si comanda, come pure al portafogli.
Resta il fatto che il povero Jeremiasse si beccasse gli strali e le critiche mentre nel contempo qualcuno faceva quattrini e quattrini a palate.
Il problema venne meno quando dopo il 2 febbraio 2000 fu diffuso questo laconico messaggio:
Il celebre commissario di giuria Wim Jeremiasse è morto in un incidente d'auto sul Weissensee, un lago di montagna in Austria, lo scorso mercoledì.
Stava guidando l'auto di testa in un evento di pattinaggio su ghiaccio ed aveva al suo fianco una passeggera (Miss Rommy van der Wal).
Svolgeva il ruolo di uno dei controller della gara. E' andato fuori strada sul ghiaccio ed il ghiaccio (in un punto in cui era spesso solo 10 cm) si è rotto. L'auto è affondata con Jeremiasse e Miss Van der Wal. Nessun aiuto è stato possibile e l'auto con Jeremiasse è affondata nel giro di un minuto.
Il lago aveva una profondità di 35 metri, e l'auto è stata recuperata un'ora e mezzo più tardi dai soccorritori.
Jeremiasse (60 anni) è stato per molti anni commissario internazionale del mondo del ciclismo (in gare come Tour de France, Giro e Vuelta) e parimenti era commissario medico e sovrintendeva ai controlli del sangue. Come membro di giuria UCI era stato anche impegnato nei Campionati del Mondo di Ciclocross a St Michielsgestel dell'ultimo week-end.http://www.hbvl.be/Archief/guid/wielerjurylid-wim-jeremiasse-omgekomen-bij-ongeval.aspx?artikel=7afa643c-1df9-11d5-8d37-0008c772a0e7
http://autobus.cyclingnews.com/results/1999/jun99/jun9a.shtmlWim Jeremiasse quel giorno si era portato con sé un lustro almeno di segreti inconfessabili dell'antidoping Uci a comando, o meglio dell'antidoping a comando Uci. Questa è l'unica cosa che si può dire di quel giorno in chiave Uci, raccogliendo l'invito ad evitare di descrivere quel fatto in modo "romanzato".
Il chiacchiericcio fra suivers vuole che quel giorno il commissario stesse facendo il galletto con la ragazza al suo fianco, ragazza che invece riusci a salvarsi.
Come sempre in queste morti si tende ad appiccicare quella nota di sesso che tanto piace al pruriginoso ed a far parlare (male) del trapassato.
Se l'auto ha sterzato improvvisamente nel lago ghiacciato (ma non ghiacciato abbastanza), la colpa doveva per forza essere del guidatore troppo intento a puntare la sottana. Leggi incontrovertibili del gossip e del giornalettismo.
Nel 2000 Marco tornò a correre, da morto che pedala e anche quel suo fantasma vinse, seppure con le ali tagliate, le zavorre alla sella, il buio nel morale, i dubbi nella mente, battendo il texano almeno nelle tappe che gli appartenevano, ad assoluta dimostrazione del suo immenso valore. Aveva battuto il missile correndo con il freno a mano tirato. L'assalto alla classifica gli era però in qualche modo precluso, per fare quella ci voleva la testa, la convinzione, la fiducia nello sport che Marco non aveva ormai più e la protezione degli dei dell'Olimpo che avevano ormai commissionato i giochi ad altri attori.
Di quel 5 giugno si parlerà ancora, tanto, come della lettera di Vallanzasca e delle scommesse clandestine, come di tante altre cose che ancora oggi non tornano in quell'omicidio sportivo di Marco Pantani e del sogno del ciclismo, un sogno spezzato che stenta dopo 15 anni a ricomporsi e mai potrà davvero ricomporsi prima che quell'omicidio sportivo non sia completamente spiegato, ammesso, ed i responsabili puniti con relative scuse di quella cupola para-mafiosa e massonica che è diventata il vertice dello sport mondiale, il Gerontocomio Cio (cit. Aligi Pontani, amico di Gianni Mura). Non tutta la Repubblica è da buttare in capo all'Acqua, alcune Mura forti e dignitose resistono.
http://www.repubblica.it/rubriche/tempo-olimpico/2014/02/07/news/blatter-77938391/
Ps. Dopo la verità "sportiva" sarà il caso di dare alla famiglia la pace della verità sulla morte fisica di Marco.
Le tante, troppe strane coincidenze dicevamo, eh già. Ma quelle del febbraio 2004, di quel San Valentino maledetto, di quel misterioso terremoto nella lugubre stanza del Residence delle Rose, sono troppe ed inaccettabili. Come inaccettabili sono quelle strane indagini di polizia a senso unico (morte di un disadattato per droga), simili alla cieca antidoping di Verbruggen che aveva i mezzi per trovare ciò che voleva quando voleva, come voleva ... ed anche di non trovarli.
Gliela dobbiamo tutti quella verità, perché Marco, in fondo, un poco lo abbiamo ucciso tutti (cit. Diego Armando Maradona).