Da Morris l'originale Lun Mar 28, 2016 11:30 am
La definizione di Monumento è una delle tante scorrettezze storiche del ciclismo, ma tanto è. Ognuna delle cosiddette tali, infatti, salvo la Roubaix (partita comunque come gamba di scorta della Parigi Tours), ha avuto lunghi periodi dove gli erano preferibili altre classiche, mai finite fra quelle definite così. La Sanremo, con la caduta del ciclismo vero, secondo l’editto del marchesato torturatore di Aigle, è rimasta una classica solo per quei tifosi del pedale, in forte calo, capaci di digerire palate di cacca, pur di vedere una ruota a razze nemmeno più spinta a motore umano. Un pubblico che non può vedere la noia e che ancora si fa trastullare dal macroscopico palliativo della lunghezza della corsa, come fattore di durezza e selezione.
Come sistemarla?
Sembrerà banale, ma per ridonare spessore e vincitori degni, basterebbero piccoli accorgimenti (in realtà enormi vista la pochezza, eufemismo, del mondo ciclistico che conta, o può contare):
- Squadre composte da max 6 corridori
- Eliminazione delle radioline sugli atleti
(due punti che sarebbero da allargare ad ogni classica… e non solo...)
- Turchino, Manie, Colla Micheri, Cervo, Berta, Cipressa e Poggio la successione delle salite della corsa.
L’inserimento di Colla Micheri (la salita del Laigueglia) è fondamentale perché porta pendenze (oltre l’8%), ed una sufficiente lunghezza (poco più di 2 km), che ne fanno un “muretto” utile ad inquinare le gambe di quel tanto da unirsi a tangibilità nelle ascese successive. Il chilometraggio complessivo passerebbe da 291 a 297 km; non una follia, dunque.
La Sanremo resterebbe nel novero delle grandi corse non dure, ma si riprenderebbe, con ragione, della definizione di “corsa cerebrale per eccellenza”, usata in passato anche dal sottoscritto, per non definire l’ex “Classicissima di primavera” come l’apice delle gare deludenti.