Nato il 15 ottobre 1896 a Rifredi (FI), ed ivi deceduto il primo gennaio 1972. Velocista. Professionista dal 1921 al 1936 con 24 vittorie, fra strada e, su pista, limitatamente alle classifiche finali.
Un personaggio in tutti i sensi, che fu fondamentale per il lancio del ciclismo in Toscana e fiorentino in particolare. Pietro Linari, alternò la strada alla pista, cementandosi come ciclista totale, anche se eccellente nelle peculiarità delle discipline veloci. Atleta longevo, a quaranta anni fu capace di giungere secondo nel Campionato Italiano della velocità, nonché giramondo, soprattutto per seguire il circuito delle Sei Giorni. Alto e robusto con due spalle da culturista e la capigliatura folta, tanto coraggioso quanto cordiale e simpatico, Linari, a cui il nomignolo di “Pietrino”, sembrava inadeguato a tracciarne la descrizione visiva e le linee comportamentali, fu un autentico riferimento in ogni sua presenza. E per dare un segno di quanto la bontà e la simpatia che lo contraddistinguevano, non significassero remissione, si può citare un episodio tra i più belli e significativi del personaggio. Nel corso di una manifestazione su pista a Parigi, si ritrovò a dover fare i conti coi fratelli Pelissier, i quali, quando gareggiavano in Francia, si sentivano dei padroni a cui tutto doveva essere concesso. Pietrino, che verso i soprusi provava idiosincrasia, sceso di bicicletta, si diresse verso Francis Pelissier e lo prese per il petto attaccandolo all’impalcatura del palchetto dei giudici, ed il corridore transalpino, prima ancora dell’arrivo degli aiuti, si dimostrò velocemente disponibile a ravvedersi sull’oggetto della sua superbia. Linari però, era tutt’altro che muscoli e cervello di cemento. Di lui si ricordano le letture e le frequentazioni assidue, quando era lontano dalle corse, dei celebri ritrovi intellettuali di Firenze, nonché la sua grande capacità di raccontare dei suoi viaggi e delle esperienze ad essi legate. Era pure un istrione mica male, anzi, uno che oggi, con la sete di personaggi che ha il ciclismo, sarebbe un toccasana.
Ciclisticamente, come detto, Linari era un velocista cresciuto su pista, dove già a meno di 20 anni, si mostrò seigiornista di vaglia. Alla strada e al professionismo sugli ancora non sopraggiunti asfalti, arrivò tardi, a 25 anni, debuttando al Giro di Lombardia del 1921, dove si piazzò 23°. L’anno dopo, ingaggiato dalla Legnano, imparò a tenere abbastanza le salite e a darsi compiutamente ad un ciclismo che stava raggiungendo le intensità popolari della pista.
Un versante che lo impegnò fino ai 30 anni, in parte in coabitazione con quello, amato, degli anelli. Poi, il ritorno quasi completo verso l’antico amore, per altri dieci anni. Sta di fatto che nei tre lustri passati nell’elite del pedale, il suo nome, fra vittorie e piazzamenti, s’è letto parecchio. Ne sapevano qualcosa, quelli che cercavano in tutte le maniere di evitare di mettersi a confronto con lui in volata. Le sue vittorie più importanti: la Milano-Sanremo del 1924, il Giro dell'Emilia dello stesso anno, la Milano-Modena del 1923, nonché le due tappe del Giro d'Italia, una a Roma nel 1922 e l'altra a Torino nel 1925. Buoni anche i piazzamenti: secondo al Giro di Romagna del 1923 e del 1926, al Lombardia del 1923, al Giro di Toscana del 1924, terzo al Giro di Lombardia del ’24, alla Sanremo del ‘25 e quarto alla Parigi-Roubaix del medesimo anno. Insomma, quanto basta per non considerarlo alla stregua dei velocisti che verranno. In tutte le epoche, infatti, il Giro di Lombardia non è mai stato pane per chi era solo sprint. Su pista, invece, fu Campione Italiano della velocità nel ’29 e vinse, nel suo girovagare per il mondo come seigiornista, le Sei Giorni di New York nel 1926, di Milano nel 1928, di Stoccolma nel 1929 e di Parigi nel 1931.
Maurizio Ricci detto "Morris"