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    Peter Norman

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    Messaggio Da BenoixRoberti Lun Ago 31, 2015 12:39 pm

    Ciao Morris,
    mi permetto di aprire qua un 3D dedicato a Peter Norman, di cui ho parlato nel 3d dell'atletica:
    http://www.ciclopassione.com/t1902-atletica-la-regina-sorella-malata-del-ciclismo
    Ieri si sono conclusi a Pechino i mondiali di atletica e in questa settimana ho tentato, vanamente, di rivivere le emozioni d'infanzia.
    Volevo chiedere a te, grande esperto ANCHE di atletica (esperto sul campo e non solo narrativamente e culturalmente) di raccontare, quando potrai, la tua esperienza diretta, vissuta, su quella atletica così mondiale, impegnata, ricca di personaggi e di spessore culturale. Era il 1968 anche in quegli Usa, anzi soprattutto.



    ***********************************************************************
    Si sono conclusi ieri i mondiali di Atletica di Pechino.
    L'atletica non è più una delle discipline che amo particolarmente.
    Nel mio cuore c'è ormai solo il ciclismo, solo per testardaggine, orgoglio e passione incontrollabile, ma se penso alle mie passioni d'infanzia ... beh che emozione che furono le mie prime olimpiadi televisive, quelle di Monaco '72, dopo il primo mondiale di calcio in Messico, quello di una magica semifinale (solo semifinale?!) Italia-Germania.
    Una delle cose belle di quelle Olimpiadi (piene anche di cose brutte purtroppo) fu la possibilità di rivivere televisivamente, nei giorni precedenti, le Olimpiadi del 1968 di Città del Messico.
    Quella magica finale dei 200 coi due ragazzi col pugno chiuso bucò per anni lo schermo. L'orgoglio di quegli atletici ragazzi della nuova America (quella America che era anche musica, la Motown, e tanto altro di culturale) aveva qualcosa di speciale, di violentemente non-violento, di brutalmente sferzante. Per anni l'atletica tutta si servì di quel gesto per dimostrare di essere il vero ed unico sport globale, senza colore o con mille colori, un privilegio che il mio ciclismo allora non poteva avere.
    Per fortuna il mondo è cambiato (almeno quello dello sport) ed i gesti del celebrato Bolt sono lontani galassie dalla gestualità black dell'orgoglio nero americano. Adesso c'è solo marketing, e meglio così.
    Il bisogno di rivivere un po' quelle forti emozioni d'infanzia mi ha fatto tornare alla mente un bellissimo e struggente racconto di Riccardo Cazzaniga che, lo ammetto, mi fece piangere come un bambino (si ritorna bambini). L'ho riletto e ho ripianto. Accidenti! Crying or Very sad  Very Happy
    E' la storia del terzo uomo del podio di Città del Messico, il bianco dei tre.
    Mentre i due neri ebbero allora enormi problemi, ma poi diventarono eroi della nuova America, in particolare quella recente, obamiana, il terzo bianco subì angherie di ogni sorta da parte della cultura razzista australiana sino addirittura al 2006. Lui, bianco, pagò più di tutti quel pugno chiuso di altri, ma da lui condiviso.
    Non voglio rubare altro a questo racconto speciale che mi sono permesso di corredare di immagini.

    ____________________
    L'UOMO BIANCO IN QUELLA FOTO
    Peter Norman John_c11
    Le fotografie, a volte, ingannano.
    Prendete questa immagine, per esempio.
    Racconta il gesto di ribellione di Tommie Smith e John Carlos il giorno della premiazione dei 200 metri alle Olimpiadi di Città del Messico e mi ha ingannato un sacco di volte.
    L’ho sempre guardata concentrandomi sui due uomini neri scalzi, con il capo chino e il pugno guantato di nero verso il cielo, mentre suona l’inno americano. Un gesto simbolico fortissimo, per rivendicare la tutela dei diritti delle popolazioni afroamericane in un anno di tragedie come la morte di Martin Luther King e Bob Kennedy.
    È la foto del gesto storico di due uomini di colore. Per questo non ho mai osservato troppo quell’uomo, bianco come me, immobile sul secondo gradino.

    L’ho considerato una presenza casuale, una comparsa, una specie di intruso. Anzi, ho perfino creduto che quel tizio – doveva essere un inglese smorfioso – rappresentasse, nella sua glaciale immobilità, la volontà di resistenza al cambiamento che Smith e Carlos invocavano con il loro grido silenzioso.
    Invece sono stato ingannato.
    Grazie a un vecchio articolo di Gianni Mura, oggi ho scoperto la verità: l’uomo bianco nella foto è, forse, l’eroe più grande emerso da quella notte del 1968.
    Si chiamava Peter Norman, era australiano e arrivò alla finale dei 200 metri dopo aver corso un fantastico 20.22 in semifinale. Solo i due americani Tommie “The Jet” Smith e John Carlos avevano fatto meglio: 20.14 il primo e 20.12 il secondo.
    La vittoria si sarebbe decisa tra loro due, Norman era uno sconosciuto cui giravano bene le cose. John Carlos, anni dopo, disse di essersi chiesto da dove fosse uscito quel piccoletto bianco. Un uomo di un metro settantotto che correva veloce come lui e Smith, che superavano entrambi il metro e novanta.
    Arrivò la finale e l’outsider Peter Norman corse la gara della vita, migliorandosi ancora. Chiuse in 20.06, sua prestazione migliore di sempre e record australiano ancora oggi imbattuto, a 47 anni di distanza.
    Ma quel record non bastò, perché Tommie Smith era davvero “The jet” e rispose con il record del mondo. Abbatté il muro dei venti secondi, primo uomo della storia, chiudendo in 19.82 e prendendosi l’oro.
    John Carlos arrivò terzo di un soffio, dietro la sorpresa Norman, unico bianco in mezzo ai fuoriclasse di colore.
    Fu una gara bellissima, insomma.
    Eppure quella gara non sarà mai ricordata quanto la sua premiazione.

    Non passò molto dalla fine della corsa perché si capisse che sarebbe successo qualcosa di forte, di inaudito, al momento di salire sul podio.
    Smith e Carlos avevano deciso di portare davanti al mondo intero la loro battaglia per i diritti umani e la voce girava tra gli atleti.
    Norman era un bianco e veniva dall’Australia, un paese che aveva leggi di apartheid dure quasi come quelle sudafricane. Anche in Australia c’erano tensioni e proteste di piazza a seguito delle pesanti restrizioni all’immigrazione non bianca e leggi discriminatorie verso gli aborigeni, tra cui le tremende adozioni forzate di bambini nativi a vantaggio di famiglie di bianchi.
    I due americani chiesero a Norman se lui credesse nei diritti umani.
    Norman rispose di sì.
    Gli chiesero se credeva in Dio e lui, che aveva un passato nell’esercito della salvezza, rispose ancora sì.
    “Sapevamo che andavamo a fare qualcosa ben al di là di qualsiasi competizione sportiva e lui disse “sarò con voi” – ricorda John Carlos – Mi aspettavo di vedere paura negli occhi di Norman, invece ci vidi amore”.
    Smith e Carlos avevano deciso di salire sul podio portando al petto uno stemma del Progetto Olimpico per i Diritti Umani, un movimento di atleti solidali con le battaglie di uguaglianza.
    Avrebbero ritirato le medaglie scalzi, a rappresentare la povertà degli uomini di colore. E avrebbero indossato i famosi guanti di pelle nera, simbolo delle lotte delle Pantere Nere.
    Ma prima di andare sul podio si resero conto di avere un solo paio di guanti neri.
    “Prendetene uno a testa” suggerì il corridore bianco e loro accettarono il consiglio.
    Ma poi Norman fece qualcos’altro.
    “Io credo in quello in cui credete voi. Avete uno di quelli anche per me?“ chiese indicando lo stemma del Progetto per i Diritti Umani sul petto degli altri due. “Così posso mostrare la mia solidarietà alla vostra causa”.
    Smith ammise di essere rimasto stupito e aver pensato: “Ma che vuole questo bianco australiano? Ha vinto la sua medaglia d’argento, che se la prenda e basta!”.
    Così gli rispose di no, anche perché non si sarebbe privato del suo stemma. Ma con loro c’era un canottiere americano bianco, Paul Hoffman, attivista del Progetto Olimpico per i Diritti Umani. Aveva ascoltato tutto e pensò che “se un australiano bianco voleva uno di quegli stemmi, per Dio, doveva averlo!”. Hoffman non esitò: “Gli diedi l’unico che avevo: il mio”.
    Peter Norman Ophr_c10
    I tre uscirono sul campo e salirono sul podio: il resto è passato alla storia, con la potenza di quella foto.
    Peter Norman 110
    “Non ho visto cosa succedeva dietro di me – raccontò Norman – Ma ho capito che stava andando come avevano programmato quando una voce nella folla iniziò a cantare l’inno Americano, ma poi smise. Lo stadio divenne silenzioso”.
    Il capo delegazione americano giurò che i suoi atleti avrebbero pagato per tutta la vita quel gesto che non c’entrava nulla con lo sport. Immediatamente Smith e Carlos furono esclusi dal team americano e cacciati dal villaggio olimpico, mentre il canottiere Hoffman veniva accusato pure lui di cospirazione.
    Tornati a casa i due velocisti ebbero pesantissime ripercussioni e minacce di morte.
    Ma il tempo, alla fine, ha dato loro ragione e sono diventati paladini della lotta per i diritti umani.
    Peter Norman John_c10
    Sono stati riabilitati, collaborando con il team americano di atletica e per loro è stata eretta una statua all’Università di San José.
    Peter Norman Smith_10
    In questa statua non c’è Peter Norman.
    Quel posto vuoto sembra l’epitaffio di un eroe di cui nessuno si è mai accorto. Un atleta dimenticato, anzi, cancellato, prima di tutto dal suo paese, l’Australia.
    Quattro anni dopo Messico 1968, in occasione delle Olimpiadi di Monaco, Norman non fu convocato nella squadra di velocisti australiani, pur avendo corso per ben 13 volte sotto il tempo di qualificazione dei 200 metri e per 5 sotto quello dei 100.
    Per questa delusione, lasciò l’atletica agonistica, continuando a correre a livello amatoriale.
    In patria, nell’Australia bianca che voleva resistere al cambiamento, fu trattato come un reietto, la famiglia screditata, il lavoro quasi impossibile da trovare. Fece l’insegnante di ginnastica, continuò le sua battaglie come sindacalista e lavorò saltuariamente in una macelleria. Un infortunio gli causò una grave cancrena e incorse in problemi di depressione e alcolismo.
    Come disse John Carlos “Se a noi due ci presero a calci nel culo a turno, Peter affrontò un paese intero e soffrì da solo”.
    Per anni Norman ebbe una sola possibilità di salvarsi: fu invitato a condannare il gesto dei suoi colleghi Tommie Smith e John Carlos, in cambio di un perdono da parte del sistema che lo aveva ostracizzato. Un perdono che gli avrebbe permesso di trovare un lavoro fisso tramite il comitato olimpico australiano ed essere parte dell’organizzazione delle Olimpiadi di Sidney 2000.
    Ma lui non mollò e non condannò mai la scelta dei due americani.
    Era il più grande sprinter australiano mai vissuto e detentore del record sui 200, eppure non ebbe neppure un invito alle Olimpiadi di Sidney. Fu il comitato olimpico americano, una volta scoperta la notizia a chiedergli di aggregarsi al proprio gruppo e a invitarlo alla festa di compleanno del campione Michael Johnson per cui Peter Norman era un modello e un eroe.
    Norman morì improvvisamente per un attacco cardiaco nel 2006, senza che il suo paese lo avesse mai riabilitato.
    Al funerale Tommie Smith e John Carlos, amici di Norman da quel lontano 1968, ne portarono la bara sulle spalle, salutandolo come un eroe.
    Peter Norman Art-jo10
    “Peter è stato un soldato solitario. Ha scelto consapevolmente di fare da agnello sacrificale nel nome dei diritti umani. Non c’è nessuno più di lui che l’Australia dovrebbe onorare, riconoscere e apprezzare” disse John Carlos.
    “Ha pagato il prezzo della sua scelta – spiegò Tommie Smith – Non è stato semplicemente un gesto per aiutare noi due, è stata una SUA battaglia. È stato un uomo bianco, un uomo bianco australiano tra due uomini di colore, in piedi nel momento della vittoria, tutti nel nome della stessa cosa”.
    Peter Norman Articl10
    Solo nel 2012 il Parlamento Australiano ha approvato una tardiva dichiarazione per scusarsi con Peter Norman e riabilitarlo alla storia con queste parole:
    “Questo Parlamento riconosce lo straordinario risultato atletico di Peter Norman che vinse la medaglia d’argento nei 200 metri a Città del Messico, in un tempo di 20.06, ancora oggi record australiano.
    Riconosce il coraggio di Peter Norman nell’indossare il simbolo del Progetto OIimpico per i Diritti umani sul podio, in solidarietà con Tommie Smith e John Carlos, che fecero il saluto del “potere nero”.

    Si scusa tardivamente con Peter Norman per l’errore commesso non mandandolo alle Olimpiadi del 1972 di Monaco, nonostante si fosse ripetutamente qualificato e riconosce il potentissimo ruolo che Peter Norman giocò nel perseguire l’uguaglianza razziale”.
    Ma, forse, le parole che ricordano meglio di tutti Peter Norman sono quelle semplici eppure definitive con cui lui stesso spiegò le ragioni del suo gesto, in occasione del film documentario “Salute”, girato dal nipote Matt.

    “Non vedevo il perché un uomo nero non potesse bere la stessa acqua da una fontana, prendere lo stesso pullman o andare alla stessa scuola di un uomo bianco.
    Era un’ingiustizia sociale per la qualche nulla potevo fare da dove ero, ma certamente io la detestavo.
    È stato detto che condividere il mio argento con tutto quello che accadde quella notte alla premiazione abbia oscurato la mia performance.
    Invece è il contrario.
    Lo devo confessare: io sono stato piuttosto fiero di farne parte”.
    RICCARDO CAZZANIGA
    ____________________

    Peter Norman Peter-10




    In quel monumento manca una statua! Manca una statua bianca, senza lineamenti, ma con uno stemma sul cuore.
    Bolt è un grande, ma a me mancano molto i Peter Norman, i Carlos, gli Smith e l'atletica di quegli uomini lì.
    Peter Norman Tsjc10
    PER SEMPRE:
    Peter Norman Norman10
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    Messaggio Da vallelvo Lun Ago 31, 2015 2:33 pm

    Ben, per davvero le Olimpiadi del '72 ti sono rimaste nel cuore: eri un "grande" bambino.

    Bello il ricordo del '68, avevo rimosso.
    Spiace che solo post-mortem un atleta così importante venga riabilitato.
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    Messaggio Da Morris l'originale Gio Set 10, 2015 2:30 pm

    Di Peter Norman, davvero figura straordinaria, scrissi un ritratto quando ancora era in vita. Poi l’ho aggiornato all’indomani della sua morte. Non l’ho mai postato sul web, perché è uno dei 18 atleti che fanno parte di Graffiti 2, uno dei tre libri praticamente pronti, che non ho ancora pubblicato (vista l’attuale volontà, chissà quando lo farò). Peter era un grande osservatore ed aveva pure talento da vendere. Uno che s’è fatto da solo, perché in patria, prima dell’ostracismo seguente quel magico e mitico pomeriggio messicano, l’Australia seguiva l’atletica sui generis.
    Caro Ben, mi spiace, ma la “Regina dello sport”, nonostante i dirigenti non al fulmicotone (comunque sempre luminari rispetti ai colleghi del pedale), come parco atleti, circumnaviga il ciclismo in maniera netta e senza nessun tipo di dubbio. Contrariamente agli scarsi pedalatori attuali da corse a tappe e ai non più che medi nelle classiche, l’atletica odierna possiede dei fenomeni storici anche per i definiti “passatisti” come me. Per fare solo un paio di nomi (ma ne potrei portare almeno sette), un Bolt, considerando pure gli eventuali additivi, ha superato nei 200 il mio idolo Tommie Smith e nei 100 lo screziato ma saettante Bob Hayes; mentre “cavalletta” Christian Taylor, possiede un bagaglio tecnico ed una velocità tali, da arrivare a superare il quasi eguagliato Jonathan Edwards. Se domenica sarà al Meeting di Rieti, sarà davvero un gran colpo per i bravi e sempre attivi organizzatori reatini.  
    Scrivere di atletica?

    Per il poco tempo che ho è difficile, ma non si sa mai.
    Intanto, un bravo a te Ben, per aver portato qui il meritevole e grande Peter Norman!
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    Messaggio Da BenoixRoberti Gio Set 10, 2015 6:06 pm

    Grazie Morris Very Happy
    Mi annovero con orgoglio fra i passatisti. C'è chi ha bisogno di fare dei rinnovi di make up e usa il trollismo vacuo (di un alter ego) per liberarsi dei passatisti, e glisso sulla sceneggiata peracottara di crowdfunding (vale il risultato finale comunque).
    Io i passatisti me li inviterei a casa tutte le sere per sentire racconti di sport come ascoltavo quelli storici dalla voce di mia nonna.
    E mi sento uno estremamente moderno. Non per nulla nel mio gruppo di amici ho persone dai 25 ai 60 anni, e spesso questi ultimi sono più "galli" dei più giovani.

    Non capisco perché si possa vivere la letteratura e la narrazione fuori dal tempo, e perché lo stesso non possa valere per lo sport.
    Assolutamente si può e si deve. Leggo i commenti ipercritici ed iperpassatisti di Prof, col quale non sono sempre d'accordo, ma per fortuna ci si ragiona, si fissano alcuni punti fermi positivi del passato per capire cosa andrebbe cambiato oggi (anche se mai forse cambierà).
    Ma per la miseria, è questo il vivere, non il cazzeggio superficiale sui campioni plastificati di oggi.

    E' per questa ragione che chi ama lo sport va a cercarsi storie vere, profonde, anche laceranti, di giganti veri (nello sport e oltre) come Peter Norman.
    Ma non solo, vuoi togliere il gusto di rivivere (attraverso la condivisione) attraverso gli occhi di un giovane Maurizio il racconto del grande Eddy?!
    Un campione va oltre il palmares, è qualcosa che si vive e si fa vivere, o almeno si faceva vivere.

    Morris, fa uscire quei benedetti "Graffiti 2"! Very Happy

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