In Giallo al Parco dei Principi al T.d.F. del 1960 di Riccardo Nencini
Prefazione di Alfredo Martini
L'opera, affascinante e scorrevole, racconta una delle battaglie più ardue che "il Leone del Mugello" dovette sostenere per aggiudicarsi quel Tour, fra i più duri e combattuti. Qui si raccontano tutti i fatti di quell'estate 1960, che appaiono in tutta la loro forza, senza veli: le lotte intestine alla squadra azzurra, l'accesa, ma leale rivalità con Rivière, le gioie e i dolori di Gastone. Nencini ha avuto molti attestati di merito, ma uno in particolare deve avergli procurato grande sodisfazione, quando Goddet, nel Tour del 1956 a Grenoble, scavalcò le transenna e andò a stringergli la mano. Un gesto come quello dal "patron" del Tour voleva significare molto. La storia della Grande Boucle 1960 è la storia di un uomo, di un combattente nato, portato naturalmente ad attaccare anche senza fare tutti calcoli del pro e contro. Quando raggiungeva un successo provava di certo la gioia del vincitore, ma in più lui ne otteneva un'altra: la sodisfazione di aver vinto su sé stesso, prima che sugli altri. Una delle componenti più significative della sua personalità fu la coerenza, perché in tutta la vita ha agito da uomo di grande coraggio e si è sempre curato poco di non commettere errori, come accadde anche in quel Tour. Di carattere un po' scontroso, non si piegò mai a nessun compromesso e seppe conquistare, forse proprio anche per questo, grandissime simpatie. La sua spontaneità, quel lottare continuo senza darsi mai per vinto lo portò in alto, ma alcune trasgressioni inerenti le leggi che dovrebbero regolare la vita di un atleta non gli hanno permesso di vincere di più, soprattutto nelle corse di un giorno. La vita monastica non faceva per lui e molte volte non si presentò alle gare con quella preparazione che gli avrebbe permesso di gareggiare ad armi pari con i più seri/osi.
In Giallo al parco dei Principi riporta alla luce i colori, gli affreschi, le felicità e tristezze di un ciclismo particolare, quello degli anni eroici e, dopo Coppi, un italiano tornava protagonista nella corsa a tappe più prestigiosa, ma più che un italiano ... un uomo.