A proposito dell'infame Capodacqua, inserisco anche qui, la puntata (di oggi) sul libro di L. Fignon
Nous étions jeunes et insouciants (XLVIII)
E' vero, ho sbagliatoNon sono uno che crede a qualsiasi cosa e, secondo me, cerchiamo troppo le foto appuntate nella nostra memoria, dove cerchiamo il colpevole. Il nemico sovente è proprio se stesso e se l'immagine nello specchio non è che un riflesso, è comunque ben utilizzata per ...
Eccoci dunque a scrivere di una delle mie "fautes" (nota: un po' più di errore, in francese; confrontare la famosa frase di Talleyrand "C'est pire qu'un crime; c'est une faute") più grandi. Verificabile e verificata e ormai confessata, senza tentannamenti o esitazioni.
"Positivo alle anfetamine" Al G.P. della Liberazione di Eindhoven, io Laurent Fignon e questa volta era la pura verità.
Ma in questa epoca di sospetto generalizzato, dove il doping da tutte le parti ha ucciso i sogni e il senso delle parole, dove tutte le frontiere dell'inaccettabile sono state superate, come possiamo spiegare, senza giustificarsi? Comunque proverò a spiegare.
Se prendessi, dato il distacco dagli eventi, la cosa alla leggera, potrei anche sostenere che il colpevole indiretto si chiama Alain Gallopin e potrebbe anche testimoniare. Sua moglie stava per partorire ed io ero in piena preparazione per il G.P. delle Nazioni e quindi, insieme ad Alain, sostenevamo delle sessioni di allenamento pittosto forti: molti km, un numero notevolissimo di sprint e parecchie "cotes".
Dieci giorni prima dell'appuntamente di Cannes, un mercoledì, avevamo previsto uno di questi allenamenti di c.d. "interval training" dietro la moto, ma arriva una telefonata e Alain deve andare in clinica per il felice avvenimento. Niente da dire, salvo che mi sono ritrovato solo con la mia bici, con il morale "sotto i tacchi", perché non avevo nessuna voglia di farmi male "tutto solo", mi vedo ancora esitare ad inforcare il mezzo meccanico ... insomma non avevo nessuna voglia di andare.
Da solo, di fronte alla mia stupidità, per darmi coraggio ho, in effetti, preso una dose di anfetamine, non soltanto per spingermi a partire, ma soprattutto per percorrere i km. supplementari, affinché l'allenamento fosse duro e servisse allo scopo. Quelle dosi. si chiamavano già allora "pot" , la sola differenza era che all'epoca questi "pot" erano puri, senza additivi, contrariamente a quelli che circolavano alla fine degli anni novanta, per esempio, nei quali si poteva trovare tutto un miscuglio di sostanze dopanti.
La mia stupidaggine è stata aggravata dal fatto che avevo sentito dire che quelle anfetamine non lasciavano traccia nelle urine dopo 48 ore ed il G.P. della Liberazione si sarebbe disputato quattro giorni dopo: nessun rischio, mi sono detto.
Nessuna inquietudine, tanto più che il giorno prima avevo disputato anche il Giro del Lazio ed al controllo sono andato a mingere senza preoccuparmi di niente, perché avevo proprio dimenticato l'episodio del mercoledì.
Quando ho appreso la notizia, ero costernato, ma cosciente delle mie responsabilità e la conferma ufficiale non tardò ad arrivare.
Che aggiungere di più, se non che mi sentivo un po' miserabile e sporco? Certo, potevo dirmi che un'anfetamina non era gran cosa, dopo tutto, ma la depressione era comunque dentro di me, perché l'onta della debolezza manifestata non trovava origine nell'atto in sé stesso, ma nella sua motivazione: così immotivata, così stupida!
Poco dopo, mi sono ritrovato al G.P. delle Nazioni, motivato come mai, da settimane e settimane non pensavo che a quello e il giovedì avevo addirittura festeggiato senza ragione e Gallopin mi aveve messo in guardia: "Laurent, stai attento, ma che fai?" Ma lui, meglio di tutti, sapeva che mi ero ben preparato ed io pensavo, anche se confusamente e senza osare confessarmelo, che il 1989 era forse l'ultima occasione di vincerlo ed in maniera tale da restare nella memoria. Fino a quell'anno, C. Mottet deteneva il record sul percorso e io non ho fatto le cose a metà, abbassandolo di 1'49", riuscendo a realizzare la media di 45,6 km/h. Chi si ricorda al giorno d'oggi quanto quel circùito fosse sellettivo e difficile?
Posso dire che allora ho espresso una tale violenza fisica che, riflettendoci dopo, posso ben convincermi che certi osservatori omniscienti vi avrebbero potuto ben percepire quasi un "canto del cigno", l'ultima traccia di autentico eroismo di un campione che aveva vissuto al limite del suo orgoglio e delle sue possibilità umane. La mia forza ero io, non c'era più distinzione fra l'atleta e l'uomo, riunite infine in una esplosione ultima.
Ma io allora non lo sapevo ed Alain mi aveva detto quel giorno: "Quando sei in forma, per te è tutto possibile." Ed infatti, finivo l'anno come numero uno al mondo.
Occorre sapere che questo non rallegrava per niente qualcuno ed infatti durante la sei giorni di Paris-Bercy fui uno degli attori di una storia mediatica piuttosto spegevole. Il ministro dello sport, l'ex campione R. Bambuck, aveva proposto una nuova legge antidoping, che autorizzava i "controlli a sorpresa". Durante quella sei giorni, non dubitavamo che ci sarebbe stato quel genere di controllo, ma fummo invece molto traumatizzati dalla presenza delle telecamere di TF1, che erano venute per filmare le gesta del medico federale, G. Dollé, rappresentante del ministero. Immagini prese all'insaputa dei corridori, ma con l'avallo del ministero che voleva farsi grande pubblicità! Per la prima volta nella storia del doping, le telecamere erano state ammesse a filmare lo svolgimento del controllo, profanando l'intimità dell'atleta in questione. Eravamo disgustati dal procedimento ed abbiamo tutti deciso che non sarebbe mancata la nostra reazione!
Fra parentesi, va detto che i miei rapporti con Bambuck, attraverso nostre interviste alla stampa, non erano troppo cordiali, anche se non ero stato io a colpire per primo. Dopo il controllo positivo a Eindhoven, il ministro aveva detto: "Questo povero ragazzo ..." Ero stato offeso e ormai conoscete il mio carattere, per cui ho risposto: "Quando non si conoscono le cose, è meglio tacere." In effetti avrebbe dovuto star zitto, vista la sua funzione di ministro, invece di dare lezioni, degne di essere destinate a dei bambini delle elementari!"
Non ho mai amato le cattiverie ed ancora meno il "voyeurismo", d'altra parte J. Goddet in persona, che era il direttore del palazzo omnisport di Paris-Bercy, era insorto contro la presenza di quelle telecamere attirate "dall'odore di piscio"
Goddet aveva dichiarato ai giornalisti di TF1: " Voi siete in un luogo privato e quindi, a prescindere dal mandato del ministero, non darete alcuna versione filmata (in immagine) di quanto accadrà fra poco nella stanza del medico federale. Per ogni altra emissione, sarete i benvenuti da noi, ma per quanto pretendete oogi, è un NO fermo e definitivo, voi non metterete in ridicolo i corridori! "
Non si poteva toccare impunemente Goddet e il suo intervento fu decisivo.
Eravamo alla prima ora del mattino (circa) [nota mia: a Monterappoli (una frazione di Empoli) avrebbero detto alle 25
] ed eravamo impegnati in una caccia; io ero in testa dall'inizio della serata ed insieme ad altri nove corridori, fra i quali il mio compagno Freuler, Mottet, De Wilde, Doyle etc, siamo stati convocati, appena scesi dalla bici, in infermeria, precisamente nei sottosuoli, dove G. Dollé aveva installato il suo quartier generale. Le telecamere non c'erano, sotto la pressione congiunta dei corridori, di Goddet e del presidente della Federazione ciclistica francese, F. Alaphilippe. Avevamo giusto un'ora per presentarci al controllo ed io mi sono presentato volutamente all'ultimo minuto legale: erano le 1 e 50, mi pare, precise quando ho aperto la porta dell'infermeria. In questo locale, dagli ampi soffitti, con i muri decorati da manifesti rari, il dottor Dollé ha tentato di stabilire un dialogo, ma io, sprofondato nella lettura di un giornale che avevo portato allo scopo, sono rimasto muto. Infatti avevo deciso di prendere tutto il tempo ed anche di più, volevo proprio prolungare il mio soggiorno lì, lasciandogli credere che non riuscivo ad urinare.
Ben dopo le tre, Dollé a cominciato ad assopirsi ed allora, appena ho visto che sfiorava il naso sul tavolo, ho urlato: "Non si dorme qui, altrimenti potrei truffare!"
Era veramente molto tardi (o molto presto
) quando mi sono deciso a riempire il flacone, infatti, quando sono rientrato a casa, era l'alba.
Non avevo niente contro i controlli a sorpresa, ma sopportare quel miserabile colpo mediatico era al di sopra delle mie forze, perché in quel caso non si trattava più di prevenzione, ma di repressione-spettacolo.
La lotta al doping non giustifica tutto,
ma non avevamo ancora visto niente, né dal punto di vista delle pratiche dopanti, né da quello dei modi di cercarlo.