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    L'Angelo della Montagna (di Morris)

    Morris l'originale
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    Messaggio Da Morris l'originale Dom Ago 11, 2013 12:41 pm

    CHARLY GAUL

    L'Angelo della Montagna (di Morris) Rcsl1y10


    Un amico. Un uomo a cui devo molto, perché per primo m’ha fatto capire quanto il ciclismo raccontato potesse essere una personale  soddisfazione in più, su quegli sfondi che mi vedevano arrivare spesso primo, attraverso le gambe dei miei atleti. Uno che m’ha narrato tanto con parole, sguardi, espressioni, aiutandomi a scolpire una filosofia sullo sport che sento sempre più mia, anche se amo la sua disciplina sempre meno. Fu lo stesso anche per lui, tanto è vero che il risveglio passionale propulsivo, ebbe genesi in Gaul con la nascita di chi, più di ogni altro, ne riprese i fasti ed il mito, Marco Pantani. Charly ha voluto bene a Marco come fosse suo figlio, ed i due diedero a me, a fine ’97, sensazioni, emozioni e partecipazioni tali, che mi resteranno indelebili fino all’ultimo dei giorni di questa dimensione.

    L'Angelo della Montagna (di Morris) 30lgoyw

    Tutto ciò che seguirà, sono stralci del libro “Echi di ciclismo-Montagna quando il ciclismo entra nel mito”, che scrissi nel 1997 (Gegraf editore) e che è esaurito da lustri. Il testo è l’unico in lingua italiana, in cui viene narrato l’intero percorso agonistico di Charly Gaul. Riporterò qui, dopo l’introduzione, solo le parti più sconosciute della carriera dell’Angelo della Montagna, quelle iniziali. Ricordo ancora, che il testo è datato 1997 e quelle che possono sembrare inesattezze di confronto, vanno valutate a quella data…
    L'Angelo della Montagna (di Morris) Gaulpi10


    CHARLY GAUL
    FRA CULTURA, COSTUME E GLORIA SPORTIVA
    L'immane conflitto della seconda Guerra Mondiale aveva messo in ginocchio gran parte dell'Europa, l'Italia in particolare, arrivata a quel gravissimo evento piena di contraddizioni sociali ed economiche, pagava ancor più di altri Paesi, le crepe, le tragedie e le distruzioni di quella crudele testimonianza dell'ignoranza e stupidità umana. L'Italia, in fondo, era uno stato ancora giovane che non aveva avuto il tempo di formarsi compiutamente come nazione. Gli stessi processi sociali, per alcuni aspetti addirittura favoriti dal fascismo, erano poi caduti nelle controversie di quella dittatura; la questione meridionale rimaneva pressante ed il processo di industrializzazione era ancora flebile e legato in maniera molto eterogenea al territorio. La rinascita del Paese, oltretutto frenata dall'odio lasciato dal conflitto, si scontrava spesso con le ragioni di una politica votata più agli slogan e a visioni manichee, piuttosto che ad una programmazione efficace e territorialmente piena. Anche per questo il processo di emigrazione continuò. Non vi erano più le spinte politiche dettate dalla presenza di una dittatura, ma la ricerca di un lavoro e di una sicurezza. Gli italiani emigravano da tutte le regioni, anche se era ancora il meridione a presentare i numeri più cospicui. In questo contesto, tanto torte fra il 1947 e 1960 il Lussemburgo era una terra simbolo. Si emigrava lì, per andare a guadagnarsi il pane nelle miniere di ferro o nelle industrie siderurgiche, in particolare nella produzione della ghisa su scala industriale. Sono decine e decine le persone, in specie provenienti dalle zone montane dell'Appennino tosco-romagnolo che, in quegli anni si sono trasferiti nel Granducato lussemburghese. Molti sono addirittura rimasti là. Il Lussemburgo insomma, era un punto di riferimento per il lavoro, ed uno sbocco anche per chi ancora non credeva al miracolo economico italiano. E nel nostro Paese che lentamente si riprendeva dalle crepe della guerra, il ciclismo era uno dei pochi vanti che ancor permanevano. Da Bartali al "campionissimo" Coppi, l'Italietta che nemmeno il "piano Marshall" riusciva ad elevare compiutamente dalle ginocchia e dall'ignavia, sempre divisa all'interno dalle lunghe mani della "guerra fredda" e dall'impervia ed imbecille paura del comunismo orientale, trovava la forza e l'unione nazionale in quello sport così fortemente radicato e così pronto a testimoniare valori. Il ciclismo era di più di una disciplina sportiva, era una parte degli italiani di allora, l'unico aspetto vincente di un Paese per tutto il resto perdente e supino. La cultura ed il costume di quei tempi dovevano ovviamente colloquiare e stringere rapporti col ciclismo ed i suoi campioni. In aggiunta, la più grande generazione di giornalisti e scrittori che l'Italia abbia mai avuto, sapeva leggere della sport della bicicletta quelle peculiarità e quelle tinte epiche e romanzesche tornite di valori e di significati che l'han fatto protagonista principale di molti processi d'acculturazione e negli indotti culturali di quei lustri. Potremmo dire che il ciclismo e stato il primo "boom" dell'Italia del dopoguerra, prima ancora del "boom" economico. In quel contesto così attento ai fatti del pedale, l'arrivo sulle scene principali di un giovane lussemburghese dal nome così armonico come Charly Gaul, non poteva passare in secondo piano. In lui si fondeva uno degli apogei di chi cercava lavoro come il Lussemburgo, con lo sport che andava per la maggiore. Il suo stesso modo di correre e di concepire la sua carriera liberavano altri processi simpatetici. Charly Gaul fu così facilmente adottato dai media di allora da apparire spesso come un italiano aggiunto. In fondo era un campione vivo e dotato di alfea luce, quella che il pubblico ha sempre voluto da un corridore: la capacità di attaccare.

    L'Angelo della Montagna (di Morris) 2duh4i10

    Gaul stuzzicava le penne ed i taccuini degli osservatori perché faceva tutto con naturalezza, sia nelle imprese, sia nelle sconfitte, talune nate da sbadataggini e sottostimazioni che non si credevano possibili. Aveva modi gentili, anche se non faceva il benché minimo passo per costruirsi personaggio davanti ai media. Piaceva alle donne, ed anche questo alimentava non poco la sua fama, addirittura erano molte le signorine o signore che lo definivano l'erede di Ugo Koblet. La stessa immagine di Gaul, avvolto in una coperta dopo l'epica impresa nella bufera del Bondone nel Giro 1956, ci consegna un cucciolo su cui gli occhioni azzurri sembrano fari immortali, scolpiti nelle menti e nelle attenzioni di un pubblico attento e voglioso di crearsi nuovi miti, visto l'anagrafico tramonto del "campionissimo" Fausto Coppi. Quell'immagine ha lungamente fatto capolino nei giornali dell'epoca ed è tutt'oggi è estremamente significativa. Gaul era divenuto uno di noi tutti, ancor prima di prendere per mano la storia agonistica che l'ha definito "un grande". Ma il sangue blu della celebrità e dell'immortalità che lega all'unisono l'impresa sportiva alla cultura ed al mito l'ha data il suo essere specialista del pezzo pregiato del ciclismo, la montagna. Il suo stile sui pedali pareva accarezzare l'asprezza e la fatica delle pendenze, trasformando le salite in un quadro dipinto sulle ali delle più profonde bellezze che sono donate ad un uomo: l'orizzonte di un'alba e di un tramonto, o di una montagna in cui roccia e neve si mescolano con solare infatuazione. Come Coppi, Gaul, ha sicuramente spinto le fantasie, uscendo dalla pura enunciazione agonistica per prendersi gli istmi del personaggio, anche se delle leggi che creano la concezione che abbiamo del "personaggio", non aveva nulla. Non si cercava, non si vendeva, era così e basta. Erano gli altri che lo traducevano. Se poi avesse fatto qualcosa di volontario per sposare i media, chissà dove sarebbe arrivato il suo mito. Ma Charly Gaul amava la concretezza del suo spingere i pedali e il gusto inconscio dell'impresa verso quelle montagne cui non si vedevano le cime, offuscate dalla nebbia o dalle stesse nuvole, imprimendo sull'aria l'armonia dettata dal suo nome. Non lo fermava niente, nemmeno quando l'agreste ed il silvestre dei monti si annodavano per ricevere naturali intemperie, ed il paesaggio spariva per mordere recondite ed umane paure, anzi, era proprio quello il suo teismo. Portarlo sulla terra per applaudirlo è stata una delle più grosse imprese mai fatte da quelle migliaia e migliaia di persone che inneggiavano grazie a lui, la straordinaria forza che può stare all'interno di un corpo umano. Semplicemente perché sulle montagne, fra pioggia, neve e freddo, Gaul s'involava come una rondine a primavera, dimostrando a tutti che si può. Forse erano i suoi occhi azzurri a vedere così lontano, ed a sciogliere nebbia e nuvole. Spesso al suo passaggio tutto s'inteneriva, perché quell'impervia natura per gli umani, lo conosceva come profeta, senza che nessuno potesse notarlo. Ripeto, il suo era un originale teismo, nel senso più antropologico. Un vero "Angelo della Montagna".



    segue…..

    Note: il testo, che è ovviamente lungo, è quasi illeggibile. Da ieri cerco di rimediare, ma non ne sono capace, Pardon!
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    Messaggio Da Morris l'originale Dom Ago 11, 2013 12:51 pm

    ....sperando che il format si sistemi da solo, continuo.....


    LA CARRIERA
    DELL'ANGELO DELLA MONTAGNA CHARLY GAUL

    ... Nella bottega di un salumiere, nacque la personale
    passione per la bicicletta d'un ragazzina dagli occhietti
    vispi d'un azzurro intenso e dal nome armonico, Charly Gaul.
    Proprio su tante simili circostanze si levò, tredici anni
    prima, il volo d'un ossuto giovincello piemontese, dal naso
    prorompente chiamato Fausto Coppi e, come un predestinato,
    anche il ragazzina lussemburghese s'alzò, cercando, senza
    sapere, un posto nell'impronta dei leggendari ...


    La storia agonistica di Charly Gaul partì nel 1949. A scoprire il suo talento sulla bicicletta fu un "vecchio" evidente della storia del ciclismo lussemburghese, Pierre Clemens. Costui, intuì in quel piccolo ed esile ragazzine dal sorriso rassicurante e simpatico, delle doti non comuni. Soprattutto piaceva a Clemens, la capacità del giovane Gaul di danzare sui pedali ed una agilità non comune. Lo iscrisse ben presto al Velo Club di Huncherange, per avviarlo nella categoria "debuttanti". La sua prima corsa è datata 27 marzo 1949 dove colse senza infamia e senza lode l'ottavo posto. Il talento c'era e prima o poi doveva fuoriuscire. Nemmeno tre mesi dopo si correva il Grand Prix de Schuttrange, una corsa dura, fra quelle Ardenne che tanta parte han sempre avuto nella storia del ciclismo, non già per le altimetrie, ma per quelle secche pendenze pronte a spaccare i polpacci. Quelle colline furono il pane per l'affamato Charly Gaul che vinse quella corsa trionfando, con una coreografia di classe purissima. Aveva rotto il ghiaccio, ma, soprattutto, aveva fatto capire agli avversari che il suo sguardo angelico ed il suo sorriso erano solo l'involucro d'una determinazione feroce. Ed il ragazzine passò da un miglioramento all'altro, palpabile anche attraverso i risultati, ad essere considerato il miglior debuttante lussemburghese della stagione. Nel 1950 Gaul passò fra gli junior nelle file del V.C. Bettembourg senza lesinare altri assaggi di ciclismo, come, ad esempio il ciclocross. In questa specialità senza esperienza alcuna, si schierò ai massimi Campionati Nazionali lussemburghesi, arrivando addirittura quarto con lo stesso tempo del vincitore. A diciassette anni da poco compiuti, un simile comportamento non passò certo inosservato. Il piccolo ragazzine era già divenuto un personaggio anche per la gente schiva del Granducato. Stupivano le sue doti di recupero e c'era già chi lo pronosticava adattissimo alle corse a tappe. Ed infatti a giugno, nella "mini" corsa a tappe di due giorni, il GP General Patton, vinse da dominatore. Anche la categoria "junior" capì che il Lussemburgo aveva forse trovato una nuova stella. Sensazione che fu chiara al suo passaggio fra i dilettanti avvenuto nel 1951 quando frustò coi suoi scatti, tutti i favoriti nella più importante corsa a tappe del Granducato: la "Fleche du Sud". Al "Tour des Douze Cantons", altra gara a frazioni, fu ancor più grande e dominò vincendo in lungo ed in largo, facendo sua anche la gara a cronometro. Venne immediatamente selezionato nella Nazionale lussemburghese per il difficile Giro d'Austria, una prova densa di grandi difficoltà altimetriche e dalle lunghe tappe. Le perplessità destate dal fatto che Charly poteva uscire distrutto da una simile prova, a soli due anni dal debutto nel ciclismo, furono immediatamente sciolte dalla condotta spavalda del giovane Gaul. Anzi, la verde Austria, fu testimone del suo primo acuto internazionale. Scalò il "Grossglockner", un passo di 2500 metri alla cima, ma lungo 25 chilometri con tratti al 13% ed una media dell'8%, con esemplare solitudine, lasciando gli altri ad oltre cinque minuti. In quell'occasione autorevoli osservatori ebbero modo di vedere per la prima volta quello stile così originale fatto di lunghissime progressioni sui pedali, azionando rapportini ed imprimendo un numero di pedalate al minuto tutt'oggi ineguagliato. Il suo passo, lungo l'ascesa del Glossglockner fu così veloce da abbassare di cinque minuti il record di scalata, professionisti compresi. Alcuni giornali non ebbero timori nello scrivere "... c'è un nuovo grande talento in Lussemburgo". Il 1952 coincise con la ferma per il servizio militare e l'attività ciclistica di Charly Gaul subì una flessione. Nel frattempo il ventenne Gaul si era trasferito all'U.C. Dippach lo stesso club di Elsy Jacobs, la prima donna campionessa del mondo e primatista dell'ora, un'ovvia gloria nel Granducato. Il "militare" non gli impedì comunque di ottenere una serie di risultati di prestigio e dei piazzamenti di valore internazionale. Ai mondiali fu ottavo, ex aequo con un certo Jacques Anquetil, un francesino di cui già si diceva un gran bene. Anche nell'inverno fra il 1952 e il 53 le sue fugaci apparizioni nel ciclocross ebbero il pregio di manifestare ulteriormente le sue grandi doti e una ciclocampestre con lui, fu sempre garanzia di spettacolo. Sempre nelle file del "Dippach" iniziò la nuova stagione su strada vincendo, ancora una volta, la "Fleche du Sud". A quel punto era ormai maturo per il passaggio al professionismo, anche perché aveva dimostrato di emergere nelle gare lunghe e faticose, quindi adatto al grande salto. Chi più di ogni altro capì che su quel ragazzo si poteva scommettere fu l'equipe professionistica francese Terrot, che lo tesserò. Nel debutto al professionismo, avvenuto nel maggio 1953 a Chanteloup nel "Criterium de la Polymultiplièe", giunse ottavo, come nell'esordio assoluto quattro anni prima. Poi partecipò al "Tour des Six Provinces" dove giunse settimo assoluto e primo nella classifica del "gran premio della montagna".
    L'Angelo della Montagna (di Morris) 25zmjv10

    Nel "Tour del Lussemburgo" Charly Gaul fu ancora più in evidenza perché al prestigioso terzo posto finale, aggiunse anche un secondo nella tappa più dura, quella delle Ardenne, giungendo al traguardo assieme all'amico Lull Gillen, un corridore già affermato soprattutto su pista, sia come seigiornista che come inseguitore. Probabilmente quella lunga fuga (100 km) a due , nascondeva un accordo superiore alle obbligazioni agonistiche, in quanto Gaul non fece uno dei più degni avversari del "campionissimo". Al primo Mondiale vero Gaul fu dunque, subito protagonista, aldilà del sesto posto finale colto davanti a gente come Kubler, Bobet e Geminiani. Il 1954 fu un anno felice per il ciclismo lussemburghese, Marcel Ernzer, un ottimo corridore ed il più esperto dei corridori di punta del Granducato fu autore della sua migliore stagione vincendo la Liegi Bastogne Liegi davanti all'asso belga Raymond Impanis; i Campionati lussemburghesi e il Circuito delle Sei Province sempre davanti a Gaul. Jean Pierre "Jempy" Schmitz, un debuttante tra i professionisti, vinse il Giro del Lussemburgo e fu autore di una serie di prestazioni che lo resero popolarissimo al pubblico, fino a farlo divenire una specie di beniamino. Fu quello l'anno in cui nel Granducato si elevò la rivalità fra Gaul e Schmitz, certamente più nel tifo della gente lussemburghese, piuttosto che fra i due corridori. Charly Gaul ancora in maglia Terrot, non parve dare molto peso all'evidenza internazionale dei due connazionali, o perlomeno non lo dava a vedere più di tanto. Già cementatesi in quelle esteriorità che parevano renderlo assente ai fatti circostanti, badava a vivere la sua esperienza ciclistica attraverso un sotterraneo mondo di sensazioni e di personali vedute che esplodevano solo quando la strada si inerpicava, in particolare quando il clima circostante non esprimeva gran caldo e sole splendente. Ed infatti, all'ormai caro Giro delle Sei Province, anche lui, come i connazionali, ebbe modo di esplodere quelle virtù che gli si riconosceva. Vinse il tappone di St. Etienne con il solito solitario volo sulle montagne, anche il Col des Sauvages e la Croix de Chaubouret conobbero le sue "carezze". E, come altre volte gli capiterà in camera, un solo acuto gli varrà il primo posto nella classifica finale. Nel Giro del Lussemburgo vinto da Schmitz, Gaul vinse, proprio sul connazionale la tappa di Esch sur Alzette, la più dura, al termine di una fuga di coppia di 150 chilometri con 18 minuti di vantaggio sul terzo arrivato. Fu quella frazione, più di ogni altra corsa ad alimentare nel tifo il dualismo con Schmitz, un corridore dal fisico un poco più robusto di quello di Gaul e riconoscibilissimo per quelle orecchie "a sventola" che in seguito contraddistingueranno due campioni, decisamente superiori a Jempi, Freddy Maertens e Marco Pantani. Sarà poi la storia a dividere l'ottimo corridore, Jean Pierre detto "Jempy", dal grande campione, Charly. Nel Giro del Delfinato, ancora una giornata di gran classe, portò Gaul a vincere, con l'ormai solita perfetta solitudine, la tappa di Briancon, una località che gli sarebbe stata ancor più cara l'anno seguente. Al¬l'indomani di quell'ulteriore dimostrazione di forza, Gaul apparve sempre più come uno dei più forti scalatori al mondo. Partecipò al Tour de France nonostante un non perfetto rapporto con la sua squadra la "Terrot". Le sue condizioni di salute non erano eccellenti, ciononostante si piazzò secondo dietro il belga Van Est nella tappa da Ruen a Caen, ma nella discesa dell'Aubisque, durante la prima tappa pireneica, cadde ed il suo precario stato fisico lo costrinse al ritiro. Ancora una volta il Tour lo aveva rifiutato. Sul letto d'albergo, fra un colpo di tosse e l'altro, bisbigliò la stessa frase dell'anno precedente: «Tornerò, statene certi».
    L'Angelo della Montagna (di Morris) 2zp14x10

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    Messaggio Da Morris l'originale Dom Ago 11, 2013 2:04 pm

    Note: i testi di questo thread sono stati estrapolati dal volume su carta, attraverso OCR, sono perciò possibili dei refusi e degli errori. Non sono stati riletti. Le foto di Gaul, non appartengono al volume e non si riferiscono al testo.


    Stava crescendo in lui la “sindrome” del Tour, che scioglierà come neve al sole l'anno dopo. Guarito dai mali della "Grande Boucle", partecipò ai Campionati Mondiali di Solingen. Dopo anni di percorsi ridicoli, finalmente, la prova iridata con Lugano '53 e, soprattutto, Solingen 1954, si dimostrava degna della maglia che doveva assegnare. Solingen, città tedesca famosa per le sue acciaierie propose un percorso durissimo, reso ancor più aspro da una giornata inclemente. Charly Gaul fu un grande protagonista, forse il migliore in gara, anche se alla fine fu Luison Bobet a vestire la maglia iridata. Già battagliero fin dalle prime battute assieme ai vari Varnajio, Nolten, Coletto, Gismondi, Van Breenen e Monti, Gaul riuscì con grande facilità ad inserirsi in un drappello composto oltre che da lui, da Bobet, Coppi, Anquetil e Schaer che rinvenne sui due fuggitivi che erano, in quel momento, Gismondi e Varnajio. A guardarli oggi, quei sette in fuga, potrebbero farci venire i brividi visti i titoli che conquistarono in carriera. A quattro giri dalla fine il campionissimo Fausto Coppi, memore di essere il campione uscente, attaccò a fondo e solo Gaul replicò. Ma il "vecchio" sire aveva speso tutto in quell'attacco e per giunta, vistosi ancora una volta il baldanzoso giovincello accanto pedalare con facilità, non collaborò più al tentativo e la fuga si sciolse. Dietro, intanto, avevano ceduto Anquetil e Varnajio. Sulle ceneri della fuga di Coppi e Gaul, partì l'astuto Bobet, approfittando pure di una caduta di Gaul causata dal campionissimo. «Un gran signore - dice oggi Charly Gaul a proposito di Coppi - in quell'occasione venne appositamente da me a scusarsi e ad ammettere di avermi danneggiato!». A Bobet s'aggiunse il solo Schaer. Lì, Gaul, perse la corsa. Il suo inseguimento, purtroppo, non produsse altro che un terzo posto alle spalle di Bobet che anticipò di 12" Schaer. Ma l'aver staccato il resto del drappello che aveva fatto la corsa, fece capire che Gaul, quel giorno poteva vincere. Poi nella gioia per quella prestazione, lui e Bobet, non si resero conto che l'organizzazione aveva scambiato le due medaglie. Il terzo posto di Solingen, comunque, dimostrò che il piccolo lussemburghese era sì un grande scalatore ma anche un uomo di fondo, capace, all’occorrenza, anche sul passo.
    L'Angelo della Montagna (di Morris) 2n9dra10

    Il grande Mondiale corso ed una stagione di buona evidenza, rappresentarono per Charly Gaul un ottimo biglietto per un ancor migliore 1955. Ed infatti l'anno seguente in maglia Magnat-Debon, lo consacrò miglior scalatore mondiale e gli donò l'immortale appellativo di "Angelo della Montagna". La sua striscia vincente abbellita di solari imprese partì al Giro del Sud Est. Conquistò quella corsa nella tappa più dura che si concludeva ad Avignone, dopo aver scalato solitario e con incredibile leggerezza il terribile Mont Ventoux. Gli altri arrivarono a distacchi abissali. Tappa e primato ancora una volta in un colpo solo. Al Tour de France, stavolta arrivatovi con una preparazione adeguata, vinse la nona tappa con una impresa alla Coppi. Quella frazione portò i corridori da Thonon les Bain a Briancon attraverso l'Avaris, ed i mitici Telegraphe e Galibier. Gaul s'involò solitario sull'Avaris, ed incrementando sempre il proprio vantaggio, scalò gli altri due colli fino ad arrivare a Briancon con quasi 14' su Ferdy Kubler, secondo. Avrebbe vinto anche il giorno dopo a Monaco, se non fosse caduto lungo la discesa del Col du Vasson. Ebbe una delle tante crisi da caldo o da insolazione che han costellato la sua carriera, proprio in quel Avignone e su quel Mont Vantoux che l'avevano visto sublime camoscio nel Giro del Sud Est. Ma l'Angelo della Montagna come ormai lo chiamavano tutti, tornò a danzare sui pedali, ed a giunger solo stavolta sui Pirenei, nella diciottesima tappa che si concludeva a St. Gaudens. Giunse poi terzo il giorno dopo a Pau, battuto allo sprint da Brankart e Bobet. In quel Tour, Gaul vinse la classifica del "Gran Premio della Montagna" in una maniera incredibile: l'80% dei colli scalati lo videro passare per primo. Nella classifica generale finale finì terzo dietro a Bobet e Brankart, il tutto per la giornataccia di Avignone. Per tutti però, era diventato l'Angelo della Montagna. Alla fine dell'anno 1955 Charly Gaul personificò, come diremmo oggi, l'uomo-mercato. Ed intatti fu una grandissima squadra a strappargli il contratto: l'italiana "Faema". Nella storia del ciclismo questo marchio ha sempre rappresentato grande qualità sino a divenire leggendario. I corridori passati ai colori biancorossi han vinto tutto ciò che vi era da vincere più volte. Per Charly Gaul quella nuova formazione rappresentò il via¬tico migliore per la stagione 1956 e le successive. Con lui, passarono a vestire i colori biancorossi anche il fido amico Ernzer e l'altro connazionale Willy Kemp. Gaul, in maglia "Faema", cominciò così a farsi conoscere in Italia, per divenire di lì a pochi mesi, un personaggio ammirato ed amatissimo nel nostro Paese. Il 1956 doveva essere l'anno della grande affermazione di Charly Gaul, perlomeno quello era il pensiero di Learco Guerra, il grande timoniere della "Faema" che su quel giovane dai tratti gentili e dagli occhi azzurri, credeva ciecamente. Guerra la "locomotiva umana" com'era chiamato quando era un asso del pedale, aveva visto il piccolo lussemburghese più volte e, si dice, fosse stato lui a cercarlo con tutti i mezzi possibili. In Italia, l'arrivo di Gaul destò un immediato interesse e per questo tutti gli osservatori aspettarono con viva attenzione il suo esordio al Giro.

    Maurizio Ricci (Morris)
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    Messaggio Da Morris l'originale Dom Dic 08, 2013 1:59 pm

    Caro Charly, oggi sarebbero 81, ma per me avrai sempre l’età della Briancon-Aix-les-Bains 1958. Un infinito.

    .....dal mio libro “Segnali di fumo” (2004).

    L'Angelo della Montagna (di Morris) Gaul_110

    “Quando ero un bimbo quel nome armonico entrò in me. L’ho inseguito per quasi otto lustri fino a conoscerlo e diventare suo amico. Di lui ho già scritto un libro, ma anche un ricordo particolare, postumo a quella stesura. Mi sembrava doveroso proporlo in questo mio viaggio……”.


    L’Angelo della Montagna

    L’orizzonte era fatto di monti
    che guardavano in fondo la valle.
    S’ergevano austeri e inviolati
    al cuore d’un credo provato
    dal non lontano ricordo  
    d’una immane prova di vita.
    L’aver visto la morte
    spingeva il desiderio di vincere
    di superare fatiche
    di ricostruire convivio
    fino a muovere i sogni.
    La gente si votava all’incontro
    con genesi sopite e distrutte
    dal corso passato,
    si guardava alle montagne
    depositarie di sguardi senza tempo.
    Si suonava la musica
    d’una rinascita infatuata della via
    che dagli occhi
    porta all’animo tenero.
    Si cercavano eroi
    da scolpire sullo sfondo dei colli
    come fossero i paesi sognati
    o figure totem d’una fede.
    Lui arrivò silenzioso
    danzando sui pedali
    d’una bicicletta
    divenuta prolungamento del corpo.
    Lui sentiva il profumo
    d’una natura che l’aspettava
    e si scioglieva immanente
    come fosse figlio di quei luoghi.
    Niente lo spaventava
    nemmeno quando le piccozze
    sembravan più utili
    del suo cavallo meccanico.
    Fra pioggia e freddo
    fra nuvole e nebbia
    i monti permeavano il suo teismo
    il suo grido alla vita
    e a quella gioventù
    che non voleva offuscare.
    Sempre silenzioso saliva
    orientando gli azzurri occhi
    sugli orizzonti sospesi lassù.
    Per tanti correva sui pedali
    in realtà recitava un idioma
    dipingendo leggero
    una natura che non disturbava
    perché era parte di essa.
    Il suo sorriso era nelle membra
    e solo quando i richiami
    dell’umana riconoscenza
    si trasformavano in applausi
    muoveva quel viso
    per ringraziare le attenzioni
    e accarezzare se stesso.
    Lo chiamavano Charly Gaul
    ma era una parte evidente
    del paesaggio montano
    che s’emozionava
    interpretando il suo io profondo.
    Un vero Angelo della Montagna.

    Morris - 23/09/1999 –

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