...uno dei più grandi di sempre sul pavé e grandissimo tecnico
Franco Ballerini
Nato a Firenze l'11 dicembre 1964. Deceduto a Pistoia il 7 febbraio 2010. Passista. Alto 1,83 m. per 77 kg. Professionista dal 1986 al 2001 con 22 vittorie.
Foto Graham Watson.
Tutte le vittorie di Franco Ballerini.
I suoi migliori piazzamenti.
In carriera ha corso 4 Giri d’Italia (1987: 124° - 1990: 109º - 1991: ritirato 20a tappa - 1994: ritirato 7a tappa); 3 Tour de France (1992: 115º - 1993: 61º - 1998: ritirato 16a tappa); 2 Vuelta di Spagna (1992: ritirato 12a tappa - 1997: 97º); 4 Campionati del mondo (Renaix 1988: 64º - Chambéry 1989: ritirato - Utsunomiya 1990: 47º - Stoccarda 1991: 12°).
Il suo ruolino nelle Classiche Monumento.
Il suo Ruolino da Commissario Tecnico della Nazionale Italiana Professionisti.
Sotto la sua guida, in otto anni gli azzurri hanno vinto 4 Titoli Mondiali, 1 Oro Olimpico, 2 Argenti Mondiali, 1 argento Olimpico (anche se poi revocato), 1 Bronzo Mondiale
Il dettaglio:
2001 - Mondiale di Lisbona: Paolo Bettini - Argento
2002 - Mondiale di Zolder: Mario Cipollini - Campione del Mondo
2004 – Olimpiadi di Atene: Paolo Bettini – Medaglia d’Oro
2004 - Mondiale di Verona: Luca Paolini - Bronzo
2006 - Mondiale di Salisburgo: Paolo Bettini – Campione del Mondo
2007 - Mondiale di Stoccarda: Paolo Bettini – Campione del Mondo
2008 – Olimpiadi di Pechino: Davide Rebellin - Argento (revocato)
2008 - Mondiale di Varese: Alessandro Ballan – Campione del Mondo; Damiano Cunego – Argento
Maurizio Ricci - Morris
Franco Ballerini
Nato a Firenze l'11 dicembre 1964. Deceduto a Pistoia il 7 febbraio 2010. Passista. Alto 1,83 m. per 77 kg. Professionista dal 1986 al 2001 con 22 vittorie.
Si dice che una morte tragica, tende sempre a rendere migliori i giudizi su una persona e, magari, quando c’è sostanza, innalzarla a mito. Resta il fatto, che Franco Ballerini, per quella sua fine terrena così prematura e per quel che seppe divenire dopo la conclusione della carriera da atleta, può aver solo un poco innalzato toni e considerazioni, perché già il resto era da considerarsi grandioso e meritevole, fino alla più profonda ammirazione.
Una persona intelligente Franco, capace di osservare come pochi e pronto a fare scelte che, in un’epoca dove imperano le ipocrisie ed il politicamente corretto, sono sempre più rare. Un uomo disponibile, sorridente, gentile, popolare ed “alla buona”: capace di fermarsi con la gente e discutere con chiunque come se fosse un vecchio amico. Chi scrive, non dimentica quanto dice sempre il proprio fratello, a tal proposito su Ballerini, e del ricordo perenne che avrà vita natural durante per quel cittì della Nazionale su strada, che gli parlò a lungo del valore del ciclocross come disciplina certo a se stante, ma perfetta nella preparazione invernale di uno stradista affermato, nonché nella formazione ciclistica di un giovane. Una tesi, che quel ragazzone toscano, così giovanile nel portamento e così anziano nella saggezza, gli spiegò intingendola di particolari, eppure i due non s’erano mai visti, ed erano abissalmente distanti per ruolo. E chi scrive stesso, ebbe modo di verificare la pertinenza e la disponibilità di Franco, in un’intervista per un Panathlon. Insomma, Ballerini, aveva tutto per diventare il fulcro tecnico storico del ciclismo italiano. Un nuovo e moderno Martini, per intenderci. In ogni caso, non è che il suo curriculum nel ruolo, sia stato da speranza o da potenziale, perché nonostante la morte ne abbia impedito il prosieguo, ciò che fece, è stato esso stesso sufficiente per farne tecnico monumentale. Era tra l’altro un motivatore incredibile e, agli occhi dei corridori, un fratello maggiore. Ma se questo è il Ballerini del dopo carriera ciclistica, anche da atleta non è stato uno che passava inosservato. Soprattutto, ha saputo correggere in corso d’opera quel che non gli era possibile, ovvero le grandi corse a tappe, anche per quell’allergia tipica della primavera italiana, che gli impediva di essere decente al Giro d’Italia. S’è trasformato così in un evidente del nord, con un particolare teismo, verso la “Classica delle pietre, la Parigi Roubaix. Era il sogno di un bambino che s’era fatto grande e per quella corsa si spendeva come l’attore che trasformava il sogno in realtà. La vinse due volte, una volta giunse secondo, una terzo, una quinto e una sesto. A lui si deve, da italiani, il merito di aver tenuto in piedi per un decennio l’interesse verso una classica che i corridori nostrani, dopo Moser, stavano perdendo nelle attenzioni. Non è una esagerazione, ma nelle nostre case, si aspettava la Roubaix, perché c’era la garanzia di vedere con Ballerini uno spettacolo, nello spettacolo che la manifestazione propone da sempre. A livelli assoluti, il “Ballero” come si era soliti chiamarlo, non sarà stato per numeri un De Vlaeminck, un Boonen, un Moser o un Merckx, ma le sue condotte sono stata ugualmente epocali. Ed è apparsa meritatissima la “cittadinanza onoraria” che la città di Roubaix, ha voluto conferirgli.
Le sue tappe.
Iniziò a praticare ciclismo a poco più di otto anni, in gran parte spinto dal padre, che era stato un discreto dilettante. Teatro delle sue prima pedalate, la prestigiosa Scuola di ciclismo delle Cascine, che pullulava attorno al Velodromo, oggi intitolato all’Olimpionico Enzo Sacchi. Nel 1974, iniziò a correre fra i giovanissimi con il GS Romito di Firenze, sodalizio col quale esordì fra gli esordienti nel 1977. Al termine del biennio nella categoria, nel suo palmares finì una sola vittoria (non un male, alla faccia dei “conta bollini” di cui il ciclismo è esageratamente infarcito). Fra gli allievi, il suo ruolino, sincronico alla crescita fisica, migliorò: corse il primo anno col medesimo team di sempre e il secondo col G.S. Fratelli Taddei, ed alla fine della sua esperienza nella categoria, furono sette i centri conquistati. Fra gli juniores, ancora crescita nel rendimento e nello spessore delle sue partecipazioni, anche se i successi furono sempre sette. Corse il primo anno col GS Italia, ed il secondo col GS Magniflex, guadagnando l’azzurro ai Mondiali di Marsciano nel 1982, dove si classificò 5°, secondo degli italiani dietro Gianni Bugno (4°). Sempre con la Magniflex, passò dilettante nel 1983, società con la quale consumò tutta la sua permanenza fra i “puri”, lunga tre anni, dove accumulò 8 vittorie, fra le quali il Campionato Toscano. Sempre con la Magniflex, nel 1986, passò professionista. La prima vittoria nella massima categoria arrivò nel 1987, nella Tre Valli Varesine, in volata su un drappello, che gli valse l’attenzione del CT Martini e, soprattutto, un contratto per il 1988, proprio nella Del Tongo di Giuseppe Saronni. In difficoltà in primavera per l’allergia tipica della stagione, ebbe modo di ruggire d’estate, vincendo una prova e la classifica finale del Trittico Premondiale-GP Sanson, che gli valse stavolta la convocazione di Alfredo Martini per i Mondiali di Renaix, dove chiuse 64°, dimostrandosi subito bravissimo uomo squadra, in un giorno di trionfo per i colori azzurri, grazie alla conquista dell’Iride ad opera di Fondriest. Nel 1989, si trasferì con Saronni alla Malvor Sidi e corse per la prima volta la classica che voleva fin da bambino: la Parigi Roubaix. Nonostante due forature chiuse 34°, ed il suo debutto, soprattutto per la condotta, fu significativo. Lungo il resto della stagione colse un’altra classica nazionale, come il GP di Camaiore e fu nuovamente selezionato fra gli azzurri al Mondiale di Chambery. Qui, dopo aver fatto il suo lavoro, si ritirò. Nel 1990, tornò alla Del Tongo, con compiti di maggior libertà per le gare di un giorno e la sua risposta fu notevole. Durante l’anno, infatti, vinse 5 corse, un paio di assoluto prestigio, ovvero la “classica delle due capitali, Parigi Bruxelles, in volata su Dernies e il GP delle Americhe, valida per la Coppa del Mondo, in gran solitudine. Vinse poi due classiche nazionali, come il Giro del Piemonte e il Giro di Campania. Ai Mondiali di Utsonomiya finì 47°, dopo aver fatto un gran lavoro. Nell’amata “Roubaix” corse bene, chiuse 19°, ma vicino ai primi: stava crescendo anche lì. Nel 1991, sempre con la Del Tongo, le sue predisposizioni naturali verso la “Classicissima del pavè”, si mostrarono tangibilissime: fu a lungo fra i massimi protagonisti, chiudendo 5°, nel gruppetto che giunse a 1’07” dal vincitore Marc Madiot. Poco più di un mese dopo, approfittando “di un respiro” lasciatogli dall’allergia, vinse la tappa di Morbegno al Giro d’Italia, mentre in estate, s’affermò al Giro di Romagna. Ai Mondiali di Stoccarda, chiusi 12°, fu una gran pedina, per la vittoria di Gianni Bugno. La stagione successiva l’aprì in maglia GB-Mg Maglificio, ma non fu un grande anno, a parte il giorno della Roubaix, dove chiuse 11°, ma corse alla grande, restando in lizza per il successo fino all’acuto di Duclos Lassalle, uno che poi, l’anno seguente, gli recò la più grossa delusioni di carriera. Ed in quel giorno sulla pista della città della “Classicissima”, si consumò gran parte del 1993 di Ballerini. Giunto in gran forma alla corsa a lui più cara, dopo il 7° posto alla “Sanremo”, il 6° al Fiandre”, il 2° nell’Attraverso il Belgio, ed il 2° nella Freccia del Brabante, Franco pedalò alla grande. Potremmo dire che dominò, ma non si preoccupò più di tanto di staccare il vincitore uscente, l’anziano Duclos Lassalle, l’unico che era riuscito a tenergli, in qualche modo, la ruota. Convinto di poter vincere allo sprint, affrontò lo stesso momento decisivo sul velodromo con una certa sufficienza, ed alla fine uscì sconfitto per non più di 10 centimetri. Un epilogo amarissimo, che non fu certo attutito dalle vittorie in una tappa della Hofbrau Cup e nella Cronosquadre al Tour.
Una persona intelligente Franco, capace di osservare come pochi e pronto a fare scelte che, in un’epoca dove imperano le ipocrisie ed il politicamente corretto, sono sempre più rare. Un uomo disponibile, sorridente, gentile, popolare ed “alla buona”: capace di fermarsi con la gente e discutere con chiunque come se fosse un vecchio amico. Chi scrive, non dimentica quanto dice sempre il proprio fratello, a tal proposito su Ballerini, e del ricordo perenne che avrà vita natural durante per quel cittì della Nazionale su strada, che gli parlò a lungo del valore del ciclocross come disciplina certo a se stante, ma perfetta nella preparazione invernale di uno stradista affermato, nonché nella formazione ciclistica di un giovane. Una tesi, che quel ragazzone toscano, così giovanile nel portamento e così anziano nella saggezza, gli spiegò intingendola di particolari, eppure i due non s’erano mai visti, ed erano abissalmente distanti per ruolo. E chi scrive stesso, ebbe modo di verificare la pertinenza e la disponibilità di Franco, in un’intervista per un Panathlon. Insomma, Ballerini, aveva tutto per diventare il fulcro tecnico storico del ciclismo italiano. Un nuovo e moderno Martini, per intenderci. In ogni caso, non è che il suo curriculum nel ruolo, sia stato da speranza o da potenziale, perché nonostante la morte ne abbia impedito il prosieguo, ciò che fece, è stato esso stesso sufficiente per farne tecnico monumentale. Era tra l’altro un motivatore incredibile e, agli occhi dei corridori, un fratello maggiore. Ma se questo è il Ballerini del dopo carriera ciclistica, anche da atleta non è stato uno che passava inosservato. Soprattutto, ha saputo correggere in corso d’opera quel che non gli era possibile, ovvero le grandi corse a tappe, anche per quell’allergia tipica della primavera italiana, che gli impediva di essere decente al Giro d’Italia. S’è trasformato così in un evidente del nord, con un particolare teismo, verso la “Classica delle pietre, la Parigi Roubaix. Era il sogno di un bambino che s’era fatto grande e per quella corsa si spendeva come l’attore che trasformava il sogno in realtà. La vinse due volte, una volta giunse secondo, una terzo, una quinto e una sesto. A lui si deve, da italiani, il merito di aver tenuto in piedi per un decennio l’interesse verso una classica che i corridori nostrani, dopo Moser, stavano perdendo nelle attenzioni. Non è una esagerazione, ma nelle nostre case, si aspettava la Roubaix, perché c’era la garanzia di vedere con Ballerini uno spettacolo, nello spettacolo che la manifestazione propone da sempre. A livelli assoluti, il “Ballero” come si era soliti chiamarlo, non sarà stato per numeri un De Vlaeminck, un Boonen, un Moser o un Merckx, ma le sue condotte sono stata ugualmente epocali. Ed è apparsa meritatissima la “cittadinanza onoraria” che la città di Roubaix, ha voluto conferirgli.
Le sue tappe.
Iniziò a praticare ciclismo a poco più di otto anni, in gran parte spinto dal padre, che era stato un discreto dilettante. Teatro delle sue prima pedalate, la prestigiosa Scuola di ciclismo delle Cascine, che pullulava attorno al Velodromo, oggi intitolato all’Olimpionico Enzo Sacchi. Nel 1974, iniziò a correre fra i giovanissimi con il GS Romito di Firenze, sodalizio col quale esordì fra gli esordienti nel 1977. Al termine del biennio nella categoria, nel suo palmares finì una sola vittoria (non un male, alla faccia dei “conta bollini” di cui il ciclismo è esageratamente infarcito). Fra gli allievi, il suo ruolino, sincronico alla crescita fisica, migliorò: corse il primo anno col medesimo team di sempre e il secondo col G.S. Fratelli Taddei, ed alla fine della sua esperienza nella categoria, furono sette i centri conquistati. Fra gli juniores, ancora crescita nel rendimento e nello spessore delle sue partecipazioni, anche se i successi furono sempre sette. Corse il primo anno col GS Italia, ed il secondo col GS Magniflex, guadagnando l’azzurro ai Mondiali di Marsciano nel 1982, dove si classificò 5°, secondo degli italiani dietro Gianni Bugno (4°). Sempre con la Magniflex, passò dilettante nel 1983, società con la quale consumò tutta la sua permanenza fra i “puri”, lunga tre anni, dove accumulò 8 vittorie, fra le quali il Campionato Toscano. Sempre con la Magniflex, nel 1986, passò professionista. La prima vittoria nella massima categoria arrivò nel 1987, nella Tre Valli Varesine, in volata su un drappello, che gli valse l’attenzione del CT Martini e, soprattutto, un contratto per il 1988, proprio nella Del Tongo di Giuseppe Saronni. In difficoltà in primavera per l’allergia tipica della stagione, ebbe modo di ruggire d’estate, vincendo una prova e la classifica finale del Trittico Premondiale-GP Sanson, che gli valse stavolta la convocazione di Alfredo Martini per i Mondiali di Renaix, dove chiuse 64°, dimostrandosi subito bravissimo uomo squadra, in un giorno di trionfo per i colori azzurri, grazie alla conquista dell’Iride ad opera di Fondriest. Nel 1989, si trasferì con Saronni alla Malvor Sidi e corse per la prima volta la classica che voleva fin da bambino: la Parigi Roubaix. Nonostante due forature chiuse 34°, ed il suo debutto, soprattutto per la condotta, fu significativo. Lungo il resto della stagione colse un’altra classica nazionale, come il GP di Camaiore e fu nuovamente selezionato fra gli azzurri al Mondiale di Chambery. Qui, dopo aver fatto il suo lavoro, si ritirò. Nel 1990, tornò alla Del Tongo, con compiti di maggior libertà per le gare di un giorno e la sua risposta fu notevole. Durante l’anno, infatti, vinse 5 corse, un paio di assoluto prestigio, ovvero la “classica delle due capitali, Parigi Bruxelles, in volata su Dernies e il GP delle Americhe, valida per la Coppa del Mondo, in gran solitudine. Vinse poi due classiche nazionali, come il Giro del Piemonte e il Giro di Campania. Ai Mondiali di Utsonomiya finì 47°, dopo aver fatto un gran lavoro. Nell’amata “Roubaix” corse bene, chiuse 19°, ma vicino ai primi: stava crescendo anche lì. Nel 1991, sempre con la Del Tongo, le sue predisposizioni naturali verso la “Classicissima del pavè”, si mostrarono tangibilissime: fu a lungo fra i massimi protagonisti, chiudendo 5°, nel gruppetto che giunse a 1’07” dal vincitore Marc Madiot. Poco più di un mese dopo, approfittando “di un respiro” lasciatogli dall’allergia, vinse la tappa di Morbegno al Giro d’Italia, mentre in estate, s’affermò al Giro di Romagna. Ai Mondiali di Stoccarda, chiusi 12°, fu una gran pedina, per la vittoria di Gianni Bugno. La stagione successiva l’aprì in maglia GB-Mg Maglificio, ma non fu un grande anno, a parte il giorno della Roubaix, dove chiuse 11°, ma corse alla grande, restando in lizza per il successo fino all’acuto di Duclos Lassalle, uno che poi, l’anno seguente, gli recò la più grossa delusioni di carriera. Ed in quel giorno sulla pista della città della “Classicissima”, si consumò gran parte del 1993 di Ballerini. Giunto in gran forma alla corsa a lui più cara, dopo il 7° posto alla “Sanremo”, il 6° al Fiandre”, il 2° nell’Attraverso il Belgio, ed il 2° nella Freccia del Brabante, Franco pedalò alla grande. Potremmo dire che dominò, ma non si preoccupò più di tanto di staccare il vincitore uscente, l’anziano Duclos Lassalle, l’unico che era riuscito a tenergli, in qualche modo, la ruota. Convinto di poter vincere allo sprint, affrontò lo stesso momento decisivo sul velodromo con una certa sufficienza, ed alla fine uscì sconfitto per non più di 10 centimetri. Un epilogo amarissimo, che non fu certo attutito dalle vittorie in una tappa della Hofbrau Cup e nella Cronosquadre al Tour.
Foto Graham Watson.
Prendersi la rivincita e vincere la corsa amata, diventò per Ballerini il fulcro pressoché totale di carriera. Non che non avesse fatto anche prima tutto il possibile per il “regno del pavè”, ma dal 1994, il primo all’interno della Mapei, sulla Roubaix, impostò ogni stagione. Dopo essersi piazzato 2° nella Gand Wevelgem (era già giunto 3° nel 1990), continuò il suo grande protagonismo di primavera ’94, proprio sul pavé dell’inferno della Francia settentrionale, promuovendo l’azione dei migliori sulla Foresta di Harenberg. A cinquanta chilometri dal velodromo di Roubaix però, incappò in una foratura, che poteva essere riassorbibile, se l’ammiraglia fosse stata vicina. Invece, il cambio ruota e la macchina della casa non c’erano e Franco fu costretto a proseguire a lungo zigzagando e perdendo minuti. Stessa sorte, anche al grande avversario Duclos Lassalle. A cambio ruota finalmente avvenuto, il Ballero (il nomignolo più popolare di Ballerini), rimontò posizioni su posizioni, staccò praticamente tutti salvo Baldato, ma non poté raggiungere il fuggitivo Tchmil. Si presentò sull’anello di Roubaix col veneto, e finì 3°. Per il secondo anno consecutivo, era stato il più forte, ma non aveva vinto. A fine gara dichiarò. “Amo questa corsa e prima o poi la vincerò!”. Nel resto di quel 1994, colse il 2° posto nella Parigi Bruxelles.
Nel 1995, finalmente, la Classicissima del pavé” fu sua. E lo fu, dopo aver già messo in saccoccia l’Het Volk, coi segni del dominio, del corridore superiore, che aveva davvero qualcosa di unico fra le pietre. L’anno successivo, anche a causa dell’ennesima foratura, si accontentò di difendere la fuga decisiva dei tre compagni, Museeuw, Bortolami e Tafi, che chiusero nell’ordine, finendo 5°, superato allo sprint da “Maciste” Zanini. Nel resto della stagione, vinse tre corse, la più importante il GP di Vallonia a Namur.
Deciso a rivincere la “corsa della vita”, affrontò il ’97 col piglio giusto, finendo 3° nel Giro delle Fiandre, ma nella Roubaix, anche a causa di vari incidenti, non andò oltre il 24° posto. Si rifece con gli interessi nel 1998, dominando nuovamente come nel 1995. Era davvero il Signor Roubaix!
Continuò a correre con lo scopo di essere sempre perlomeno un protagonista nella corsa amata. E lo fu anche nel 1999 (11°) e nel 2000 (8°), nonché il giorno dell’addio alla carriera da corridore, il 15 aprile 2001, quando fu accolto da applausi scroscianti, pur concludendo al 32° posto.
Nel 1995, finalmente, la Classicissima del pavé” fu sua. E lo fu, dopo aver già messo in saccoccia l’Het Volk, coi segni del dominio, del corridore superiore, che aveva davvero qualcosa di unico fra le pietre. L’anno successivo, anche a causa dell’ennesima foratura, si accontentò di difendere la fuga decisiva dei tre compagni, Museeuw, Bortolami e Tafi, che chiusero nell’ordine, finendo 5°, superato allo sprint da “Maciste” Zanini. Nel resto della stagione, vinse tre corse, la più importante il GP di Vallonia a Namur.
Deciso a rivincere la “corsa della vita”, affrontò il ’97 col piglio giusto, finendo 3° nel Giro delle Fiandre, ma nella Roubaix, anche a causa di vari incidenti, non andò oltre il 24° posto. Si rifece con gli interessi nel 1998, dominando nuovamente come nel 1995. Era davvero il Signor Roubaix!
Continuò a correre con lo scopo di essere sempre perlomeno un protagonista nella corsa amata. E lo fu anche nel 1999 (11°) e nel 2000 (8°), nonché il giorno dell’addio alla carriera da corridore, il 15 aprile 2001, quando fu accolto da applausi scroscianti, pur concludendo al 32° posto.
Poi, nel dopo, il 27 luglio 2001, venne chiamato alla guida della Nazionale Italiana professionisti. Il primo Mondiale, a Lisbona, fu un poco deludente perché sfumò il possibilissimo iride di Simoni, lasciando al tabellino azzurro, il comunque positivo Argento di Bettini, ma nel 2002 a Zolder, Franco seppe forgiare lo squadrone che accompagnò il successo di Mario Cipollini. Indi le vittorie di Bettini alle Olimpiadi di Atene e nei Mondiali di Salisburgo e Stoccarda nel 2006 e ’07, nonché l’Argento di Rebellin alle Olimpiadi di Pechino. Poi, quel maledetto e fatale rally, per la passione di fare il navigatore in queste gare. Una vita spezzata, e un ricordo che ha le dimensioni del mito.
Tutte le vittorie di Franco Ballerini.
1987 (Magniflex) un successo: Tre Valli Varesine. 1988 (Del Tongo) 2 vittorie: GP Sanson; 3a Prova GP Sanson-Trittico Premondiale. 1989 (Malvor Sidi) 2 successi: GP Città di Camaiore; Circuito Fivizzano. 1990 (Del Tongo) 5 vittorie: Parigi-Bruxelles; GP delle Americhe; Giro del Piemonte; Giro di Campania; Circuito Sesto Fiorentino. 1991 (Del Tongo-MG Boys) 3 successi: Tappa Morbegno (Giro d’Italia); Giro della Romagna; Memorial Tinchella (crono coppie con Giorgio Guarda); 1993 (GB-MG Maglificio) 2 vittorie: Cronosquadre Avranches (Tour de France); Cronosquadre Enzklösterle (Hofbrau Cup). 1995 (Mapei-GB) 2 successi: Parigi-Roubaix; Het Volk. 1996 (Mapei-GB) 3 vittorie: GP de Wallonie; Amsterdam Rai Derny Race; Tappa Villach (Giro d’Austria). 1998 (Mapei-Bricobì) un successo: Parigi-Roubaix. 2001 (Mapei-QuickStep) un successo: Circuito di Empoli.
I suoi migliori piazzamenti.
1989: 2° nella Coppa Placci; 2° nel Giro di Campania; 2° nel Prologo Malaga (Ruta del Sol). 1990: 2° nel Trofeo Matteotti; 2° nella 2a Prova Trittico Premondiale; 3° nella Gand-Wevelgem; 3° nel Giro del Veneto; 3° nel Km del Corso Mestre. 1991: 3° nel Giro di Lombardia; 3° nella Coppa Sabatini; 3° Tappa De Panne (Tre Giorni di La Panne); 3° nella Firenze-Pistoia (crono). 1992: 2° nel Giro di Campania. 1993: 2° nella Parigi-Roubaix; 2° nell’Attraverso le Fiandre; 2° nella Freccia del Brabante; 3° nella Coppa Bernocchi. 1994: 2° nella Gand-Wevelgem, 2° nella Parigi-Bruxelles; 3° nella Parigi-Roubaix. 1995: 2° nel Grazer Altstadt Kriterium. 1996: 3° nella Classifica Generale Giro d’Austria; 2° nel Prologo del Giro d’Austria; 3° Tappa Lienz (Giro d’Austria); 5° nella Parigi-Roubaix. 1997: 3° nel Giro delle Fiandre. 1998: 2° nella Classifica Generale Tirreno-Adriatico; 2° nella Amsterdam Rai Derny Race; 3° Tappa Frontone (Tirreno-Adriatico).
In carriera ha corso 4 Giri d’Italia (1987: 124° - 1990: 109º - 1991: ritirato 20a tappa - 1994: ritirato 7a tappa); 3 Tour de France (1992: 115º - 1993: 61º - 1998: ritirato 16a tappa); 2 Vuelta di Spagna (1992: ritirato 12a tappa - 1997: 97º); 4 Campionati del mondo (Renaix 1988: 64º - Chambéry 1989: ritirato - Utsunomiya 1990: 47º - Stoccarda 1991: 12°).
Il suo ruolino nelle Classiche Monumento.
Milano-Sanremo (1989: 62º - 1990: 66º - 1991: 26º - 1992: 27º - 1993: 7º - 1994: 17º - 1995: 47º - 1996: 67º - 1997: 30º - 1998: 58º - 1999: 43º - 2000: 169º); Giro delle Fiandre (1989: 61º - 1990: 10º - 1991: 8º - 1992: 9º - 1993: 6º - 1994: 4º - 1995: 10º - 1996: 18º - 1997: 3º - 1998: 8º - 1999: 11º - 2000: 29º - 2001: 42º); Parigi-Roubaix (1989: 34º - 1990: 19º - 1991: 5º - 1992: 11º - 1993: 2º - 1994: 3º - 1995: vincitore - 1996: 5º - 1997: 24º - 1998: vincitore - 1999: 11º - 2000: 8º - 2001: 32º); Liegi-Bastogne-Liegi (1990: 81º - 1991: 38º - 1993: 21º - 1994: 12º - 1997: 35º - 1998: 37º - 1999: 45º - 2000: 100º); Giro di Lombardia (1986: 25º - 1989: 10º - 1990: 11º - 1991: 3º - 1993: 68º - 1997: 19º - 2000: 48º).
Il suo Ruolino da Commissario Tecnico della Nazionale Italiana Professionisti.
Sotto la sua guida, in otto anni gli azzurri hanno vinto 4 Titoli Mondiali, 1 Oro Olimpico, 2 Argenti Mondiali, 1 argento Olimpico (anche se poi revocato), 1 Bronzo Mondiale
Il dettaglio:
2001 - Mondiale di Lisbona: Paolo Bettini - Argento
2002 - Mondiale di Zolder: Mario Cipollini - Campione del Mondo
2004 – Olimpiadi di Atene: Paolo Bettini – Medaglia d’Oro
2004 - Mondiale di Verona: Luca Paolini - Bronzo
2006 - Mondiale di Salisburgo: Paolo Bettini – Campione del Mondo
2007 - Mondiale di Stoccarda: Paolo Bettini – Campione del Mondo
2008 – Olimpiadi di Pechino: Davide Rebellin - Argento (revocato)
2008 - Mondiale di Varese: Alessandro Ballan – Campione del Mondo; Damiano Cunego – Argento
Maurizio Ricci - Morris