Si dirà: Morris non viene più.
Non ho tempo per soffiarmi il naso, ma voglio tranquillizzarvi: sto relativamente bene e gli spizzichi che seguono, fra i caos di vita, rappresentano microbici tasselli dei miei prossimi libri……
Li posto senza foto, giusto……perché si sappia che ci sono……
Da….. “Graffiti Due”…
Aveva un nome che, per un bambino impegnato a conoscere e capire la grammatica italiana, non poteva che rimanere impresso. Forse per questo, a quel piccolo che si spendeva sullo sport più che sui quaderni, anche se, come diceva la maestra, molto bravo, le virgole venivano naturalmente a ponte o ellisse sull’ultima lettera della parola antecedente. Di sicuro lo faceva pensando a quel campione, sognando di vederlo volare anche quando insegnava a coetanei e grandi, dov’era la Pala Bianca o il Gennargentu e raccontava tutto sui pianeti del sistema solare. Insomma, Biorn era una virgola su ogni incidenza del quotidiano, come un penate protettore dei giochi, della conoscenza arrivante e, come tutte le cose care di fanciullezza, un immortale.
(Chi è il campione di questo piccolo spezzone…..consideratelo un quiz…. )
-------------------------------------------------------------------------------------------------------
Una ragazzona dalla potenza devastante, ben fatta, come quasi tutte le grandi atlete di colore statunitensi, ma con la tendenza ad ingrassare. Un problema che ne ha in parte limitato la progressione agonistica, comunque di primissima nota. Il suo nome dirà poco a quel fragile diaframma che spesso è la memoria, reso sempre più tenue dall’incapacità storica dei media di dare linfa, con adeguate retrospettive, a coloro che nella forma artistica sportiva, hanno lasciato tracce ed opere. Eppure, negli anni ottanta, in particolare, l’abbiamo vista parecchie volte correre con quell’ampia falcata che l’ha contraddistinta sulle piste più nobili dei meeting e delle gare che contano.
……
Già, quella droga che sovente circuisce l’atleta, quando i fuochi di carriera si stanno spegnendo e non si riesce a concepire la vita al di fuori di quel palcoscenico che, negli anni, era divenuto esclusivo, lasciando finestrelle distorte sul resto. Chandra, una dei tanti ex dello sport che stava per cadere in completa disgrazia, ma che riuscì, fortunatamente, a salvarsi e ritornare la persona gradevole e cordiale che per oltre un decennio aveva calcato le piste di atletica leggera.
(Chi è la campionessa di questo piccolo spezzone…..consideratelo un altro quiz…. )
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Julio Cesar Abbadie
Ci sono artisti dello sport che non ti nascono dentro, perché il nostro segmento di vita, non sempre si incastra con quello di costoro. A rimediare ci pensa la sete di conoscenza che te li fa scoprire, al punto di scatenarti l’uso dei mezzi che l’unico vero progresso partorito dall’uomo, quello scientifico e tecnologico, ti mette a disposizione. Resta però, come sempre, il frutto del computer più maestoso che si chiama cervello umano, a donarti la parte migliore delle scoperte, perché non ci sono filmati e, tanto meno, statistiche, capaci di creare quell’humus emozionale e significativo, che solo il racconto sa trasmettere. Lo capissero tutti, avremmo un mondo migliore del penoso di oggi, checché ne dica qualche cosiddetto intellettuale.
Conobbi il calciatore Julio Cesar Abbadie leggendo i giornali, a metà degli anni sessanta, quando mi divoravo ogni pagina di Stadio e Gazzetta dello sport che mi capitavano a tiro, ed erano parecchie, per fortuna. Erano i suoi luminosi ed ultimi acuti di una carriera lunghissima, che la ragione voleva già al crepuscolo da tempo. Eppure la Copa Libertadores e la ben più importante Coppa Intercontinentale, perlomeno per noi europei, lo elessero vecchietto dal cuore giovanissimo e confermarono la sua tangibilità di fuoriclasse. Da quei giorni non ho mai smesso di ricercare su di lui, come su tanti altri, del resto, scoprendo pian piano tasselli del suo mosaico di stella del calcio, da considerarsi, a tutti gli effetti, una delle più grandi ali destre di tutti i tempi. Soprattutto, prima dei filmati, hanno inciso su di me i ricordi dei tifosi genoani, ed in particolare la considerazione di un grande scrittore, potrei dire pure uno storico, anche se non ama definirsi tale, vale a dire un connazionale di Abbadie, Eduardo Galeano. A metà degli anni settanta, per un esame universitario, ebbi modo di leggere “Il saccheggio dell’America Latina”, scritto appunto dal grande Eduardo, un autore che mi colpì e che ebbi modo di conoscere ancor meglio dopo. Uno dei pochi intellettuali, così intenso ed onesto, da essere capace di esprimersi con compiutezza su quella che è una verità universale: lo sport è manifestazione d’arte, dove l’artista, quando s’esprime con luce, cancella ogni club di una disciplina di squadra e paese di provenienza. È stato un caposaldo che m’ha sempre animato sin da bambino e son ben lieto di aver scoperto, già anziano e con pagine alle spalle, che un grande come Galeano, la vede come me.
Un’evoluzione d’onestà e profondità la sua, espressa sulle prime pagine di “Splendori e miserie del gioco del calcio”, libro scritto dal limpido Eduardo nel 1997, ed edito in Italia da Sperling & Kupfer Editori, di cui riporto le prime righe.
“Come tutti gli uruguagi, avrei voluto essere un calciatore. Giocavo benissimo, ero un fenomeno, ma soltanto di notte, mentre dormivo; durante il giorno ero il peggior scarpone che sia comparso nei campetti del mio paese. Anche come tifoso lasciavo molto a desiderare. Juan Alberto Schiaffino e Julio César Abbadie giocavano nel Peñarol, la squadra nemica. Da buon tifoso del Nacional facevo tutto il possibile per riuscire a odiarli. Ma Pepe (Beppe) Schiaffino coi suoi passaggi magistrali orchestrava il gioco della squadra come se stesse osservando il campo dal punto più alto della torre dello stadio, ed el Pardo (il Bruno) Abbadie faceva scorrere la palla sulla linea bianca laterale e si lanciava con gli stivali delle sette leghe distendendosi senza sfiorare il pallone né toccare i propri avversari: e io non avevo altro rimedio che ammirarli, avevo addirittura voglia di applaudirli.
Sono passati gli anni, e col tempo ho finito per assumere la mia identità: non sono altro che un mendicante di buon calcio. Vado per il mondo col cappello in mano, e negli stadi supplico: "Una bella giocata, per l'amor di Dio. E quando il buon calcio si manifesta, rendo grazie per il miracolo e non mi importa un fico secco di quale sia il club o il paese che me lo offre”.
Dunque “el Pardo” (il Bruno), Julio Cesar Abbadie, giunge su queste pagine col viatico maestoso di Galeano, affinché il sottoscritto non rafforzi l’opinione del grande scrittore uruguagio, ma sottolinei solamente, nel suo piccolo, una realtà sancita dalla storia del calcio……
----------------------------------------------------------------------------------------------
…..“El Bocha”, nella città felsinea imparò le bontà dei tortellini e della pastasciutta, giocando a meraviglia quando la fronte spaziosa si volgeva al sole, molto meno bene quanto il cielo s’oscurava verso quella notte dove lui, all’occhietto verso le ragazze, aggiungeva il fascino-pancetta delle bontà culinarie bolognesi. Lui, sapeva dove la palla andava messa e, quando voleva, faceva dei gol da antologia, soprattutto mostrava le variabili universitarie di quel tiro, che i pesanti palloni marroni del tempo consentivano. I palati fini della pelota, impararono dal “Bocha”, l’arte di come si calcia di potenza, a foglia secca, a pallonetto, con l’effetto a rientrare. Il suo genio calcistico era fuori discussione, ma erano le ombre del suo carattere particolare a preoccupare. Niente di strano s’intende, ma quella cucina e le sottane stuzzicavano la sua voglia di isolarsi e concentrarsi solo su di loro. Comunque, un passaggio decisivo a partita, lo garantiva sempre.
(Chi è il campione di questo piccolo spezzone…..consideratelo un …altro quiz…. )
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------
Ad Enrique Omar Sivori
Quel magico sinistro,
quei calzettoni arrotolati sulle scarpe
quasi a nasconderle,
quel senso del tocco
quei dipinti di trasparenza
che richiamavano fantasmi
ai piedoni che volevan colpirti.
Quel largo sorriso
che tentava invano
d’intenerire il volto indio,
quegli incisivi distanti
quasi volessero lasciare un segno alle prede.
Guerriero e artista
non conformista e amante verace della vita
sontuoso e virtuoso pittore
su un corpo richiamante mediocrità
che usavi per confondere
le tue carezze da killer
genesi d’amore e passione
pronte a prenderci fino alle lacrime.
L’estro in te siamese
che trasportava il nero della tua chioma
sugli sfondi d’una epopea che cerco
ma che non posso più trovare,
scolpiscono il tuo tratto
e s’elevano sull’aria come una brezza
che attenua il soffocante calore
d’un intorno appassito sul razionale
voluto da troppi satrapi.
Ed il tuo graffio risuona e traccia
s’eleva e intenerisce
come un assioma immortale
che applaude nel dolore
tunnel e dribbling
della tua nuova dimensione d’immenso.
Sei sempre tu, carissimo Omar.
(Morris)
---------------------------------------------------------------------------------------------
Da “Ciclocross” ……..
…. provò ad emergere su strada, ma non riusciva ad avere qualità specifiche per imporsi, ed anche sulle prove più lunghe, come le corse a tappe, le sue capacità di recupero non erano brillanti.
…… provò ad emergere su strada, ma non riusciva ad avere qualità specifiche per imporsi, ed anche sulle prove più lunghe, come le corse a tappe, le sue capacità di recupero non erano brillanti.
(Chi è il campione di questo piccolo spezzone…..consideratelo un …altro quiz…. )
------------------------------------------------------------------------------------------------------
Da dilettante, pur non eccellendo, il terreno a lui più congeniale, sembrava proprio la mai troppo amata strada. Poi nel 1986 a ben 26 anni il passaggio al professionismo lo spinse ad incentivare presenze ed allenamenti nel cross. In quell’anno comunque i moderati risultati, ben inferiori a quelli del fratello Rudy, non gli consentirono di partecipare ai Mondiali. Tenace come pochi, spostò nel 1987, il baricentro della sua attività ciclo-campestre in Svizzera, al tempo una “Mecca” della specialità, al fine di affinarsi ulteriormente. Fu una scelta giusta ed in patria cominciò a vincere con una certa costanza al punto di guadagnarsi la partecipazione al Campionato del Mondo di Mlada Boleslav, nella Repubblica Ceka, ……
(Chi è il campione di questo piccolo spezzone…..consideratelo un …altro quiz…. )
---------------------------------------------------------------------------------------------
Quella forza e quella pedalata inneggiante la vita che l’han eletta già giovane come la più grande di sempre su strada, diventa sull’agreste del cross, una pittura a colpi di pennello leggeri, delicati, soffusi, forse per dire alla natura che lei è una dea al servizio alla sua immensità…….
(Chi è la campionessa di questo minuscolo quadretto, consideratelo…..per modi di dire, un altro quiz…. )
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……Poteva essere la fine di una carriera uccisa nel segmento in cui la scena era stata lasciata alla speranza. Non si piegò ed andò a lavorare da umile meccanico alla DAF e, come un camion di volontà, continuò a correre ed a piazzarsi, cercando sul fango quel giorno che dall’uggioso, giungeva al radioso…..
Oggi gestisce la sua vita nell’intimo del suo fulcro siamese: un emporio su biciclette e accessori, nella sua Diessen.
(Chi è il campione di questo piccolo spezzone…..rappresenta l’ultimo quiz…. )
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A presto!
Morris
Non ho tempo per soffiarmi il naso, ma voglio tranquillizzarvi: sto relativamente bene e gli spizzichi che seguono, fra i caos di vita, rappresentano microbici tasselli dei miei prossimi libri……
Li posto senza foto, giusto……perché si sappia che ci sono……
Da….. “Graffiti Due”…
Aveva un nome che, per un bambino impegnato a conoscere e capire la grammatica italiana, non poteva che rimanere impresso. Forse per questo, a quel piccolo che si spendeva sullo sport più che sui quaderni, anche se, come diceva la maestra, molto bravo, le virgole venivano naturalmente a ponte o ellisse sull’ultima lettera della parola antecedente. Di sicuro lo faceva pensando a quel campione, sognando di vederlo volare anche quando insegnava a coetanei e grandi, dov’era la Pala Bianca o il Gennargentu e raccontava tutto sui pianeti del sistema solare. Insomma, Biorn era una virgola su ogni incidenza del quotidiano, come un penate protettore dei giochi, della conoscenza arrivante e, come tutte le cose care di fanciullezza, un immortale.
(Chi è il campione di questo piccolo spezzone…..consideratelo un quiz…. )
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Una ragazzona dalla potenza devastante, ben fatta, come quasi tutte le grandi atlete di colore statunitensi, ma con la tendenza ad ingrassare. Un problema che ne ha in parte limitato la progressione agonistica, comunque di primissima nota. Il suo nome dirà poco a quel fragile diaframma che spesso è la memoria, reso sempre più tenue dall’incapacità storica dei media di dare linfa, con adeguate retrospettive, a coloro che nella forma artistica sportiva, hanno lasciato tracce ed opere. Eppure, negli anni ottanta, in particolare, l’abbiamo vista parecchie volte correre con quell’ampia falcata che l’ha contraddistinta sulle piste più nobili dei meeting e delle gare che contano.
……
Già, quella droga che sovente circuisce l’atleta, quando i fuochi di carriera si stanno spegnendo e non si riesce a concepire la vita al di fuori di quel palcoscenico che, negli anni, era divenuto esclusivo, lasciando finestrelle distorte sul resto. Chandra, una dei tanti ex dello sport che stava per cadere in completa disgrazia, ma che riuscì, fortunatamente, a salvarsi e ritornare la persona gradevole e cordiale che per oltre un decennio aveva calcato le piste di atletica leggera.
(Chi è la campionessa di questo piccolo spezzone…..consideratelo un altro quiz…. )
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Julio Cesar Abbadie
Ci sono artisti dello sport che non ti nascono dentro, perché il nostro segmento di vita, non sempre si incastra con quello di costoro. A rimediare ci pensa la sete di conoscenza che te li fa scoprire, al punto di scatenarti l’uso dei mezzi che l’unico vero progresso partorito dall’uomo, quello scientifico e tecnologico, ti mette a disposizione. Resta però, come sempre, il frutto del computer più maestoso che si chiama cervello umano, a donarti la parte migliore delle scoperte, perché non ci sono filmati e, tanto meno, statistiche, capaci di creare quell’humus emozionale e significativo, che solo il racconto sa trasmettere. Lo capissero tutti, avremmo un mondo migliore del penoso di oggi, checché ne dica qualche cosiddetto intellettuale.
Conobbi il calciatore Julio Cesar Abbadie leggendo i giornali, a metà degli anni sessanta, quando mi divoravo ogni pagina di Stadio e Gazzetta dello sport che mi capitavano a tiro, ed erano parecchie, per fortuna. Erano i suoi luminosi ed ultimi acuti di una carriera lunghissima, che la ragione voleva già al crepuscolo da tempo. Eppure la Copa Libertadores e la ben più importante Coppa Intercontinentale, perlomeno per noi europei, lo elessero vecchietto dal cuore giovanissimo e confermarono la sua tangibilità di fuoriclasse. Da quei giorni non ho mai smesso di ricercare su di lui, come su tanti altri, del resto, scoprendo pian piano tasselli del suo mosaico di stella del calcio, da considerarsi, a tutti gli effetti, una delle più grandi ali destre di tutti i tempi. Soprattutto, prima dei filmati, hanno inciso su di me i ricordi dei tifosi genoani, ed in particolare la considerazione di un grande scrittore, potrei dire pure uno storico, anche se non ama definirsi tale, vale a dire un connazionale di Abbadie, Eduardo Galeano. A metà degli anni settanta, per un esame universitario, ebbi modo di leggere “Il saccheggio dell’America Latina”, scritto appunto dal grande Eduardo, un autore che mi colpì e che ebbi modo di conoscere ancor meglio dopo. Uno dei pochi intellettuali, così intenso ed onesto, da essere capace di esprimersi con compiutezza su quella che è una verità universale: lo sport è manifestazione d’arte, dove l’artista, quando s’esprime con luce, cancella ogni club di una disciplina di squadra e paese di provenienza. È stato un caposaldo che m’ha sempre animato sin da bambino e son ben lieto di aver scoperto, già anziano e con pagine alle spalle, che un grande come Galeano, la vede come me.
Un’evoluzione d’onestà e profondità la sua, espressa sulle prime pagine di “Splendori e miserie del gioco del calcio”, libro scritto dal limpido Eduardo nel 1997, ed edito in Italia da Sperling & Kupfer Editori, di cui riporto le prime righe.
“Come tutti gli uruguagi, avrei voluto essere un calciatore. Giocavo benissimo, ero un fenomeno, ma soltanto di notte, mentre dormivo; durante il giorno ero il peggior scarpone che sia comparso nei campetti del mio paese. Anche come tifoso lasciavo molto a desiderare. Juan Alberto Schiaffino e Julio César Abbadie giocavano nel Peñarol, la squadra nemica. Da buon tifoso del Nacional facevo tutto il possibile per riuscire a odiarli. Ma Pepe (Beppe) Schiaffino coi suoi passaggi magistrali orchestrava il gioco della squadra come se stesse osservando il campo dal punto più alto della torre dello stadio, ed el Pardo (il Bruno) Abbadie faceva scorrere la palla sulla linea bianca laterale e si lanciava con gli stivali delle sette leghe distendendosi senza sfiorare il pallone né toccare i propri avversari: e io non avevo altro rimedio che ammirarli, avevo addirittura voglia di applaudirli.
Sono passati gli anni, e col tempo ho finito per assumere la mia identità: non sono altro che un mendicante di buon calcio. Vado per il mondo col cappello in mano, e negli stadi supplico: "Una bella giocata, per l'amor di Dio. E quando il buon calcio si manifesta, rendo grazie per il miracolo e non mi importa un fico secco di quale sia il club o il paese che me lo offre”.
Dunque “el Pardo” (il Bruno), Julio Cesar Abbadie, giunge su queste pagine col viatico maestoso di Galeano, affinché il sottoscritto non rafforzi l’opinione del grande scrittore uruguagio, ma sottolinei solamente, nel suo piccolo, una realtà sancita dalla storia del calcio……
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…..“El Bocha”, nella città felsinea imparò le bontà dei tortellini e della pastasciutta, giocando a meraviglia quando la fronte spaziosa si volgeva al sole, molto meno bene quanto il cielo s’oscurava verso quella notte dove lui, all’occhietto verso le ragazze, aggiungeva il fascino-pancetta delle bontà culinarie bolognesi. Lui, sapeva dove la palla andava messa e, quando voleva, faceva dei gol da antologia, soprattutto mostrava le variabili universitarie di quel tiro, che i pesanti palloni marroni del tempo consentivano. I palati fini della pelota, impararono dal “Bocha”, l’arte di come si calcia di potenza, a foglia secca, a pallonetto, con l’effetto a rientrare. Il suo genio calcistico era fuori discussione, ma erano le ombre del suo carattere particolare a preoccupare. Niente di strano s’intende, ma quella cucina e le sottane stuzzicavano la sua voglia di isolarsi e concentrarsi solo su di loro. Comunque, un passaggio decisivo a partita, lo garantiva sempre.
(Chi è il campione di questo piccolo spezzone…..consideratelo un …altro quiz…. )
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------
Ad Enrique Omar Sivori
Quel magico sinistro,
quei calzettoni arrotolati sulle scarpe
quasi a nasconderle,
quel senso del tocco
quei dipinti di trasparenza
che richiamavano fantasmi
ai piedoni che volevan colpirti.
Quel largo sorriso
che tentava invano
d’intenerire il volto indio,
quegli incisivi distanti
quasi volessero lasciare un segno alle prede.
Guerriero e artista
non conformista e amante verace della vita
sontuoso e virtuoso pittore
su un corpo richiamante mediocrità
che usavi per confondere
le tue carezze da killer
genesi d’amore e passione
pronte a prenderci fino alle lacrime.
L’estro in te siamese
che trasportava il nero della tua chioma
sugli sfondi d’una epopea che cerco
ma che non posso più trovare,
scolpiscono il tuo tratto
e s’elevano sull’aria come una brezza
che attenua il soffocante calore
d’un intorno appassito sul razionale
voluto da troppi satrapi.
Ed il tuo graffio risuona e traccia
s’eleva e intenerisce
come un assioma immortale
che applaude nel dolore
tunnel e dribbling
della tua nuova dimensione d’immenso.
Sei sempre tu, carissimo Omar.
(Morris)
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Da “Ciclocross” ……..
…. provò ad emergere su strada, ma non riusciva ad avere qualità specifiche per imporsi, ed anche sulle prove più lunghe, come le corse a tappe, le sue capacità di recupero non erano brillanti.
…… provò ad emergere su strada, ma non riusciva ad avere qualità specifiche per imporsi, ed anche sulle prove più lunghe, come le corse a tappe, le sue capacità di recupero non erano brillanti.
(Chi è il campione di questo piccolo spezzone…..consideratelo un …altro quiz…. )
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Da dilettante, pur non eccellendo, il terreno a lui più congeniale, sembrava proprio la mai troppo amata strada. Poi nel 1986 a ben 26 anni il passaggio al professionismo lo spinse ad incentivare presenze ed allenamenti nel cross. In quell’anno comunque i moderati risultati, ben inferiori a quelli del fratello Rudy, non gli consentirono di partecipare ai Mondiali. Tenace come pochi, spostò nel 1987, il baricentro della sua attività ciclo-campestre in Svizzera, al tempo una “Mecca” della specialità, al fine di affinarsi ulteriormente. Fu una scelta giusta ed in patria cominciò a vincere con una certa costanza al punto di guadagnarsi la partecipazione al Campionato del Mondo di Mlada Boleslav, nella Repubblica Ceka, ……
(Chi è il campione di questo piccolo spezzone…..consideratelo un …altro quiz…. )
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Quella forza e quella pedalata inneggiante la vita che l’han eletta già giovane come la più grande di sempre su strada, diventa sull’agreste del cross, una pittura a colpi di pennello leggeri, delicati, soffusi, forse per dire alla natura che lei è una dea al servizio alla sua immensità…….
(Chi è la campionessa di questo minuscolo quadretto, consideratelo…..per modi di dire, un altro quiz…. )
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……Poteva essere la fine di una carriera uccisa nel segmento in cui la scena era stata lasciata alla speranza. Non si piegò ed andò a lavorare da umile meccanico alla DAF e, come un camion di volontà, continuò a correre ed a piazzarsi, cercando sul fango quel giorno che dall’uggioso, giungeva al radioso…..
Oggi gestisce la sua vita nell’intimo del suo fulcro siamese: un emporio su biciclette e accessori, nella sua Diessen.
(Chi è il campione di questo piccolo spezzone…..rappresenta l’ultimo quiz…. )
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A presto!
Morris