Pochi giorni fa abbiamo discusso con molta soddisfazione di Gino Bartali e del suo riconoscimento postumo come "Giusto delle Nazioni". Ginettaccio non volle che in vita si parlasse del suo "bene" extrasportivo. "Il bene lo si fa e basta e io ero un ciclista che doveva essere conosciuto per quello che avevo fatto in sella" diceva il grande omino toscano al figlio Andrea.
Gino è certamente l'uomo del ciclismo, il ciclista che più di ogni altro ha incrociato la Grande Storia (dal Tour del '48 vinto in un clima da guerra civile in Italia al grande ruolo avuto nel salvare centinaia di ebrei, rom, sinti ed altri ricercati come soldati alleati, oltre ad altri svariati numerosi aneddoti), ma il ciclismo (sport popolare nel senso più nobile del termine) ha tanti altri esempi da narrare. Anche esempi che dalla storia attendono ancora il dovuto riconoscimento, di merito e di verità.
STORIE MALEDETTE
Per questo voglio parlare della storia e delle tragiche vicende personali vissute da due campioni di ciclismo, un italiano ed un tedesco uccisi dalle loro dittature: Albert Richter ed Ottavio Bottecchia.
Non voglio rubare il ruolo all'inarrivabile Morris, lo storico del ciclismo (e non solo) per eccellenza, voglio solo raccontare due storie che mi hanno molto colpito e nel primo caso mi sono anche appassionato a fare una mia personale ricerca per avere riscontri, dopo una confidenza fattami qualche anno fa da una signora milanese che mi aveva detto che "Bottecchia non era morto per un incidente, ma perché un potente lo aveva messo a tacere per evitare uno scandalo; e di morti in quella storia ce n'erano altri".
In primis avevo preso la storia come una delle classiche leggende degli italiani, o come la morte e resurrezione di Paul McCartney , e presuntuosamente non mi ero preso nota dei particolari pensando alla ottuagenaria età della elegante sciura di Corso Vercelli, cliente di una negoziante mia amica. Accidenti a me che sono cresciuto con due nonni che erano un libro aperto, che mi hanno reso curioso e mi hanno affascinato all'indagine ed alla ricerca storica, sebbene il mio interesse sia, come dire, minimalista, ovvero che mi interessano le "piccole" storie degli uomini. E' così in fondo che, come tanti, mi sono innamorato degli scritti di Big Morris.
Per fortuna il particolare racconto della signora mi era rimasto in mente, mi era venuta la curiosità di ricercare tutte le informazioni su Bottecchia e sulla sua "strana" tragica fine, e mi accorsi come, mettendo assieme una bella trasmissione a lui dedicata dalla friulana Gloria De Antoni, un dettagliato articolo di un quotidiano ed un libro con una ottima ricerca di archivio giornalistico, la versione dei fatti emergente confermasse le parole della signora.
La verità era lì sotto gli occhi di tutti; bastava volerla osservare sotto un filo di polvere. Ma non si volle perché non si poteva. Già, perché non si poteva? Ed è questa la parte recente e sorprendente dell'indagine, che mai nessun grande quotidiano e casa editrice ha ancora voluto neppur lontanamente sfiorare. Lo capirete bene, il perché.
Oggi voglio raccontarlo perché ho scoperto che questa signora è morta poco tempo fa e perché il nostro amore ciclistico ha bisogno di storie forti e di grande dignità umana.
Spero di non annoiarvi con cose che all'inizio parranno antiche, perché vedrete come la storia, che pare sì antica, arrivi invece sino quasi ai giorni nostri e alla grande finanza familiare ancora imperante.
A fra poco per la storia di Ottavio Bottecchia, assolutamente attuale e degna di un film.
Gino è certamente l'uomo del ciclismo, il ciclista che più di ogni altro ha incrociato la Grande Storia (dal Tour del '48 vinto in un clima da guerra civile in Italia al grande ruolo avuto nel salvare centinaia di ebrei, rom, sinti ed altri ricercati come soldati alleati, oltre ad altri svariati numerosi aneddoti), ma il ciclismo (sport popolare nel senso più nobile del termine) ha tanti altri esempi da narrare. Anche esempi che dalla storia attendono ancora il dovuto riconoscimento, di merito e di verità.
STORIE MALEDETTE
Per questo voglio parlare della storia e delle tragiche vicende personali vissute da due campioni di ciclismo, un italiano ed un tedesco uccisi dalle loro dittature: Albert Richter ed Ottavio Bottecchia.
Non voglio rubare il ruolo all'inarrivabile Morris, lo storico del ciclismo (e non solo) per eccellenza, voglio solo raccontare due storie che mi hanno molto colpito e nel primo caso mi sono anche appassionato a fare una mia personale ricerca per avere riscontri, dopo una confidenza fattami qualche anno fa da una signora milanese che mi aveva detto che "Bottecchia non era morto per un incidente, ma perché un potente lo aveva messo a tacere per evitare uno scandalo; e di morti in quella storia ce n'erano altri".
In primis avevo preso la storia come una delle classiche leggende degli italiani, o come la morte e resurrezione di Paul McCartney , e presuntuosamente non mi ero preso nota dei particolari pensando alla ottuagenaria età della elegante sciura di Corso Vercelli, cliente di una negoziante mia amica. Accidenti a me che sono cresciuto con due nonni che erano un libro aperto, che mi hanno reso curioso e mi hanno affascinato all'indagine ed alla ricerca storica, sebbene il mio interesse sia, come dire, minimalista, ovvero che mi interessano le "piccole" storie degli uomini. E' così in fondo che, come tanti, mi sono innamorato degli scritti di Big Morris.
Per fortuna il particolare racconto della signora mi era rimasto in mente, mi era venuta la curiosità di ricercare tutte le informazioni su Bottecchia e sulla sua "strana" tragica fine, e mi accorsi come, mettendo assieme una bella trasmissione a lui dedicata dalla friulana Gloria De Antoni, un dettagliato articolo di un quotidiano ed un libro con una ottima ricerca di archivio giornalistico, la versione dei fatti emergente confermasse le parole della signora.
La verità era lì sotto gli occhi di tutti; bastava volerla osservare sotto un filo di polvere. Ma non si volle perché non si poteva. Già, perché non si poteva? Ed è questa la parte recente e sorprendente dell'indagine, che mai nessun grande quotidiano e casa editrice ha ancora voluto neppur lontanamente sfiorare. Lo capirete bene, il perché.
Oggi voglio raccontarlo perché ho scoperto che questa signora è morta poco tempo fa e perché il nostro amore ciclistico ha bisogno di storie forti e di grande dignità umana.
Spero di non annoiarvi con cose che all'inizio parranno antiche, perché vedrete come la storia, che pare sì antica, arrivi invece sino quasi ai giorni nostri e alla grande finanza familiare ancora imperante.
A fra poco per la storia di Ottavio Bottecchia, assolutamente attuale e degna di un film.