E' stato il primo ciclista a segnare un epoca. A contribuire alla sua leggenda, aldilà delle grandi imprese sportive, anche la sua storia particolare di emigrante e la morte precoce, avvenuta in guerra, a soli 35 anni, nel 1917. Nato il 18 ottobre 1882, a Plessé, vicino a Nantes, Lucien Mazan, ad otto anni, emigrò a Buenos Aires, dove la famiglia aveva aperto una orologeria. Qui, si trasformò ben presto in fattorino, conoscendo la bicicletta come peculiare mezzo di lavoro e di crescente passione.
Nel giovane Lucien, arrivò dunque naturale la voglia di cimentarsi in quelle corse su pista che, nel continente americano, erano, di fatto, il ciclismo di quell'era. Quando gli stimoli divennero inalienabili, per correre, fu costretto ad inventarsi lo pseudonimo, poi divenuto immortale, di Petit Breton, affinché al padre, che non lo voleva corridore, non giungessero i richiami e gli echi dei suoi immediati e crescenti successi. Il genitore scoprì l'imbroglio del figlio quando questi, avviandosi ai diciotto anni, era già benissimo in grado di mantenersi da solo, in virtù dei proventi della sua notorietà. Senza il fisico del velocista, ma coi soli nervi ed un'intelligenza fuori dal comune, Petit Breton si permetteva di lasciarsi dietro via via i migliori velocisti del continente. Decise così di tornare in patria, alla ricerca di quella dimensione internazionale impossibile in Argentina.
Giunto in Francia nel 1902, ed immediatamente chiamato "l'Argentino", divenne da subito un riconoscibile dei velodromi, portando i suoi baffi neri a sfrecciare sui più, ma il suo fisico era troppo distante dal necessario, per competere negli sprint mondiali coi geni velocistici di Jacquelin, Taylor, Ellegard, Arend e Puolain. Li poteva battere in tornei, ma non gli poteva riuscire di superarli in successione, in una competizione come i campionati mondiali. Petit Breton però, fascinoso, colto ed elegante nel privato, sapeva trasformarsi in una furia sulla bici, ed era troppo intelligente per non capire quali fossero gli idonei confini della sue capacità.
Allungò così le distanze, trasformandosi in fondista e stradista, divenendo ben presto corridore, tanto completo quanto ardimentoso. Esordì su strada proprio nel 1902, sulla tremenda Bol d'Or: una gara pazzesca, che imponeva 24 ore ininterrotte in sella. Giunse secondo, ma nel 1904 vinse stracciando tutti, percorrendo ben 852 chilometri. Nel 1905 si cimentò al Tour de France, giungendo quinto nella classifica finale. Pochi giorni dopo, il 24 agosto, sulla pista parigina di Buffalo, stabilì il Record Mondiale sull'Ora, togliendolo all'a-mericano Hamilton, percorrendo 41,110 chilometri. L'anno successivo migliorò la sua prestazione al Tour de France giungendo quarto e si schierò sulle grandi classiche di un giorno, vincendo la Parigi-Tours. Nel 1907 arrivò solo sul traguardo della prima Milano-Sanremo della storia e si aggiudicò il suo primo Tour, vincendo pure due tappe. L'anno successivo bissò il successo nel Tour de France, dominandolo con fare tanto perentorio quanto spettacolare. Vinse quattro tappe, annichilendo le resistenze dei più forti stradisti dell'epoca, ignaro dei pericoli delle strade, fino a trasformarsi, specie nella discesa del Ballon d'Alsace, in un ardito equilibrista. Suggellò il suo dominio di stagione vincendo, in perfetta solitudine, la Parigi-Bruxelles, quindi il Giro del Belgio, dove aggiunse al successo finale pure quattro tappe. La sua furia agonistica ed il fare di personaggio opposto nella vita d'ogni giorno, lo elessero definitivamente beniamino del pubblico. Dal 1909, quando vinse il Giro di Catalogna, iniziò il suo lento declino, forse dovuto agli sforzi a cui s'era sottoposto per arrivare ad eleggersi leggendario.
Ancora qualche acuto, come nella tappa del Giro d'Italia 1911 (l'unico a cui partecipò) conclusasi a Torino e tanti ritiri, forse perché non sopportava di vedersi davanti atleti che un tempo dominava. Un incidente sul fronte delle Ardenne durante la Prima Guerra Mondiale gli procurò ferite tali da non riprendersi più. Morì a Troyes il 20 dicembre 1917. Fra i tanti ricordi di questo grande, ci restano pure invenzioni geniali, come quella della borsetta portatile da legare al sellino con gli attrezzi di prima necessità, per affrontare le autentiche avventure delle gare del tempo. O quelle scellerate condotte di corsa, che avevano lo scopo di intimidire psicologicamente gli avversari.
Maurizio Ricci detto "Morris"