Nato a Parigi il 25 settembre 1891, deceduto a Champigny il 2 maggio 1964. Professionista dal 1911 al 1927 con 13 vittorie all’attivo.
Un gigante di questo sport, per il filone più vero e popolare del ciclismo, ovvero quello dei “forzati della strada”. Grande scalatore, ha segnato la storia del Tour de France sia per le sue significative vittorie di tappa, che per l’incredibile stoicismo dimostrato. Nel 1919, vinse da fuoriclasse ben 4 frazioni, le più difficili. Nel tappone pirenaico, che da Bayonne si concludeva a Luchon, rintuzzò l’attacco dell’italiano Lucotti e si involò in un assolo leggendario, superando Tourmalet, Aspin e Peyresourde, fino a giungere al traguardo con 18 minuti sul belga Lambot (che poi vincerà il Tour) e oltre mezzora sugli altri grandi. Rivinse in solitudine tutte le tappe alpine, a Nizza, a Grenoble e nel “festival” finale di Genève, dopo aver superato, in solitudine ed in successione, Lautaret, Galibier e Aravis. A Parigi chiuse 5°.
Nel 1920, invece, non vinse tappe, ma passò definitivamente alla storia come un’icona del ciclismo eroico o di chi ancora intende questo sport (checché se ne dica ben oltre il 50% di chi segue il ciclismo), come un sadico affresco di forzati della strada. Dopo diverse sfortune, nella frazione che si concludeva ad Aix en Provence, subì, non per colpa sua, una caduta devastante. Si rialzò dopo qualche minuto, stordito, sanguinante e con dolori lancinanti. Pensò ad una commozione cerebrale, perché all’occhio sinistro non vedeva più nulla, ciononostante ripartì e non solo finì la tappa, ma l’intero Tour, che chiuse 8°. Solo a fine gara, si seppe che in quella caduta si era rotto una clavicola, slogato un polso, ed una scheggia di pietra gli aveva tranciato irrimediabilmente una cornea. Cieco ad un occhio, con una protesi vetrosa che ogni tanto perdeva e sostituiva alla meglio, nel 1921 vinse la Parigi-Saint Etienne e nel Tour de France, rivinse una tappa, la Geneve-Strasbourg, ripassò primo sul già leggendario Galibier e chiuse incredibilmente 3° a Parigi. Continuò a correre ed ogni tanto a vincere, come nella famosissima e terrificante Bol d’Or, sua nel 1925 e nel 1927.
Maurizio Ricci detto "Morris"