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    Publio Ovidio Nasone "Metamorfosi"

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    Publio Ovidio Nasone "Metamorfosi" Empty Publio Ovidio Nasone "Metamorfosi"

    Messaggio Da Lemond Lun Dic 29, 2014 9:17 am

    L'estro mi spinge a narrare di forme mutate in corpi nuovi, oh Dei seguite con favore la mia impresa.
    Prima del mare, della terra e del cielo, che tutto ricopre, unico e indistinto era l'aspetto della natura e lo chiamarono Caos. Nessun Titano ancora donava al mondo la luce, né Febe ricolmava crescendo la sua falce, né ... nulla riusciva mantenere una sua forma. Un dio, e una più benigna disposizione della natura, sanò questi contrasti: il fuoco sprizzò e si stabilì nella regione più alta; subito sotto c'era l'aria; la terra assorbì gli elementi più grossi e rimase in basso, premuta dal proprio peso; l'acqua, fluida, occupò gli ultimi spazi, avvolgendo tutto in giro, la massa solida del mondo.
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    Messaggio Da Lemond Mer Gen 07, 2015 8:32 am

    E come il cielo è suddiviso, così il Dio si preoccupò di separare le zone della terra: quella mediana è inabitabile per la calura, alta neve ne copre un'altra parte, mentre, fra questa e quella, collocò le zone temperate, mescolando ardore e frescura. Neppure ai venti il fabbricatore del mondo permise di dominare disordinatamente: Euro si ritirò dalla parte dell'auròra, Zèfiro invece sta dalla parte dell'occidente, Borea, che aggghiaccia, invase la Scizia e il settentrione, mentre le regioni opposte sono sempre umide, per Austro che apporta pioggia. E su tutto il dio collocò l'ètere limpido e imponderabile, che nulla ha della feccia terrena.
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    Messaggio Da Lemond Sab Gen 17, 2015 10:33 am

    Aveva appena così distinto ogni cosa, assegnando confini precisi, ma ancora mancava un essere più nobile, dotato di più alto intelletto e nacque l'uomo, plasmato da Promèteo. Mentre gli altri animali stavano curvi, guardando il suolo, all'uomo Egli dette il viso rivolto verso l'alto. Così quella terra, che fino a poco prima era grezza e informe, assunse le figure mai viste di uomini.
    Fiorì per prima l'età dell'oro: senza bisogno di leggi, si onoravano la lealtà e la rettitudine e la terra produceva ogni cosa da sé: primavera eterna. Ma quando Saturno fu spedito nel Tartaro e il mondo si ritrovò sotto il segno di Giove, subentrò l'età dell'argento. Jupiter ridusse la durata originaria della primavera e introdusse le quattro stagioni e per la prima volta gli uomini dovettero ripararsi in grotte e capanne, seppellire in lunghi solchi i semi di Cerere e i giovenchi gemettero sotto il peso del giogo. Seguì, per terza, l'età del bronzo, d'indole più crudele e più pronta ad usare le orribili armi; però non fu la più dura, perché incombeva l'età del ferro duro. Sad
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    Messaggio Da Lemond Dom Gen 25, 2015 9:21 am

    D'improvviso, in quell'epoca di tempra maggiore, irruppe ogni empietà; sul suolo, prima comune a tutti, come la luce del sole e l'aria, l'agrimensore tracciò lunghi confini. E non soltanto si pretendeva che la terra desse messi e alimenti, ma si discese nelle sue viscere, così il ferro pernicioso e l'oro ancora più pernicioso del ferro, furono portati alla luce. Compare la guerra, si vive di rapina, l'ospite non può più fidarsi dell'ospite e anche i fratelli di rado si risparmiano e il figlio fa i conti sugli anni del padre, prima del tempo. Neppure le eteree altezze dovevano restare più sicure; raccontano che i Giganti, aspirando al regno, ammassassero dei monti, su, fino alle stelle. Allora il padre onnipotente scagliò il fulmine e quei corpi spaventosi giacquero, travolti dalla loro stessa costruzione. La Terra s'inzuppò del molto sangue sparso e mentre era ancora caldo, lo rianimò, perché non sparisse del tutto ogni traccia di quella stirpe e ne ricavò esseri dall'aspetto di uomini. Ma anche questa schiatta fu spregiatrice degli dèi e assetatissima di stragi crudeli. Si capiva che era nata nel sangue. Sad
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    Messaggio Da Lemond Lun Feb 02, 2015 8:47 am

    Quando il figlio di Saturno vide questo dalla sua rocca, gli si infiammò il cuore di ira e convocò l'assemblea, C'è in alto nel cielo una via, che può essere vista quando è sereno; si chiama Lattea e da lì passano gli dei per recarsi alla reggia del Tonante. Quando tutti gli dèi furono seduti nell'interno marmoreo, Giove, dall'alto del suo trono appoggiandosi sullo scettro d'avorio, tre o quattro volte scosse la chioma terrificante, tutto fece tremare e: "Mai fui più in ansia di ora per il dominio del mondo, neppure quando i mostri dai piedi serpentiformi ... Per quanto feroce fosse il nemico, era un gruppo solo, ma ora, sul mondo devo distruggere la razza umana dappertutto! Abbiamo semidei, abbiamo divinità campestri che ancora non ci sembrano degni del cielo, allora permettiamo loro di abitare la terra, che abbiamo concesso, ma voi credete che possono stare tranquilli, dopo l'insidia che Licaone, famigerato per la sua ferocia, ha tramato contro di me?" Tutti fremettero e, ardendo di sdegno, chiesero a gran voce la punizione di chi tanto aveva osato. Il Padre degli dèi sedò il tumulto e riprese a parlare: "Egli ha già pagato il fio, non temete, comunque vi spiegherò che cosa ha fatto e come mi sono vendicato".
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    Messaggio Da Lemond Mar Feb 10, 2015 9:35 am

    Era giunto alle Nostre orecchie l'infamia di quest'epoca e calai dall'Olimpo, per andare sulla Terra con aspetto umano. Inutile stare ad elencare tutte le scelleratezze che trovai da ogni parte. Feci capire che era arrivato un dio e il popolo si era messo a pregare. Licàone si fa beffe di quei pii e poi dice; "Voglio proprio accertare, con una prova infallibile, se questo dio non sia per caso u n mortale". Di notte, quando sarei stato immerso nel sonno, mi avrebbe ucciso a tradimento: era questa la prova che intendeva. Ma, come se non fosse abbastanza, sgozza con una spada un ostaggio, mandatogli dal popolo dei Molossi. Allora io, con fuoco vendicatore, faccio crollare su sé stessa quella casa degna del suo padrone. Lui fugge atterrito e, raggiunti i silenzi della campagna, si mette a ululare; invano si sforza di emettere parole. La rabbia gli sale alla faccia dal profondo del suo essere, le vesti trapassano in pelame, le braccia in zampe: diventa lupo. Ma questo, per l'età del ferro, non basta e allora al più presto paghino tutti la pena che meritano! Così è deciso!
    Parte degli dèi approva apertamente le parole di Giove, altri si limitano a cenni di assenso, comunque la distruzione del genere umano addolora tutti e vorrebbero sapere che aspetto avrà la Terra, una volta priva di essi. Ma il loro sovrano li invita a non temere - penserà lui a tutto - promettendo una stirpe diversa dalla prima, una stirpe di origine prodigiosa.
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    Messaggio Da Lemond Mer Feb 18, 2015 9:57 am

    E già si accingeva a spargere fulmini su tutta la Terra, ma gli venne il timore che l'etere sacro potesse incendiarsi e le armi fabbricate dalle mani dei Ciclopi sono allora riposte e decide una pena diversa: distruggere il genere umano, rovesciando pioggia da tutto il cielo. Subito rinchiude negli antri di Eolo, Aqulone e ogni altro vento che disperda gli ammassi di nubi e libera invece Noto. Ammantata di vari colori, Iride attinge acqua e apporta alimento alle nuvole: le messi sono travolte, il contadino piange vedendo stese al suolo le sue speranze e distrutta la sua fatica. Anche Nettuno, il suo fratello azzurro, gli presta man forte con altra acqua. Traboccano i fiumi e si gettano in aperta campagna e anche se qualche casa rimane e riesce a reggere a tanta furia senza crollare, le acque la superano e sommergono il tetto. Ormai non c'è più differenza fra acqua e terra, tutto è ormai un mare senza sponde. Nuota il lupo fra le pecore, la corrente trascina i leoni e le tigri; a nulla più serve la forza fulminea o le gambe veloci e neppure le ali, perché, dopo aver a lungo cercato una terra su cui posarsi, l'uccello sperso precipita in mare. La stragrande maggioranza degli uomini è portata via dalle onde, quelli risparmiati li domerà il digiuno!
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    Messaggio Da Lemond Gio Feb 26, 2015 8:53 am

    La Fòcide era una terra ferace, finché era stata terra, ma in quel momento vaste distese di acque, cresciute all'improvviso. Lì un monte si leva altissimo: il Parnaso e fu in questo luogo che Deucalione approdò, su una piccola barca, con la compagna e subito si misero insieme a pregare le ninfe della grotta Coricia e Temi, la dea che predice il destino e che era signora dell'oracolo. Mai ci fu un uomo più buono di lui e amante della giustizia e mai ci fu donna più timorata di lei e Giove quando vide i due esseri innocenti e devoti, squarciò la coppa di nubi e disperse i nembi con Aquilone. Cessò anche la furia del mare, i fiumi calano e si vedono rispuntare i colli e ... Il mondo era tornato come prima e Deucalione così parlò a Pirra:"Sorella e moglie mia, unica donna superstite, in che stato d'animo saresti, poverina, se fossi scampata alla morte senza neppure me? Come riusciresti da sola a sopportare la fatica? Io, credimi, se il mare avesse inghiottito anche te, ti avrei seguito." Così disse e decisero di pregare e di chiedere aiuto al sacro oracolo. "Dicci, o Temi, con quale mezzo si può rimediare alla rovina della nostra specie?" La dea si commosse e dette questo responso: "Andando via dal Tempio, velatevi il capo e slacciatevi le vesti, gettando dietro le spalle le ossa della grande madre". Pirra non capiva, ma Deicalione arguì che la grande madre fosse la terra e per ossa si dovessero intendere le pietre ed erano quelle che, secondo lui si dovevano gettare dietro le spalle. Pirra rimase scossa, ma che male c'era tentare? I sassi cominciarono a perdere la lo durezza, ad ammorbidirsi a poco a poco e a prendere forma e in breve tempo quelli scagliati da Deucalione divennero uomini, mentre gli altri donne. Per questo siamo una razza dura e rotta alle fatiche e i nostri atti provano di che origine siamo.
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    Messaggio Da Lemond Mar Mar 10, 2015 9:29 am

    Quando la terra, fangosa per il diluvio, si asciugò, aveva partorito un'infinità di specie: in parte riprodusse le forme di una volta, in parte creò mostri sconosciuti. Certo essa non avrebbe voluto, eppure generò anche te, immenso Pitone, serpente mai visto prima, che divenisti il terrore dei popoli rinati. Febo, il dio che porta l'arco, ma che fino allora si era servito di quell'arma soltanto contro i cerbiatti e i caprioli, uccise quell'essere, ma dovette seppellirlo sotto mille frecce e svuotare quasi la faretra, prima che morisse in un lago di sangue velenoso, uscito dalle nere ferite. E perché il tempo non potesse cancellare la memoria della gloriosa impresa, istituì le solenni gare, chiamate Pitiche dal nome del serpente vinto. Lì, i giovani che vincevano con il braccio, con le gambe o con il cocchi erano incoronati con una ghirlandina di rovere, l'alloro non esisteva ancora e Febo si cingeva le tempie con le fronde di un albero qualsiasi.
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    Messaggio Da Lemond Lun Mar 16, 2015 9:42 am

    Il primo amore di Febo fu Dafne, dovuto all'ira crudele di Cupido, con il quale aveva avuto un diverbio e il figlio di Venere gli disse:"Il tuo arco trafiggerà tutto, o Febo, ma il mio ti trapassa!" Dopo di che, dalla faretra estrasse due frecce di opposto potere; la prima (che suscita amore) raggiunse il Dio e con l'altra (che lo scaccia) colpì Dafne. Subito lui si innamora, mentre la ninfa non vuol sentir neppure pronunciare la parola e il suo desiderio maggiore è quello di una perpetua verginità. Febo la concupisce, ma lei fugge, più svelta di un venticello e non si arresta quando egli cerca di trattenerla con soavi parole. Apòllo non ha più la pazienza e si mette a incalzarla da presso e l'inseguitore corre di più e, alla fine, stremata dalla fatica, si rivolge al padre Peneo: "Se voi fiumi avete qualche potere, dissolvi, trasformandola, questa figura per la quale sono troppo piaciuta!" Ha appena finito di parlare, che la preghiera è esaudita e diventa un alloro. Anche così Febo la ama e stringe fra le sue braccia i rami e sussurra: "Perché non potrai essere mia moglie, sarai almeno il mio albero e sempre porterò sulla chioma le tue fronde. Tu sarai con i condottieri, quando liete voci intoneranno il canto del trionfo e starai pure, fedelissimo custode, ai lati della porta della dimora di Augusto, a guardia della corona di foglie di quercia."
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    Messaggio Da Lemond Lun Mar 23, 2015 9:17 am

    C'è un bosco, nell'Emònia che rappresenta un po' il sacrario del grande fiume Peneo e il padre di Dafne governava le sue acque. E qui arrivarono tutti i fiumi della regione, incerti se doversi rallegrare con lui o consolare. Soltanto Inaco mancava, ritiratosi nel fondo della sua grotta, prostrato dal dolore per la scomparsa della figlia Io. Non trovandola da nessuna parte, in cuor suo temeva il peggio!
    Giove aveva visto Io, che tornava dal fiume paterno e se ne era invaghito e, nonostante che la fanciulla cercasse di fuggire, il dio nascose la terra per un gran tratto sotto una fitta caligine, fermò la sua fuga e le rapì il pudore. In quel mentre Giunone aveva rivolto lo sguardo verso l'Argòlide e, vista la notte in pieno giorno, ordinò alle nebbie di dileguarsi. Giove aveva presentito l'arrivo della consorte ed era riuscito a mutare la figlia di Inaco in una giovenca. La figlia di Saturno elogia l'aspetto della vacca e chiede al marito di regalargliela. Così Giunone ebbe in dono la rivale e la affidò ad Argo, figlio di Arèstore, affinché la sorvegliasse. Argo aveva il capo contornato di cento occhi, che si riposavano a turno, mentre gli altri continuavano a fare la guardia. Io ritornò alle rive dell'Inaco, dove aveva giocato e si mise a seguire il padre e le sorelle e, per invocare aiuto, tracciò lettere sulla sabbia col piede. Che disgrazia! Esclamò Inaco, sei tu la figliola mia che ho cercato per tutto il mondo! (segue)
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    Messaggio Da Lemond Lun Mar 30, 2015 1:10 pm

    Ma Giove non può più sopportare che Io soffra tanto, chiama Mercurio e gli ordina di uccidere Argo. Il figlio di Giove si mette le ali ai piedi e, travestito da pastore, sospinge per campi fuori mano alcune caprette che ha rubato mentre passava e suona una canzone. Argo rimane affascinato dai suoni e invita il dio a sedersi con lui per chiacchierare in modo piacevole, ascoltando altresì il suono della zampogna. Ad un certo punto Mercurio si accorge che tutti gli occhi di Argo stavano cedendo alla melodia e subito attenua la voce e rafforza invece il sopore, accarezzando con la magica sua verga le palpebre illanguidite e, risolutamente, con la spada a forma di falce, lo colpisce dove la testa confina con il collo! Giunone, a questo spettacolo, è ardente d'ira e si sfoga facendo apparire davanti alla rivale l'orribile Erinni e le caccia nel petto un invisibile pungolo, così da renderla atterrita e costretta a correre per tutto il mondo. Per il suo fedele Argo non può far niente se non, in ricordo di lui, fissare gli occhi sulle penne del pavone e costellandogli la coda di gemme sfavillanti.
    Giove si arrende e getta le braccia al collo della consorte, chiedendole di porre termine alla punizione di Io. Giunone al fine si placa e la ninfa può tornare alle sue forme natie.
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    Messaggio Da Lemond Mer Apr 08, 2015 9:40 am

    Fetonte, figlio di Climene, credeva che l'altro suo genitore fosse il Sole, perché sua madre così gli aveva giurato e volle conoscerlo. Dopo un lungo percorso, giunse alla Reggia del Sole e, appena entrato subito si recò al cospetto del padre putativo, fermandosi a distanza tale da poterne sopportare la vista. Con gli occhi, con cui scorge ogni cosa, il dio osservò il giovane intimorito e gli si rivolse: "Che cosa cerchi, Fetonte, rampollo mio che mai rinnegherei?" E lui rispose: "Febo, padre, se Climene non dice il falso, dammi una prova per cui ognuno sappia di chi sono figlio". - Non c'è ragione che io neghi che sei mio e per levarti ogni dubbio, chiedi quello che vuoi e l'otterrai -. Fetonte subito gli domandò il permesso di guidare per un giorno il cocchio con i destrieri dai piedi alati. Febo, immantinente, si pentì di quanto aveva promesso e cercò in tutti i modi di dissuadere il figlio, perché neppure Giove poteva stare su quel cocchio. Ma il giovane non vuol sentir ragione e insiste nella sua pazza idea, perché la smania di guidare si è impossessata di lui e allora, il genitore, incatenato alla promessa, lo conduce all'alto cocchio, dono di Vulcano. Sad
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    Messaggio Da Lemond Mer Apr 15, 2015 12:37 pm

    Il carro era splendido e, mentre l'audace Fetonte contemplava tale meraviglia, dall'oriente Auròra spalancò i battenti purpurei. Fuggono le stelle e Lucifero lascia per ultimo il campo del cielo. Non appena vide Lucifero scendere verso la terra e il mondo tingersi di rosso, il Titano comandò alle Ore veloci di aggiogare i cavalli, spalmò un sacro medicamento sul volto del figlio e disse: "Evita, ragazzo mio, di spronare e serviti piuttosto delle briglie, per calmarli, perché hanno tendenza a correre e, appunto il difficile è frenare la loro foga. Affinché il cielo e la terra ricevano il giusto calore non spingere né in alto né in basso il cocchio, a mezza altezza adempierai il tuo compito". Per il resto, pensò, mi affido alla Fortuna, che ti aiuti più di quanto saprai fare tu stesso.
    Balza Fetonte col suo giovane corpo sul cocchio volante, felice di stringere le briglie, mentre i cavalli riempiono l'aria di fiammeggianti nitriti e scalpitano, percuotendo con gli zoccoli i cancelli e, non appena Teti li apre, si slanciano fuori. Ma il peso è leggero, non quello che conoscono i destrieri del Sole e così il carro sobbalza nell'aria con grandi scosse e quasi sembra vuoto! Sad
    Non appena se ne accorgono, lasciano la pista usuale e si mettono a correre in modo disordinato! Lui si spaventa e non sa da che parte tirare le briglie e neppure dov'è la strada!
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    Messaggio Da Lemond Ven Apr 24, 2015 11:54 am

    Quando poi l'infelice Fetonte si volse a guardare la terra, che si stendeva lontanissima in basso, un improvviso sgomento gli fece tremare i ginocchi e, in mezzo a tutta quella luce, un velo di tenebra gli calò sugli occhi e si pentì di aver avuto la prova della sua origine. Sad Dietro le spalle si è lasciato una buona parte del cielo, ma davanti ce n'è di più e non sa proprio che fare. Ad un certo punto, il fanciullo spaventato lascia andare le briglie e naturalmente i cavalli si mettono a correre a caso. Con stupore la Luna vede passare i destrieri del fratello sotto i suoi, mentre le nuvole ribollono e fumano. Grandi città sono distrutte e gli incendi riducono in cenere intiere regioni; Fetonte non resiste più a quel calore, perché si accorge che anche il cocchio si fa incandescente. Dicono che fu allora che il popolo degli Etiopi divenne di colore nero, che che la Libia diventò un deserto e molti fiumi si seccarono. Solo allora il padre onnipotente, chiamati a testimoni tutti gli dèi (compreso il Sole che aveva prestato il carro), salì in cima alla rocca e lanciò un fulmine contro il cocchiere, sbalzandolo via dal carro e dalla vita, mentre arrestò gli incendi con un'altra fiammata. Il padre Elio era affranto dal dolore e, se dobbiamo crederci, dicono che per tutto un giorno non si fece vedere. Quanto a Climene andò in giro per tutta l'ecumene  alla ricerca del corpo o delle ossa. Dicono che alla fine trovò un tumolo con inciso il nome del figlio scomparso.
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    Messaggio Da Lemond Dom Mag 03, 2015 10:25 am

    Il padre di Fetonte, disfatto e senza più neppure il suo splendore, come suole essere quando si eclissa, detesta la luce e sé stesso e si abbandona al dolore, ma anche all'ira e si rifiuta di servire il mondo. Dice: "Fin dal principio dei tempi il mio destino è stato faticoso, ora basta. Sono stanco di affannarmi, sempre senza tregua e ricompensa. Che sia qualcun altro a guidare il cocchio che porta la luce! E se non trova nessuno, che lo guidi Lui, così, occupato a usare le redini, lascerà stare i fulmini, che ammazzano i figli alla gente". Tutti gli dèi gli si stringono intorno, pregandolo di non immergere il mondo nelle tenebre. Giove stesso si scusa di aver scagliato il fulmine e, da bravo re, alle preghiere unisce minacce. Il Sole si piega, raduna i cavalli ancora folli di terrore e, pieno di dolore, li sprona e li frusta crudelmente, rinfacciando loro la morte del figlio. Sad
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    Messaggio Da Lemond Sab Mag 09, 2015 9:10 am

    Giove fece il giro delle grandi mura del cielo, per verificare se non rischiassero di crollare, dopo l'enorme violenza del fuoco, ma fu rassicurato. Allora si preoccupò della sua diletta Arcadia, ove rimise a posto fonti e fiumi, ridonò l'erba alla terra, le fronde agli alberi e fece verdeggiare le selve sciupate. Mentre così andava e veniva, rimase colpito da una vergine di nome Callisto. Costei era una perfetta soldatessa di Diana, ma in quel giorno appariva così stanca e indifesa, distesa in bosco che mai nei secoli aveva visto la luce e il padre supremo disse fra sé: "Di questa scappata almeno mia moglie non saprà nulla". E subito assume l'aspetto e l'abbigliamento di Diana e la interroga su dove è stata a cacciare? Ma, mentre ella si accinge a rispondere, la blocca in un amplesso e, compiendo il misfatto, si rivela. Callisto si ribella, ma quale fanciulla, o chi altro, potrebbe vincere il sommo Giove? 
    Ecco che, di lì a poco, Diana la scorge e le chiede di unirsi al gruppo delle sue ninfe. Ma quanto è difficile non tradire la colpa con il viso: leva appena gli occhi da terra, ma, se non fosse che è una vergine, Diana potrebbe intuire il misfatto da mille segni e infatti le ninfe capirono, si dice.
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    Messaggio Da Lemond Dom Mag 17, 2015 10:07 am

    La consorte del gran Tonante aveva capito da un pezzo, ma aveva rinviato la punizione a un momento più adatto, che arriva quando alla rivale nasce un bambino: Arcade. Le toglierà quelle forme, di cui si compiace tanto e che tanto attirano suo marito! Ella tendeva le braccia, implorando pietà, ma le braccia cominciavano a farsi ispide di nero pelame e le mani a curvarsi e allungarsi in adunchi unghioni e a fungere da piedi, mentre il viso si deforma in un largo ceffo e le fu anche tolto il dono della parola: dalla gola roca esce un suono iracondo e minaccioso, che incute paura. Anche se fatta orsa, però, conserva la mente e manifesta la sofferenza con continui gemiti e lava in alto le mani, per significare che Giove è stato molto ingrato! 
    Ecco un giorno avanzare Arcade, il figlio oltre che nipote di Licaone, che a quindici anni è ignaro della sorte toccata alla genitrice. Inseguiva la selvaggina, quando, a un tratto, incontra sua madre e si preparava a trapassarle il petto con un dardo. L'Onnipotente lo impedì, li bloccò entrambi e, sollevatili in aria con un vento veloce li collocò nel cielo, facendone due costellazioni vicine.
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    Messaggio Da Lemond Lun Mag 25, 2015 10:28 am

    Chirone e Ocifroe


    Il centauro era fiero del suo pupillo di stirpe divina (Esculapio) ed era felice che Febo glielo avesse consegnato per prenderne cura. Ma ecco che arriva la propria figlia Ocifroe (che significa correre veloce). Costei non si era accontentata di apprendere le arti del padre e conosceva altresì i segreti del destino e così disse: "Cresci o fanciullo apportatore di salute a tutto il mondo! Spesso i corpi dei mortali ti dovranno la vita, ma quando avrai troppo osato, il fulmine di Giove, tuo avo, ti impedirà di continuare e, da dio che sei, diverrai corpo esangue, anche se poi tornerai ad essere dio, ripetendo due volte il tuo destino! Anche tu, caro padre mio, che ora sei immortale, un giorno desidererai di poter morire, quando sarai tormentato dal veleno di un terribile serpente, che ti si spanderà nelle membra attraverso una ferita e gli dèi, da eterno che sei, ti renderanno soggetto alla morte e le tre Parche taglieranno il filo della tua vita". Restava ancora qualcosa da predire, ma il fato le proibisce di dire di più e le preclude, appunto, l'uso della voce e già sente che l'aspetto umano se ne va e si trasforma in una cavalla, anche se suo padre era equino solo a metà. La voce e l'aspetto erano cambiate insieme e, dopo quel prodigio, acquistò anche un nuovo nome.

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