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    La Questione Animale

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    Messaggio Da Lemond Mer Giu 25, 2014 9:47 am

    Dal Trattato di Biodiritto diretto da Stefano Rodotà e Paolo Zatti, che riguarda il "de iure condendo" su molte domande che si pone l'uomo, in termini giuridici, intorno alla bioetica, mi concentrerò sull'ultimo volume che è il meno antropocentrico e forse è proprio per questo che mi attrae. Dipoi l'argomento è poco conosciuto, quindi altro motivo, ma quello fondamnetale (per me) è che è stato curato da Luigi Lombardi Vallauri.  Surprised 
    La nostra questione occupa ormai sempre più spazi in etica, ma anche in filosofia della mente, antropologia etc. Abbiamo diviso il volume in due: pregiuridico e giuridico, in modo (con il primo) da segnalare al secondo alcuni dei moventi culturali profondi che, se percepiti e recepiti dal diritto, possono produrre effetti benefici per tutti. Il rappporto diritto-mondo animale è moltiplice, perché si va da norme che privilegiano lo *sfruttamento*, considerandolo come *res* da parte dell'uomo, fino invece a quelle (più recenti) che esprimono un senso di solidarietà e di riconoscimento di una matrice naturale comune e soprattutto al dovere di non far soffrire esseri senzienti e sensibili. Certo la natura non ci aiuta in questo senso, anzi lo spettacolo che ci offre è la lotta per la vita e di dominio fra specie diverse. E proprio questo stato di cose è servito a molti per giustificare l'atteggiamento antropocentrico di gran parte dell'umanità. Ma vedremo che è una giustificazione che non regge, anzi che può essere capovolta, facendo appello ai punti di vista del valore e della soggettività.
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    Messaggio Da Lemond Gio Giu 26, 2014 8:17 am

    Valore e soggettività

    Dal punto di vista del valore il diritto, fondato sull'etica, fa quello che può nel senso di salvaguardare la biodiversità. Gli animali selvatici arricchiscono immensamente il mondo e l'uomo, sempre più antropocentrico, non si rende conto di quanto perde invadendo il miliardario (in anni) lascito della natura. Però di questo aspetto estetico-scientifico non ci siamo potuti occupare più di tanto. Il secondo punto (la soggettività) ci fa conoscere che gli animali hannno senzienza, conoscenza, intelligenza, doti e bisogni affettivi, emozioni, capacità che in condizioni favorevoli si manifestano pienamente, ma  che subiscono una mortificazione quasi totale, in quanto vittime, dentro allevamenti intensivi, impianti di macellazione industriale e laboratori di sperimentazione/vivisezione. Il diritto arriva solo con i suoi pannicelli caldi, con norme che vorrebbero essere di protezione, ma che al momento restano solo come intenzioni, ma che ...
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    Messaggio Da Lemond Ven Giu 27, 2014 9:29 am

    Dolore e disonore

    Siamo convinti che la violenza umana sugli animali, oltre che l'asservimento e il patimento subiti dalle vittime, sia proprio una questione di onore per l'uomo. L'animalismo scientifico "darwiniano" confuta la pretesa discontinuità di essenza fra l'uomo e i mammiferi, uccelli, pesci etc, mostrando l'impressionante affinità di sistema nervoso e di comportamento fra la specie dominante e quelle dominate. E questo sul piano etico è un argomento decisivo. E poi ogni prova della superiorità intellettuale/culturale dell'uomo va ancor più contro la violenza e il dominio, perché quanto più si è in alto, maggiori sono le nostre responsabilità: "noblesse obblige" e non "noblesse exempte". Smile
    Per questo all'animalismo-animalista, si deve aggiungere l'animalismo-umanista, perché poi i due tipi sono sinergici fra loro e i curatori di questo volume sono concordi nel pensare e nel sentire che la violenza merita solo pietà per il dolore degli animali, ma soprattutto per il disonore dell'uomo. Sad
    "Il fare ingiustizia è cosa peggiorew che riceverla" (Platone: Gorgia). Possano un etica e un diritto, sempre più ispirati alla non violenza, risparmiare all'uomo i vizi ancestrali e propiziare invece il pieno sviluppo della persona. Wink
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    Messaggio Da Lemond Sab Giu 28, 2014 8:20 am

    Risultati pregiuridici

    Crediamo che nessuno possa mettere in dubbio che gli animali non sono *cose* e dunque ne deriva il dovere dei dominatori umani di ridurre le loro sofferenze e di massimizzare, con le opportune differenziazioni, il loro benessere e di promuovere il pieno sviluppo delle loro capacità. E' stata dedicata un'attenzione particolare al tema dell'alimentazione carnivora, perché essa è la causa di gran lunga maggiore della violenza contro gli animali  e poi perché gli ostacoli all'affermarsi di una cultura animalista estesa non è tanto di natura etica (anche se la mamme degli imbecilli sono sempre incinte) quanto la perplessità che deriva all'uomo medio su che cosa si possa mangiare di altro e sugli effetti che produrrebbe nell'economia. La risposta si può dire che è stata sorpendente anche per noi e in sintesi, per ora, possiamo affermare che si potrebbe passare a una alimentazione vegetariana con netto guadagno, oltre che etico, ecologico, riduzione della fame nel mondo, probabile miglioramento della salute e accettabile riciclo economico, nonché del piacere per la gola.
    Quanto alla sperimentazione animale o vivisezione, la scienza stessa ci offre la possibilità di superare il dilemma etico con i c.d. metodi alternativi, che permettono di sostituire gli animali con modelli al computer. Le possibilità sono innumerevoli e solo l'inerzia mentale e la facilità di praticare protocolli già ampiamente sperimentati, fanno sì che non si imbocchi direttamente questa via, liberando gli animali da indicibili sofferenze.
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    Messaggio Da Lemond Dom Giu 29, 2014 8:49 am

    Risultati giuridici

    Tutte le ricerche registrano uno spostamento del baricentro verso una qualche considerazione per gli interessi animali ed essi sono considerati, almeno un poco, come fine e non solo mezzo. (cfr. Kant a proposito dell'uomo), ma resta comunque proponderante la prospettiva del dominio e della reificazione, generando nel sistema giuridico tensioni e antinomie che solo un progredire congiunto di legislazione, giurisprudenza e coscienza etica pubblica sembra poter ridurre.
    Una seconda osservazione d'insieme riguarda la vigenza del diritto animale, chi scrive aderisce, in sede di teoria generale, al realismo giuridico, cioè che si debba riconoscere, più che la norma formalmente valida, quella effettiva, vale a dire la regola sufficientemente osservata o dotata di una grado piuttosto alto di probabilità di essere osservata nel futuro prossimo. La domanda che ne deriva è: può dirsi il diritto animale effettivo? La risposta è no, per quanto riguarda la protezione, che limiterebbe la crudeltà; in ogni aspetto il diritto del permesso è più effettivo di quello dei limiti. Sad
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    Messaggio Da Lemond Lun Giu 30, 2014 8:48 am

    Il concetto di biodiversità

    Il termine "equilibrio ecologico" che ricorre spesso nelle rivendicazioni ambientaliste, appare fuorviante, perché la natura è sempre in una condizione di dinamismo evolutivo e quindi si può dire che la norma è data pittosto dalla perturbazione che dalla conservazione. E allora perché preoccuparsi? Prima di tutto perché il tasso di estinzione delle specie animali e vegetali è considerevolmente aumentato negli ultimi decenni e quindi non sembra potersi considerare come normale evoluzione o adattamento. In secodo luogo perché anche la specie umana potrebbe essere coinvolta in questa tendenza, nel senso cioè che essa possa andare verso una direzione che non consenta più l'esistenza dell'umanità, perché biodiversità e umanità sono legati a filo doppio e la prima è un indicatore fra i più rilevanti per la stabilità degli ecosistemi, in quanto conferisce loro la capacità di resistere alle variazioni e alle interferenze. Le monoculture e l'agricoltura industriale (ad es.) invece muovono in direzione opposta. Sad L'intervento umano è deleterio anche in altri settori, per esempio, introducendo specie non indigene, perché spesso invece di aumentare la diversità, la diminuiscono, perché possono provocare l'estinzione delle specie indigene. E questo è il motivo per il quale la Convenzione sulla biodiversità auspica la conservazione delle specie autoctone in situ.
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    Messaggio Da Lemond Mar Lug 01, 2014 8:39 am

    Antropocentrismo vs biocentrismo

    L'uomo è l'unica specie che possa fare una scelta, perché la sua condotta non è dettata solo dall'istinto e dalla necessità; da tale possibilità scaturisce la responsabilità e dunque questioni di ordine morale in merito ai criteri che possono guidarlo. Purtroppo i più frequenti allarmi circa la riduzione delle biodiversità sono spesso ispirati da un "dolore estetico" (com'era bella la natura, prima della cementificazione selvaggia). Tale tipo di obiezione può essere dato da un sentimento apprezzabile, ma non si possono fondare norme morali su istanze emotive. L'etica è una forma di riflessione e argomentazione fondata sulla ragione e ciò vale anche per l'etica ecologica. La tesi che qui si intende sostenere è che il riconoscimento della necessità pratica e il dovere morale di tutela della biodiversità costituiscono la cornice entro la quale possono trovarsi differenti posizioni. Ad esempio l'individualismo etico conferisce valore soltanto agli esseri senzienti e non ai sistemi, ma in tal modo trascura l'interdipendenza per la quale il danno a una parte si ripercuote sulle altre. Al contrario l'olismo che rischia di considerare bene la natura e male l'umano non sa che natura e morale non hanno nessuna specie di contatto. La nostra tesi, dicevamo sarà un olismo gerarchico che riconosca una gradualità nel valore intrinseco dei sistemi e dell'uomo, rinunciando a un'eguaglianza biotica difficilmente sostenibile.
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    Messaggio Da Lemond Mer Lug 02, 2014 9:37 am

    Valori intrinseci e antropocentrici

    La domanda è se alla natura debba assegnari un valore di per sé oppure solo utilitario/strumentale all'uomo. Hargrove ha dimostrato che le due cose non sono affatto incompatibili, perché la biodiversità in effetti è una risorsa. Ma buona parte delle cause di crisi ecologiche sono da ricondursi allo stile di vita che procede verso il contrario e cioè la distruzione delle biodiversità. Ad. es. si sostituiscono i prodotti agricoli tradizionali con altri più commerciabili, salvo inaridire i terreni o abbandonarli quando di questi prodotti non ci sia più richiesta oppure sostituirli con monoculture più produttive, ma più vulnerabili, a meno di non incrementare l'uso di pesticidi. Una delle minacce più recenti alla biodiversità è quella proveniente dall'impiego industriale delle biotecnologie, che sembrano preannunciare la prossima "rivoluzione industriale". Lo sviluppo dell'ingegneria genetica è assi promettente in termini di possibili cure per gravi patologie, però dobrebbe anche chiarire se le colture geneticamente modificate determinino un aumento della produzione, non in termini assoluti,  ma in confronto con la possibilità di sopravvivenza che la varietà garantisce alle popolazioni indigene, ma soprattutto se la perdita della biodiversità sia compensato dai vantaggi? Insomma, nelle valutazioni economiche, si deve tener conto anche della perdita cel "capitale naturale". E se il capitale naturale è un bene comune, il suo uso da parte delle imprese richiede quanto meno un risarcimento in termini di responsabilità sociale.
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    Messaggio Da Lemond Gio Lug 03, 2014 9:03 am

    Animali e categorie nella nostra società

    Quando si parla di animali, di solito si intende "animali d'affezione" o "da compagnia", poi esistono altre categorie, sulle quali non ricade il nostro affetto e cioè animali d'allevamento, da laboratorio, da pelliccia etc. Questi modi di dire vogliono far sembrare che gli animali siano ontologicamente (per natura) destinati ad esistere solo in funzione dell'uomo. Tale visione si trova codificata in varie forme nel nostro bagaglio culturale, non ché tradotta in una serie di pratiche più o meno istituzionalizzate, per cui il nostro scopo sarà quello di far emergere invece l'esistenza di due modelli interpretativi opposti, per dar conto delle varie tipologie di rapporto uomo-animale in vari sistemi culturali.
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    Messaggio Da Lemond Ven Lug 04, 2014 7:26 am

    Come categorizziamo gli animali

    Una prima distinzione è fra animali domestici e selvatici e "naturalmente" Wink i secondi appartengono a una dimensione *altra* e vivono in un ambiente in cui l'uomo si può sentire un intruso. Tempo fa non c'erano leggi a protezione di un simile ambiente, mentre ora qualcosa si è mosso, si pensi per esempio in Italia al lupo e all'orso bruno. La pratica venatoria è il modo principale nel quale l'uomo si è inoltrato nella "selvatichezza" e con simile attività esce dalla propria domesticità e, a sentire i cacciatori, riacquista la propria "naturalità". Wink Ma tale esplorazione e riappropriazione del naturale avviene secondo la matrice di un assoggettamento di ciò che si ritiene spetti legittimamente a LUI. Sad Si invoca a questo scopo *l'antichità della caccia* , ma non solo, si parla altresì  di una propensione genetica dell'uomo a predare e soggiogare gli animali, facendo slittare la caccia da pratica inserita in un ben preciso contesto storico a una necessità umana *metastorica*!
    Parafrasando Gaber direi: "Non c'è uomo più stupido del Cacciatore!"
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    Messaggio Da Lemond Sab Lug 05, 2014 9:07 am

    La duplice categoria degli animali domestici

    Secondo lo studioso F. Sigaut occorre distinguere tre elementi per arrivare al concetto di *domesticazione*: l'appropriazione (livello giurdico) la familiarizzazione (l. etologico) e l'utilizzazione (l. economico). Tali fattori possono esserci tutti o no. (In questo caso il famoso meno, al posto del no, non sarabbe del tutto sbagliato Wink , a differenza, ad es. "non so se vengo o meno"  diavoletto )
    Per la nostra argomentazione ci interessano i due ultimi aspetti, perché di solito sono due tendenze opposte, infatti, come scrisse V. Pelosse "une familiarité excessive est souvent une source des difficulté dans son utilisation". E appunto la distinzione netta che si fa è di solito fra aninali da allevamento (allontanati e utilizzati) e i "pet"* (familiarizzati e non utilizzati).


    *con questo termine inglese credo si intendano gli animali da compagnia.
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    Messaggio Da Lemond Dom Lug 06, 2014 8:19 am

    Animali da

    Una grave e incolmabile distanza si è creata fra la categoria di animali da produzione e l'uomo ed è quasi impossibile alla persona comune conoscere questi animali nella loro espressione di specie (la loro etologia). La distanza è tale anche in senso simbolico, nel solco tracciato dallo stereotipo "animali zootecnici - macchine per produrre". E tutto ciò non è un caso, bensì la necessità di una legittimazione culturale a certe pratiche di sfruttamento degli "animali da". L'antropologo V. Lanternari ha coniato il termine *animalicidio* a indicare l'atto di sottrazione della vita a un essere *vivente*. Nelle culture antiche tale atto necessitava di una legittimazione, ad es. riguardante il sacro, ma nel sistema industriale tutto questo è stato superato e agli animali non è riconosciuta neppure la loro animalità, cosicché esseri senzienti sono inseriti nel sistema produttivo alla stregua di macchine o parti di esse. Sad In tale contesto entrano in gioco diversi fattori di distanziamento dalla realtà scomoda della *macellazione*. I mattatoi si trovano fuori dai centri abitati e sono completamente impermeabili alla vista dall'esterno. Un altro processo di rimozione è la distorsione sia linguistica che iconica, si pensi ai termini bistecca, arrosto, ragù, hamburger etc. che non rimandano più direttamente agli animali che erano, bensì solo a prodotti come tanti altri. A ciò si aggiunge la credenza nel nostro senso comune della necessità di mangiare carne per la nostra sopravvivenza.
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    Messaggio Da Lemond Lun Lug 07, 2014 9:39 am

    Animali parenti, aiutanti. Totemismo e sciamanesimo

    Uno dei fenomeni esotici che ci attrae è il totemismo animale. L'orso, il lupo, l'aquila  sono indicati simbolicamente in certe culture come parenti ancestrali dell'uomo, non che, talvolta, protettori. Nello sciamanesimo invece svolgono il ruolo fondamentale di "spiriti ausiliari" che aiutano il
    guaritore-sacerdote nel far fronte alle sciagure umane come malattia, sventura e morte. Anche nelle nostre tradizioni popolari è possibile cogliere i segni di una tendenza zoopoietica positiva, animali magici che rammentavano all'uomo l'umiltà della propria condizione esistenziale in un mondo permeato dal sacro. Ma con la cristianizzazione questi elementi hanno finito per ridursi a mere ombre, debole eco di una ricca e molteplice dimensione relazionale uomo-animale. Si è instaurato il paradigma dell'uomo "misura di tutte le cose" ed estraneo a tutti gli altri viventi. Sad
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    Messaggio Da Lemond Mar Lug 08, 2014 7:17 am

    I pet, un fenomeno transculturale

    Come abbiamo già detto, all'apice della gerarchia si collocano i pet, cioè gli animali di compagnia e con funzione affettiva; ma in questa sede ci interessa analizzare fenomeni simili in altre culture.
    Le ricerche sull'argomento hanno dimostrato che tale rapporto esiste anche in popolazioni non "opulente", come dimostra l'es. che riguarda i karayà del Brasile, descritto da Cook nel 1909. I Karayà considerano alcuni animali domestici come membri della famiglia e la loro vita è impensabile senza e non hanno mai fatto uso economico di essi, a differenza delle popolazioni civilizzate. Gli animali sono catturati in giovane età con il solo scopo di essere tenuti come pet. Questo è solo uno dei resoconti etnografici da due secoli a questa parte in vari angoli del mondo, in certi contesti le cure si estendono al punto da prevedere l'allattamento al seno di cuccioli di animali privi della madre e quindi in pericolo di vita. Gli esempi sono molteplici e riguardano qualsiasi parte del mondo e l'etologo D. Mainardi tratta con dovizia l'esistenza di profonde motivazioni dell'uomo a dedicare attenzioni e cure a individui che non appartengono alla propria specie. Se in Amazzonia il cucciolo è un giovane maiale selvatico, in Australia un piccolo dingo, in Africa una giovane gazzella o uno sciacallo, non importa, ciò che è essenziale è l'esistenza di questa "confraternita di mutuo soccorso" propria di noi mammiferi e dei nostri cugini a sangue caldo (gli uccelli). Per comprendere meglio dobbiamo ricordare come la specie umana sia "a prole immatura", da qui la necessità genitoriale di leggere i segnali infantili e a rispondere con cure parentali. Smile
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    Messaggio Da Lemond Mer Lug 09, 2014 8:43 am

    Una prospettiva diversa sulla domesticazione

    Una favola da sfatare è che la prima domesticazione sia dovuta ai cacciatori/raccoglitori primitivi; solo a partire dalla società sedentarie si possono considerare le vere domesticazioni che, come abbiamo visto in precedenza, non sono dovute solo a mero utilitarismo. In questa visione, la lettura della storia dell'uomo, come un dipanarsi di pulsioni e competenze predatorie, necessita un ripensamento, così come il primato attribuito alla caccia sulla raccolta, nel sostentamento di varie comunità di questo tipo. Vediamo ora di tracciare un sintetico profilo di altre rappresentazioni culturali del "posto dell'uomo nella natura". 
    Un movimento sociale, nato all'incirca due secoli fa, e che oggi indichiamo con il termine "protezione animali" si colloca senza dubbio sul versante altruistico (epimeletico). Dichiara lo psicologo R. Ryder che l'opposizione alla crudeltà sia tanto antica quanto la crudeltà stessa e infatti riecheggiano ancor oggi, dall'antichità, le parole di filosofi (Plutarco, Porfirio, Pitagora ...) che deprecavano la violenza verso consimili e animali. (segue)
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    Messaggio Da Lemond Gio Lug 10, 2014 9:12 am

    Tali testimonianze ci comunicano un'empatia che supera le divisioni "noi/gli altri" per affermare un sentimento di parentela e solidarietà fra esseri mortali. Questo pensiero è però, ne siamo consapevoli, minoritario nel pensiero occidentale, contraddistinto da una visione antropocentrica. A partire da Aristotele, per il quale gli animali sono un mezzo per l'uomo (più razionale), per proseguire poi con il cristianesimo, per finire con Cartesio, che descrisse gli animali come automata, cioè macchine. Per arrivare ai giorni nostri, dobbiamo chiederci prima di tutto quanto sappiamo intorno agli animali, perché le conoscenze dell'etologia stentano a modificare credenze del senso comune, tramandate dalla tradizione. Certi animali rimangono ai nostri occhi stupidi (la gallina), furbi (la volpe), falsi (il gatto) etc, al contrario, un attento studio dei comportamenti di questi ed altri animali nel loro contesto naturale ci mette di fronte a repertori comportamentali molto articolati. Per quanto riguarda la sofferenza dei nostri "cugini" si è verificata una svolta a cavallo fra il '700 e l'800, perché solo allora il rifiuto della crudeltà divenne una delle caratteristiche prescritte per il gentiluomo e da allora anche nelle dissertazioni di intellettuali e religiosi furono contemplate la compassione verso le bestie e il tema dei diritti animali (in una trattazione "ante litteram").
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    Messaggio Da Lemond Ven Lug 11, 2014 8:23 am

    Teofrasto

    I frammenti del *Della pietà* sono di grande interesse per almeno tre motivi.
    a) rappresentano un rottura con Aristotele
    b) suggeriscono modi per innalzare la civiltà
    c) ma soprattutto ci spiegano lo sviluppo delle forme politico-religiose in un quadro straordinariamente vicino alla moderna antropologia storica.
    La prospettiva di Teofrasto non è individuale e atemporale, bensì sociale e storica e il suo obiettivo non riguarda la condanna dell'anima, ma delle usanze, perché la catastrofe comincia quando l'umanità è spinta all'errore criminale della violenza. Nella sistematica uccisione di animali a scopo sacro non vi è solo il disordine, ma il cieco proseguimento del massacro di ogni genere di vita; ciò che precisamente deve essere combattuto, se la civiltà ha un senso. Nel *Peri eusébeias*  T. ci spiega che i sacrifici umani sono tardivi e sorti dall'ingiustizia: all'inizio si offrivano agli dei solo piccoli vegetali, con la nascita dell'agricoltura si passò alle offerte di pasticcini, fiori, olio, miele, vino e frutti e solo più tardi giunse la decadenza! Uomini che tornavano dalla guerra, continuarono a versare sangue nei riti e l'acefala violenza e ingiustizia ebbero, con simile religiosità, la loro fondazione e legittimazione. Il compito di Teofrasto è di rifondare e ricollocare il sacro in uno spazio in cui sia scisso ogni suo rapporto con l'angoscia e la morte. L' "Homo necans" (uccisore) è il fondatore di una civiltà assassina, contro la quale Teofrasto ha speso tutta la sua vita.
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    Messaggio Da Lemond Sab Lug 12, 2014 9:09 am

    Animali e pietà religiosa per Egiziani e Ebrei


    Gli ebrei sacrificano animali ancora oggi, essi furono i primi ad immolare delle vittime, ma se agirono così è perché furono spinti dalla necessità, non dai loro appetiti (sostiene Teofrasto). Tutte le grandi civiltà poterono essere costruite in origine tra enormi difficoltà e con il supporto d'ingegnose finzioni. Chi non ne ha mai avuto bisogno, sempre secondo Teofrasto, è il popolo egizio che può essere collocato fra gli esempi più alti di pietà religiosa: vedevano gli animali come chiari specchi del divino e, due secoli più tardi, Porfirio scrive: "Gli Egizi hanno osservazioni filosofiche su ogni specie di animale, di modo che la saggezza e una scienza appropriata del divino, li conduce ad apprezzare ciò che la moltitudine degli ignoranti stima/va senza valore". E' dalla parola thymiasis (fumo sprigionato dai prodotti della terra) che si sono formati i termini thyein e thysia, che significano sacrificare e sacrificio e solo chi sbaglia può credere che tali termini designino la pratiche colpevoli che poi si sono sviluppate. Esse sono figlie di Ares e del Tumulto, con tutti i conflitti e fonti di guerre generati e da allora nessuno risparmiò uno solo degli esseri che gli erano prossimi. (Teofrasto "Della pietà")
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    Messaggio Da Lemond Dom Lug 13, 2014 9:47 am

    Riguardo alla condotta da tenere con gli animali, Teofrasto adotta la posizione di Pitagora e Plutarco: uomini e animali appartengono alla stessa "razza". Anche negli aspetti psichici, né il desiderio, né il furore o la rabbia li distinguono, così come la facoltà di ragionare e quindi, a differenza di quanto afferma Aristotele, deve esserci un rapporto fondato sulla giustizia. Teofrasto scavalca la dottrina dello Stagirita, incentrata sul principio ideologico/religioso, che riconosce solo nell'uomo il senso stesso dell'Universo. Le differenze fra noi sono solo di grado e se ogni vivente è una piccola increspatura nel grande oceano della vita, se non vi è differenza fra Greci e Barbari, allora un intiero orizzonte storico, con il suo portato di guerre e catastrofi, deve essere superato, per istituire un ordine più alto. Conseguenza necessaria è il vegetarismo, che apre un più alto e conciliante rapporto con la natura, che non è solo teologico, bensì arricchito dallo studio su piante e animali. In tale prospettiva la polis non è solo un modo socializzante della tradizione greca, ma soprattutto proiezione di profonde esigenze etiche. Eusébeia è il giusto mezzo fra l'ateismo e la ben più dannosa superstizione: l'anelito dell'umanità verso il divino e il reciproco che s'incontrano nel cerchio della pietà. La pietà come auròra della giustizia e "santificazione" della vita.
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    Messaggio Da Lemond Lun Lug 14, 2014 9:04 am

    Umani e animali mèntono

    Se accettiamo la lezione di Bateson, possiamo definire come *menti* tutti quei sistemi che rispondono a modificazioni esterne, tramite la messa in atto di meccanismi di retroazione tali da aumentare le proprie possibilità di sopravvivenza e quelle dei propri geni. Fin qui non distinguiamo fra istinto e intelligenza, anche se proprio questa differenza rappresenta il confine rigido che tutte le cosmogonie umane hanno tracciato fra la nostra e l'insieme delle altre specie. Nonostante sia impossibile distinguere dove finisce l'uno e cominci l'altra, da questo momento, quando parleremo di *mente* intenderemo solo la sua versione più sofisticata. A proposito degli animali, l'uomo ha dimostrato una grande capacità di fare affermazioni false (il che è segno di intelligenza), ma la storia della biologia ci dice che anche altri animali possiedono questa capacità. E' noto a tutti che una possibile risposta ai predatori è quella di immobilizzarsi, fingendosi morti, o per sembrare esseri inanimati. Gli animali sanno quale parte del sé è significativa per il predatore, ad es. una cavalletta si immobilizza davanti ad un rospo, perché sa che per l'anfibio *saltare* significa *preda*, mentre *fermo* non ha nessun significato. Alcuni uccelli nidificano nel territorio dei predatori, perché sanno che per questi ultimi il territorio proprio equivale a *non cibo*. Gli esempi potrebbero continuare, ma non serve per dimostrare il punto centrale e cioè che la stragrande maggioranza degli animali hanno una mente, in quanto capaci di mentire. Noi pensiamo che gli animali non la possiedano perché continuiamo a interrogarli con la nostra lingua, ritenendo che debbano risponderci utilizzando lo stesso idioma. E' lo stesso motivo per cui i Greci chiamavano Barbari tutti gli altri. Sad
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    Messaggio Da Lemond Mer Lug 16, 2014 10:14 am

    Mente logica

    Il fatto che gli animali possiedano una mente è attestato anche dalla loro capacità di provare empatia, di mettere in atto comportamenti altruistici e di elaborare complessi sistemi socio-culturali e questo è collegato al fatto che diverse specie accudiscono la prole per lungo tempo. Il fatto è alla base dello sviluppo di strutture sociali e di sistemi culturali che, a loro volta amplificano quel che si diceva prima. Come comportamento altruistico fra scimmie c'è un famoso esperimento di molte che preferivano patire la fame, piuttosto che infliggere un dolore alla compagna di gabbia, che era la conseguenza del tirare una leva con la quale azione ricevevano cibo. Anche la letteratura sulla cultura degli animali è sterminata e ad es, i macachi hanno imparato a immergere le patate nell'acqua dolce per lavarle e nell'acqua salata per condirle e trasmettono ai loro conspecifici questa conoscenza. Wink Ma forse la prova più evidente della loro mente è che gli animali sono in grado di allevare individui di altre specie, insegnando il loro modo di vivere, ne sono esempi preclari i c.d. ragazzi selvaggi che, se allevati dai lupi, si comportano come un lupo, mentre se ...
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    Messaggio Da Lemond Gio Lug 17, 2014 9:31 am

    Perché ci interessano le menti animali?

    C'è stato in passato un antispecismo (chiamiamolo di prima generazione) che ha candidato solo gli animali antropomorfi ad accedere alla sfera della considerazione morale (quelli cioè che sono in grado di apprendere il nostro linguaggio). Al riguardo, si può pensare con Derrida, che l'idea dell'estensione del cerchio va bene solo se si continua a pensare che l'uomo ne deve occupare per forza il centro (è un po come il geocentrismo religioso). Pertanto è necessario sviluppare un altro tipo di antispecismo, fondato sul corpo. Corpo inteso fenomenologicamente, come luogo di incontri che rende possibile una buona traduzione dei significati e del linguaggio che si intersecano in quel piano di immanenza che, genericamente, chiamiamo vita. Ciò che ci lega al non umano è l'esperienza dell'essere corpo fra corpi, un'esperienza che porta con sé la consapevolezza della comune vulnerabilità e della comune mortalità. In questa prospettiva si modifica anche quello che s'intende per mente: non è tanto importante che le menti animali assomiglino a quelle umane, quanto essere consci che tutti gli esseri senzienti posseggono una mente in evoluzione, abitata dal diverso che ci ha preceduti, che ci incontra e che ci seguirà. Il tutto è anteriore alla divisione di specie: ecco perché le menti animali continuano a interessarci. Wink
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    Messaggio Da Lemond Ven Lug 18, 2014 8:40 am

    Smettere di mentire

    In greco esistono due modi per dire vita: zoe e bios. La prima definizione comprende tutti, mentre la seconda è quella specializzata. Se bios oscura zoe, indipendentemente dalla specie in questione, zoe diventa *nuda vita* e può essere sfruttata e eliminata a piacere (nei mattatoi o nei lagher). Da qui la centralità della questione animale per quel riguarda anche i diritti umani. Come ci insegnano i pensatori della scuola di Francoforte, in quanto soggetti impegnati in un processo storico ancora oppressivo non possiamo neppure immaginarci come si darà il tempo della liberazione, però possiamo impegnarci nella critica serrata delle *menzogne* dell'esistente. Parte irrinunciabile e essenziale di tale critica è la decostruzione dell'irrazionale dicotomia fondativa della nostra società: umano (mente) vs animale (corpo). Decostruzione che deve essere mossa dalla speranza che un giorno la mente smetterà di mentire.
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    Messaggio Da Lemond Gio Gen 01, 2015 2:45 pm

    https://www.youtube.com/watch?v=ENZaLIINORA

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