Giovanni Gerbi, nacque a Borgo Trincere di Asti, il 4 giugno 1885, deceduto ad Asti il 7 maggio 1954. Passista scalatore. Professionista dal 1903 al 1933 con 34 vittorie.
Con questo astigiano da considerarsi come il più famoso corridore italiano della prima decade del Novecento, incontriamo una figura di indomabile spirito di combattente, non sempre ortodosso e comunque compensato nelle punte non proprio legittime, da diversi episodi di sfortuna. Un corridore, insomma, che ha meritato quanto s’è detto e scritto di lui, attraverso estemporanee manifestazioni di valori e di forze, spesso esageratamente messe sul campo, che furono sicuramente la causa di un suo anticipato declino per il ciclismo di vertice. Ciononostante, continuò a pedalare fino ad età impensabili, raggiungendo nel 1932, a 47 anni (!) la soddisfazione di vincere il Titolo Italiano Veterani, di finire 81° la Milano Sanremo e di partecipare ancora al Giro d’Italia, seppur con ritiro durante l’8a tappa. Della bicicletta conobbe tutto: dall’esercizio agonistico, alla naturale evoluzione del mezzo, fino al punto di divenire, dal 1920 quando ancora correva, un grande costruttore. E tale rimase fino all’ultimo dei suoi giorni. Iniziò a correre nel 1900, a soli 15 anni, con una bici comprata coi risparmi di garzone da un fornaio. Partecipò alla Torino-Rivoli e finì terzo, poi corse la Torino-Trana e la Torino-Pianezza, giungendo entrambe le volte secondo. Indi, in piena estate del primo anno del secolo scorso, partecipò al Campionato della Provincia di Asti, che si correva dalla città capoluogo a Moncalieri, per un totale di 95 chilometri e lo vinse. Correndo sempre con un maglione rosso e per quel suo status di indomito animatore delle corse, spesso con lunghe fughe solitarie, si guadagnò l’appellativo di “Diavolo Rosso”, ancor prima di raggiungere la piena notorietà agonistica. Fama che non tardò ad elevarsi ulteriormente quando, trasferitosi a Milano per correre sul circuito di Piazza d’Armi, con lo scopo di emergere fra i campioni dell’epoca e mantenendosi facendo il fornaio, riuscì a piegare con buona costanza i vari Galetti, Pavesi e Azzini. Per poi esplodere con l’ovvio status di dilettante nel 1902, quando vinse la prestigiosa Coppa del Re e la Milano-Alessandria, finendo 4° nella Roma-Napoli-Roma e 5°, addirittura, nella Gran Fondo. In via di compimento dei 18 anni, nel 1903, passò professionista con la Maino, ed inanellò una serie di successi da brividi. Vinse la classica Milano-Torino, con quasi mezz'ora di vantaggio sul secondo, Rossignoli, dopo aver staccato tutti a Novara, ed aver corso ad oltre 34 di media (per quei tempi una velocità incredibile), arrivando in Viale Vittorio Emanuele, quando ancora lo striscione del traguardo non era stato montato. Rivinse la Coppa del Re e la Milano-Alessandria, nonché il Circuito di Cremona e, soprattutto, acquisendo dimensione internazionale, con la Milano-Piacenza-Genova.
Nel 1904, decise di affrontare il Tour, trovando accasamento presso una squadra francese, la Michelin, con la quale affrontò la terribile e fascinosa Bordeaux-Parigi, dove fece registrare la miglior ora di corsa e chiuse 10°. Nella Grande Boucle però, dopo un promettente 5° posto nella tappa iniziale, fu costretto al ritiro per un fatto increscioso durante la seconda frazione. Un gruppo di tifosi di Faure, nell’intento di “aiutare” il loro beniamino che era in fuga, aggredirono il folto gruppo degli inseguitori sulla cima del Col de la Republique. Cercavano il favorito Maurice Garin, ma per l’oscurità e la confusione, cominciarono a darle a destra e manca. Il più malconcio, alla fine, fu proprio Gerbi che, dopo la caduta, provò a rientrare, ma le ferite glielo impedirono e si ritirò. Vinse poi il GP de “La Gazzetta dello sport” da par suo e fu selezionato dall’UVI, come rappresentante italiano ai Campionati del Mondo di Mezzofondo, che si tenevano al Velodomo Crystal Palace di Londra. Qui però, mentre lottava per la vittoria, cadde e le sue condizioni apparvero subito molto gravi. Rimase in coma per cinque giorni, poi, finalmente si riprese, al punto di recuperare assai presto, ma non per riprendere le rimanenti gare della stagione 1904. L’anno successivo tornò a ruggire. Trionfò dapprima nella Corsa Nazionale, su un percorso che congiungeva Milano, Torino, Alessandria e il ritorno a Milano, per un totale di 340 chilometri. Lasciò gli altri a palate di minuti: Gaioni 2° a 24’, Pavesi 3° a quasi 41’ e Galetti 3° a quasi 50’. Si laureò poi Campione Italiano nel Mezzofondo, prima di vincere la Coppa d’Alessandria e, soprattutto, il primo Giro di Lombardia. Qui, rimase solo al comando e fasciato nel suo fatidico maglione rosso, incurante del fango e della pioggia, non ebbe il minimo cedimento al punto di giungere al traguardo di Corso Sempione, dopo una fuga solitaria di 200 km, con oltre 40' di vantaggio su Rossignoli e Ganna. Una superiorità schiacciante a soli 20 anni. Giovanni Gerbi, infatti, risulta essere ancor oggi, il più giovane vincitore della storia della “Classica delle foglie morte”.
La stagione 1906, pur fra diversi motivi di delusione e pure cocenti sconfitte ad opera del suo grande avversario, nonché corregionale, Giovanni Cuniolo, mantenne alta la fama del Diavolo Rosso e la sua complessiva superiorità in campo nazionale. Nell’anno vinse la Milano-Alessandria-Milano in solitudine, grazie ad una fuga nel finale e nello stesso modo la Milano-Pontedecimo. La grande impresa la compì al Giro del Piemonte, quando colse il successo dopo una fuga di cento chilometri, dove accumulò un vantaggio al traguardo di 40’. Decise poi di ritentare l'avventura al Tour. Tuttavia, neanche stavolta la fortuna gli sorrise. Dopo il 12° posto nella tappa iniziale, durante la seconda frazione venne bersagliato dalle forature, ben tre in pochi chilometri e quando capì che non avrebbe potuto figurare come voleva, decise di ritirarsi. Dopo la seconda brutta parentesi francese, tornò alle competizioni italiane vincendo la Brescia-Milano-Pallanza, al termine di un gran duello con Danesi che riuscì a staccare solo negli ultimi chilometri. Vinse poi il il Campionato Piemontese ai danni di Cuniolo, ma al pari del suo grande avversario, fu squalificato, perché i due, nella loro disputa, ne avevano combinate di tutti i colori. S’aggiudicò successivamente la Coppa Savona, ma nella prima edizione del Campionato Italiano per professionisti, sulle strade di Roma, si ritirò. Cercò il riscatto nella Roma-Napoli-Roma del 20 settembre, dove andò in fuga solitaria, ma precipitò in una crisi nera che lo costrinse ad abbandonare. Stanchissimo e deluso per le fatiche solo in parte salutate da successo, decise addirittura di disertare il Giro di Lombardia.
Nel 1907 e nel 1908 ottenne 14 vittorie. I numeri e la qualità dei successi parlavano a favore del Diavolo Rosso, il quale però, evidenziò compiutamente un carattere a volte rissoso e dedito pure a superare la furbizia per abbracciare l’inganno. Un biennio di fama anche superiore alla già tanta conquistata, ma solo in parte per l’indubbia bravura. Nel 1907, prima di iniziare un sostanzioso ruolino di vittorie di prestigio, partecipò da principale alfiere nazionale alla neonata Milano Sanremo, subito avvalorata da una prestigiosa rappresentanza straniera. Il Diavolo Rosso rispose da gran protagonista, ma quando provò a staccare tutti sul Passo del Turchino, s’accorse che non era in grado di contenere la rimonta del fuoriclasse francese Gustave Garrigou. Quando fu raggiunto, seppe dal direttore sportivo della Bianchi, Tommaselli, che dietro di loro stava inseguendo il veloce Petit Breton, altro transalpino ingaggiato dalla medesima casa di Gerbi, per l’occasione. A quel punto, il Diavolo Rosso non collaborò col compagno di fuga e quando i due furono raggiunti dall’inseguitore, con questi strinse un accordo: lo avrebbe aiutato a vincere, a patto di dividere i premi. Ed infatti, agli ottocento metri dall'arrivo, lontani dagli sguardi dei più, quando Garrigou con un violento scatto cercò di sorpassare Gerbi che gli stava davanti, questi con un brusco scarto, lo chiuse e lo costrinse ad interrompere l'azione. I due praticamente si fermarono a bisticciare, anzi quasi a raggiungere la rissa e fu così facile, per Petit Breton, tagliare vittorioso il traguardo di via Cavallotti. Il Diavolo Rosso colse poi il 2° posto, anche perché il francese, arrabbiato per la scorrettezza, lo lasciò andare. Morale: Gerbi fu punito dalla giuria che lo relegò al 3° posto, ma intanto i premi a metà con Petit Breton, se li era guadagnati ugualmente. Dopo quel non certo brillante e decoroso inizio, l’astigiano vinse il Giro delle Antiche Province, il GP “Gazzetta dello Sport”, la Corsa Nazionale, la Milano Firenze, la Coppa Savona e rivinse il Giro del Piemonte, prima di giungere al primo successo di un formidabile terno alla Roma-Napoli-Roma. Qui, seppe rimontare i furbi Ganna e Galetti che erano ripartiti prima del previsto dopo il controllo di Napoli e, per questo motivo poi squalificati, andando a vincere con un’impressionate azione solitaria che gli valse al traguardo un vantaggio di oltre 2 ore su Jacobini e Zoffoli. Dopo questo successo lungamente inseguito, si presentò al Giro di Lombardia che conquistò con una fuga nata da un colpo di furbizia non proprio regolare e difesa col sostegno di “allenatori” che gli consentirono di stare a ruota, nonché di chiodi che alcuni tifosi, coi quali si era probabilmente accordato, avevano sparso sulla strada per favorire le forature degli inseguitori. Ne seguì un’indagine dell’UVI che, oltre a togliergli la vittoria, assegnata al francese Garrigou giunto 2°, gli comminò una squalifica di 2 anni, poi ridotta, su sollevazione popolare, a soli 6 mesi. Fatto sta che a metà giugno 1908, rientrò alle corse, vincendo subito la Corsa Nazionale, indi il Giro del Piemonte e il GP “Gazzetta dello Sport”. Ritentò l’avventura al Tour, ma fra sfortune nere e poca adattabilità a quel tipo di corsa, pur non ritirandosi non andò oltre ad un amaro 20° posto finale. Tornato in Italia, vinse nuovamente la Roma-Napoli-Roma, stavolta con un dominio ancor più marcato del già tanto dell’anno precedente. Andò in fuga solitaria, ed al giro di boa di Napoli, tradotto col nuovo regolamento ad una vero e proprio traguardo di tappa, arrivò con 8’ di vantaggio sugli altri. Indi, sempre per i nuovi dettami, partì per il ritorno con quegli 8’ di anticipo e non fu più raggiunto, giungendo a Roma con oltre 33’ su Chiodi e Ganna. Esausto per la grande intensità di corse di quei mesi, si presentò al Lombardia finendo 3°, battuto da Faber e Ganna. I segni del declino fisico del “Diavolo Rosso”, si evidenziarono netti nel 1909. Si preparò intensamente per la Sanremo, ma non andò oltre il 5° posto. Vinse la Milano Firenze, ma al 1° Giro d’Italia della storia, causa una pesante caduta nella frazione inaugurale, non riuscì a riprendersi, ed alla 6a tappa si ritirò. Dopo il Giro, disertò il Tour per tentare di battere il Record dell’Ora, ma non vi riuscì, né a Milano, né sulla pista delle Cascine a Firenze. Tornò al successo nella Coppa San Giorgio e si presentò alla Roma-Napoli-Roma con l’intento di raggiungere un tris che avrebbe riassestato la sua stagione. Vi riuscì, ma con un epilogo da considerarsi il più brutto nella storia della corsa. A pochi chilometri da Roma, quando già i corridori erano sull’Appia antica, Ganna che era in fuga andò in crisi e venne raggiunto da Pavesi, Aimo e, appunto, Gerbi. Il corridore varesino, dallo sconforto si ritirò, gettando a terra la bicicletta. Pavesi tentò subito l'allungo in contropiede, staccando Aimo e Gerbi. Quest'ultimo però, dopo una fase d’incertezza, forse per la fatica dell'inseguimento precedente, si rimise a tirare e all'ultimo chilometro, con alla ruota Aimo, si riportò sul battistrada. Intanto il pubblico, davvero enorme, aveva lasciato ai corridori solo un paio di metri di carreggiata. Ai cento metri finali, con le forze dell’ordine sopraffatte, due ciclisti invasero improvvisamente la strada e Pavesi, che aveva già lanciato lo sprint finale, li centrò in pieno, trascinando nella caduta anche Aimo e Gerbi. Costui fu il primo a rialzarsi, anche perché aiutato dai suoi tifosi che, nel parapiglia, trattennero, ben poco sportivamente, Pavesi ed Aimo. Gerbi rimontò in bicicletta e nonostante un pedale rotto, ma sospinto dai tifosi, riuscì a tagliare il traguardo per 1°, davanti ad un esterrefatto Pavesi e ad Aimo. Il tris dunque, assai fortunoso e con tratti ben poco sportivi, fu servito. A nulla valsero le proteste degli sconfitti e la coda polemica dell’osservatorio.
Le fatiche di quel finale di stagione spinsero Gerbi a non disputare più gare nell’anno ed i tristi segnali del ‘09 vennero poi confermati nel ‘10. Poche corse e sempre in retrovia, salvo un per lui insignificante 2° nella Coppa San Giorgio.
Maurizio Ricci detto Morris