L'ANGOLO DE' RISTORI CICLOINTELLETTUALI

Promemoria primo messaggio :

"L'Angolo de' Ristori Ciclointellettuali" by CarLemond.
Apro questo 3D da dedicare in gran parte ad un amico conosciuto in rete, nella rete che non ha età, nazionalità e sempre meno barriere linguistiche. A parte quelle che il bischero Lemondaccio ci imporrà con la sua verve franco-empolese.
Lemond, come tutti i personaggi, ha idee sue originali e discutibili (mi focalizzo su discutibili) e quindi apriamo la ... discussione.

Come ho già scritto, mio padre teneva in gran conto l'amicizia e ogni festa che organizzava a casa sua era fondata sul cameratismo, più o meno recente. Con Darrigade, Geminiani, Ocana e altri non aveva certo trovato degli ingrati e ci ritornerò.
A quattordici/quindici anni Jacques si diverte a prendere in giro gli amici che si iscrivono al club ciclistico, tanto più che, oltre a non prendere un soldo, talvolta riportavano danni seri in conseguenza di cadute ... Però i compagni non cessano di sfidarlo, tanto più che sosteneva che sarebbe stato uno scherzo, per lui, andare più forte di loro. Ma perché farlo, visto che voi al massimo vincete medaglie di cioccolato? Ma Jacques ama i suoi amici, così come ama la famiglia e sa che anche Ernest Anquetil aveva sognato di essere corridore. A casa si parla di Pellissier oltre che delle altre glorie nazionali e locali. Però a farlo decidere è stato il giorno in cui Maurice gli ha dimostrato che c'era anche da guadagnare dal ciclismo, non solo medaglie di cioccolato: in una corsa locale al vincitore dànno un bici da corsa. "Vado subito ad iscrivermi al club" dice all'amico, pur sapendo che tutti gli rideranno dietro, ma il suo orgoglio, unito al suo gusto di fare sensazione, gli dice che se lui ci si mette, li batte tutti. Poi, del resto, in ogni cosa era così, nel gioco, nello studio e nel lavoro era capace di un impegno ben superiore al normale.
Alla prima uscita di allenamento le scommesse si sprecano, nel gruppo dei compagni, su quale sarà il momento in cui si staccherà il *piccolo*. "
"Essi avevano ragione di scommettere, ma non sapevano che stavo allenandomi sulla mia Stella da un mesetto circa, perché non c'era bisogno che qualcuno mi spiegasse che nel ciclismo la preparazione è primordiale e in quella prima uscita, appunto, sono rimasto con loro fino alla fine e quello che ho visto nei loro occhi mi è piaciuto, ma ciò che mi ha dato ancora più soddisfazione è l'aver compreso che con altre tre settimane davanti potevo vincere quella bici". "Dunque, hai vinto la corsa?" "No, perché due mesi erano ancora pochi, ma dopo altri due non ho smesso più di trionfare nelle corse regionali".

"E dopo i tuoi primi successi che hai pensato"? "Mi sono detto: ecco il tuo mestiere, tu gli darai tutto te stesso e prenderai quanto sarà possibile; e in qualche mese, a sedici anni, sono diventato ciclista professionista, avevo un  licenza da dilettante, ma giammai dentro di me mi sono sentito tale, perché ho compreso subito che il ciclismo è duro, anzi più che duro e pertanto diventa sopportabile solo se c'è un ritorno". Anche se è difficile a comprendere, Jacques non ha mai amato il suo sport, nemmeno per un secondo e la spiegazione è che la bici ti spinge a sforzi quasi inumani. Al di fuori della cosa più importante, amava tutto il resto: i compagni, le strategie di corsa, l'ambiente, la gioia di vincere o quella di far perdere e poi ... la gloria. La gloria gli è piaciuta molto, ma di una cosa è sicuro, se a vent'anni avesse ereditato parecchi soldi dal famoso zio d'America o vinto al Lotto, avrebbe subito abbandonato il ciclismo.
Nanou, mia madre/nonna, che non lo lasciava mai, si rammenta come fosse ieri di quel giorno dell'inverno 1969, allorché si trovavano a Neuville-Chant-d'Oisel, dopo una "tournée" d'addii alla sua vita sportiva. Sul tetto della vettura aveva le sue due bici, che ha tolto lui stesso con gesti assenti, misurati e lenti, per depositarli nel locale dove teneva tutti i suoi attrezzi e non li ha più toccati in seguito. Diverse volte, da che ho avuto l'età per comprendere il campione che era stato, gli ho chiesto di montare in bici perché potessi vederlo pedalare nel parco, e lui mi ha sempre risposto: "Sì, sì, un'altra volta". E un giorno mi ha confessato di non voler rimontare più sopra, perché ho troppo patito su quell'attrezzo. :(Rideva, mentre lo diceva, ma lo diceva.
Per la verità dal 1970 al 1987 (anno della sua morte) ci sono state tre eccezioni. La prima, per partecipare a Nizza, invitato dal suo amico Viquenault, a un avvenimento mondano "Le G.P. dei Gentlemen" dove si andava a 25 kmh. La seconda volta per accompagnare in una delle sue sortite uno dei suoi amici più fedeli: M. Billaux con la sua "banda". E quel giorno lì ci fu un grande litigio alla fine, perché durante il percorso, mio padre dovette fermarsi a causa di una vacca che aveva bisogno di lui e gli altri gli dissero il percorso che avrebbero continuato a seguire e lui avrebbe potuto raggiungerli, un volta terminato il suo impegno. Ma una volta rimontato in sella non riuscì a riprendere il gruppo, perché alla fine seppe che i suoi cari amici avevano cambiato itinerario. "Se avessi avuto un trattore, quel giorno sarei andato addosso a tutti loro!" Mimi sorride quando racconta ciò e aggiunge "Avrebbe potuto farlo".

La terza volta fu un bel pomeriggio di luglio, nel giorno del mio compleanno quando mio padre ormai non contava più le volte che gli avevo chiesto ... Alla televisione, durante certe retrospettive e con l'ausilio delle cassette video, lo avevo visto essere il re del ciclismo mondiale e ciò mi gratificava assai, ma l'immagine che vedevo mi apparteneva meno di quello che tutti giorni veniva a sistemare il mio letto. Quello era solo per me e appunto avrei voluto che una volta pedalasse soltanto per me. Certo non ne facevo una malattia, però ... il giorno che ho detto, una figura apparve da lontano, a una discreta velocità diretto verso la piscina, dove la festa era nel suo centro, con una cinquantina di invitati, ed era mio padre, che pedalava all'Anquetil, in coda al gruppo, con le mani in alto sul manubrio e un piccolo sorriso, dissimulato, agli angoli delle labbra. Il suo sguardo tranquillo e penetrante si piantò su di me e mi vide rapita e estasiata e, davanti all'assemblea muta e stupita, J.A, impassibile e regale, terminò la corsa ... dentro la piscina.
Da allora non rimontò più in sella e la sera, durante i fuochi di artificio, forse celebrò, al contempo, il mio anniversario e la sua ultima prestazione ciclistica?

E', a mia conoscenza il solo ciclista che si è comportato così, anche se il suo non voleva essere un rinnegare il ciclismo, perché assisteva a moltissime corse e fu anche direttore sportivo della nazionale francese e consultante a Europa1 e Antenne2; insomma continuò ad amare senza riserve quel mondo. A questo universo appartenevano i suoi amici ai quali fu fedele fino ... solo che l'immaginario zio d'America era arrivato per farlo discendere per sempre dal suo mezzo meccanico. E così si ritrova con la sua passione primaria: amministrare le sue terre.
"Ma se non ci fosse stato il ciclismo la mia vita sarebbe stata tutta un'altra, non avrei conosciuto Darrigade, Stab, Geminiani Ocana e soprattutto Nanou! E poi non sarei stato Jacques Anquetil e forse anche questo mi sarebbe mancato molto". Dicendo così rideva, forse mi prendeva un po' in giro, ma con mio padre non si sa mai.
Nanou mi diceva che nei periodi di intensa preparazione, vicini al Tour, il suo carattere cambiava e il suo fisico anche. Diventava esigente verso sé stesso e gli altri in maniera parossistica, perché per lui cominciava quello che chiamava "il periodo di tortura". E per quanto riguarda il doping? Questa questione entra da sempre nel ciclismo e in tutto il mondo dello sport. Esso è il grande "dossier" dello sport moderno ed io ho poco da aggiungere, salvo dire che non amo i truffatori, dissimulatori etc. Ma devo richiamare alla mente che mio padre è stato il primo grande sportivo a non aver fatto mistero di ciò che assumeva, perché, come TUTTI, chiedeva aiuto, conro il dolore, alla farmacopea. (continua)

Quando l'ò interrogato a questo proposito, lui mi ha risposto: "E' piuttosto semplice, se mi avessero potuto garantire che il doping non esisteva (anziché del contrario) non ci sarebbe stato nessuno più felice di me. Invece tutti lo fanno e se non ti adegui ... Ciò detto, è impossibile che tu vada forte per quindici anni se abusi dei farmaci, assolutamente impossibile! Poi, occorre distinguere fra il doping, stupido e pericoloso, per realizzare un colpo e quello più regolare. Il grosso carico non l'ò mai fatto, per me andava bene un "aiuto" moderato che è al contempo psicologico, oltre che fisico. Ho fatto, insomma ciò che usa in quasi tutti negli sport e tali sostanze le faccio assumere anche ai pesci". Mi rammento lo scoppio di risa che ha seguito l'ultima frase sorprendente e incomprensibile, ma lui mi spiegò che "Era stata un'idea di Hassenforder. Eravamo in un superbo Hotel, dopo un criterium, e c'era un acquario all'entrata del ristorante; stavamo guardando i pesci, allorché lui mi dice - diamogli di che vivere un po' meglio - e tira fuori dalla tasca alcune "maxitons" (nota mia, non so che cosa siano). E io le gettai ai pesci. Ah, le anfetamine vanno bene anche per il genere acquatico, te lo posso confermare, perché dopo dieci minuti tutti i pesci uscivano a balzi dalla piscina in una sarabanda infernale. Noi li riprendevamo per rimetterli dentro con l'aiuto degli inservienti, completamente superati dall'avvenimento e che non ci capivano niente." Fu lo stesso giorno che Hassenforder ebbe un altra idea e cioè quella di uscire dall'albergo in mutande. Subito si è alzato da tavola, producendosi in un subitaneo spogliarello, porgendo a me i pantaloni, prima di attraversare molto compassatamente la sala del ristorante, sotto lo sguardo costernato dei clienti e del personale e credo che quello che aveva l'aria più ridicola fossi io, passando fra i tavoli con i suoi pantaloni in mano. Hassenforder era così.

Maurice Dieuloi, suo amico di sempre, si rammenta, come fosse ieri, del debuttante Jacques Anquetil: "Dalle prime uscite di allenamento ho capito, come tutti gli altri, che quel ragazzo aveva il ciclismo nel sangue; che classe, che facilità, che stile". Un altro che richiama l'enorme potenziale dell'adolescente J.A. è André Boucher, che allenava i ragazi del posto; lui sa che conta più il lavoro del talento in questo sport e mio padre sul primo non aveva rivali. "Senza Momo Dieulois, Mimi Billaux e André Boucher non so se sarei potutto diventare un campione, perché tutto è girato intorno a loro, nei primi tempi, è da essi che ho compreso tutto quello che occorreva sapere per essere preparato, prima di intraprendere la grande avventura del professionismo". Nel grande bagno ci vorrà poco perché vi sia tuffato: le prestazioni nel piccolo mondo amatoriale normanno sono tali che non ci può restare e già nel 1952, con la sua prima vittoria nel circùito maggiore, indossa la maglia degli Assi. Nel 1953 entra nella squadra di F. Pélissier e da lì ...
Io l'ò interrogato spesso sulle reazioni, sentimenti etc. davanti alla gloria che gli era caduta addosso. Ma mi rispondeva poco su tale argormento, forse per pudore, si contentava di sorridere e di indirizzarmi qualche battuta del tipo: "Ecco che la mia Sophie vuole fare la psicanalista!"
Qualcuno penserà che con tutta la gente che era di continuo in casa nostra, potevo ascoltare conversazioni innumerevoli, ma ciò mi faceva progredire poco su quel piano, perché le discussioni erano quasi sempre improntate sull'umorismo, gli aneddoti curiosi, le battute e le prese in giro.

Io adoravo quelle discussioni e i loro ricordi, che avevano un sapore gaio e tranquillo di un ciclismo di alto livello, che addirittura andava oltre questo sport e rinviava ad una conoscenza degli uomini ed al gusto per la vita. Le feste/riunioni sono state un piacere immenso della mia infanzia e adolescenza. Restava, per quanto concerne mio padre, che io avrei voluto conoscere di più, dalla sua bocca, quello che si prova ad essere un grande campione. Credo che il modo nel quale ha condotto la vita privata, le decisioni sorprendenti che è stato condotto a compiere, l'idea della felicità che si faceva per sé stesso e per i suoi, il gusto di agire molto spesso per il bene degli altri, tutto ciò gli derivava in parte dall'infanzia, ma, nella misura maggiore, dalla vita di campione, di grande "patron" del gruppo durante quindici anni. Ero la sola che poteva permettersi queste domande, in virtù della tenerezza che mi dimostrava sempre e per la mia giovane età. Cercare risposte a queste questioni (la sua carriera e la sua vita "a quattro") è stata la prima ragione che mi ha spinto a scrivere il libro. Non ho mai percepito, faccia a faccia con mio padre, la minima amarezza, anzi il contrario, per il modo con cui lui aveva deciso di impostare la sua vita. Ripeto ho sempre avuto l'impressione di essere il centro profondo e meraviglioso di un amore, di una condivisione incredibile. Devo considerare che una simile situazione ha portato certamente qualche perturbazione in una bambina, ma l'Amore che mi portavano queste tre persone, mi ha messo al riparo dai danni più gravi.

Non ho mai avuto voglia di accusare mio padre e le mie due "madri" di nulla, solo Dio potrebbe giudicare, anche se con così tanto amore ... Nanou, Annie, Jacques io li amo da sempre e non ho niente, strettamente niente, da rimproverare loro e queste parole non nascondono pensieri diversi. Essi mi hanno dato la forza di essere quello che sono e di vivere a fondo la vita con passione e amore. Al contrario, devo spiegare chi fossero queste tre persone, visto che si sente dire tante stupidaggini sul loro conto. Il solo a cui mio padre aveva dei conti da rendere era lui stesso: la sua vita privata era proprio soltanto sua, così come la famiglia; e lui, dal canto suo apparteneva "in toto" ad essa. Ciò che accadeva al di fuori non lo riguardava e non giudicava nessuno, anche se sapeva che, invece, lui veniva giudicato, la cosa gli era indifferente. E ritorniamo alla mia domanda consueta su come vivesse il suo "status" di "semi-dio"? Un giorno è andato al di là del sorriso camuffato e mi ha detto: "Ciò che non mi piace per niente in un "semi-dio" è che è ... mortale!" Ha riso e poi ha aggiunto "Ho capito quasi subito che sarei diventato un "eroe" e, se anche sapevo di non esserlo, non mi importava per niente convincere gli altri della mia opinione, anche perché tale situazione porta dei vantaggi irresistibili, che non si possono di certo rifiutare "a priori".  Se mantieni la testa fredda riesci in simile situazione a costruire per te il mondo che desideri e nel quale puoi essere/sentirti il maestro". E tu questa testa l'ài saputa sempre governare? "Sì e tu sai perché ... mi sono sempre detto che se si vuole che la carriera scorra così come è cominciata non devi mai diventare un "fan" di te stesso, MAI! In pubblico non ho mai fatto del cinema e non per freddezza, ma per rispetto, in più ero timido e quasi sempre mantenevo la mia gioia all'interno". Quel giorno abbiamo riso e gli altri ... pure; adoravo mio padre e per me era un dio-completo.

Mio padre è già una "star" a venti anni, ma pochi comprendono l'uomo; i francesi credono che non sia capace di amarli e quindi contraccambiano: sarà fischiato al "Parc des Princes" nel 1961, allorché arrivava in maglia gialla, dopo una impressionante dimostrazione di superiorità. Il malumore derivante dalla rivalità Anquetil-Poulidor per fortuna è sfociata in un'amicizia fra i due uomini, della quale sono stata testimone e forse anche un po' istigatrice, quando, a tre anni, facevo correre il mio papà dietro Raymond all'arrivo, per avere il suo berrettino. Era un'amicizia fondata su rispetto e stima e anche sulla presa in giro continua, terminata sul letto d'ospedale quando ormai si sapeva condannato, mio padre ebbe la prontezza di dirgli: "Mio povero Raymond, ancora una volta tu arriverai secondo".
Ma nel 1964 J.A. è l'incarnazione della salute e della forza fisica e infatti P. Chany scrive sull'Equipe: "E' un fenomeno, con particolarità uniche in quasi tutti gli organi preposti allo sforzo e al recupero e poi il suo orgoglio, più tedesco che francese, lo spinge a superare meglio tutte le avversità, insomma sembra fatto appositamente per raggiungere il più alto rendimento atletico".

Occorre prendersi cura di quel "purosangue" e già a quell'epoca si sa che un massaggiatore non è sufficiente: occorre un medico e all'arrivo della Maglia dei giovani, S. Duponchelle presenta a mio padre il dottor C. Quest'incontro cambierà completamente la vita dei due uomini. Il dottor C. è un notabile normanno frequentato da tutto il mondo dello sport. Subito i due simpatizzano e cominciano a vedersi quasi tutti i giorni, fino a diventare amici. Jacques apprezza molto la personalità del dottore, così come la sua fine intelligenza coltivata in una famiglia che rappresenta quanto di meglio si possa trovare nella regione. Ben presto Jacques diventa addirittura un frequentatore abituale della casa del dottore a Petit-Quevilly e i due mangiano molto spesso insieme, tanto che mio padre diventa l'idolo dei bambini: Annie e Alain, che riempie di regali. Una sola persona mantiene la calma e sembra al riparo dal fascino di questo giovane uomo, corridore ciclista famoso ed è la moglie del dottor C. la madre di Annie e Alain, Jeanine, detta "Nanou".
Ella si rammenta la prima volta che suo marito se l'è portato a casa per pranzare in nostra compagnia, "sembrava che non avesse mai visto una forchetta o un coltello in vita sua e non riusciva a esprimersi con più di tre parole per frase e in più teneva la testa quasi sempre bassa. Il dottor C. invece gli parlava come ad un principe, ma poi, piano piano, grazie soprattutto ai bambini ammirativi e gioiosi, si è un po' disteso. Ho capito comunque che non era un imbecille, ma solo un timido, ben chiuso nella sua corazza normanna. Resta però il fatto che non c'era niente che mi attirasse in lui, quel giorno non avrei mai potuto immaginare quel che sarebbe accaduto in seguito".

Quando racconta, Nannou ride di buon cuore e aggiunge: "Tutto ciò mi fa pensare ad un altro pranzo, più tardi, dopo il Tour del 1957. Lo conoscevo meglio e ci davamo del tu. Mio marito mi disse che sarebbero venuti a desinare da noi Jacques e Darrigade, ma Anquetil non si fida, perché come ogni corridore dopo il Tour è affamato e ha paura che non ci sia abbastanza da mangiare. Allora sono andato a trovarlo, indispettita per l'osservazione, dicendogli che non sarebbe mancato niente!" -Si vedrà, ha risposto lui- Naturalmente mi sono messa all'opera e alla fine è venuto in cucina per dirmi che avevo mantenuto la parola, ma se ci fossero ancora un paio di tartine di pane imburrato e un buon caffè, sarebbe stato una buona cosa. E dopo averle mangiate e bevuto il caffé ha concluso che fino alla sera era a posto.
Nanou a quel tempo era una superba giovane donna bionda che assomigliava un po' a Martine Carol. Anche lei discende da una notabile famiglia normanna e nella sua genealogia si trova soltanto gente altolocata, inoltre ha una personalità molto sviluppata, una sicurezza quasi regale e si impone altresì con quel suo fascino discreto, ma ... Per mio padre questa donna così bella, a suo agio in ogni circostanza, è inaccessibile, però se ne innamora quasi subito! "Ma se lei mi estasiava, il tutto si fermava lì, perché non bastava essere un campione, per quella donna lì, c'era molto altro cammino da fare. Inoltre era la moglie del mio amico, quindi, va bene, me ne sono innamorato subito, ma ho anche chiuso il cancello ... immediatamente".
Però, dolcemente, lentamente, ma inesorabilmente quella porta si riapre.

"A partire dal 1956, dice Nanou, mi ero abituata alla presenza di Jacques a casa nostra. All'inizio lo sentivo come un elemento estraneo, qualcuno che prendeva troppa importanza per la mia famiglia; ma piano piano mi sono messa a seguire la carriera, ad aspettare le sue visite e a gustare quei momenti di piacere che sapeva darci. Non c'era niente fra di noi di dichiarato, non il minimo segno o gesto "osé". Mio marito, d'altra parte, molto preso dal suo mestiere, lasciava volentieri a Jacques certe incombenze, come le vacanze. Spesso si programmavano insieme ad altre famiglie e cosi partivamo in una lunga carovana verso gli sport invernali, dove il dottor C. ci raggiungerà per i fine settimana. Così va la vita fino alla primavera 1957, allorché quello che doveva, prima o poi, arrivare ... Sono in vacanza a Villefranche e Jacques deve correre la Genova-Nizza passa a salutarci. Annie e Alain scalpitano per andare il giorno dopo a vedere l'arrivo a Nizza. Anquetil è battuto allo sprint da Bobet e io propongo a lui e a Darrigade di venire da noi a cena. Dapprima accetta, poi ci ripensa. Subito dopo incontra un suo amico: P. Cavalier che lo invita a sua volta e lui dice di sì, stavolta senza ripensamenti, perché così eviterà la tentazione di essere solo con me. Però il destino è ... perché Cavalier il pranzo di quella sera l'à organizzato all'albergo Bonifaci di Villefranche e sarà là che Jacques raggiunge la mia camera il 2 marzo 1957 ... e sarà là che la casa ci cade addosso."

Nanou è di una calma straordinaria quando parla di ciò che ha rivoluzionato la sua vita per sempre e si rammenta di un mezzo secolo prima, come se fosse ieri. "La mattina sapevo che avrei amato Jacques fino alla morte! Per il resto, era terribile, perché per restare con lui ogni secondo della sua vita, avrei dovuto lasciare i miei bambini, era certo che mio marito non me li avrebbe lasciati. Inoltre sapevo anche che non avrei potuto avere altri bambini, ma Jacques di ciò se ne ... la sola cosa che voleva in quel momento ero io!"
Gli amanti vivono la loro passione, all'inizio, in modo clandestino. Per alcune settimane/mesi ingannano il dottor. G. e ogni giorno verificano che il loro amore diventa più intenso, però è un periodo terribile, perché non si può vivere con l'ansia di doversi nascondere. In quel periodo arrivò a Rouen, Paule, un superba giovane donna, che J.A. aveva conosciuto un anno prima in Algeria, dove era stato di stanza, per quattro mesi, al battaglione di Joinville. Jacques doveva tenere a lei l'anno prima, perché aveva comprato una Peugeot con l'unico scopo di poterla raggiungere ogni giorno ad Algeri, partendo da Boufarik: 50 km, con il coprifuoco. Ed ecco che la bella sbarca a Rouen con il desiderio espresso che Anquetil la sposi. L'episodio ci ha tolto un po' di pressione, perché Jacques mi ha detto di occuparmi della faccenda, in modo che potesse riprendere il treno per Algeri prima possibile. Riesco a risolvere questo suo inconveniente, ma resta quello ben maggiore, mentre mio marito non si rende conto di niente. Fare questo al dottore ci dispiaceva moltissimo e allora un giorno ... ho confessato tutto e gli ho chiesto il divorzio.

Non voglio rompere o sporcare questo incantesimo, ma trovo impossibile continuare il silenzio, di fronte all’aurora che tu, Carlo, ci doni ogni giorno. Sei partito da Fignon ed ora con Jacques, attraverso la tastiera della figlia Sophie, ci stai facendo un dono sublime. La lettura ci riporta a pagine di vera e propria letteratura, al punto di elevarmi un dubbio sul quale non cerco risposte, perché è incenso così: è una grande scrittrice Sophie, o è un grande scrittore Lemond che la traduce e ne corregge la livrea narrativa con un leggiadro pennello?
E poi, quanto si impara (!), anche per chi, come me (essendo amico di Ercole Baldini che con Jacques, aldilà della rivalità, ha intessuto rapporti d'amicizia), credeva di sapere tanto sul leggendario normanno. Ad esempio, non sapevo che Anquetil fosse un appassionato di astronomia, la scienza che più amo da sempre.
Una montagna di Grazie, Carlo!

Morris l'originale ha scritto:Non voglio rompere o sporcare questo incantesimo, ma trovo impossibile continuare il silenzio, di fronte all’aurora che tu, Carlo, ci doni ogni giorno. Sei partito da Fignon ed ora con Jacques, attraverso la tastiera della figlia Sophie, ci stai facendo un dono sublime. La lettura ci riporta a pagine di vera e propria letteratura, al punto di elevarmi un dubbio sul quale non cerco risposte, perché è incenso così: è una grande scrittrice Sophie, o è un grande scrittore Lemond che la traduce e ne corregge la livrea narrativa con un leggiadro pennello?
E poi, quanto si impara (!), anche per chi, come me (essendo amico di Ercole Baldini che con Jacques, aldilà della rivalità, ha intessuto rapporti d'amicizia), credeva di sapere tanto sul leggendario normanno. Ad esempio, non sapevo che Anquetil fosse un appassionato di astronomia, la scienza che più amo da sempre.
Una montagna di Grazie, Carlo!  

Se non fosse per un periodo di depressione che sto attraversando, questa tua lettera mi avrebbe fatto piangere di gioia, perché, oltre alle parole, quel che più conta è da chi vengono e io, di fronte a te, da tutti i punti di vista, non posso che inchinarmi e ringraziarti con tutto il mio animo. Spero, se e quando le cose migliorenno un po', di vedersi finalmente di persona, magari insieme a qualcun altro del forum.

Lemond ha scritto:Spero, se e quando le cose miglioranno un po', di vedersi finalmente di persona, magari insieme a qualcun altro del forum.

Katarrilla ha scritto:Grazie Morris, e spero prima o poi di poterti incontrare, magari in una serata organizzata da "Ciclopassione", in modo da poter di tirare il collo a qualche bottiglia "da grandi occasioni".

Beh allora s'ha proprio da fare nel 2014.
Ieri sera s'è fatta una splendida chiacchierata con Morris e penso proprio che qualcosa si farà .... anzi s'ha da fare.
E magari si può organizzare proprio a Firenze, mentre qualcuno di Milano suggerirà il vino da stappare.
Animo bischeraccio.


Morris ha avuto il coraggio di scriverlo, Sophie racconta la sua storia con una gran bella penna, ma la grazia che ci hai messo nelle parole tradotte, caro mio, è tutta tua. 
Io sto rileggendo un altro libro e questo Carlemondiano è immensamente più bello.

Si sta ragionando sui progetti per la nostra passione ciclistica e, Carletto mio, ne dobbiamo parlare.
Ora ristabilisco l'incantesimo del favoloso mondo di Sophie, chiudendo il mio inquinante post.  

Il dottor C ascolta con stupefazione totale e diventa bianco come un cencio e dopo qualche attimo di mutismo, lascia cadere il suo verdetto: "Il divorzio MAI !" "E se tu lasci la casa, non rivedrai più i bambini". Jacques da un lato e tutto il resto dall'altro, la scelta è impossibile e pian piano Nanou diventa folle, chiama l'amante di continuo per ascoltarne almeno la voce, ma entrambi hanno la gola talmente serrata che ascoltano solo i propri silenzi ... Jeanine inghiotte un tubetto intiero di sonniferi e apre il gas; una domestica la scopre qualche istante prima che sia troppo tardi e, dopo dieci giorni in ospedale, il marito la va a riprendere, per darla in consegna a degli amici. Anche Jacques è ... non mangia e non dorme a tal punto che l'allenatore gli dice: "Vattene da qui e trovala."
Parte per la Normandia, scopre l'indirizzo del "carcere" e bussa alla porta. E' lei che gli apre e lui gli dice: "La nostra vita precedente è finita, seguimi e andiamocene". Tre secondi dopo, è insieme a lui in macchina e come bagagli le pantofole e la vestaglia che ha indosso. Comincia quel giorno una nuova vita, permeata di una formidabile storia d'amore.

Morris l'originale ha scritto: è un grande scrittore Lemond 

 

eliacodogno ha scritto:

Morris l'originale ha scritto: è un grande scrittore Lemond 

 

Più che grande, direi che sono costante nello scrivere.

Al diavolo la falsa modestia  Morris ed Elìa hanno ragione.

Embeddo questo video sulla grande Nanou:

Scrivo poco ma con mia moglie leggo quotidianamente i passi dei libri tradotti da Lemond.
E' una idea stupenda e ti prego continua così

Fizz Terabike ha scritto:Scrivo poco ma con mia moglie leggo quotidianamente i passi dei libri tradotti da Lemond.
E' una idea stupenda e ti prego continua così

Finché il libro me lo permetterà (sono arrivato a pag. 98/194): per il futuro accetto suggerimenti di libri francesi sul ciclismo.

Se interessa ho il libro: Fausto Coppi La gloire et les larmes: Jean-Paul Ollivier est né en 1944 a Concarneau (Finistère). Grand reporter de France Television. Il est specialiste de l'histoire sportive. Il est l'auteur de nombreuses biographies de champions ainsi que d'ouvrages consacrés au général de Gaulle et à l'histoire contemporaine, en particulier.
Achevè d'imprimer, en France chez Brodard et Taupin, en juin 2006. N° d'impression: 35990.
La véridique histoire.

E' lo stesso autore, del libro: Jacques Anquetil - L'Homme des défis, che forse il Grande Lemond (nostro) già traduce?

Un aneddoto sul nostro grande ciclista. Ero ad una cronometro del Tour a Val D'Isere, avevo la nostra bandiera - forse era il 1997 - a fine corsa mi si avvicinò un giornalista francese - chissà che non fosse questo autore mi son chiesta tante volte - mi abbracciò piangendo e mi disse che era stato da giovane un grande tifoso di Fausto Coppi. Ero perplessa ed allora mi fece vedere il ciondolo d'oro che portava al collo. Lo aprì, all'interno il viso di Fasto Coppi sorridente. Mi commosse. Tante storie si vivono seguendo da vicino con passione il nostro sport preferito.

vallelvo ha scritto:Se interessa ho il libro: Fausto Coppi La gloire et les larmes: Jean-Paul Ollivier est né en 1944 a Concarneau (Finistère). Grand reporter de France Television. Il est specialiste de l'histoire sportive. Il est l'auteur de nombreuses biographies de champions ainsi que d'ouvrages consacrés au général de Gaulle et à l'histoire contemporaine, en particulier.
Achevè d'imprimer, en France chez Brodard et Taupin, en juin 2006. N° d'impression: 35990.
La véridique histoire.

E' lo stesso autore, del libro: Jacques Anquetil - L'Homme des défis, che forse il Grande Lemond (nostro) già traduce?

Un aneddoto sul nostro grande ciclista. Ero ad una cronometro del Tour a Val D'Isere, avevo la nostra bandiera - forse era il 1997 - a fine corsa mi si avvicinò un giornalista francese - chissà che non fosse questo autore mi son chiesta tante volte - mi abbracciò piangendo e mi disse che era stato da giovane un grande tifoso di Fausto Coppi. Ero perplessa ed allora mi fece vedere il ciondolo d'oro che portava al collo. Lo aprì, all'interno il viso di Fasto Coppi sorridente. Mi commosse. Tante storie si vivono seguendo da vicino con passione il nostro sport preferito.

J. P. Ollivier è la memoria sportiva di France Television e si interessa di ciclismo da sempre (già ai tempi di Antenne2). Conosce (credo sia l'unico fra loro) l'italiano e si presta a tradurre talvolta i nostri ciclisti al Tour. Non ha scritto però il libro su Jacques che ho inviato prima dell'attuale. Se volete, posso procurarmi quel che ha scritto su Coppi e Jacques e proporveli nella nostra lingua a puntate.

Il giornalista da me conosciuto a quel tempo, si espresse nella nostra lingua.
Il libro su Coppi ce l'ho in francese e lo sto rileggendo.
Per informazione aggiungo che dello stesso autore ci sono libri su: Geminiani, Robic, Koblet, Walkoviak, Gaul, Bartali, Riviere, Bobet, Merckx, Poulidor, Thèvenet, Darrigade, Ocana.

E' questo il giornalista? Se te lo ricordi così, si tratta proprio di Jean-Paul Ollivier. E mi pare proprio che nel 1997 fosse sulla moto.
E' un grande storico Ollivier. In Francia è anche considerato il principale studioso e storico del vecchio presidente De Gaulle.
In Francia è decisamente ben voluto, anche perché è una persona di una gentilezza estrema, che proprio non se la tira. Resterei ore ad ascoltarlo.  

Lemond ha scritto:Se volete, posso procurarmi quel che ha scritto su Coppi e Jacques e proporveli nella nostra lingua a puntate.

Se a te garba ... assolutamente sìììììììììììì